RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 350 - Testo della
Trasmissione di martedì 16 dicembre 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Questa mattina in Vaticano i funerali del cardinale
Tzadua.
OGGI
IN PRIMO PIANO:
Iraq:
dibattito sul processo a Saddam Hussein. Il commento di Fahti Abu Abed.
Italia: Ciampi rinvia alle Camere la legge
Gasparri: ai nostri microfoni il prof. Peppino Ortoleva.
Una guida al diritto internazionale del rifugiato
presentata oggi a Roma.
CHIESA E SOCIETA’:
Da
Ginevra, l’appello di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa in favore della tutela
della salute.
Rischiano di chiudere in India
alcune delle maggiori istituzioni sociali gestite dai cristiani.
Concluso in Argentina il primo raduno dei missionari italiani nel Paesi latinoamericano.
Ultimo atto del
Semestre di presidenza italiano all’Unione Europea. Intervento
all’Europarlamento di Strasburgo del premier italiano Silvio Berlusconi e del
presidente
della Commissione Europea, Romano Prodi.
Stato di tensione in
Daghestan: si ritirano i guerriglieri ceceni dal villaggio occupato stamattina.
16 dicembre 2003
LOTTARE CONTRO IL TERRORISMO RISPETTANDO IL DIRITTO
INTERNAZIONALE.
QUESTO
L’APPELLO DEL PAPA NEL MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE. IL
PONTEFICE RILANCIA LA NECESSITA’ DEL PERDONO:
DA
SOLA LA GIUSTIZIA NON BASTA A LIBERARE DALL’ODIO E DAI RANCORI
-
Intervista con il cardinale Renato Raffaele Martino -
“Un impegno sempre attuale: educare alla pace”. E’ questo
il titolo del nuovo messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale
della pace del 1° gennaio 2004. Il Papa lancia un forte appello a lottare
contro il terrorismo rispettando il diritto internazionale e rimuovendo le
situazioni di ingiustizia che spesso lo determinano. Quindi rilancia la
necessità del perdono, anche a livello internazionale, perché la giustizia da
sola non basta a liberare dal rancore e dall’odio come dimostra la situazione
in Medio Oriente. Il servizio di Sergio
Centofanti.
*********
Il Papa si rivolge a tutti: dai capi delle Nazioni a
quanti sono “tentati di ricorrere all'inaccettabile strumento del terrorismo” e
grida con forza:
“La pace resta possibile. E se
possibile, la pace è anche doverosa!”.
L'umanità è scossa da egoismi e
da odi, da sete di dominio e da desiderio di vendetta e di fronte a tante tragedie gli uomini
“sono tentati di cedere al fatalismo,
quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile”. Ma non è così: la pace è possibile. La Chiesa non si
stanca di ripeterlo. La via attuale è quella di educare alla legalità: è
necessario “rispettare l'ordine internazionale”:” il diritto favorisce la pace”. In questo contesto vale un
principio fondamentale: gli accordi liberamente sottoscritti devono essere
onorati:
“La sua violazione
non può che avviare una situazione di illegalità e di conseguenti attriti e
contrapposizioni che non mancherà di avere durevoli ripercussioni negative.
Risulta opportuno richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei
momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza
piuttosto che alla forza del diritto”.
Come è accaduto durante la seconda guerra mondiale: una
voragine di violenza, di distruzione e di morte quale mai s'era conosciuta
prima d'allora. Dopo il conflitto le Nazioni crearono l’ONU per vegliare sulla
pace e sulla sicurezza nel mondo. Quale cardine del nuovo sistema venne posto
il divieto del ricorso alla forza, con due sole eccezioni: la legittima difesa e un sistema di sicurezza collettiva, promosso
dal Consiglio di Sicurezza. Oggi, rileva il Papa, è necessaria una riforma che
faccia funzionare efficacemente l’Onu, che sempre più deve essere “centro
morale” e “famiglia di nazioni”. Infatti il diritto internazionale, anche a
causa della “piaga funesta del terrorismo”,
fa sempre più fatica ad offrire soluzioni alle conflittualità esistenti:
“Tuttavia, per essere vincente, la lotta contro il
terrorismo non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È
essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una
coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi
terroristici”.
Occorre da una parte
rimuovere le situazioni di ingiustizia, che spesso sono alla base di
questo fenomeno, dall'altra, è necessario educare al rispetto per la vita umana
in ogni circostanza. Nella doverosa lotta contro il terrorismo, il diritto internazionale
è ora chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi
di prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei reati:
“In ogni caso, i Governi democratici ben sanno che
l'uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai
principi di uno Stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili
quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti
dell'uomo: il fine non giustifica mai i mezzi!”.
Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la
legge del più forte prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori: ciò
deve valere anche per quei governanti i quali violano impunemente la dignità e
i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe
di questioni interne al loro Stato.Il diritto è dunque la prima strada da
imboccare per giungere alla pace. Ma la giustizia deve essere integrata
dall’amore:
“È l'esperienza storica a confermarlo. Essa mostra come la
giustizia non riesca spesso a liberarsi dal rancore, dall'odio e perfino dalla
crudeltà. Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se
stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore”.
Il Papa rilancia il suo appello al perdono, che
è necessario per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli:
“Non c'è pace senza perdono! Lo ripeto anche in
questa circostanza, avendo davanti agli occhi, in particolare, la crisi che
continua ad imperversare in Palestina e in Medio Oriente: una soluzione ai gravissimi
problemi di cui da troppo tempo soffrono le popolazioni di quelle regioni non
si troverà fino a quando non ci si deciderà a superare la logica della semplice
giustizia per aprirsi anche a quella del perdono”.
Occorre allora che l'amore sia esteso anche all'ordine
internazionale. Solo un'umanità nella quale regni la “civiltà dell'amore” potrà
godere di una pace autentica e duratura. Il Papa conclude con un’antica
massima: ”Omnia vincit amor”, l'amore
vince tutto:
“Alla
fine l'amore vincerà! Ciascuno si impegni ad affrettare questa vittoria. È ad
essa che, in fondo, anela il cuore di tutti”.
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Il documento di Giovanni Paolo
II è stato presentato nella sala Stampa
della Santa Sede dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace. Presenti anche il segretario dello stesso
Dicastero, mons. Giampaolo Crepaldi; il sottosegretario, mons. Frank J.Dewane;
l’Officiale, Giorgio Filibeck; e il portavoce vaticano, Joachin Navarro Valls.
L’ha seguita per noi Fausta Speranza:
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Diritto internazionale e
educazione alla pace sono termini ricorrenti nel messaggio del Papa ma solo il
secondo implica un compito diretto da parte della Chiesa. E’ quanto ha sottolineato il cardinale Martino sollecitato
dai giornalisti a proposito dell’avvenuto cambiamento del titolo. Inizialmente
compariva l’espressione diritto internazionale, in quello ufficiale si è
preferito dare risalto all’educazione. La Chiesa – ha ribadito il cardinale – resta “un’esperta in umanità”.
In ogni caso, il messaggio del Papa di quest’anno assume un rilievo particolare
visti gli eventi internazionali. Stando all’attualità più stretta, della
cattura di Saddam Hussein il cardinale, prima ancora di commentare le
implicazioni politiche, ha espresso un ''sentimento di umana compassione per
l’uomo distrutto, anche se dittatore”, aggiungendo la considerazione che
“potevano essere risparmiate le immagini di un uomo trattato come una vacca a
cui si controllano i denti''. Ha espresso anche l’auspicio che venga giudicato
nelle sedi appropriate. Ma ascoltiamo lo stesso cardinale Martino innanzitutto
sui temi centrali del documento. Giovanni Peduto gli ha chiesto quanto sia
rispettato oggi il diritto internazionale.
R. – Non è facile essere ottimisti al riguardo. Il Papa
nel messaggio parla chiaramente della “tentazione di fare appello al diritto
della forza piuttosto che alla forza del diritto e cita esplicitamente il
dramma sperimentato dall’umanità durante la seconda guerra mondiale. Anche se
quegli orrori non si sono più ripetuti, l’oggi offre ancora terribili tragedie
che sono altrettante ferite sanguinanti e aperte violazioni dell’ordine
giuridico internazionale, inequivocabilmente sancito nello Statuto delle
Nazioni Unite. Per questo il Papa afferma che “l’umanità ha oggi bisogno di un
grado superiore di orientamento internazionale” e che “gli Stati devono
considerare questo obiettivo come un preciso obbligo morale e politico, che richiede
prudenza e determinazione”.
D. – Quali sono le preoccupazioni più grandi del Papa
riguardo alla pace?
R. – Il messaggio ne rileva diverse, dalle frequenti
violazioni al fondamentale principio “pacta sunt servanda” (l’anno
scorso il Papa mise in luce le minacce alla pace dal mancato adempimento delle
promesse fatte ai Paesi poveri) alle “difficoltà che incontra oggi il diritto
internazionale ad offrire soluzioni alla conflittualità derivante dai mutamenti
nella fisionomia del mondo contemporaneo”. Con riguardo in particolare alla
piaga del terrorismo “diventata in questi anni più purulenta”, con “massacri
efferati”, Giovanni Paolo II afferma che, “per essere vincente, la lotta contro
il terrorismo non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive”.
Il pur necessario ricorso alla forza deve essere accompagnato dall’impegno sul
piano politico e pedagogico, “da un lato rimuovendo le cause che stanno
all’origine di situazioni di ingiustizia e, dall’altro, insistendo su
un’educazione ispirata al rispetto della vita umana”.
D. – A suo avviso, come sono accolti oggi dalla comunità
internazionale e dalla società civile i tanti appelli per la pace di Giovanni
Paolo II?
R. – L’apostolo Paolo raccomanda di annunciare il Vangelo,
“opportune et importune”. E questo il Papa ha fatto, proponendo
coraggiosamente, instancabilmente, profeticamente il Vangelo della pace. Sta a
noi, poi, accoglierlo e praticarlo. Del resto, i criteri per verificare la
fecondità dell’azione apostolica non sono quelli del mondo. “Ciò che è
stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più
forte degli uomini”. In ogni caso, il Santo Padre ha impedito che gli attuali
conflitti assumessero i toni torbidi e nefasti di uno scontro tra civiltà e
religioni.
D. – Un fatto di grandissima risonanza è stata la cattura
di Saddam Hussein: in che misura può contribuire al processo di pace?
R. – E’ auspicabile che – come sottolineato dalla
maggioranza dei commentatori – questa cattura e il processo che ne seguirà
nelle sedi appropriate contribuiscano alla pacificazione e alla democratizzazione
del Paese. Ma è illusorio sperare che valgano a riparare i drammi e i danni di
quella “sconfitta dell’umanità” che è sempre la guerra, come ha detto
incisivamente Giovanni Paolo II.
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IL CRISTIANO SIA SEMPRE PRONTO AD AFFRONTARE LA
MORTE:
COSI’
IL PAPA ALLE ESEQUIE DEL CARDINALE AFRICANO PAULOS TZADUA,
STAMANI
IN BASILICA VATICANA
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Un pastore “generoso ed attivo” della Chiesa africana. Il
Papa ha ricordato commosso la figura del cardinale Paulos Tzadua, arcivescovo
emerito di Addis Abeba, presiedendo stamani la liturgia esequiale nella
Basilica Vaticana, in memoria del porporato, spentosi giovedì scorso in
Vaticano all’età di 82 anni. La santa messa è stata celebrata dal cardinale
Joseph Ratzinger, decano del collegio cardinalizio. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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(Canti)
Tributando l’estremo saluto al cardinale Paulos Tzadua, il
Papa ne ha sottolineato il ruolo di “autorevole portavoce” della Chiesa
africana. Impegno portato avanti nel corso degli anni quale presidente della
Conferenza episcopale etiope, quindi come arcivescovo di Addis Abeba e, ancora,
nell’assemblea speciale del sinodo dei vescovi per l’Africa, svoltasi a Roma
nel 1994. In momenti “di prova e di dolore” come questo, ha detto, “il ricorso
alla parola di Dio è per i credenti fonte di conforto e di speranza”:
“Il cristiano deve sempre essere pronto per affrontare il
passaggio della morte. Egli guarda al futuro - sia personale che universale -
nella prospettiva della parusia, e tutto orienta a queste ultime e fondamentali
realtà. Grande, infatti, è l’evento che ci attende: l’incontro “faccia a faccia”
con Dio”.
Il Papa
non ha poi mancato di mettere in luce i tratti salienti della figura del porporato
africano:
“Egli ha speso la vita per Cristo e per la Chiesa. Con
scelta significativa, nel suo stemma aveva posto il motto: Per Gesù Cristo”.
Ad imitazione del suo Signore, ha proseguito, “si è fatto
servitore dei fratelli, ponendo a loro disposizione le elette qualità di cui
era dotato”. Al di là della fatica pastorale, poi, ha donato se stesso dando
“prova di santità di vita e di costante anelito apostolico”. Il Papa ne ha
sottolineato la “spiccata sollecitudine nei confronti del laicato” del
cardinale Tzadua alla cui “vocazione, formazione e missione” si è sempre
dimostrato attento, secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
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IL CARDINALE BIFFI LASCIA LA GUIDA DELL’ARCIDIOCESI DI
BOLOGNA
PER
RAGGIUNTI LIMITI DI ETA’.
AL SUO
POSTO IL PAPA HA NOMINATO MONS. CARLO CAFFARRA
Il Papa
oggi ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Bologna
presentata dal cardinale Giacomo Biffi, per raggiunti limiti di età. Al suo
posto ha nominato mons. Carlo Caffarra, finora arcivescovo di Ferrara-Comacchio.
Ascoltiamo da Bologna il servizio di Stefano Andrini.
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Dopo
quasi 20 anni, il cardinale Giacomo Biffi lascia la diocesi di Bologna nella
quale è entrato il 2 giugno 1984. Creato cardinale da Giovanni Paolo II nel
Concistoro del maggio ’85, è autore di numerose pubblicazioni di carattere teologico
e catechetico. Difficile sintetizzare in poche battute cosa ha significato il
cardinale per la Chiesa bolognese. Nel messaggio inviato per il 50.mo di
sacerdozio ed il 25.mo di episcopato, il Papa scriveva: “Dalla gloriosa
Cattedra bolognese hai dato prova di quelle virtù pastorali che corrispondono
pienamente all’esortazione di San Paolo al discepolo Timoteo: annunzia la
Parola ed insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci,
rimprovera ed esorta con ogni magnanimità e dottrina”.
Il
cardinale Biffi ha saputo entrare nel cuore della città facendole riscoprire le
sue tradizioni e le sue radici cristiane a cominciare dalla nota battuta per
cui un cristiano non deve rinunciare ai tortellini, il piatto simbolo di
Bologna, ma questi sono più buoni se gustati nella prospettiva della vita
eterna. Nel dare l’annuncio in arcivescovado del suo successore, il cardinale
Biffi ha commentato soddisfatto “ho avuto la gioia di avere mons. Caffarra come
collaboratore all’Istituto lombardo di pastorale e di ordinarlo vescovo. Per
quanto mi riguarda – ha aggiunto – quelli trascorsi a Bologna sono stati 20
anni bellissimi, pieni di gratitudine”. Con la consueta ironia ha concluso,
rivolto alla Curia e al Capitolo della Cattedrale, citando la formula di
congedo delle vecchie famiglie popolari “scusate per il disturbo e grazie della
compagnia”.
Da
Bologna, per la Radio Vaticana, Stefano Andrini.
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Apre la
prima pagina il titolo "Un impegno sempre attuale: educare alla
pace": il Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della
Pace, che sarà celebrata il primo gennaio 2004.
All'interno,
la presentazione del Messaggio del Cardinale Renato Raffaele Martino.
Nelle
vaticane, l'omelia del Papa in occasione delle solenni esequie del cardinale
Paulos Tzadua.
Due
pagine dedicate alla presentazione del settimo volume della serie "Il
Volto dei Volti. Cristo".
Nelle
estere, la notizia dell'assassinio, in Guatemala, di don José Maria Ruiz Furlan.
Riguardo
all'Iraq, si sottolinea che i sostenitori di Saddam hanno reagito con rabbia
alla notizia della cattura, inscenando violente manifestazioni in varie
località del Paese.
Nella
pagina culturale, un articolo di Antonio Braga sulla riapertura del "Gran
Teatro La Fenice" di Venezia.
Per
l'"Osservatore libri" un approfondito contributo di Danilo Veneruso
sull'opera di Elena Aga Rossi dal titolo "Una Nazione allo sbando.
L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze".
Nelle
pagine italiane, il Presidente Ciampi rinvia alle Camere la legge Gasparri.
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16 dicembre 2003
DIBATTITO SUL PROCESSO A SADDAM HUSSEIN.
LE
FORZE USA UCCIDONO 11 GUERRIGLIERI
-
Intervista con Fahti Abu Abed -
La cattura di Saddam Hussein
non ha fiaccato gli animi della resistenza irachena, ma nella rete degli
americani potrebbe essere finito anche uno dei vicepresidenti iracheni. Mentre
la comunità internazionale si interroga sul futuro dell’ex leader, la cronaca
dal Paese del Golfo riferisce ancora di scontri e violenze sul terreno. Il
servizio di Giada Aquilino:
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Dopo la cattura di Saddam, potrebbe essere arrivato anche
il momento della resa dell'ex vicepresidente iracheno Izzat Ibrahim Al Douri. A
comunicarlo oggi la tv satellitare del Kuwait, ma sulla notizia manca la
conferma del comando americano. Per catturare l'ex braccio destro di Saddam
Hussein, le truppe Usa avevano lanciato due settimane fa un'imponente caccia
all'uomo in un villaggio poco distante da Tikrit, città natale dell’ex rais. Al
Douri è considerato il comandante della resistenza contro le forze anglo americane
in Iraq. Proprio contro le truppe statunitensi intanto continua ad operare la
resistenza, a Falluja come a Ramadi. A Samarra, 100 km a nord di Baghdad, i
soldati della coalizione hanno invece ucciso 11 guerriglieri che preparavano
un’imboscata. Mentre a Baghdad è giunto il generale Richard Myers, capo di
Stato Maggiore delle forze armate degli Stati Uniti, tre militari americani
sono rimasti feriti oggi, quando a Tikrit la loro jeep, schierata contro 250
manifestanti scesi in piazza, è saltata in aria su un ordigno.
La maggioranza degli iracheni,
comunque, si compiace per la cattura di Saddam. “Saranno loro a decidere come
processarlo”, ha assicurato ieri il presidente statunitense Bush, garantendo lo
svolgimento di un processo “pubblico ed equo”, nel “rispetto delle leggi
internazionali”. Il presidente del governo provvisorio iracheno, Adnan
Pachachi, non esclude addirittura che Saddam possa essere condannato a morte.
Ma su questa eventualità è l’Onu a frenare: “Come sapete, le Nazioni Unite -
spiega un portavoce di Kofi Annan - sono contrarie alla pena di morte. I
Tribunali da noi costituiti non la prevedono tra le condanne. E non pensiamo di
cambiare rotta nel caso di Saddam, appoggiando la pena capitale”. Da Parigi
infine arriva la notizia che Francia e Stati Uniti – dopo un incontro
all’Eliseo tra l'ex-segretario di stato americano James Baker e il presidente
francese Jacques Chirac - sono d'accordo sulla necessità di ridurre il debito
iracheno.
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Uno dei
nodi da sciogliere sarà dunque quello del processo a Saddam. Chi giudicherà
Saddam Hussein: un tribunale internazionale o un tribunale iracheno? Stefano
Leszczynski lo ha chiesto a Fahti Abu Abed, consigliere della missione diplomatica
della Lega degli Stati arabi in Italia.
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R. – Ma, io direi di consegnare tutto al popolo iracheno;
nessuno deve intervenire. Se Saddam Hussein ha commesso dei reati, come è
testimoniato dallo stesso popolo iracheno, deve essere processato a casa sua.
D. – Come cambia, secondo lei, dopo la cattura di Saddam
Hussein, il panorama iracheno? Questo potrà avere anche delle ripercussioni
sugli altri Stati arabi e sul panorama mediorientale?
R. – Dopo la cattura di Saddam, speriamo che la situazione
vada normalizzandosi. Speriamo che ci sia più pace e più stabilità, in questo
Paese, che non merita di vivere in uno stato di guerra permanente. Ora che gli
americani non hanno trovato armi di distruzione di massa e ora che hanno
catturato Saddam, è tempo di pensare a risolvere il problema della Palestina
che è il vero problema del Medio Oriente.
D. – Questo avvenimento dovrebbe segnare quindi la fine
definitiva della presenza straniera in Iraq?
R. – Gli americani hanno promesso che entro giugno
prossimo usciranno dall’Iraq, consegneranno il potere al Consiglio di
transizione e su questo siamo completamente d’accordo: lo consideriamo, sì,
solo un primo passo, ma comunque lo approviamo. L’importante è che avvenga il
ritiro delle forze e poi la consegna dei poteri al Consiglio di transizione
che, peraltro, è stato creato dagli americani.
D. – Il popolo iracheno è in parte arabo, in parte curdo:
quali le prospettive?
R. – Innanzitutto, bisogna risolvere seriamente la
questione curda, perché anche il popolo curdo ha diritto alla propria
autonomia, come è per tutti i popoli oppressi.
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ITALIA: IL PRESIDENTE CIAMPI RINVIA ALLE CAMERE
LA
LEGGE SUL RIASSETTO TELEVISIVO
-
Intervista con Peppino Ortoleva -
Tiene banco nel dibattito politico italiano la decisione
ufficializzata ieri sera dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,
di rinviare alle Camere la Legge Gasparri di riforma del sistema
radiotelevisivo. Con un messaggio motivato in cinque pagine, Ciampi chiede una
nuova deliberazione. Ora il provvedimento torna a Montecitorio e passerà poi al
Senato. Berlusconi fa sapere che non leggerà le osservazioni del presidente e
ipotizza un decreto per salvare Rete 4. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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I dubbi che hanno indotto Ciampi a rinviare la Legge
Gasparri in Parlamento sono anzitutto il pluralismo dell’informazione, che era
al centro del messaggio delle Camere del luglio 2002. Osserva Ciampi in
proposito: “la legge in alcuni parti non appare in linea con la giurisprudenza
della Corte Costituzional”. I rilievi del presidente della Repubblica
riguardano anche il Sistema integrato delle comunicazioni – Sic – che potrebbe
consentire a chi detenga il 20 per cento di disporre di strumenti di
comunicazione in misura tale da dare luogo alla formazione di posizioni
dominanti. Ciampi è insomma preoccupato per la concentrazione dei mezzi
finanziari e della raccolta pubblicitaria. Il capo dello Stato richiama poi al
Parlamento la necessità di verificare l’effettivo ampliamento dell’offerta
televisiva e di garantire i tempi del passaggio dall’analogico al digitale,
risolvendo entro l’anno anche la questione del trasferimento di Rete 4 sul
satellite.
Di diverso segno, naturalmente, le valutazioni politiche.
Il premier Berlusconi sdrammatizza e dice rivolteremo la legge; anche il
ministro Gasparri si dice convinto che il Parlamento individuerà le soluzioni
più opportune. Per il centro-destra il messaggio di Ciampi conferma, comunque,
il valore e la giustezza della riforma. Il centro-sinistra, che da sempre ha rimarcato
l’incostituzionalità del provvedimento, non maschera una grande soddisfazione.
Più prudente il leader Ds Fassino che sottolinea come quello di Ciampi sia un
atto coerente con il messaggio dello scorso anno alle Camere. A mediare ci
pensa il presidente della Camera Casini che assicura “entro febbraio ci saranno
le correzioni richieste”.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Ma sul rinvio alle Camere della
Legge Gasparri Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Peppino Ortoleva docente di storia dei media e tecniche
di comunicazione di massa all’università di Torino e Siena.
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R. – Sono stato colpito dal fatto che fossero indicati con
precisione due punti, a parte alcuni generali dubbi di costituzionalità, molto
significativi della legge. Il cosiddetto sistema integrato della comunicazione
che, in effetti, vanifica l’elemento di controllo anti-concentrazione che è
tipico del nostro ordinamento. Cioè, in sostanza, parlando di sistema integrato
della comunicazione, si allarga talmente il concetto di comunicazione che,
prima di poter essere accusato di pratiche monopolistiche, un’azienda dovrebbe
essere un assoluto gigante come in Italia non ce ne sono. E l’altro, invece, riguarda
l’importanza che la legge dà al cosiddetto ‘digitale terrestre’ che non c’è e
che in ogni caso viene usato per introdurre già oggi una serie di norme e di
aperture al monopolio di fatto del duo-polio pubblico-privato Rai-Fininvest o
Mediaset che dir si voglia.
D. – A questo punto è una lotta contro il tempo per Rete 4
perché entro il 31 dicembre dovrebbe andare sul satellite, se non viene
approvata la legge; già si parla di decreto per posticipare il problema ...
R. – Il conflitto di interesse diventerebbe così evidente
da poter provocare veramente degli sconquassi istituzionali.
D. – L’altra soluzione è ripresentare entro fine mese la
legge a Ciampi ...
R. – Un passaggio alle Camere di qui al 31 dicembre, così
accelerato da potere riformulare la legge così com’è per imporre al presidente
della Repubblica di firmarla, sarebbe uno strappo istituzionale di una gravità
eccezionale.
D. – Quindi, professore, secondo lei verrà chiusa una rete
Mediaset?
R. – Io non credo che chiuderanno una delle tre reti,
perché si vanificherebbe tutto il progetto – diciamo – di impresa, quindi penso
che si cercherà un escamotage. Ma siamo veramente nella situazione di
maggior tensione da questo punto di vista nella storia della Repubblica.
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UNA GUIDA AL DIRITTO INTERNAZIONALE
DEL RIFUGIATO,
RIVOLTA AI PARLAMENTARI DI TUTTO IL MONDO, PERCHE’ CRESCANO
PROTEZIONE E TOLLERANZA VERSO QUANTI SONO PERSEGUITATI NEI LORO PAESI
“Protezione del rifugiato”: è il titolo di un manuale per
i parlamentari di tutto il mondo, presentato stamane nell’edizione italiana.
L’iniziativa si deve all’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati in
collaborazione con l’Unione interparlamentare, che riunisce 145 Paesi. La
conferenza stampa affollata di politici, giornalisti ed esperti in diritto
internazionale si è svolta nella sede del Senato di Palazzo Giustiniani, a Roma.
Roberta Gisotti ha seguito per noi l’incontro.
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150 pagine per spiegare a chiare lettere che “ogni
individuo ha il diritto di cercare e godere in altri Paesi asilo dalle
persecuzioni”, così come ha stabilito la Dichiarazione universale dei diritti
umani. Tradotto in 22 lingue, tra cui arabo, giapponese, indonesiano, mongolo,
macedone, il libro vuole offrire una guida al diritto internazionale del
rifugiato, sollecitando i parlamentari ad approfondire i principi generali e
metterli in pratica a livello nazionale, attraverso politiche idonee a tutelare
quanti “non sono un pericolo per le persone ma sono loro persone in pericolo”.
C’è infatti molta confusione in tema di identità del
rifugiato e di altre categorie di migranti – lamenta l’Alto Commissario Ruud
Lubbers – e questo danneggia tutti. Ma chi è il rifugiato: chi fugge dal
proprio Paese perché perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,
opinione politica o appartenenza ad un gruppo sociale e per questo a casa non può
o non vuole tornare. In Asia sono quasi di 4 milioni e 200 mila; in Africa
oltre 3 milioni e 300 mila, in Europa poco meno di 2 milioni 140 mila; sotto i
700 mila in America e circa 65 mila in Oceania. In Italia in particolare i
rifugiati sono meno di 10 mila, contro i 900 mila della Germania, eppure manca
- unico Paese dell’Unione Europea – una legislazione organica in materia di
asilo.
La legge è stata scritta ma è ferma alla Camera, un testo
equilibrato – ha commentato Laura Boldrini portavoce dell’Alto Commissariato
per i rifugiati in Italia – perché basato su tre proposte di diversi schieramenti
politici. Promessa d’impegno per arrivare al varo della legge è venuta dal
senatore Enrico Pianetta, presidente della Commissione per la tutela e la promozione
dei diritti umani, nella speranza che dopo tanti anni di latitanza alle parole
seguano i fatti.
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16 dicembre 2003
UCCISO DA SCONOSCIUTI, IN GUATEMALA, IL 69.ENNE PADRE RUIZ
FURLÁN,
IMPEGNATO
ATTIVAMENTE NELLA LOTTA IN DIFESA DEI DIRITTI UMANI
E
CONSIDERATO L’EREDE MORALE DEL VESCOVO JUAN GERARDI, TRUCIDATO NEL ‘98
CITTA’
DEL GUATEMALA. = Un brutale omicidio ha nuovamente scosso la comunità cattolica
del Guatemala. La vittima è padre José Maria Ruiz Furlán, meglio conosciuto
come padre Chemita, assassinato due sere fa da sconosciuti armati, mentre
rientrava a casa, dopo aver celebrato la Messa nella chiesa di Santo Cura de
Ars. Secondo alcuni testimoni, padre Chemita aveva trascorso l’intera giornata
al Buon Pastore, celebrando battesimi e cresime. Appena appresa la notizia, sul
luogo dell’omicidio si è recato anche l’arcivescovo di Città del Guatemala, il cardinale
Rodolfo Quezada Toruño. “Lamentiamo e condanniamo l’assassinio di un esponente
della Chiesa cattolica - ha detto il porporato – è un crimine assurdo e ci
dimostra gli alti livelli di violenza che vive il Guatemala. Auspico che questo
crimine non resti impunito, come molti altri”. Padre Chemita aveva compiuto 69
anni lo scorso 12 settembre, era stato parroco di Santo Cura de Ars per 30
anni, e per oltre 40 si era dedicato all’assistenza delle fasce sociali mento
abbienti. Negli anni ’70 aveva accusato il regime militare per l’assassinio di
suo fratello, il colonnello Carlos Ruiz Furlán. Per nove anni, dal febbraio
1991, era stato sospeso ‘a divinis’ per essere entrato in politica – nel ‘78 e
nell’82 si era candidato a sindaco della capitale – e in affari, come socio di
due alberghi a Antigua Guatemala ed Escuintla. Il provvedimento canonico era
stato ritirato il 12 marzo 1999. Considerato l'erede morale di Juan Jose'
Gerardi - il vescovo guatemalteco trucidato nel 1998 dopo aver pubblicato un
rapporto sulle violazioni dei diritti umani da parte dell'esercito – anche
padre Ruiz Furlan era noto anche per la sua strenua lotta in difesa delle
libertà individuali e per le dure critiche rivolte contro il governo del
presidente Alfonso Portillo, accusato dal religioso di ripetute violazioni di
quegli stessi diritti. (A.D.C.)
DA GINEVRA, L’APPELLO DI CROCE
ROSSA E MEZZALUNA ROSSA
IN
FAVORE DELLA TUTELA DELLA SALUTE, NUOVA PRIORITA’ INTERNAZIONALE.
SECONDO
GLI ORGANISMI UMANITARI, SERVONO 340 MILIONI DI EURO
PER
SOSTENERE ADEGUATI PROGRAMMI IN UN CENTINAIO DI STATI DEL PIANETA
- A
cura di Mario Martelli -
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GINEVRA. = “Le crisi della salute
mettono in eclissi le catastrofi naturali”: con questa parole la Federazione
internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa lancia a Ginevra
il suo appello per la raccolta di fondi necessari nel 2004. Si chiede un totale
di 217,6 milioni di franchi svizzeri – pari a circa 340 milioni di euro – di
cui un ammontare senza precedente, di più del 40 per cento, sarà destinato ai
programmi della salute. Il segretario generale della Federazione ha fatto
rilevare che questo cambiamento di priorità rispetto a quella finora dedicata
alle catastrofi naturali è dovuta a quanto avviene nel mondo: ogni anno sono circa
13 milioni le persone che perdono la vita a causa di malattie infettive, mentre
l’anno scorso sono state 24 mila le persone morte a causa di catastrofi
naturali. I fondi richiesti nell’appello andranno a favore di un centinaio di
Paesi e in particolare una quarantina di Paesi africani con 79,3 milioni di
franchi da destinare all’intensificazione della lotta contro l’Aids, la
rosolia, la poliomielite, ma anche tubercolosi e malaria. In occasione
dell’appello è intervenuto anche il dottor Massimo Barra, membro del Consiglio
del Fondo mondiale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria. “La
creazione di questo Fondo - ha osservato – ha portato ad un cambiamento
spettacolare nel mondo umanitario durante gli ultimi cinque anni. La
Federazione, infine, precisa che si procederà con questo Fondo al rafforzamento
delle capacità di operare in regioni e Paesi come i Balcani, l’Afghanistan,
l’Iraq e la Somalia.
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RISCHIANO DI CHIUDERE, IN INDIA, ALCUNE DELLE MAGGIORI ISTITUZIONI
SOCIALI
GESTITE
DA CRISTIANI. IL NEOMINISTRO DI UNO STATO NORDOCCIDENTALE
DEL
PAESE INTENZIONATO A SMANTELLARE CENTINAIA DI CENTRI,
CHE
AIUTANO MIGLIAIA DI PERSONE
RAJASTHAN
(INDIA). = Un ministro da poco eletto nel governo locale del Rajasthan, Stato
dell’India nord-occidentale ha minacciato di chiudere tutti gli orfanotrofi e
le altre istituzioni sociali gestite da cristiani. Lo riferiscono fonti locali
contattate dalla Misna, ricordando che in Rajasthan - così come in Chhattisgarh
e Madhya Pradesh, tre dei quattro Stati dove si è votato il primo dicembre
scorso - ha vinto il Bjp, il Partito nazionalista filo-induista Bharatiya
Janata Party. Le fonti dell’agenzia missionaria hanno spiegato che Madan
Dilaver, neo responsabile del dicastero degli Affari sociali del Rajasthan, ha
proclamato apertamente l’intenzione di chiudere le strutture rette dalla
minoranza cristiana. In particolare, Dilaver sarebbe intenzionato a smantellare
l’Emmanuel Bible Institute Samiti di Kota, che si occupa di circa 6 mila
orfani, gestisce 150 centri per la cura dei lebbrosi e 140 case di riposo per i
meno abbienti. Inoltre, sempre secondo la Misna, il ministro avrebbe iniziato
una campagna per colpire il presidente dell’istituto, alludendo a un suo
presunto coinvolgimento in “attività antinazionali” e nel campo del traffico di
organi. Le fonti dell’agenzia missionaria sottolineano che potrebbe trattarsi
di un segnale del ritorno delle “campagne di odio” contro i cristiani da parte
degli induisti e sollecitano la comunità internazionale a intervenire contro il
ministro Dilaver e contro tutti coloro che istigano alle violenze
interreligiose. (A.D.C.)
MIGLIAIA DI PROFUGHI ANGOLANI IN SUDAFRICA TORNERANNO NEL LORO
PAESE,
DOPO
L’ACCORDO FIRMATO A PRETORIA. LA PACE SIGLATA TRA IL GOVERNO
DI LUANDA
E L’UNITA HA GIA’ PERMESSO IL RIMPATRIO DI CIRCA 200 MILA ANGOLANI,
DEL
MILIONE ANCORA SPARSO IN TUTTA L’AFRICA
PRETORIA. = Un accordo firmato nel fine settimana a
Pretoria ha aperto la strada per il ritorno in Angola degli oltre 13 mila
profughi da anni rifugiati in Sudafrica. Lo riferiscono fonti giornalistiche
locali, precisando che un accordo simile è stato firmato nei mesi scorsi dai governi
di Zambia, Repubblica democratica del Congo, Congo Brazzaville e Botswana:
tutti Paesi che da anni ospitano una vasta comunità angolana, fuggita nel tempo
da una guerra trentennale conclusasi soltanto lo scorso anno. Le stime più
credibili ritengono che in totale siano oltre un milione i profughi angolani
sparsi in Africa. L'Acnur, alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati, ha colto l'occasione per fornire nuovi dati aggiornati sul rientro degli
angolani nel proprio Paese. Dallo scorso giugno, l'agenzia dell'Onu ha
assistito quasi 44 mila profughi nel loro rientro in patria. Altri 50 mila sono
ritornati in Angola spontaneamente nello stesso arco di tempo, mentre sono
almeno il doppio quelli che lasciarono i campi profughi per far ritorno a casa
all'indomani della firma dell'accordo di pace tra il governo di Luanda e gli ex
ribelli dell'Unita (Unione per l’indipendenza totale dell’Angola). Dopo la
morte del suo leader storico Jonas Savimbi, avvenuta nel febbraio 2002, il
movimento protagonista della trentennale guerra civile angolana ha abbandonato
il confronto armato e ha iniziato un delicato processo di normalizzazione e di
reinserimento nella vita politica del Paese, riconosciuto ormai a livello
internazionale. (A.D.C.)
SI E’ CONCLUSO CON IL
RINGRAZIAMENTO DEI VESCOVI ARGENTINI
IL
PRIMO RADUNO NAZIONALE DEI MISSIONARI ITALIANI
NEL
PAESE LATINOAMERICANO: LO SPIRITO DI SERVIZIO ALLA CHIESA LOCALE
E LA
CAPACITA’ DI INTEGRAZIONE CULTURALE,
TRA I
MERITI PRINCIPALI RICONOSCIUTI DAI PRESULI
ROSARIO. = Si è concluso nei
giorni scorsi, con la concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo
di Rosario e presidente della Conferenza episcopale argentina, Eduardo Mirás,
il primo Congresso dei missionari italiani nel Paese latinoamericano.
“Impressiona il clima di fraternità e di profonda gioia”, ha sottolineato alla
Fides padre Francesco Ballarini, sacerdote veronese tra gli organizzatori
dell'incontro, da molti anni in Argentina. La maggior parte dei convenuti sono,
ha spiegato sono in missione in Argentina tra i 20 e i 40 anni, sparsi su tutto
il territorio. “I loro campi d' azione sono i più vari – ha spiegato padre
Ballerini - tra le popolazioni indigene, nelle zone rurali, nelle periferie
delle grandi città dove é grande l'esclusione sociale”. Gli oltre duecento
partecipanti al raduno rappresentavano circa un migliaio di religiose,
religiosi, sacerdoti e laici appartenenti a varie comunità ecclesiali. Numerosi
gli attesati di stima e i ringraziamenti giunti da parte degli esponenti della
Chiesa argentina. Sia mons. José Luis Mollaghan, vescovo di San Miguel, la
diocesi che ospitava il Congresso, che mons. Justo Laguna, vescovo della vicina
diocesi di Morón, hanno voluto mettere in luce il contributo che i missionari
italiani hanno dato alla crescita della Chiesa locale. In modo particolare, ha
sottolineato mons. Laguna, la loro capacità di sapersi inserire con autentico
spirito di servizio all'interno della cultura argentina. (A.D.C.)
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16 dicembre 2003
- A cura di Salvatore Sabatino -
Ultimo atto del semestre di presidenza italiana
dell’Unione Europea. Il premier Silvio Berlusconi davanti all'assemblea
plenaria all'Europarlamento ha tenuto stamattina la relazione conclusiva del
semestre. Nell’intervento ha passato in rassegna tutto ciò che la presidenza ha
realizzato in questo periodo, ma ha anche affrontato le ragioni del fallimento
del vertice di Bruxelles dello scorso fine settimana. Davanti alla Plenaria ha
parlato pure il presidente della Commissione Europea, Romano Prodi. Il servizio
è di Salvatore Sabatino:
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“Abbiamo
evitato un compromesso al ribasso”. Berlusconi davanti alla Plenaria conferma,
dunque, ciò che già aveva detto alla vigilia del fallito vertice di Bruxelles dello
scorso fine settimana. Un compromesso non raggiunto tra i Paesi dell’Unione,
con una Carta costituzionale non certo facile da varare, anche se si è arrivati
“molto vicini all’accordo” sulla questione del sistema di voto. ''Nella notte
fra venerdì e sabato – dice Berlusconi
- c'è stata una grande apertura di alcuni paesi che parevano arroccati sulle
loro posizioni, ma nella mattina di sabato tutto è retrocesso”. Poi un accenno all’economia dell’Unione,
“frenata – secondo il premier italiano – da troppe regole”; subito dopo il
passaggio in rassegna dei risultati raggiunti sotto la guida italiana:
“risultati concreti– afferma Berlusconi- che rilanciano l'immagine complessiva
dell'Unione'', che hanno favorito ''la ripresa dell'occupazione”. Poi il
delicato tema dei flussi migratori, con lo sviluppo di strategie comuni
europee. E l’immigrazione viene presentata come il tema centrale del semestre,
a cui Berlusconi lega un’esigenza di dialogo con l’Islam, per un'azione
costante e concreta – dice - ''contro ogni genere di estremismo, intolleranza e
terrorismo”.
Di
tutt’altro tenore, invece, l’intervento del Presidente della Commissione,
Romano Prodi, che parla di “tristezza e delusione” per il fallimento della
Conferenza Intergovernativa, di “un’occasione persa”. ''Come ogni base di
partenza – dice Prodi - il progetto della Convenzione doveva servire per fare
un passo in avanti. Invece alcuni Stati
membri lo hanno usato per fare alcuni passi indietro''. Prodi ha comunque
giudicato in generale ''eccellente'' il lavoro svolto dalla Convenzione
ricordando che la soluzione per sbloccare l'impasse potrebbe essere un'Unione a
due velocità. In conclusione il presidente della Commissione ha lanciato un
appello: “Se non ci stringiamo tutti attorno alla nostra Unione – ha detto -
perderemo la nostra autonomia e la nostra influenza nel mondo”.
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Sempre tesa la situazione in Daghestan. I guerriglieri
ceceni che hanno occupato nelle prime ore di questa mattina il villaggio di
Galatli, verso i confini con la Georgia, si sono ritirati e hanno liberato
tutti gli ostaggi. La notizia del ritiro è stata confermata da fonti del
comando militare russo nel Caucaso citate dall'agenzia Itar Tass. Il gruppo di
guerriglieri è parte del contingente che ieri aveva occupato per alcune ore il
villaggio di Shauri dopo aver ucciso 9 guardie di frontiera federali accorse
sul posto. Circondati dalle forze di polizia daghestane e di frontiera si erano
ritirati, dividendosi in due o tre gruppi. Sempre ieri un comunicato della
guerriglia aveva rivendicato l'azione, avvertendo che il contingente di ribelli
era rimasto nel territorio della repubblica autonoma russa per “altre operazioni”.
Una colonna corazzata israeliana composta da una
cinquantina di veicoli è entrata questa mattina nel campo profughi palestinesi
di Balata, nella Cisgiordania settentrionale. A renderlo noto fonti della
sicurezza palestinesi, che hanno inoltre segnalato la presenza di due
elicotteri. Intanto secondo il quotidiano Maariv, il premier israeliano Ariel
Sharon intende sgomberare gli insediamenti ebraici nella striscia di Gaza e
alcuni insediamenti isolati in Cisgiordania. Secondo la stessa fonte lo
sgombero verrebbe attuato nel quadro di un piano di azioni unilaterali che egli
vorrebbe adottare se dovesse risultare impossibile procedere alla realizzazione
della “road map” nell'arco dei prossimi sei mesi. Ed oggi, invece, riprende al
Cairo la riunione dei gruppi palestinesi.
Ci trasferiamo in Afghanistan.
Due razzi sono stati lanciati ieri nei pressi dell'aeroporto di Kabul. Per
fortuna non ci sono state vittime. Uno dei due ordigni è precipitato su una
casa, provocando danni di lieve entità, mentre il secondo si è schiantato vicino
all’aerostazione, la cui sicurezza è assicurata dall’Isaf, la forza internazionale
di assistenza alla Sicurezza.
I
missili collocati lungo la costa della Repubblica popolare cinese in direzione
di Taiwan sono ''terrorismo di Stato''. E’ l'accusa lanciata oggi dalla vice
presidente taiwanese, Annette Lu. Tra Taiwan e la Cina è in corso una dura polemica
sul cosiddetto “referendum difensivo”, che il presidente tawanese Chen
Shui-bian vuole organizzare nell'isola il 20 marzo 2004, in concomitanza con le
elezioni presidenziali.
E’ stato arrestato nei pressi di Bogotà Wilmer Antonio
Marin Cano, uno dei più importanti comandanti delle Farc, le Forze Armate
Rivoluzionarie della Colombia. Il guerrigliero è accusato, tra l'altro, di aver
ucciso il mese scorso un uomo d'affari giapponese rapito nel 2001. La notizia è
stata diffusa dai servizi segreti colombiani, secondo i quali si tratta del colpo più duro inflitto alle Farc
dall'insediamento del presidente Alvaro Uribe, nell'agosto 2002.
Entro due mesi i turco-ciprioti potrebbero essere chiamati
nuovamente alle urne, se dalla consultazione elettorale di domenica non
emergerà un governo stabile. L’ipotesi è stata ventilata ieri dal leader
turco-cipriota Rauf Denktash. La consultazione elettorale doveva portare al
rinnovo del Parlamento della Repubblica Turca di Cipro del Nord – riconosciuta
solo da Ankara. Ma dai risultati è emerso che ciascuno dei due blocchi rivali -
uno favorevole, l'altro contrario alla riunificazione dell'isola - ha ottenuto
25 dei 50 seggi del Parlamento.
Almeno
18 morti e migliaia senza tetto. Questo il tragico bilancio di un ciclone che
ha attraversato questa mattina i distretti costieri dello stato di Andhra Pradesh,
nell'India meridionale. Secondo le prime stime, il ciclone ha devastato oltre
250 mila acri di risaie. La maggior parte dei distretti colpiti è rimasta senza
corrente elettrica.
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