RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 349 - Testo della
Trasmissione di lunedì 15 dicembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Un nuovo libro sul dramma dei bambini
soldato : intervista con l’autore, Luciano Bertozzi
CHIESA E SOCIETA’:
Nell’università irachena di Al-Hilla sono iniziati i corsi della “Facoltà della democrazia”
Al termine dell’Assemblea ordinaria autunnale della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, i vescovi indicano “fede, speranza e carità” come pilastri sui quali fondare la nuova evangelizzazio-ne
A Caracas, una parrocchia distrutta da un incendio
Accordo internazionale in materia di lotta all’inquinamento europeo
Sarà presentato domani all’Università Gregoriana il libro di Emanuela Zurli dedicato ad una nuova scoperta su Qumran
Si
chiudono in pareggio le elezioni nella parte turca dell’isola di Cipro, non
riconosciuta dalla Comunità internazionale ma solo da Ankara
Rimasto
illeso dopo l’attentato di ieri, il presidente pakistano Musharraf esorta a non
retrocedere dalla lotta al terrorismo
Un
gruppo di ribelli ceceni invade un villaggio del Daghestan, in Russia,
uccidendo 11 poliziotti e prendendo in ostaggio quattro persone
Iniziato
da sabato in Costa d’Avorio il processo di disarmo.
15 dicembre 2003
ALL’ORIGINE
DEI MALI SOCIALI DEI POPOLI E’ IL RIPUDIO DEI VALORI ETICI:
COSI’
IL PAPA RICEVENDO STAMANE IL NEOAMBASCIATORE
DELLA
REPUBBLICA DOMINICANA
Stamane in udienza dal Papa il nuovo ambasciatore della
Repubblica dominicana, Carlos Rafael Conrado Marion-Landais Castello, per la
presentazione delle Lettere credenziali. 63 anni, laureato in ingegneria e
pedagogia, il diplomatico dominicano, sposato con quattro figli, è stato
docente universitario nel suo Paese e rettore dell’Istituto tecnologico di
Santo Domingo, nonché consultore dei Ministeri per l’Educazione, le Belle Arti
ed il Culto. Il servizio di Roberta Gisotti:
***********
“Nel mondo di oggi non basta limitarsi alla legge di
mercato e alla sua globalizzazione; c’è da promuovere la solidarietà, evitando
i mali che derivano da un capitalismo che pone il lucro al di sopra della persona
e la rende vittima di tante ingiustizie”. Giovanni Paolo II ha colto
l’occasione di questa udienza per ribadire alcuni concetti chiave della
dottrina sociale della Chiesa. Seppure – ha detto, rivolto al neo ambasciatore
dell’isola dominicana – non è compito della Chiesa nel suo servizio alla
società proporre soluzioni di ordine politico e tecnico, tuttavia deve
“segnalare le motivazioni e gli orientamenti che provengono dal Vangelo” per
illuminare risposte e soluzioni. Se “alla radice dei mali sociali, economici e
politici dei popoli” “è il ripudio o l’oblio dei genuini valori etici,
spirituali e trascendenti” - ha aggiunto il Papa - la Chiesa deve invece
“ricordarli, difenderli e consolidarli, particolarmente nel momento attuale,
nel quale cause interne ed esterne hanno prodotto” nella Repubblica
dominicana “un grave degrado e un calo della qualità della vita”. Non si deve
dimenticare che “il bene comune è l’obiettivo da conseguire, per il quale la
Chiesa senza pretendere competenze estranee alla sua missione presta la sua
collaborazione al governo e alla società.” E dal momento che coloro “che più
soffrono nelle crisi sono sempre i poveri”, il Santo Padre ha raccomandato al
diplomatico dominicano che questi siano oggetto di speciale “sollecitudine e attenzione”
da parte dello Stato, ma che la lotta contro la povertà non si riduca
nell’offerta di lavoro ma sappia incidere nell’educazione e nella formazione
come elementi di promozione umana, nel rispetto dei diritti fondamentali, che
non possono essere sacrificati
sull’altare di altri obiettivi.
Giovanni Paolo II per tre volte ha sostato in terra
dominicana, l’ultima volta nel ’92, in occasione del quinto centenario
dell’evangelizzazione delle Americhe, perché in questa Isola “che si sente
profondante cattolica” - ha ricordato ancora oggi il Papa – si è celebrata la
prima Messa e si è iniziato l’annuncio
della Parola nel Continente americano.
**********
LA PREGHIERA DEL PAPA PER LA PACE IN SUDAN, AFFLITTO DA 20
ANNI DI GUERRA.
AI
VESCOVI SUDANESI, RICEVUTI IN VISITA AD LIMINA, IL PAPA RICORDA
L’ESEMPIO
DI SANTA BAKHITA E SAN COMBONI PER RIBADIRE CHE NON C’E’ SPAZIO
NELLA COMUNITA’ DEI CREDENTI PER
DISCRIMINAZIONI ETNICHE O CULTURALI
In questo momento decisivo per
il vostro Paese, in cui la fine di 20 anni di conflitto apre la strada alla
riconciliazione e alla pacificazione, l’occasione della vostra visita è un
momento di grazia. Così si è rivolto il Papa ai vescovi del Sudan, ricevuti in
visita ad Limina. Il servizio di Fausta Speranza:
*********
20 anni di conflitto, a partire
dal 1983, hanno provocato in Sudan oltre due milioni di morti e circa quattro
milioni di sfollati. Ribelli definitisi marxisti-leninisti si sono lanciati in
una sanguinosa sfida all’esercito governativo di Khartoum, sfociata nello
scontro tra il Nord, dove regna la legge della Sharia, e il Sud di tradizione
animista e cristiana. Non si possono, però, citare le implicazioni di carattere
culturale e religioso senza ricordare gli interessi economici legati al
petrolio.
Guardando con speranza alle
prospettive di pacificazione, Giovanni Paolo II ha ricordato due figure
“intimamente legate” alla tormentata terra del Paese africano: Santa Josephine
Bakhita e San Daniele Comboni, “testimoni della fede e della carità cristiana”.
La prima, venduta come schiava in tenera età, è un monito a lottare per
liberare i popoli dall’oppressione e dalla violenza - ha sottolineato il Papa -
e la sua vita chiaramente mostra che “discriminazioni etniche o culturali non appartengono
a una società civilizzata e non trovano assolutamente spazio nella
comunità dei credenti”. Tra i frutti della carità visibili in Sudan, il Papa ha
voluto ricordare l’Agenzia umanitaria, Sudanaid della Conferenza episcopale del
Paese.
Per poi ricordare che la Chiesa
può dare un contributo alla vita sociale anche stabilendo “più strette e
migliori relazioni con le istituzioni nazionali”, impegnandosi per la
“riattivazione della Commissione per il dialogo interreligioso”. Come vescovi,
- ha proseguito il Papa - “le vostre parole e le vostre azioni non devono mai
essere espressione delle personali preferenze politiche ma devono sempre
riflettere lo spirito di Cristo Buon Pastore”. Spirito che ha egregiamente
incarnato San Daniele Comboni che, forte difensore dell’inculturazione della
fede, non si è risparmiato nello sforzo di familiarizzare con la cultura e le
lingue dei popoli che ha incontrato in Africa e in Sudan. Sul suo esempio, il
Papa ha invitato tutti i sacerdoti a rimanere
distaccati dai beni materiali e rispettare il completo dono di sé nel
celibato, per seguire davvero le orme di Cristo.
**********
ALTRE UDIENZE E NOMINE
Nel corso della mattinata il Papa ha ricevuto anche alcuni
vescovi della Conferenza episcopale francese, in visita "ad
Limina".
Il
Santo Padre ha nominato vescovo di Granada (Nicaragua) mons. Bernardo Hombach
Lutkermeier, finora vescovo di Juigalpa. Nato a Krefeld, nella diocesi di Aachen in Germania, il 12 settembre
1933, è stato ordinato vescovo nel 1995. Presta il suo servizio pastorale in
Nicaragua da 18 anni.
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Apre la prima pagina il titolo
"L'Avvento è tempo di gioia perché fa rivivere l'attesa del Salvatore.
Chiediamo alla Vergine Santa il dono della gioia cristiana": Giovanni
Paolo II recita l'Angelus con i ragazzi di Roma convenuti in Piazza San Pietro
per la tradizionale benedizione delle statuine dei Bambinelli.
Sempre in prima, in evidenza
l'Iraq: si pone l'accento sul fatto che una scia di sangue - si sono verificati
altri sanguinosi attacchi - ha segnato la cattura di Saddam Hussein. Articoli
dettagliati sull'avvenimento dell'arresto e sulle reazioni nel mondo alla
notizia.
Nelle vaticane, nel discorso
alla Conferenza dei vescovi cattolici del Sudan, il Papa ha sottolineato che i
santi Giuseppina Bakhita e Daniele Comboni mostrano che il tribalismo e le
forme di discriminazione basate sull'origine etnica non fanno parte di una
società civile e non hanno alcun posto nella comunità dei credenti.
Nel discorso al nuovo
Ambasciatore della Repubblica Dominicana, il Santo Padre ha esortato a
difendere e a consolidare i valori cristiani di fronte al grave deterioramento
e alla diminuzione della qualità della vita nel Paese.
Nelle estere, in Afghanistan si è aperta la Loya
Jirga, chiamata a varare una nuova Costituzione.
Nella pagina culturale, la
prefazione di Gabriele De Rosa al volume di Angelomichele De Spirito dedicato
alla visite pastorali di Vincenzo M. Orsini, vescovo di Benevento dal 1686 al
1730.
Nelle pagine italiane, in primo
piano lo sciopero dei trasporti pubblici.
In rilievo il tema della
finanziaria.
=======ooo=======
15 dicembre 2003
SADDAM HUSSEIN DOPO LA CATTURANEGA ILPOSESSO DI
ARMI DI STERMINIO.
DUE ATTENTATI
A BAGHDAD CAUSANO ALMENO 10 MORTI
- Intervista
con mons. Shlemon Warduni e padre Justo Lacunza -
La cattura di Saddam Hussein, tappa
fondamentale da cui partire per la ricostruzione del nuovo Iraq. Gli Stati
Uniti cercano di trovare slancio dall’arresto dell’ex rais, avvenuto l’altro
ieri nella sua città natale di Tikrit, per il futuro democratico del Paese.
Saddam Hussein ora è a tutti gli effetti un prigioniero di guerra e sarà
trattato secondo la Convenzione di Ginevra – dicono le autorità di Washington –
e gli Stati Uniti assicurano di voler consegnare l’ex leader iracheno alla
giustizia. Gli interrogatori sono già cominciati, e Saddam – ha riferito il
capo del Pentagono, Rumsfeld – non sta collaborando, ma in Iraq il copione è
sempre lo stesso: anche oggi due gravi attentati. Ci riferisce Giancarlo La
Vella:
**********
La stabilità dell’Iraq,
conseguenza auspicata dell’arresto di Saddam, sembra ancora lontana. Due
autobombe sono esplose stamani nei pressi di due posti di polizia di
Husseiniyah, 30 chilometri a nord di Baghdad, e Ameriyah, nella parte occidentale
della città. Nelle deflagrazioni sono morte una decina di persone, numerosi i
feriti. Quanto avvenuto stamani fa il paio con le dichiarazioni dei fedelissimi
dell’ex primo cittadino iracheno, che giurano sul proseguimento della resistenza.
Intanto a Tikrit, dove si toccano con mano antiamericanismo e incredulità per
la notizia della cattura del grande concittadino, la notte è trascorsa tranquilla,
ma stamani i soldati americani hanno dovuto disperdere decine di iracheni che
protestavano per la cattura del dittatore deposto. L’interrogativo per tutti è
ora uno solo: che ne sarà di Saddam Hussein? Smentite le voci di un suo trasferimento
all’estero, sembra prendere piede l’ipotesi che lo vuole alla sbarra di un
tribunale iracheno, giudicato da magistrati neutrali. Ma le speranze che le sue
dichiarazioni portino a conoscere i segreti dell’’ex regime sono ben poche. Il
ministro degli esteri britannico, Jack Straw, ha detto oggi in conferenza
stampa che è ben nota la falsità di Hussein, ma, secondo fonti militari a
Baghdad, importanti arresti sarebbero stati fatti, sfruttando dichiarazioni
fatte subito dopo l’arresto e documenti che il rais aveva con sé. Quello che
oggi appare chiaro è che probabilmente il rais non aveva il totale controllo
dell’Iraq; lo prova il fatto che la sua cattura è stata possibile anche grazie
al fatto che si trovasse da solo, praticamente abbandonato da tutti, mentre la guerriglia
antioccidentale è ancora attiva sul territorio e a muoverne i fili sono
probabilmente alcuni di quei 14 personaggi ancora ricercati da Washington. “La
guerra continua” - sono le parole del presidente Bush, forse egli stesso convinto
che, per la stabilità dell’Iraq, c’è ancora molto da fare.
**********
La cattura di Saddam
Hussein ha colto di sorpresa anche la Chiesa locale in Iraq. Ce lo conferma
mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, intervistato da
Andrea Sarubbi:
**********
R. – È stata una sorpresa per tutti quanti. I nostri
problemi si sono talmente accumulati che non appena sentiamo che uno di questi
problemi si è risolto, non possiamo che essere contenti. Parlo di Saddam come
di un problema, perché si diceva e si temeva che molte azioni dei terroristi
partissero da lui. Il motivo, facilmente comprensibile, è che sono stati gli
americani a “farlo fuori”, e Saddam era certamente una persona assetata di
potere. La sua cattura, quindi, è stata una bella notizia per tutto il popolo
iracheno, anche se certamente alcuni non saranno stati contenti. In ogni caso,
cerchiamo di ispirarci a Papa Giovanni
XXIII, che invitava sempre a non condannare il peccatore ma il peccato.
D. – Nel frattempo, però, vanno avanti gli attentati: ne
abbiamo sentiti anche in queste ore. Questo significa, evidentemente, che
catturare Saddam da solo non basta. Significa che la guerriglia, quindi, non si
ferma?
R. – Proprio così. Purtroppo, le fonti terroristiche sono
tante, non esiste una sola provenienza. Quindi, bisogna cooperare tutti
quanti, per cercare di riportare la
pace e la tranquillità nella nostra nazione. E prima di tutto, dobbiamo cercare
di custodire le nostre frontiere.
D. – A proposito di questo, dal Medio Oriente viene la
notizia che gli attivisti palestinesi non sono per nulla contenti dell’arresto
di Saddam. Lei crede davvero che si possano infiltrare in Iraq?
R. – Io temo molto l’infiltrazione di numerosi terroristi.
Se le frontiere non saranno custodite, ritengo che sarà difficile raggiungere
la vera pace.
D. – Stati Uniti e Gran Bretagna hanno insistito su un
punto: “Finito Saddam, è finita la dittatura e per l’Iraq inizia una nuova era,
l’era della democrazia”. Secondo Lei, questo Paese ha le capacità per
governarsi democraticamente? E soprattutto, ha gli uomini per farlo?
R. – Noi ci auguriamo che questo governo democratico
prenda corpo il prima possibile. Poi penso che in Iraq ci sia tanta gente
intelligente, anche nella politica, e certamente potranno emergere delle personalità
in grado di guidare il Paese senza ricorrere ad una dittatura.
**********
Ma
ascoltiamo adesso il commento di padre Justo Lacunza, preside del Pisai, il
Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica di Roma, al microfono di Fabio
Colagrande:
**********
R. – Dal 7 aprile di quest’anno, Saddam Hussein è passato
alla storia; dunque, adesso bisogna guardare al futuro. Noi ora dobbiamo
ricavare la lezione da quello che ha significato avere un macellaio a Baghdad,
quello che è stato Saddam Hussein, che ha torturato , perseguitato, ucciso,
incarcerato migliaia di persone. Secondo punto: c’è stata una connivenza a
livello economico, finanziario, di petrolio, a livello dei contatti e dei contratti
con questo regime capeggiato da Saddam Hussein, e le nazioni più potenti del
mondo l’hanno aiutato anche nella guerra contro l’Iran: questo fa parte della
storia, ed è un monito per come trattiamo le risorse del pianeta: se le usiamo
per sostenere la libertà, la democrazia, i diritti civili e i diritti umani o
se vogliamo semplicemente continuare a produrre gli armamenti in quantità tale
che possiamo continuare ad avere contemporaneamente decine di conflitto nel mondo.
Spero che questa cattura faccia spostare l’attenzione molto, molto presto sulla
popolazione dell’Iraq: è lì il vero problema. Bisogna pensare a 14 milioni di
persone in Iraq che sono sotto i 15-16 anni; questi sono i futuri capi, i
futuri parlamentari, i futuri politici, i futuri professori, i maestri … e
allora bisogna puntare l’attenzione su questa società civile.
D. – Quale può essere in questo momento storico il ruolo
della comunità cristiana, di questa minoranza nel Paese a maggioranza musulmana
che è l’Iraq?
R. – Il compito di vivere, di ricostruire questo Paese.
Penso che in Iraq ci sia stato sempre un grande rispetto tra i musulmani e i
cristiani. Le difficoltà ci sono, i problemi ci sono: adesso si tratterà di
ricostruire questa società composita, questa società che ha in sé un pluralismo
culturale di civiltà.
**********
ENTUSIASMO E FOLLA DELLE GRANDI OCCASIONI, A
VENEZIA,
PER IL BATTESIMO DELLA NUOVA “FENICE”,
CON L’APPLAUDITISSIMO CONCERTO DIRETTO DA RICCARDO MUTI
- Servizio di Alessandro De Carolis -
E’ stata una inaugurazione di grande impatto visivo,prima
ancora che musicale, quella che ieri, dopo quasi sette anni, ha visto il
ricostruito Teatro La Fenice di Venezia tornare ad ospitare una serata di
grande musica. Sotto la direzione del maestro Riccardo Muti, e davanti alle
massime autorità dello Stato italiano, il teatro veneziano ha ripreso il suo
posto nel panorama culturale mondiale, dopo l’incendio che lo distrusse il 29
gennaio del 1996. A raccontarci l’inaugurazione, è Alessandro De Carolis.
**********
(musica)
Tra i potenti contrappunti de “La consacrazione della
Casa” di Beethoven, ha ripreso a volare ieri sera la Fenice di Venezia. Un’ouverture
beneagurante, quella scelta dal maestro Riccardo Muti per restituire alla città
lagunare, all’Italia e agli appassionati melomani di tutto il mondo, un fasto
di stucchi e pitture, di lampi d’oro e d’azzurro, che ancora ieri conservava
l’odore del nuovo tra i profumi e le emozioni di una “prima” attesa e
straordinaria.
Le note dell’Inno di Mameli per iniziare - con gli
invitati in piedi a partire dal capo dello Stato, Ciampi – e poi la musica di
Beethoven scritta nel 1822 per l’inaugurazione di un altro tempio della musica,
lo Josephstadt Theater. Quindi il fluire di stili e di sonorità
diverse – sacre e marziali - di tre artisti che alle suggestioni paesaggistiche
di Venezia legarono la loro vita, prima ancora della loro arte. Igor
Stravinsky, sepolto nell’Isola di San Michele, con la sua corale “Sinfonia di
Salmi”. Quindi, Antonio Caldara, compositore veneziano vissuto a cavallo tra il
Sei-Settecento, autore del Te Deum eseguito ieri.
Infine, Richard Wagner,
anch’egli morto a Venezia, e le sue “Tre marce sinfoniche”. “E’ una Fenice che
ha saputo rinascere dalle ceneri in una maniera meravigliosa. Una serata
pienamente riuscita”, ha commentato Carlo Azeglio Ciampi, attorniato sul palco
presidenziale da alcune delle massime cariche istituzionali. A fargli eco, il
cardinale arcivescovo di Venezia, Angelo Scola, che ha sottolineato come
“giusto” l’orgoglio manifestato dalla città per l’evento. Il maestro Muti diresse
il coro e l’orchestra della Fenice per la prima volta nel 1970. Ieri sera, ha
detto di aver “ritrovato la casa”. Una casa riconsegnatasi alla meraviglia del
pubblico, in una giornata dominata da altre notizie di guerra e di rinascita.
Ma il mondo della musica non viaggia altrove rispetto alla realtà, ha ribadito
Muti:
“Noi ci
occupiamo attraverso la musica del bene dell’umanità. Quindi, tutto ciò si fa
per la pace, per la democrazia e l’uguaglianza. Naturalmente noi portiamo sollievo
alle anime, però ci sono ancora troppe persone che muoiono di fame”.
**********
UN NUOVO LIBRO SUL DRAMMA DEI BAMBINI SOLDATO
Intervista
con l’autore, Luciano Bertozzi -
Si
arruolano nei gruppi armati perché non hanno un’alternativa, lo fanno per
sfuggire agli stenti, alla solitudine, vengono utilizzati come facchini, come
cuochi, ma spesso si trovano in prima linea a combattere. E alcuni di loro
hanno solo sette anni. I bambini soldato sono i primi a morire, ad essere usati
come carne da macello. A ricordarcelo con il suo libro: “I bambini soldato, lo
sfruttamento globale dell’infanzia”, edito dalla Emi, è Luciano Bertozzi. Il
servizio è di Francesca Sabatinelli:
*********
Non ci
sono scuse né motivi accettabili per armare i bambini. Le parole del Premio
Nobel per la pace Desmond Tutu ci vengono ricordate da Luciano Bertozzi che con
il suo libro non ci offre informazioni inedite, quanto piuttosto un quadro
d’insieme sul triste fenomeno dei bambini-soldato, strettamente connesso, e Bertozzi
lo ribadisce, ad altre questioni come la povertà endemica che colpisce molti
Paesi, la militarizzazione delle società, l’assenza di democrazia:
“Le guerre che non finiscono mai nel Terzo Mondo, ma non solo,
hanno sempre bisogno di ‘carne da cannone’. I bambini sono facilmente
plasmabili dai signori delle guerre: non chiedono paghe, non disertano se non
in casi limitati e possono essere indottrinati a compiere ogni crudeltà”.
Si calcola che siano oltre mezzo milione i minori negli
eserciti regolari e nei gruppi armati di 87 Paesi, almeno in 300 mila
starebbero combattendo in 41 Paesi. Per loro le sole regole di vita sono
sparare e uccidere. Sotto l’effetto di droghe e alcol, vengono spediti nelle
zone di guerra:
“Nei luoghi in cui i bambini combattono, tutti i bambini
sono bersagli della repressione perché chiaramente i soldati non stanno certo a
guardare se un bambino è un bambino o un bambino soldato”.
E’ soprattutto in Africa e Asia che si riscontra il
fenomeno, non si può non pensare subito ai bambini-spie della Cambogia di Pol
Pot negli anni 70 o ai quattordicenni comandanti di eserciti di bambini ancora
più piccoli in Sierra Leone. Ma anche i paesi industrializzati, si legge, non
si sottraggono a questa vergogna:
”Il fenomeno è diffuso anche nei Paesi guida della
Comunità internazionale. Il Regno Unito prevede la possibilità di arruolare i
sedicenni e di utilizzare in combattimento – come è stato fatto – i ragazzi di
diciassette anni. Negli Stati Uniti, invece, l’arruolamento è su base volontaria
a partire da 17 anni e ce ne erano circa tremila, che sono stati utilizzati
dagli Stati Uniti in guerra in Bosnia, nella prima Guerra del Golfo e in
Somalia. Se i Paesi più importanti danno il cattivo esempio è evidente che gli
strumenti del diritto internazionale ne risentono. Ultimamente alcune cose sono
cambiate: con il Tribunale penale internazionale sono punibili quali crimini di
guerra l’arruolamento e l’utilizzo in guerra di minori, però al di sotto dei 15
anni. Questo è un grave compromesso”.
*********
=======ooo========
15 dicembre 2003
INIZIATI,
NELL’UNIVERSITA’ IRACHENA DI AL-HILLA,
I
CORSI DELLA “FACOLTA’ DELLA DEMOCRAZIA”.
I 200
ISCRITTI SONO LEADER RELIGIOSI E CAPI TRIBU’
DEI
MAGGIORI GRUPPI ETNICI DEL PAESE
AL-HILLA (IRAQ). = E’ nata da tre giorni, nell’Università islamica
di Al-Hilla, a sud di Baghdad, la facoltà che non ha eguali al mondo: la
Facoltà della Democrazia. A renderla fuori dell’ordinario sono gli studenti,
circa 200, tutti capi tribù e leader religiosi riconosciuti. Sui banchi, i
rappresentanti dei principali gruppi sociali delle città sacre irachene di
Karbala e Najaf , ma anche di Al-Diwaniyah e di tre province di Al-Anbar.
I corsi sulla democrazia sono gestiti da James Mayfield, del Centro di Ricerche
e Formazioni della Coalizione. Nel discorso di inaugurazione – secondo quanto
riportato dall’agenzia Asianews - il rettore dell’Università Islamica di
Al-Hilla, Farad Al-Husseini, ha affermato che “l’Islam non è contrario
alla democrazia” e che essa “non è un concetto importato dagli ebrei e
dagli occidentali come asseriscono alcuni”, ma “piuttosto
un’interpretazione dei principi di giustizia che si trovano nell’Islam”.
Durante una delle prime lezioni, impartita da Dick Johnson - rappresentante del
governatore americano in Iraq, Paul Bremer - si è parlato dei
“rischi di libanizzazione dell’Iraq” nel caso non fosse istaurata la
democrazia. “Farete la stessa fine del Libano se non concedete alla gente la
possibilità di eleggere liberamente i propri rappresentanti”, ha detto Johnson,
sottolineando l’importante ruolo che i capi tribù e gli Ulema religiosi possano
avere nella ricostruzione del Paese. Illustrando i valori della democrazia,
Johnson ha precisato che non bisogna applicare a forza in Iraq il modello
americano, ma una forma di democrazia adatta al Paese. Il corso durerà sei mesi
e dal prossimo gennaio saranno gli stessi capi tribù a diffondere ai cittadini
delle loro zone quello che avranno appreso. (A.D.C.)
FEDE,
SPERANZA E CARITA’, I PILASTRI SUI QUALI RIFONDARE LA PASTORALE
IN TAIWAN.
QUESTA L’INDICAZIONE DEI VESCOVI LOCALI, AL TERMINE
DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE REGIONALE SVOLTASI A TAIPEI
- A
cura di Antonio Mancini -
TAIPEI.
= La Chiesa di Taiwan punta sulle tre virtù teologali – fede speranza e carità
– per la rievangelizzazione del Paese. E’ questo il piano pastorale per il
2004, secondo quanto stabilito dall’assemblea ordinaria autunnale della locale
Conferenza episcopale regionale. Le relazioni di base sono state illustrate da
mons. Ambrose Madtha, incaricato d’Affari presso la Nunziatura a Taipei, da
mons. James Liu, segretario generale della Conferenza episcopale, e dal rettore
del seminario interterritoriale di Taipei, mons. John Li. Tutti i relatori
hanno sottolineato l’urgenza della formazione dei sacerdoti e della promozione
delle vocazioni al sacerdozio, soffermandosi anche sui problemi sociali e sulle
principali sfide che la comunità cattolica di Taiwan affronterà nel prossimo
anno. Guardando al futuro, l'assemblea dei vescovi ha ribadito che le virtù teologali della fede, della speranza e
della carità sono i pilastri sui quali le diocesi sono chiamate a costruire la
vita pastorale e ad elaborare un piano di evangelizzazione. I vescovi di Taiwan
hanno raccomandato anche il rilancio del loro
portale cattolico su Internet e la formazione di gruppi di volontariato per l’impegno sociale
della Chiesa. Le diocesi taiwanesi, intanto, continuano nei preparativi del
Congresso Eucaristico nazionale, che si terrà l’anno prossimo, in preparazione
a quello mondiale in Messico. In proposito, è stato raccomandato lo studio
dell'enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia
de Eucharistia, attraverso seminari diocesani.
DISTRUTTA
DA UN INCENDIO UNA PARROCCHIA DI CARACAS.
IL
ROGO CAUSATO DALL’ESPLOSIONE DI UN ORDIGNO ARTIGIANALE.
LO
SDEGNO DEL VESCOVO LOCALE PER
L’ENNESIMO ATTENTATO
CONTRO
STRUTTURE DELLA CHIESA VENEZUELANA
- A
cura di Davide Dionisi -
CARACAS.
= Continuano le aggressioni e gli attentati contro la Chiesa venezuelana.
Questa volta a farne le spese è stata la parrocchia di Nostra Signora del
Carmelo, nella diocesi di Los Teques. L’edificio è andato letteralmente in
fumo, in seguito a un incendio causato da un esplosivo artigianale posto
all’entrata della chiesa. Secondo le prime ricostruzioni, l’esplosione,
avvenuta alcuni giorni fa, ha innescato un rogo che ha portato alla distruzione
del tetto, restaurato da poco, e successivamente del portone, delle scale,
degli interni e delle due immagini di Sant’Onofrio e di San Giuda Taddeo,
entrambe divorate dalle fiamme. Ad oggi, non è pervenuta alcuna rivendicazione,
ma l’attentato viene dopo la profanazione delle statue della Vergine Maria,
situate a Piazza Altamira a Caracas. Nell’occasione, l’atto vandalico è stato
attribuito ai sostenitori del presidente Chavez. Commozione e sdegno sono stati
espressi dal vescovo di Los Teques, mons. Ovidio Pérez Morales, mentre il
parroco p. Luis Igartua ha auspicato che attentati del genere non si ripetano
per il bene dei fedeli. Nel frattempo le autorità hanno aperto un’indagine per
far luce su quanto accaduto.
ACCORDO
INTERNAZIONALE IN MATERIA DI LOTTA ALL’INQUINAMENTO EUROPEO:
I\NSIEME
A USA, CINA E GIAPPONE, L’UNIONE EUROPEA STABILIRA’
UN
NUOVO QUADRO LEGISLATIVO
PER LE
EMISSIONI NOCIVE NEL CAMPO DEI TRASPORTI
MILANO.
= Indirizzare la ricerca del vecchio continente verso obiettivi di sostenibilità:
l'Unione Europea ha siglato un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti, il
Giappone e la Cina per concordare applicazioni di sperimentazioni scientifiche
finalizzate a ridurre l'inquinamento atmosferico prodotto dai trasporti. L'intesa
è stata raggiunta a Milano, dove sono riuniti gli organismi di regolamentazione,
i rappresentanti dell'industria e i ricercatori di tutto il mondo nell'ambito
della COP9, per discutere dei sistemi di prova e di misura delle emissioni,
delle norme in materia di emissioni, degli effetti delle emissioni sulla salute
umana, ma anche per confrontare le innovazioni nel settore dei nuovi
carburanti, dei nuovi motori e delle nuove tecnologie di post-trattamento.
L’accordo permetterà ai Paesi contraenti di condurre attività congiunte di
ricerca in materia di emissioni e di prove sui veicoli e di predisporre una
piattaforma scientifica comune per la misurazione e l'analisi comparativa
dell'inquinamento atmosferico urbano. Questa iniziativa comune fornirà inoltre
un sostegno scientifico alla fissazione di nuovi criteri e requisiti internazionali
in materia di emissioni del settore dei trasporti e una base per le future
norme europee per i veicoli passeggeri e i veicoli commerciali leggeri, in
attuazione della strategia “EURO V”. In questo campo, l'Unione Europea sta
muovendo passi di tipo legislativo: sono ormai in dirittura d'arrivo le
normative destinate a fissare i limiti di emissione per le autovetture e i
veicoli commerciali leggeri, direttiva EURO V, e per i veicoli pesanti,
direttiva EURO VI.
SARA’
PRESENTATO DOMANI, ALL’UNIVERSITA’ GREGORIANA,
IL
LIBRO DI EMANUELA ZURLI, DOCENTE DI FILOSOFIA DELL’ATENEO,
DEDICATO
ALLA SALVEZZA “PER GRAZIA” GIA’ ELABORATA DAGLI ESSENI DI QUMRAN
PRIMA
DELL’APOSTOLO PAOLO
ROMA.
= E' stata la setta degli Esseni, antecedente al cristianesimo, e non l'apostolo
san Paolo, come si credeva finora, ad elaborare per prima la teoria che l'uomo
si salva ''solo per grazia'' cioe' per l'intervento di Dio e non per i propri
meriti. Questa la conclusione alla quale giunge Emanuela Zurli, docente di
filosofia alla Pontificia università Gregoriana, nel suo libro “La
giustificazione ‘solo per grazia’ negli scritti del Qumran”, pubblicato dalla
Chirico editore e oggetto, domani di una presentazione nello stesso ateneo
pontificio. La visione della salvezza “per sola grazia” - è la tesi sostenuta
dalla Zurli - era presente anche nella Bibbia Ebraica, scritta prima dei papiri
del Qumran, ritrovati in Terra Santa nel 1947, ma in una forma mai resa
esplicita. L’originalità di San Paolo ridimensionato dagli Esseni, per la Zurli
sta, tuttavia, nell'aver affermato e diffuso nei suoi tempi la teoria che
“l’iniziativa assoluta del dono della grazia da parte di Dio si compie nella
risposta della fede in Cristo risorto”. Per giungere alle sue conclusioni, la
Zurli esamina l’inno finale della “Regola della comunità” degli Esseni,
tramandataci dai rotoli del Qumran e attribuita da molti esegeti a uno sconosciuto
“maestro di giustizia”. La sua ricostruzione, con numerose citazioni in ebraico
classico, tradotte nelle loro diverse sfumature, si basa anche su alcuni “inni”
della medesima comunità essena. L’autrice, inoltre, ipotizza che per spiegare
la visione degli Esseni, circa la possibilità di giungere alla salvezza per “i
non eletti” da Dio, si possa percorrere, come pista di studio, quella
dell’“esperienza misteriosa della preghiera”. (A.D.C.)
=======ooo=======
15 dicembre 2003
- A cura di Dorotea Gambardella -
Elezioni
ieri nella Repubblica turca di Cipro Nord, entità non riconosciuta dall’Onu.
Ciascuno dei due blocchi rivali ciprioti ha ottenuto 25 dei 50 seggi del
Parlamento. Con 19 seggi, il Partito repubblicano turco, fautore della
riunificazione, si è rivelato la prima formazione; secondo, con un seggio in
meno, il Partito di unità nazionale, contrario al piano di pace dell'Onu. Le
sorti sono state bilanciate dai restanti schieramenti che compongono le due
coalizioni. Se dalla consultazione di ieri non emergerà un governo stabile,
entro due mesi la popolazione potrebbe essere chiamata ancora alle urne. A
ventilare questa ipotesi, oggi, è stato il presidente Rauf Denktash. Secondo la
Commissione Ue, il risultato di questa tornata “riflette il desiderio di
trovare una soluzione sulla base del piano di Annan e di consentire l’accesso e
la riunificazione dell'isola dal 1 maggio 2004”. Il servizio di Cesare Rizzoli.
**********
Sono
rimasti in perfetto equilibrio i due blocchi politici dell’entità turca del
nord di Cipro, ancora sotto occupazione dell’esercito turco. L’alleanza dei
cinque partiti all’opposizione, contraria al proseguimento di una divisione
dell’isola tra la maggioranza dei greco-ciprioti al centro e al sud e la minoranza
turca al nord, non è riuscita a spuntarla sui due partiti del presidente Rauf
Denktash al potere da quasi 30 anni. In realtà, il voto legislativo di ieri era
un referendum, rappresentava l’accettazione o il rifiuto di quel piano di pace
dell’Onu per promuovere finalmente la riunificazione territoriale dell’isola.
Dal 1974 l’isola resta divisa da un muro che attraversa la capitale Nicosia,
fatto di sacchi di sabbia, di cemento, ma soprattutto di antiche rivalità tra
le due comunità. Il presidente turco-cipriota Denktash, sostenuto da Ankara,
rifiuta la riunificazione con la Repubblica dei greco-ciprioti, perché teme,
come dice, di finire prigioniero di quella maggioranza. E rigetta contemporaneamente
di seguire i greco-ciprioti che hanno aderito all’Unione Europea ed entreranno
formalmente nell’Unione il 1° maggio del prossimo anno. Ora la sorte della
parte turca di Cipro torna interamente nelle mani di Ankara. Se l’Unione
Europea chiuderà le porte ad Ankara il prossimo anno, anche il nord di Cipro,
sotto occupazione militare, resterà ancora diviso e separato.
Per la
Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.
**********
“L'episodio di ieri non mi ha dissuaso dal combattere l'estremismo, che è
la più grande minaccia interna per il nostro Paese”. Così il presidente
pakistano Pervez Musharraf ha commentato il fallito attentato di ieri contro il
convoglio sul quale viaggiava nei pressi di Rawalpindi, a circa due chilometri
dall'aeroporto di Islamabad. L'esplosione è avvenuta su un ponte, un minuto
dopo il passaggio del corteo presidenziale. Nella deflagrazione sono rimaste
ferite quattro persone. Maria Grazia Coggiola ci fa un’analisi della
situazione.
**********
Anche
se il Pakistan non fa parte della coalizione anglo-americana in Iraq è uno
degli alleati più preziosi degli Stati Uniti, soprattutto in Afghanistan.
Proprio questa alleanza, nata all’indomani dell’11 settembre, ha creato una
profonda frattura tra le forze moderate del Paese e gli estremisti islamici,
che sono al potere nelle regioni del nord-ovest sul confine afghano, dove si
ritiene possa nascondersi lo sceicco Bin Laden. Più volte si è detto che
Musharraf, il generale che ha preso il potere con un golpe nel 1999, si trova
tra l’incudine e il martello. Washington considera cruciale la collaborazione
di Islamabad nel decapitare i vertici di Al Qaeda. In passato i pakistani hanno
consegnato agli americani molti esponenti dei talebani della rete di Bin Laden.
Lo stesso Musharraf due giorni fa aveva ribadito che una delle maggiori minacce
nel suo Paese arrivava dall’interno, in particolare dal terrorismo,
dall’estremismo e dalla faida tra i sunniti e gli sciiti. E’ il terzo attentato alla vita di
Musharraf. L’ultimo è stato nell’aprile scorso, nella città portuale di
Karachi. Potrebbe essere il primo segnale lanciato dagli estremisti, dopo la
notizia della cattura di Saddam, ma potrebbe essere anche un avvertimento al
governo pakistano che da qualche mese ha iniziato una politica di dialogo con
l’India sulla questione del Kashmir, dove dal 26 novembre è in vigore un
cessate il fuoco.
Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.
**********
Undici
vittime, nove feriti e quattro ostaggi. Questo il bilancio dell’irruzione
compiuta questa mattina in un villaggio del Daghestan, in Russia, da una
cinquantina di combattenti ceceni. La guerriglia islamico-indipendentista
cecena ha rivendicato l’azione, attribuendola ad una “brigata daghestana” sotto
la guida del comandante Rabbani. I
particolari nel nostro servizio:
**********
Gli
indipendentisti hanno occupato per alcune ore un ospedale nel villaggio di
Shaury, circa venti chilometri al confine con la Georgia, ritirandosi poi con
quattro ostaggi probabilmente in
direzione della Cecenia. Le notizie, a causa della difficoltà di comunicazione
con la regione dove sono avvenuti i
fatti, sono confuse, ma secondo le autorità locali, i ribelli sarebbero stati motorizzati e in possesso di armi
automatiche. I guerriglieri sarebbero penetrati nel villaggio caucasico nelle
prime ore del mattino e, dopo aver ucciso in un agguato nove guardie di
frontiera accorse sul posto, hanno preso in ostaggio un dipendente e tre
pazienti del piccolo ospedale locale. Nella regione, in cui è stato dichiarato
lo stato di emergenza, è accorso un
ingente dispiegamento di forze dell’ordine, che avrebbe costretto alla fuga i
combattenti. Secondo l'agenzia Interfax, il gruppo non si starebbe dirigendo in
Cecenia, ma verso il confine montagnoso
con la Georgia. Intanto i corpi dei poliziotti uccisi sarebbero stati
ritrovati. A riferirlo è l’agenzia Itar Tass, precisando che l’ufficiale che
comandava la pattuglia è stato decapitato, quando era già morto. Ancora sconosciuto
il motivo dell’invasione, che ricorda quella, molto più grande, del ’99: causa
della seconda guerra cecena, tutt’oggi in corso.
**********
L’esercito della Costa d’Avorio e i combattenti degli ex
gruppi ribelli hanno cominciato da sabato scorso a ritirare i propri armamenti
dalla linea del fronte che divide in due il Paese. A confermarlo, fonti
governative, i rappresentanti delle cosiddette “Forze Nuove” - ossia la
coalizione che raccoglie la guerriglia - e quelli della forza di interposizione
francese che presidia il confine. Ma a che punto è il disarmo? Giancarlo La
Vella lo ha chiesto a Padre Giovanni De Franceschi, missionario del Pime a
Bouakè, nel nord del Paese, ex roccaforte dei ribelli:
**********
R. – Il vero disarmo si può fare solo quando i ribelli o
le Forze Nuove, come le chiamano adesso, rientreranno nel governo. Perché dalla
fine di settembre i ministri usciti dalla ribellione si sono ritirati dal
governo e non si sa ancora quando rientreranno. Soltanto a questa condizione i
capi militari hanno detto di poter liberare le zone e cominciare a lavorare
nell’amministrazione, nelle scuole, ecc.
D. – Quindi è una situazione che impedisce il ritorno alla
normalità. La gente come sta vivendo queste ore?
R. – Tutti si dicono stanchi di questa situazione di non guerra
e di non pace. In un modo o nell’altro si deve pur arrivare alla pace, al
disarmo e alla normalizzazione del Paese. Però c’è ancora molta diffidenza nei
due campi.
D. – E le forze francesi, che dovrebbero tutelare la pace?
R. –
Loro sono fermamente decise. Se questo ritiro delle armi leggere e pesanti
cominciasse già da sabato, sarebbe perché le forze francesi sono veramente decise
a sbloccare la situazione
**********
Due palestinesi sono stati uccisi la scorsa
notte dai soldati israeliani nel nord della Striscia di Gaza. Lo riferisce il
sito on line del quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Sul fronte dei
negoziati, una riunione israelo-palestinese-statunitense - la prima dal vertice
del giugno scorso ad Aqaba con il presidente americano George W. Bush - si
svolgerà oggi a Gerusalemme con la partecipazione dell'inviato Usa David
Satterfield. A darne notizia è il quotidiano palestinese Al-Ayyam.
Sarà
sospeso per più di un mese il processo di disarmo delle fazioni coinvolte nella
guerra in Liberia. Lo ha stabilito la Missione delle Nazioni Unite in Liberia
(Unmil) precisando che la decisione è legata ai disordini – che hanno causato
la morte di almeno dodici persone – avvenuti nei giorni scorsi alla periferia
est di Monrovia, durante le proteste dei sostenitori dell'ex presidente della
Liberia Charles Taylor, attualmente in esilio in Nigeria, scontenti delle
condizioni imposte dalla Unmil per il disarmo. In particolare, da mercoledì 17
dicembre fino al 20 gennaio, saranno sospese tutte le attività dei 3 campi
creati dall'Onu per il disarmo e il reintegro degli ex combattenti.
Respinta da Pyongyang l’ultima proposta
americana che chiede uno smantellamento completo e verificabile del programma
atomico nord coreano. Lo rende noto l’organo di stampa del regime, “Rodong
Sinmum”.
Il
governo del Ciad ha firmato ieri un nuovo accordo di pace con il Movimento per
la democrazia e la giustizia in Ciad, il gruppo ribelle che dal 1998 combatte
contro Ndjamena nelle montagne settentrionali del Tibesti.
La salma del ministro degli Esteri filippino,
Blas Ople, morto per un attacco di cuore a Taipei è stata rimpatriata da Taiwan
ieri sera. Il feretro, avvolto da una bandiera, è stato accolto all’aeroporto
dell’arcipelago asiatico da parenti e funzionari di governo.
=======ooo=======