RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 349 - Testo della Trasmissione di lunedì 15 dicembre 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Per evitare le ingiustizie occorre più solidarietà: non basta la legge del mercato. Così il Pontefice al nuovo ambasciatore della Repubblica Dominicana presso la Santa Sede

 

La preghiera del Papa per la pace in Sudan, afflitto da 20 anni di guerra. Ai vescovi sudanesi ricevuti oggi in Vaticano il Santo Padre afferma: non c’è spazio nella comunità dei credenti per discriminazioni etniche e culturali.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Saddam Hussein dopo la cattura nega il possesso di armi di sterminio. Per Washington l’ex rais non collabora mentre la guerriglia irachena non si ferma: 2 attentati causano almeno 10  morti a Baghdad. Ai nostri microfoni il vescovo iracheno Shlemon Warduni e padre Justo Lacunza

 

Grande successo del concerto del maestro Muti all’inaugurazione ieri della Fenice di Venezia interamente ricostruita dopo l’incendio del ’96: una dichiarazione del Maestro

 

Un nuovo libro sul dramma dei bambini soldato : intervista con l’autore, Luciano Bertozzi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Nell’università irachena di Al-Hilla sono iniziati i corsi della “Facoltà della democrazia”
 
Al termine dell’Assemblea ordinaria autunnale della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, i vescovi indicano “fede, speranza e carità” come pilastri sui quali fondare la nuova evangelizzazio-ne 
 
A Caracas, una parrocchia distrutta da un incendio
 
Accordo internazionale in materia di lotta all’inquinamento europeo
 
Sarà presentato domani all’Università Gregoriana il libro di Emanuela Zurli dedicato ad una nuova scoperta su Qumran

 

24 ORE NEL MONDO:    

Si chiudono in pareggio le elezioni nella parte turca dell’isola di Cipro, non riconosciuta dalla Comunità internazionale ma solo da Ankara

 

Rimasto illeso dopo l’attentato di ieri, il presidente pakistano Musharraf esorta a non retrocedere dalla lotta al terrorismo

 

Un gruppo di ribelli ceceni invade un villaggio del Daghestan, in Russia, uccidendo 11 poliziotti e prendendo in ostaggio quattro persone

 

Iniziato da sabato in Costa d’Avorio il processo di disarmo.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

15 dicembre 2003

 

ALL’ORIGINE DEI MALI SOCIALI DEI POPOLI E’ IL RIPUDIO DEI VALORI ETICI:

COSI’ IL PAPA RICEVENDO STAMANE IL NEOAMBASCIATORE

DELLA REPUBBLICA DOMINICANA

 

Stamane in udienza dal Papa il nuovo ambasciatore della Repubblica dominicana, Carlos Rafael Conrado Marion-Landais Castello, per la presentazione delle Lettere credenziali. 63 anni, laureato in ingegneria e pedagogia, il diplomatico dominicano, sposato con quattro figli, è stato docente universitario nel suo Paese e rettore dell’Istituto tecnologico di Santo Domingo, nonché consultore dei Ministeri per l’Educazione, le Belle Arti ed il Culto. Il servizio di Roberta Gisotti:

 

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“Nel mondo di oggi non basta limitarsi alla legge di mercato e alla sua globalizzazione; c’è da promuovere la solidarietà, evitando i mali che derivano da un capitalismo che pone il lucro al di sopra della persona e la rende vittima di tante ingiustizie”. Giovanni Paolo II ha colto l’occasione di questa udienza per ribadire alcuni concetti chiave della dottrina sociale della Chiesa. Seppure – ha detto, rivolto al neo ambasciatore dell’isola dominicana – non è compito della Chiesa nel suo servizio alla società proporre soluzioni di ordine politico e tecnico, tuttavia deve “segnalare le motivazioni e gli orientamenti che provengono dal Vangelo” per illuminare risposte e soluzioni. Se “alla radice dei mali sociali, economici e politici dei popoli” “è il ripudio o l’oblio dei genuini valori etici, spirituali e trascendenti” - ha aggiunto il Papa - la Chiesa deve invece “ricordarli, difenderli e consolidarli, particolarmente nel momento attuale, nel quale cause interne ed esterne hanno prodotto” nella Repubblica dominicana  “un grave degrado e un  calo della qualità della vita”. Non si deve dimenticare che “il bene comune è l’obiettivo da conseguire, per il quale la Chiesa senza pretendere competenze estranee alla sua missione presta la sua collaborazione al governo e alla società.” E dal momento che coloro “che più soffrono nelle crisi sono sempre i poveri”, il Santo Padre ha raccomandato al diplomatico dominicano che questi siano oggetto di speciale “sollecitudine e attenzione” da parte dello Stato, ma che la lotta contro la povertà non si riduca nell’offerta di lavoro ma sappia incidere nell’educazione e nella formazione come elementi di promozione umana, nel rispetto dei diritti fondamentali, che non  possono essere sacrificati sull’altare di altri obiettivi.

 

Giovanni Paolo II per tre volte ha sostato in terra dominicana, l’ultima volta nel ’92, in occasione del quinto centenario dell’evangelizzazione delle Americhe, perché in questa Isola “che si sente profondante cattolica” - ha ricordato ancora oggi il Papa – si è celebrata la prima Messa e si è iniziato  l’annuncio della Parola nel Continente americano.

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LA PREGHIERA DEL PAPA PER LA PACE IN SUDAN, AFFLITTO DA 20 ANNI DI GUERRA.

AI VESCOVI SUDANESI, RICEVUTI IN VISITA AD LIMINA, IL PAPA RICORDA

L’ESEMPIO DI SANTA BAKHITA E SAN COMBONI PER RIBADIRE CHE NON C’E’ SPAZIO

NELLA COMUNITA’ DEI CREDENTI PER DISCRIMINAZIONI ETNICHE O CULTURALI

 

In questo momento decisivo per il vostro Paese, in cui la fine di 20 anni di conflitto apre la strada alla riconciliazione e alla pacificazione, l’occasione della vostra visita è un momento di grazia. Così si è rivolto il Papa ai vescovi del Sudan, ricevuti in visita ad Limina. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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20 anni di conflitto, a partire dal 1983, hanno provocato in Sudan oltre due milioni di morti e circa quattro milioni di sfollati. Ribelli definitisi marxisti-leninisti si sono lanciati in una sanguinosa sfida all’esercito governativo di Khartoum, sfociata nello scontro tra il Nord, dove regna la legge della Sharia, e il Sud di tradizione animista e cristiana. Non si possono, però, citare le implicazioni di carattere culturale e religioso senza ricordare gli interessi economici legati al petrolio.

 

Guardando con speranza alle prospettive di pacificazione, Giovanni Paolo II ha ricordato due figure “intimamente legate” alla tormentata terra del Paese africano: Santa Josephine Bakhita e San Daniele Comboni, “testimoni della fede e della carità cristiana”. La prima, venduta come schiava in tenera età, è un monito a lottare per liberare i popoli dall’oppressione e dalla violenza - ha sottolineato il Papa - e la sua vita chiaramente mostra che “discriminazioni etniche o culturali non appartengono a  una società civilizzata  e non trovano assolutamente spazio nella comunità dei credenti”. Tra i frutti della carità visibili in Sudan, il Papa ha voluto ricordare l’Agenzia umanitaria, Sudanaid della Conferenza episcopale del Paese.

 

Per poi ricordare che la Chiesa può dare un contributo alla vita sociale anche stabilendo “più strette e migliori relazioni con le istituzioni nazionali”, impegnandosi per la “riattivazione della Commissione per il dialogo interreligioso”. Come vescovi, - ha proseguito il Papa - “le vostre parole e le vostre azioni non devono mai essere espressione delle personali preferenze politiche ma devono sempre riflettere lo spirito di Cristo Buon Pastore”. Spirito che ha egregiamente incarnato San Daniele Comboni che, forte difensore dell’inculturazione della fede, non si è risparmiato nello sforzo di familiarizzare con la cultura e le lingue dei popoli che ha incontrato in Africa e in Sudan. Sul suo esempio, il Papa ha invitato tutti i sacerdoti a rimanere  distaccati dai beni materiali e rispettare il completo dono di sé nel celibato, per seguire davvero le orme di Cristo.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Nel corso della mattinata il Papa ha ricevuto anche alcuni vescovi della Conferenza episcopale francese, in visita "ad Limina".

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Granada (Nicaragua) mons. Bernardo Hombach Lutkermeier, finora vescovo di Juigalpa. Nato a  Krefeld, nella diocesi di Aachen in Germania, il 12 settembre 1933, è stato ordinato vescovo nel 1995. Presta il suo servizio pastorale in Nicaragua da 18 anni.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 

Apre la prima pagina il titolo "L'Avvento è tempo di gioia perché fa rivivere l'attesa del Salvatore. Chiediamo alla Vergine Santa il dono della gioia cristiana": Giovanni Paolo II recita l'Angelus con i ragazzi di Roma convenuti in Piazza San Pietro per la tradizionale benedizione delle statuine dei Bambinelli.

 

Sempre in prima, in evidenza l'Iraq: si pone l'accento sul fatto che una scia di sangue - si sono verificati altri sanguinosi attacchi - ha segnato la cattura di Saddam Hussein. Articoli dettagliati sull'avvenimento dell'arresto e sulle reazioni nel mondo alla notizia.

 

Nelle vaticane, nel discorso alla Conferenza dei vescovi cattolici del Sudan, il Papa ha sottolineato che i santi Giuseppina Bakhita e Daniele Comboni mostrano che il tribalismo e le forme di discriminazione basate sull'origine etnica non fanno parte di una società civile e non hanno alcun posto nella comunità dei credenti. 

Nel discorso al nuovo Ambasciatore della Repubblica Dominicana, il Santo Padre ha esortato a difendere e a consolidare i valori cristiani di fronte al grave deterioramento e alla diminuzione della qualità della vita nel Paese.

 

Nelle estere, in Afghanistan si è aperta la Loya Jirga, chiamata a varare una nuova Costituzione.

 

Nella pagina culturale, la prefazione di Gabriele De Rosa al volume di Angelomichele De Spirito dedicato alla visite pastorali di Vincenzo M. Orsini, vescovo di Benevento dal 1686 al 1730.

 

Nelle pagine italiane, in primo piano lo sciopero dei trasporti pubblici.

In rilievo il tema della finanziaria.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

15 dicembre 2003

 

SADDAM HUSSEIN DOPO LA CATTURANEGA ILPOSESSO DI ARMI DI STERMINIO.

DUE ATTENTATI A BAGHDAD CAUSANO ALMENO 10 MORTI  

- Intervista con mons. Shlemon Warduni e padre Justo Lacunza -

 

         La cattura di Saddam Hussein, tappa fondamentale da cui partire per la ricostruzione del nuovo Iraq. Gli Stati Uniti cercano di trovare slancio dall’arresto dell’ex rais, avvenuto l’altro ieri nella sua città natale di Tikrit, per il futuro democratico del Paese. Saddam Hussein ora è a tutti gli effetti un prigioniero di guerra e sarà trattato secondo la Convenzione di Ginevra – dicono le autorità di Washington – e gli Stati Uniti assicurano di voler consegnare l’ex leader iracheno alla giustizia. Gli interrogatori sono già cominciati, e Saddam – ha riferito il capo del Pentagono, Rumsfeld – non sta collaborando, ma in Iraq il copione è sempre lo stesso: anche oggi due gravi attentati. Ci riferisce Giancarlo La Vella:

 

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La stabilità dell’Iraq, conseguenza auspicata dell’arresto di Saddam, sembra ancora lontana. Due autobombe sono esplose stamani nei pressi di due posti di polizia di Husseiniyah, 30 chilometri a nord di Baghdad, e Ameriyah, nella parte occidentale della città. Nelle deflagrazioni sono morte una decina di persone, numerosi i feriti. Quanto avvenuto stamani fa il paio con le dichiarazioni dei fedelissimi dell’ex primo cittadino iracheno, che giurano sul proseguimento della resistenza. Intanto a Tikrit, dove si toccano con mano antiamericanismo e incredulità per la notizia della cattura del grande concittadino, la notte è trascorsa tranquilla, ma stamani i soldati americani hanno dovuto disperdere decine di iracheni che protestavano per la cattura del dittatore deposto. L’interrogativo per tutti è ora uno solo: che ne sarà di Saddam Hussein? Smentite le voci di un suo trasferimento all’estero, sembra prendere piede l’ipotesi che lo vuole alla sbarra di un tribunale iracheno, giudicato da magistrati neutrali. Ma le speranze che le sue dichiarazioni portino a conoscere i segreti dell’’ex regime sono ben poche. Il ministro degli esteri britannico, Jack Straw, ha detto oggi in conferenza stampa che è ben nota la falsità di Hussein, ma, secondo fonti militari a Baghdad, importanti arresti sarebbero stati fatti, sfruttando dichiarazioni fatte subito dopo l’arresto e documenti che il rais aveva con sé. Quello che oggi appare chiaro è che probabilmente il rais non aveva il totale controllo dell’Iraq; lo prova il fatto che la sua cattura è stata possibile anche grazie al fatto che si trovasse da solo, praticamente abbandonato da tutti, mentre la guerriglia antioccidentale è ancora attiva sul territorio e a muoverne i fili sono probabilmente alcuni di quei 14 personaggi ancora ricercati da Washington. “La guerra continua” - sono le parole del presidente Bush, forse egli stesso convinto che, per la stabilità dell’Iraq, c’è ancora molto da fare.

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La cattura di Saddam Hussein ha colto di sorpresa anche la Chiesa locale in Iraq. Ce lo conferma mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, intervistato da Andrea Sarubbi:

 

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R. – È stata una sorpresa per tutti quanti. I nostri problemi si sono talmente accumulati che non appena sentiamo che uno di questi problemi si è risolto, non possiamo che essere contenti. Parlo di Saddam come di un problema, perché si diceva e si temeva che molte azioni dei terroristi partissero da lui. Il motivo, facilmente comprensibile, è che sono stati gli americani a “farlo fuori”, e Saddam era certamente una persona assetata di potere. La sua cattura, quindi, è stata una bella notizia per tutto il popolo iracheno, anche se certamente alcuni non saranno stati contenti. In ogni caso, cerchiamo di  ispirarci a Papa Giovanni XXIII, che invitava sempre a non condannare il peccatore ma il peccato.

 

D. – Nel frattempo, però, vanno avanti gli attentati: ne abbiamo sentiti anche in queste ore. Questo significa, evidentemente, che catturare Saddam da solo non basta. Significa che la guerriglia, quindi, non si ferma?

 

R. – Proprio così. Purtroppo, le fonti terroristiche sono tante, non esiste una sola provenienza. Quindi, bisogna cooperare tutti quanti,  per cercare di riportare la pace e la tranquillità nella nostra nazione. E prima di tutto, dobbiamo cercare di custodire le nostre frontiere.

 

D. – A proposito di questo, dal Medio Oriente viene la notizia che gli attivisti palestinesi non sono per nulla contenti dell’arresto di Saddam. Lei crede davvero che si possano infiltrare in Iraq?

 

R. – Io temo molto l’infiltrazione di numerosi terroristi. Se le frontiere non saranno custodite, ritengo che sarà difficile raggiungere la vera pace.

 

D. – Stati Uniti e Gran Bretagna hanno insistito su un punto: “Finito Saddam, è finita la dittatura e per l’Iraq inizia una nuova era, l’era della democrazia”. Secondo Lei, questo Paese ha le capacità per governarsi democraticamente? E soprattutto, ha gli uomini per farlo?

 

R. – Noi ci auguriamo che questo governo democratico prenda corpo il prima possibile. Poi penso che in Iraq ci sia tanta gente intelligente, anche nella politica, e certamente potranno emergere delle personalità in grado di guidare il Paese senza ricorrere ad una dittatura.

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Ma ascoltiamo adesso il commento di padre Justo Lacunza, preside del Pisai, il Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica di Roma, al microfono di Fabio Colagrande:

 

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R. – Dal 7 aprile di quest’anno, Saddam Hussein è passato alla storia; dunque, adesso bisogna guardare al futuro. Noi ora dobbiamo ricavare la lezione da quello che ha significato avere un macellaio a Baghdad, quello che è stato Saddam Hussein, che ha torturato , perseguitato, ucciso, incarcerato migliaia di persone. Secondo punto: c’è stata una connivenza a livello economico, finanziario, di petrolio, a livello dei contatti e dei contratti con questo regime capeggiato da Saddam Hussein, e le nazioni più potenti del mondo l’hanno aiutato anche nella guerra contro l’Iran: questo fa parte della storia, ed è un monito per come trattiamo le risorse del pianeta: se le usiamo per sostenere la libertà, la democrazia, i diritti civili e i diritti umani o se vogliamo semplicemente continuare a produrre gli armamenti in quantità tale che possiamo continuare ad avere contemporaneamente decine di conflitto nel mondo. Spero che questa cattura faccia spostare l’attenzione molto, molto presto sulla popolazione dell’Iraq: è lì il vero problema. Bisogna pensare a 14 milioni di persone in Iraq che sono sotto i 15-16 anni; questi sono i futuri capi, i futuri parlamentari, i futuri politici, i futuri professori, i maestri … e allora bisogna puntare l’attenzione su questa società civile.

 

D. – Quale può essere in questo momento storico il ruolo della comunità cristiana, di questa minoranza nel Paese a maggioranza musulmana che è l’Iraq?

 

R. – Il compito di vivere, di ricostruire questo Paese. Penso che in Iraq ci sia stato sempre un grande rispetto tra i musulmani e i cristiani. Le difficoltà ci sono, i problemi ci sono: adesso si tratterà di ricostruire questa società composita, questa società che ha in sé un pluralismo culturale di civiltà.

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ENTUSIASMO E FOLLA DELLE GRANDI OCCASIONI, A VENEZIA,

PER IL BATTESIMO DELLA NUOVA “FENICE”,

CON L’APPLAUDITISSIMO CONCERTO DIRETTO DA RICCARDO MUTI

- Servizio di Alessandro De Carolis -

 

E’ stata una inaugurazione di grande impatto visivo,prima ancora che musicale, quella che ieri, dopo quasi sette anni, ha visto il ricostruito Teatro La Fenice di Venezia tornare ad ospitare una serata di grande musica. Sotto la direzione del maestro Riccardo Muti, e davanti alle massime autorità dello Stato italiano, il teatro veneziano ha ripreso il suo posto nel panorama culturale mondiale, dopo l’incendio che lo distrusse il 29 gennaio del 1996. A raccontarci l’inaugurazione, è Alessandro De Carolis.

 

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(musica)

 

Tra i potenti contrappunti de “La consacrazione della Casa” di Beethoven, ha ripreso a volare ieri sera la Fenice di Venezia. Un’ouverture beneagurante, quella scelta dal maestro Riccardo Muti per restituire alla città lagunare, all’Italia e agli appassionati melomani di tutto il mondo, un fasto di stucchi e pitture, di lampi d’oro e d’azzurro, che ancora ieri conservava l’odore del nuovo tra i profumi e le emozioni di una “prima” attesa e straordinaria.

 

Le note dell’Inno di Mameli per iniziare - con gli invitati in piedi a partire dal capo dello Stato, Ciampi – e poi la musica di Beethoven scritta nel 1822 per l’inaugurazione di un altro tempio della musica, lo Josephstadt Theater. Quindi il fluire di stili e di sonorità diverse – sacre e marziali - di tre artisti che alle suggestioni paesaggistiche di Venezia legarono la loro vita, prima ancora della loro arte. Igor Stravinsky, sepolto nell’Isola di San Michele, con la sua corale “Sinfonia di Salmi”. Quindi, Antonio Caldara, compositore veneziano vissuto a cavallo tra il Sei-Settecento, autore del Te Deum eseguito ieri.

 

Infine, Richard Wagner, anch’egli morto a Venezia, e le sue “Tre marce sinfoniche”. “E’ una Fenice che ha saputo rinascere dalle ceneri in una maniera meravigliosa. Una serata pienamente riuscita”, ha commentato Carlo Azeglio Ciampi, attorniato sul palco presidenziale da alcune delle massime cariche istituzionali. A fargli eco, il cardinale arcivescovo di Venezia, Angelo Scola, che ha sottolineato come “giusto” l’orgoglio manifestato dalla città per l’evento. Il maestro Muti diresse il coro e l’orchestra della Fenice per la prima volta nel 1970. Ieri sera, ha detto di aver “ritrovato la casa”. Una casa riconsegnatasi alla meraviglia del pubblico, in una giornata dominata da altre notizie di guerra e di rinascita. Ma il mondo della musica non viaggia altrove rispetto alla realtà, ha ribadito Muti:

 

“Noi ci occupiamo attraverso la musica del bene dell’umanità. Quindi, tutto ciò si fa per la pace, per la democrazia e l’uguaglianza. Naturalmente noi portiamo sollievo alle anime, però ci sono ancora troppe persone che muoiono di fame”.

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UN NUOVO LIBRO SUL DRAMMA DEI BAMBINI SOLDATO

Intervista con l’autore, Luciano Bertozzi -

 

 

Si arruolano nei gruppi armati perché non hanno un’alternativa, lo fanno per sfuggire agli stenti, alla solitudine, vengono utilizzati come facchini, come cuochi, ma spesso si trovano in prima linea a combattere. E alcuni di loro hanno solo sette anni. I bambini soldato sono i primi a morire, ad essere usati come carne da macello. A ricordarcelo con il suo libro: “I bambini soldato, lo sfruttamento globale dell’infanzia”, edito dalla Emi, è Luciano Bertozzi. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:

 

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Non ci sono scuse né motivi accettabili per armare i bambini. Le parole del Premio Nobel per la pace Desmond Tutu ci vengono ricordate da Luciano Bertozzi che con il suo libro non ci offre informazioni inedite, quanto piuttosto un quadro d’insieme sul triste fenomeno dei bambini-soldato, strettamente connesso, e Bertozzi lo ribadisce, ad altre questioni come la povertà endemica che colpisce molti Paesi, la militarizzazione delle società, l’assenza di democrazia:

 

“Le guerre che non finiscono mai nel Terzo Mondo, ma non solo, hanno sempre bisogno di ‘carne da cannone’. I bambini sono facilmente plasmabili dai signori delle guerre: non chiedono paghe, non disertano se non in casi limitati e possono essere indottrinati a compiere ogni crudeltà”.

 

Si calcola che siano oltre mezzo milione i minori negli eserciti regolari e nei gruppi armati di 87 Paesi, almeno in 300 mila starebbero combattendo in 41 Paesi. Per loro le sole regole di vita sono sparare e uccidere. Sotto l’effetto di droghe e alcol, vengono spediti nelle zone di guerra:

 

“Nei luoghi in cui i bambini combattono, tutti i bambini sono bersagli della repressione perché chiaramente i soldati non stanno certo a guardare se un bambino è un bambino o un bambino soldato”.

 

E’ soprattutto in Africa e Asia che si riscontra il fenomeno, non si può non pensare subito ai bambini-spie della Cambogia di Pol Pot negli anni 70 o ai quattordicenni comandanti di eserciti di bambini ancora più piccoli in Sierra Leone. Ma anche i paesi industrializzati, si legge, non si sottraggono a questa vergogna:

 

”Il fenomeno è diffuso anche nei Paesi guida della Comunità internazionale. Il Regno Unito prevede la possibilità di arruolare i sedicenni e di utilizzare in combattimento – come è stato fatto – i ragazzi di diciassette anni. Negli Stati Uniti, invece, l’arruolamento è su base volontaria a partire da 17 anni e ce ne erano circa tremila, che sono stati utilizzati dagli Stati Uniti in guerra in Bosnia, nella prima Guerra del Golfo e in Somalia. Se i Paesi più importanti danno il cattivo esempio è evidente che gli strumenti del diritto internazionale ne risentono. Ultimamente alcune cose sono cambiate: con il Tribunale penale internazionale sono punibili quali crimini di guerra l’arruolamento e l’utilizzo in guerra di minori, però al di sotto dei 15 anni. Questo è un grave compromesso”.

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CHIESA E SOCIETA’

15 dicembre 2003

 

INIZIATI, NELL’UNIVERSITA’ IRACHENA DI AL-HILLA,

I CORSI DELLA “FACOLTA’ DELLA DEMOCRAZIA”.

I 200 ISCRITTI SONO LEADER RELIGIOSI E CAPI TRIBU’

DEI MAGGIORI GRUPPI ETNICI DEL PAESE

 

AL-HILLA (IRAQ). = E’ nata da tre giorni, nell’Università islamica di Al-Hilla, a sud di Baghdad, la facoltà che non ha eguali al mondo: la Facoltà della Democrazia. A renderla fuori dell’ordinario sono gli studenti, circa 200, tutti capi tribù e leader religiosi riconosciuti. Sui banchi, i rappresentanti dei principali gruppi sociali delle città sacre irachene di Karbala e Najaf , ma anche di Al-Diwaniyah e di tre province di Al-Anbar. I corsi sulla democrazia sono gestiti da James Mayfield, del Centro di Ricerche e Formazioni della Coalizione. Nel discorso di inaugurazione – secondo quanto riportato dall’agenzia Asianews - il rettore dell’Università Islamica di Al-Hilla, Farad Al-Husseini, ha  affermato che “l’Islam non è contrario alla democrazia” e che essa “non è un concetto importato dagli ebrei e dagli  occidentali come asseriscono alcuni”, ma “piuttosto un’interpretazione dei principi di giustizia che si trovano nell’Islam”. Durante una delle prime lezioni, impartita da Dick Johnson - rappresentante del governatore americano in Iraq, Paul Bremer  - si è  parlato dei “rischi di libanizzazione dell’Iraq” nel caso non fosse istaurata la democrazia. “Farete la stessa fine del Libano se non concedete alla gente la possibilità di eleggere liberamente i propri rappresentanti”, ha detto Johnson, sottolineando l’importante ruolo che i capi tribù e gli Ulema religiosi possano avere nella ricostruzione del Paese. Illustrando i valori della democrazia, Johnson ha precisato che non bisogna applicare a forza in Iraq il modello americano, ma una forma di democrazia adatta al Paese. Il corso durerà sei mesi e dal prossimo gennaio saranno gli stessi capi tribù a diffondere ai cittadini delle loro zone quello che avranno appreso. (A.D.C.)

 

 

FEDE, SPERANZA E CARITA’, I PILASTRI SUI QUALI RIFONDARE LA PASTORALE

IN TAIWAN. QUESTA L’INDICAZIONE DEI VESCOVI LOCALI, AL TERMINE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE REGIONALE SVOLTASI A TAIPEI

- A cura di Antonio Mancini -

 

TAIPEI. = La Chiesa di Taiwan punta sulle tre virtù teologali – fede speranza e carità – per la rievangelizzazione del Paese. E’ questo il piano pastorale per il 2004, secondo quanto stabilito dall’assemblea ordinaria autunnale della locale Conferenza episcopale regionale. Le relazioni di base sono state illustrate da mons. Ambrose Madtha, incaricato d’Affari presso la Nunziatura a Taipei, da mons. James Liu, segretario generale della Conferenza episcopale, e dal rettore del seminario interterritoriale di Taipei, mons. John Li. Tutti i relatori hanno sottolineato l’urgenza della formazione dei sacerdoti e della promozione delle vocazioni al sacerdozio, soffermandosi anche sui problemi sociali e sulle principali sfide che la comunità cattolica di Taiwan affronterà nel prossimo anno. Guardando al futuro, l'assemblea dei vescovi  ha ribadito che le virtù teologali della fede, della speranza e della carità sono i pilastri sui quali le diocesi sono chiamate a costruire la vita pastorale e ad elaborare un piano di evangelizzazione. I vescovi di Taiwan hanno raccomandato anche il rilancio del loro  portale cattolico su Internet e la formazione di  gruppi di volontariato per l’impegno sociale della Chiesa. Le diocesi taiwanesi, intanto, continuano nei preparativi del Congresso Eucaristico nazionale, che si terrà l’anno prossimo, in preparazione a quello mondiale in Messico. In proposito, è stato raccomandato lo studio dell'enciclica di Giovanni Paolo II,  Ecclesia de Eucharistia, attraverso seminari diocesani.

 

 

DISTRUTTA DA UN INCENDIO UNA PARROCCHIA DI CARACAS.

IL ROGO CAUSATO DALL’ESPLOSIONE DI UN ORDIGNO ARTIGIANALE.

LO SDEGNO DEL VESCOVO LOCALE  PER L’ENNESIMO ATTENTATO

CONTRO STRUTTURE DELLA CHIESA VENEZUELANA

- A cura di Davide Dionisi -

 

CARACAS. = Continuano le aggressioni e gli attentati contro la Chiesa venezuelana. Questa volta a farne le spese è stata la parrocchia di Nostra Signora del Carmelo, nella diocesi di Los Teques. L’edificio è andato letteralmente in fumo, in seguito a un incendio causato da un esplosivo artigianale posto all’entrata della chiesa. Secondo le prime ricostruzioni, l’esplosione, avvenuta alcuni giorni fa, ha innescato un rogo che ha portato alla distruzione del tetto, restaurato da poco, e successivamente del portone, delle scale, degli interni e delle due immagini di Sant’Onofrio e di San Giuda Taddeo, entrambe divorate dalle fiamme. Ad oggi, non è pervenuta alcuna rivendicazione, ma l’attentato viene dopo la profanazione delle statue della Vergine Maria, situate a Piazza Altamira a Caracas. Nell’occasione, l’atto vandalico è stato attribuito ai sostenitori del presidente Chavez. Commozione e sdegno sono stati espressi dal vescovo di Los Teques, mons. Ovidio Pérez Morales, mentre il parroco p. Luis Igartua ha auspicato che attentati del genere non si ripetano per il bene dei fedeli. Nel frattempo le autorità hanno aperto un’indagine per far luce su quanto accaduto.

 

 

ACCORDO INTERNAZIONALE IN MATERIA DI LOTTA ALL’INQUINAMENTO EUROPEO:

I\NSIEME A USA, CINA E GIAPPONE, L’UNIONE EUROPEA STABILIRA’

UN NUOVO QUADRO LEGISLATIVO

PER LE EMISSIONI NOCIVE NEL CAMPO DEI TRASPORTI

 

MILANO. = Indirizzare la ricerca del vecchio continente verso obiettivi di sostenibilità: l'Unione Europea ha siglato un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina per concordare applicazioni di sperimentazioni scientifiche finalizzate a ridurre l'inquinamento atmosferico prodotto dai trasporti. L'intesa è stata raggiunta a Milano, dove sono riuniti gli organismi di regolamentazione, i rappresentanti dell'industria e i ricercatori di tutto il mondo nell'ambito della COP9, per discutere dei sistemi di prova e di misura delle emissioni, delle norme in materia di emissioni, degli effetti delle emissioni sulla salute umana, ma anche per confrontare le innovazioni nel settore dei nuovi carburanti, dei nuovi motori e delle nuove tecnologie di post-trattamento. L’accordo permetterà ai Paesi contraenti di condurre attività congiunte di ricerca in materia di emissioni e di prove sui veicoli e di predisporre una piattaforma scientifica comune per la misurazione e l'analisi comparativa dell'inquinamento atmosferico urbano. Questa iniziativa comune fornirà inoltre un sostegno scientifico alla fissazione di nuovi criteri e requisiti internazionali in materia di emissioni del settore dei trasporti e una base per le future norme europee per i veicoli passeggeri e i veicoli commerciali leggeri, in attuazione della strategia “EURO V”. In questo campo, l'Unione Europea sta muovendo passi di tipo legislativo: sono ormai in dirittura d'arrivo le normative destinate a fissare i limiti di emissione per le autovetture e i veicoli commerciali leggeri, direttiva EURO V, e per i veicoli pesanti, direttiva EURO VI.

 

 

SARA’ PRESENTATO DOMANI, ALL’UNIVERSITA’ GREGORIANA,

IL LIBRO DI EMANUELA ZURLI, DOCENTE DI FILOSOFIA DELL’ATENEO,

DEDICATO ALLA SALVEZZA “PER GRAZIA” GIA’ ELABORATA DAGLI ESSENI DI QUMRAN

PRIMA DELL’APOSTOLO PAOLO

 

ROMA. = E' stata la setta degli Esseni, antecedente al cristianesimo, e non l'apostolo san Paolo, come si credeva finora, ad elaborare per prima la teoria che l'uomo si salva ''solo per grazia'' cioe' per l'intervento di Dio e non per i propri meriti. Questa la conclusione alla quale giunge Emanuela Zurli, docente di filosofia alla Pontificia università Gregoriana, nel suo libro “La giustificazione ‘solo per grazia’ negli scritti del Qumran”, pubblicato dalla Chirico editore e oggetto, domani di una presentazione nello stesso ateneo pontificio. La visione della salvezza “per sola grazia” - è la tesi sostenuta dalla Zurli - era presente anche nella Bibbia Ebraica, scritta prima dei papiri del Qumran, ritrovati in Terra Santa nel 1947, ma in una forma mai resa esplicita. L’originalità di San Paolo ridimensionato dagli Esseni, per la Zurli sta, tuttavia, nell'aver affermato e diffuso nei suoi tempi la teoria che “l’iniziativa assoluta del dono della grazia da parte di Dio si compie nella risposta della fede in Cristo risorto”. Per giungere alle sue conclusioni, la Zurli esamina l’inno finale della “Regola della comunità” degli Esseni, tramandataci dai rotoli del Qumran e attribuita da molti esegeti a uno sconosciuto “maestro di giustizia”. La sua ricostruzione, con numerose citazioni in ebraico classico, tradotte nelle loro diverse sfumature, si basa anche su alcuni “inni” della medesima comunità essena. L’autrice, inoltre, ipotizza che per spiegare la visione degli Esseni, circa la possibilità di giungere alla salvezza per “i non eletti” da Dio, si possa percorrere, come pista di studio, quella dell’“esperienza misteriosa della preghiera”. (A.D.C.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

15 dicembre 2003

- A cura di Dorotea Gambardella -

 

Elezioni ieri nella Repubblica turca di Cipro Nord, entità non riconosciuta dall’Onu. Ciascuno dei due blocchi rivali ciprioti ha ottenuto 25 dei 50 seggi del Parlamento. Con 19 seggi, il Partito repubblicano turco, fautore della riunificazione, si è rivelato la prima formazione; secondo, con un seggio in meno, il Partito di unità nazionale, contrario al piano di pace dell'Onu. Le sorti sono state bilanciate dai restanti schieramenti che compongono le due coalizioni. Se dalla consultazione di ieri non emergerà un governo stabile, entro due mesi la popolazione potrebbe essere chiamata ancora alle urne. A ventilare questa ipotesi, oggi, è stato il presidente Rauf Denktash. Secondo la Commissione Ue, il risultato di questa tornata “riflette il desiderio di trovare una soluzione sulla base del piano di Annan e di consentire l’accesso e la riunificazione dell'isola dal 1 maggio 2004”. Il servizio di Cesare Rizzoli.

 

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Sono rimasti in perfetto equilibrio i due blocchi politici dell’entità turca del nord di Cipro, ancora sotto occupazione dell’esercito turco. L’alleanza dei cinque partiti all’opposizione, contraria al proseguimento di una divisione dell’isola tra la maggioranza dei greco-ciprioti al centro e al sud e la minoranza turca al nord, non è riuscita a spuntarla sui due partiti del presidente Rauf Denktash al potere da quasi 30 anni. In realtà, il voto legislativo di ieri era un referendum, rappresentava l’accettazione o il rifiuto di quel piano di pace dell’Onu per promuovere finalmente la riunificazione territoriale dell’isola. Dal 1974 l’isola resta divisa da un muro che attraversa la capitale Nicosia, fatto di sacchi di sabbia, di cemento, ma soprattutto di antiche rivalità tra le due comunità. Il presidente turco-cipriota Denktash, sostenuto da Ankara, rifiuta la riunificazione con la Repubblica dei greco-ciprioti, perché teme, come dice, di finire prigioniero di quella maggioranza. E rigetta contemporaneamente di seguire i greco-ciprioti che hanno aderito all’Unione Europea ed entreranno formalmente nell’Unione il 1° maggio del prossimo anno. Ora la sorte della parte turca di Cipro torna interamente nelle mani di Ankara. Se l’Unione Europea chiuderà le porte ad Ankara il prossimo anno, anche il nord di Cipro, sotto occupazione militare, resterà ancora diviso e separato.

 

Per la Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.

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“L'episodio di ieri non mi ha dissuaso dal combattere l'estremismo, che è la più grande minaccia interna per il nostro Paese”. Così il presidente pakistano Pervez Musharraf ha commentato il fallito attentato di ieri contro il convoglio sul quale viaggiava nei pressi di Rawalpindi, a circa due chilometri dall'aeroporto di Islamabad. L'esplosione è avvenuta su un ponte, un minuto dopo il passaggio del corteo presidenziale. Nella deflagrazione sono rimaste ferite quattro persone. Maria Grazia Coggiola ci fa un’analisi della situazione.

 

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Anche se il Pakistan non fa parte della coalizione anglo-americana in Iraq è uno degli alleati più preziosi degli Stati Uniti, soprattutto in Afghanistan. Proprio questa alleanza, nata all’indomani dell’11 settembre, ha creato una profonda frattura tra le forze moderate del Paese e gli estremisti islamici, che sono al potere nelle regioni del nord-ovest sul confine afghano, dove si ritiene possa nascondersi lo sceicco Bin Laden. Più volte si è detto che Musharraf, il generale che ha preso il potere con un golpe nel 1999, si trova tra l’incudine e il martello. Washington considera cruciale la collaborazione di Islamabad nel decapitare i vertici di Al Qaeda. In passato i pakistani hanno consegnato agli americani molti esponenti dei talebani della rete di Bin Laden. Lo stesso Musharraf due giorni fa aveva ribadito che una delle maggiori minacce nel suo Paese arrivava dall’interno, in particolare dal terrorismo, dall’estremismo e dalla faida tra i sunniti e gli sciiti.  E’ il terzo attentato alla vita di Musharraf. L’ultimo è stato nell’aprile scorso, nella città portuale di Karachi. Potrebbe essere il primo segnale lanciato dagli estremisti, dopo la notizia della cattura di Saddam, ma potrebbe essere anche un avvertimento al governo pakistano che da qualche mese ha iniziato una politica di dialogo con l’India sulla questione del Kashmir, dove dal 26 novembre è in vigore un cessate il fuoco.

 

Per la Radio Vaticana, Maria Grazia Coggiola.

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Undici vittime, nove feriti e quattro ostaggi. Questo il bilancio dell’irruzione compiuta questa mattina in un villaggio del Daghestan, in Russia, da una cinquantina di combattenti ceceni. La guerriglia islamico-indipendentista cecena ha rivendicato l’azione, attribuendola ad una “brigata daghestana” sotto la guida del comandante Rabbani.  I particolari nel nostro servizio:

 

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Gli indipendentisti hanno occupato per alcune ore un ospedale nel villaggio di Shaury, circa venti chilometri al confine con la Georgia, ritirandosi poi con quattro  ostaggi probabilmente in direzione della Cecenia. Le notizie, a causa della difficoltà di comunicazione con  la regione dove sono avvenuti i fatti, sono confuse, ma secondo le autorità locali, i  ribelli sarebbero stati motorizzati e in possesso di armi automatiche. I guerriglieri sarebbero penetrati nel villaggio caucasico nelle prime ore del mattino e, dopo aver ucciso in un agguato nove guardie di frontiera accorse sul posto, hanno preso in ostaggio un dipendente e tre pazienti del piccolo ospedale locale. Nella regione, in cui è stato dichiarato lo stato di  emergenza, è accorso un ingente dispiegamento di forze dell’ordine, che avrebbe costretto alla fuga i combattenti. Secondo l'agenzia Interfax, il gruppo non si starebbe dirigendo in Cecenia, ma verso il confine  montagnoso con la Georgia. Intanto i corpi dei poliziotti uccisi sarebbero stati ritrovati. A riferirlo è l’agenzia Itar Tass, precisando che l’ufficiale che comandava la pattuglia è stato decapitato, quando era già morto. Ancora sconosciuto il motivo dell’invasione, che ricorda quella, molto più grande, del ’99: causa della seconda guerra cecena, tutt’oggi in corso.

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L’esercito della Costa d’Avorio e i combattenti degli ex gruppi ribelli hanno cominciato da sabato scorso a ritirare i propri armamenti dalla linea del fronte che divide in due il Paese. A confermarlo, fonti governative, i rappresentanti delle cosiddette “Forze Nuove” - ossia la coalizione che raccoglie la guerriglia - e quelli della forza di interposizione francese che presidia il confine. Ma a che punto è il disarmo? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Padre Giovanni De Franceschi, missionario del Pime a Bouakè, nel nord del Paese, ex roccaforte dei ribelli:

 

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R. – Il vero disarmo si può fare solo quando i ribelli o le Forze Nuove, come le chiamano adesso, rientreranno nel governo. Perché dalla fine di settembre i ministri usciti dalla ribellione si sono ritirati dal governo e non si sa ancora quando rientreranno. Soltanto a questa condizione i capi militari hanno detto di poter liberare le zone e cominciare a lavorare nell’amministrazione, nelle scuole, ecc.

 

D. – Quindi è una situazione che impedisce il ritorno alla normalità. La gente come sta vivendo queste ore?

 

R. – Tutti si dicono stanchi di questa situazione di non guerra e di non pace. In un modo o nell’altro si deve pur arrivare alla pace, al disarmo e alla normalizzazione del Paese. Però c’è ancora molta diffidenza nei due campi.

 

D. – E le forze francesi, che dovrebbero tutelare la pace?

 

R. – Loro sono fermamente decise. Se questo ritiro delle armi leggere e pesanti cominciasse già da sabato, sarebbe perché le forze francesi sono veramente decise a sbloccare la situazione  

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Due palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte dai soldati israeliani nel nord della Striscia di Gaza. Lo riferisce il sito on line del quotidiano israeliano Yediot Ahronot. Sul fronte dei negoziati, una riunione israelo-palestinese-statunitense - la prima dal vertice del giugno scorso ad Aqaba con il presidente americano George W. Bush - si svolgerà oggi a Gerusalemme con la partecipazione dell'inviato Usa David Satterfield. A darne notizia è il quotidiano palestinese Al-Ayyam.

 

Sarà sospeso per più di un mese il processo di disarmo delle fazioni coinvolte nella guerra in Liberia. Lo ha stabilito la Missione delle Nazioni Unite in Liberia (Unmil) precisando che la decisione è legata ai disordini – che hanno causato la morte di almeno dodici persone – avvenuti nei giorni scorsi alla periferia est di Monrovia, durante le proteste dei sostenitori dell'ex presidente della Liberia Charles Taylor, attualmente in esilio in Nigeria, scontenti delle condizioni imposte dalla Unmil per il disarmo. In particolare, da mercoledì 17 dicembre fino al 20 gennaio, saranno sospese tutte le attività dei 3 campi creati dall'Onu per il disarmo e il reintegro degli ex combattenti.

 

Respinta da Pyongyang l’ultima proposta americana che chiede uno smantellamento completo e verificabile del programma atomico nord coreano. Lo rende noto l’organo di stampa del regime, “Rodong Sinmum”.

 

Il governo del Ciad ha firmato ieri un nuovo accordo di pace con il Movimento per la democrazia e la giustizia in Ciad, il gruppo ribelle che dal 1998 combatte contro Ndjamena nelle montagne settentrionali del Tibesti.

 

La salma del ministro degli Esteri filippino, Blas Ople, morto per un attacco di cuore a Taipei è stata rimpatriata da Taiwan ieri sera. Il feretro, avvolto da una bandiera, è stato accolto all’aeroporto dell’arcipelago asiatico da parenti e funzionari di governo.

 

 

 

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