RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 347 - Testo della
Trasmissione di sabato 13 dicembre 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Fallito il Vertice
europeo di Bruxelles: il commento dello storico Giorgio Rumi
CHIESA E SOCIETA’:
A gennaio, nell’Irlanda del nord, l’inaugurazione del nuovo monastero benedettino di Rostrevor all’insegna della riconciliazione tra cattolici e protestanti
Al via da domani a Kabul i
lavori dell’assemblea Loya Jirga che dovrà approvare la bozza di costituzione
afgana
E’
prossima l’incriminazione del presidente della Lituania Paksas, accusato di
connivenza con la mafia russa.
13
dicembre 2003
IN UDIENZA DAL PAPA, NELLA SALA
CLEMENTINA, OLTRE 400 PELLEGRINI,
CHE A VARIO TITOLO SONO GIUNTI IN VATICANO
PER RENDERE OMAGGIO AL SANTO PADRE
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“L’Europa
culla dello sport moderno, che discende dagli antichi Greci, fondato sul
“reciproco rispetto ed amicizia”: lo ha ricordato Giovanni Paolo II rivolto
ai 270 partecipanti all’Assemblea dei
49 Comitati olimpici europei, riunita ieri ed oggi a Roma, accompagnati dal
Presidente Mario Pescante.
“Il noto motto delle Olimpiadi moderne ‘Citius,
Altius, Fortius’ continui ad improntare la pratica sportiva delle nuove
generazioni”.
Un saluto poi ai due gruppi, una quarantina di persone,
dell’Associazione italiana ottici e dell’Associazione italiana per la ricerca
delle malattie oculari. Che la vostra patrona, Santa Lucia, che si festeggia
oggi – li ha incoraggiati il Papa – sostenga il vostro “grande impegno” verso
coloro che hanno problemi di vista.
“Si tratta di un importante servizio che rendete
alla società”.
Infine un pensiero rivolto ad un centinaio di pellegrini
del gruppo di distribuzione commerciale Interdis. Il Santo Padre li ha
ringraziati per “il generoso sostegno” dato alle sue “iniziative di carità” “in
favore dei più bisognosi”
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MARTEDI’ PROSSIMO, IL PAPA PRESIEDERA’ NELLA
BASILICA VATICANA
LE
ESEQUIE DEL CARDINALE PAULOS TZADUA,
ARCIVESCOVO
EMERITO DI ADDIS ABEBA
Giovanni
Paolo II presiederà, martedì prossimo – a partire dalle ore 11 – all’Altare
della Confessione della Basilica Vaticana, le esequie del cardinale Paulos
Tzadua, arcivescovo emerito di Addis Abeba, deceduto giovedì scorso. Il Papa
terrà l’omelia e il rito dell'Ultima Commendatio
e della Valedictio. La Santa
Messa sarà celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, Decano del collegio
cardinalizio.
ALTRE
UDIENZE
Nel corso della mattinata il Papa ha ricevuto anche
l’arcivescovo Dominique Mamberti, nunzio apostolico in Sudan e delegato
apostolico in Somalia, alcuni vescovi del Sudan in visita ad Limina e il
cardinale Giovanni Battista Re, prefetto
della Congregazione per i Vescovi.
TRADIZIONALE CONCERTO DI NATALE QUESTA SERA IN
VATICANO
PER
RACCOGLIERE FONDI PER LA COSTRUZIONE DI NUOVE CHIESE
NELLE
PERIFERIE DI ROMA
- Intervista con il cantante
algerino Khaled -
Appuntamento questa stasera in Vaticano alle 18,00 per il
tradizionale Concerto di Natale giunto quest’anno alla undicesima edizione. Molte
le star della musica internazionale che si esibiranno in Aula Paolo VI, per una
serata interamente dedicata alla raccolta di fondi destinati alla costruzione
di chiese nei nuovi quartieri di Roma. Una iniziativa promossa dal Vicariato di
Roma e che in 11 anni ha portato alla costruzione di 39 parrocchie. A dirigere
l’orchestra sinfonica sarà come sempre il maestro Renato Serio. La serata sarà trasmessa su canale 5 alla
vigilia di Natale. Ce ne parla Benedetta Capelli:
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(musica)
Un
serata che si ripete da 11 anni, uguale nelle emozioni che suscita ma sempre
diversa nella sua realizzazione. Stesso palcoscenico – l’Aula Paolo VI – ma
protagonisti che cambiano ogni volta: nomi noti della musica internazionale e
italiana, personaggi famosi che offrono il loro canto ad una nobile causa.
Quest’anno saranno dodici gli artisti, tre cori e una orchestra sinfonica. Tra
le personalità di spicco troviamo il re della musica black, Solomon Burke; una
grande voce nera, Randy Crawford; e poi Key Joyce, Ronan Keating e Natalia Kukulska,
prima cantante polacca a partecipare a questo concerto.
Ogni artista eseguirà due brani – uno natalizio ed uno del
proprio repertorio – anche se non mancheranno duetti inediti. Particolarmente
attesa la performance di Khaled, l’artista algerino di fede islamica. La sua
partecipazione è segno di un rinnovato invito al dialogo tra religioni diverse,
la sua arte veicolo di speranza.
(musica)
R. – MA
RELIGION ...
“Tutte
le religioni vengono da una stessa entità che è Dio: non c’è razzismo in
nessuna di essa. La religione è fatta per rendere saggio l’essere umano. Questo
momento difficile per tutto il mondo di guerra, di violenza non ha nulla a che
vedere con la fede e con il suo messaggio. Gli episodi terribili, avvenuti in
Iraq, sono estranei sia alla religione musulmana sia a quella cristiana. Non
bisogna identificare il messaggio dell’Islam con il terrorismo. L’integralismo
è una forma di fanatismo come tante altre. La musica è, invece, un veicolo di
pace, di tolleranza. Noi vogliamo rimanere liberi di fare la nostra musica,
vogliamo crescere i nostri figli in un mondo più giusto”.
(musica)
Grandi
nomi anche della musica italiana come Gianni Morandi, che canterà “Il mio
amico”, brano nato in occasione dell’Anno del Disabile. Il tenore Alessandro
Safina, Sergio Cammerieri e Gigi d’Alessio. Una serata in cui la musica si offre
alla beneficenza.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La prima pagina si apre con la
situazione in Iraq, riguardo alla quale si sottolinea che non si
ferma lo spargimento di sangue con i continui attacchi ed imboscate.
Nelle vaticane, in occasione
dell’udienza a diversi gruppi di pellegrini, il Papa, nell’avvicinarsi del
Natale, ha assicurato per ciascuno un ricordo nella preghiera.
Una pagina dedicata alle
Lettere pastorali dei vescovi italiani.
Nelle estere, l’intervento
della Santa Sede - a Ginevra - sul ruolo delle tecnologie della comunicazione e
dell’informazione nella promozione dello sviluppo e dei diritti umani.
UE: l’Europa non trova
l’accordo a Bruxelles.
Nella pagina culturale, per la
rubrica “Oggi” una riflessione di Gaetano Vallini dal titolo “Quanto vale
l'uomo?”: la sconcertante vicenda del malato scomparso da giorni, trovato morto
all’interno di un ospedale romano.
Nelle pagine italiane, in
rilievo i temi della finanziaria e delle pensioni.
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13
dicembre 2003
FALLITO IL VERTICE DI BRUXELLES SULLA COSTITUZIONE
EUROPEA.
NESSUN
ACCORDO SUL SISTEMA DI VOTO. LA DISCUSSIONE VIENE
RIMANDATA
AL SEMESTRE DI PRESIDENZA IRLANDESE
- Con
noi, il prof. Giorgio Rumi -
Delusione a Bruxelles per il
fallimento del vertice che avrebbe dovuto sancire l’approvazione della nuova
costituzione europea. Pochi istanti fa, la presidenza italiana ha reso noto che
non è stato raggiunto l’accordo sul sistema di voto in seno al consiglio. Da
Bruxelles, la nostra inviata Fausta Speranza:
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Non c’è accordo. Tutto è stato
rimandato al prossimo semestre di presidenza, che passa all’Irlanda. Per la
cronaca della mattinata: alle 11, si aspettava il testo che Berlusconi aveva
preannunciato a conclusione del giro di colloqui bilaterali ieri sera e questa
mattina. Ma il tutto è stato rimandato a fine mattinata. Si diceva che le
proposte con cui mezz’ora fa è entrato in plenaria Berlusconi fossero 3 o forse
anche 4. Ma nessuna ha funzionato. Secondo indiscrezioni di corridoio, Berlusconi
ha tentato anche di far approvare l’ipotesi di votare tutto tranne la questione
del voto, rimandandola. Ma ha trovato il fermo ‘no’ di Germania e Francia che
non potevano accettare un testo definito snaturato.
Il nodo è stato il sistema di voto a doppia maggioranza,
osteggiato da Spagna e Polonia per la paura dei Paesi piccoli di avere poca
influenza. Anche se appariva a tutti equilibrato avere un numero di voti
proporzionato al numero di abitanti. Una prima ipotesi di compromesso era stata
di assicurare la restrizione a 18 del numero di commissari solo a partire dal
2014. Poi, c’è stata anche quella di alzare le percentuali della doppia
maggioranza: 55 per cento degli Stati piuttosto che 50, e il 65 per cento della
popolazione piuttosto che il 60. E poi sembrava entrassero in ballo anche i
voti all’Europarlamento. Ma tutto ciò non ha alzato affatto le percentuali di
probabilità di successo. C’è da dire anche che, a sorpresa, l’Olanda ha gettato
sul tavolo della trattativa anche il Patto di stabilità e di
crescita che Prodi aveva assicurato sarebbe restato fuori dalla discussione
sulla Costituzione. Molta tensione e forti segni di
delusione si percepivano già da diverse ore nei corridoi del Palazzo del
Consiglio.
Unica nota positiva: è stato raggiunto
un accordo sulle sedi delle agenzie europee. L’agenzia alimentare viene
assegnata a Parma, così come richiesto dall'Italia.
Da Bruxelles, Fausta Speranza, Radio Vaticana.
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Ma come spiegare il fallimento del Vertice? Ascoltiamo lo storico
Giorgio Rumi, al microfono di Sergio Centofanti:
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R. – Probabilmente confluiscono vari fattori. Primo,
ancora una debolezza proprio dell’idea europea, non dell’idea sentimentale, ma
dell’appartenenza europea che dovrebbe indurre a superare gli ostacoli
particolari. Poi, probabilmente un dubbio sulla natura stessa dell’Europa, come
si vede dalle difficoltà di definire cosa sia l’Europa, quali siano gli
elementi, i collanti della medesima. E poi, probabilmente, anche delle angustie
particolari di alcuni uomini politici. Il timore che si formino dei direttorii,
dei primi della classe e ultimi della classe. Ci sono delle persistenze del
mondo vecchio che non si riesce a superare evidentemente.
D. – Quali le conseguenze di questo fallimento?
R. – Le conseguenze sono quelle di un rallentamento. Si
rallenta il processo di unità europea, che viene in pratica rinviato. Non penso
che sia una cosa drammatica, ma abbiamo la triste esperienza della Comunità
europea di difesa. Se si fosse fatta 50 anni fa, il mondo sarebbe diverso. Lo
so che lo storia non può funzionare con i se, però è stata una pausa da cui non
siamo ancora usciti. Quindi, ci sono delle pause che possono essere facilmente
superate e delle altre, purtroppo, più durature.
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VERTICE ONU SULL’INFORMAZIONE A GINEVRA:
PIANO
D’AZIONE PER COLMARE IL DIVARIO DIGITALE TRA NORD E SUD DEL MONDO
-
Intervista con l’arcivescovo John Foley -
Il 2015: questa la data fissata ieri a Ginevra, a
conclusione del primo vertice mondiale Onu sull’informazione, per colmare il
“divario digitale” tra il nord e il sud del Pianeta. Gli attuali strumenti di
comunicazione, dal telefono a internet, dovranno servire allo sviluppo di tutti
e non solo di una piccola minoranza: oggi i ricchi, pari al 16% della
popolazione mondiale, rappresentano il 70% degli internauti. 170 i Paesi che
hanno partecipato al vertice. Da Ginevra Mario Martelli.
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Il risultato non va molto oltre ad una estesa
dichiarazione di principi e ad un piano di azione che dovrebbe permettere l’accesso
alle tecnologie dell’informazione a più della metà degli abitanti della terra
solamente entro il 2015. Punti importanti chiariti, che erano fonte di timori,
hanno tuttavia trovato posto nel testo finale con l’evocazione chiara della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, quindi libertà di espressione,
indipendenza dei mezzi di informazione e diritti umani. Tra i problemi di
maggiore importanza si deve notare che, a parte la dichiarazione di principi,
sulla necessità di porre le tecnologie di informazione al servizio dello
sviluppo, non risultano chiari impegni finanziari oltre al rinvio di ulteriori
decisioni all’avvenire e al nuovo vertice fissato a Tunisi fra due anni.
Da
Ginevra Mario Martelli, per la Radio Vaticana
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Ha partecipato al vertice di Ginevra sull’informazione
anche l’arcivescovo John Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle
comunicazioni sociali. Giovanni Peduto gli ha chiesto di commentarne i
risultati.
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R. – E’ un risultato positivo. Abbiamo innanzitutto una
dichiarazione di principi, in cui si afferma che i mezzi di comunicazione non
devono promuovere odio razziale o etnico, promuovere pedofilia e non devono
trasmettere pornografia e violenza gratuita. Questo penso sia importante. Come
Santa Sede, abbiamo suggerito una dichiarazione comune in favore della pace.
Dobbiamo utilizzare i mezzi di comunicazione per la conoscenza degli altri, per
promuovere la pace e la giustizia in tutto il mondo, appoggiati dai mezzi di comunicazioni
sociali nel mondo: radio, televisione ed internet.
D. – Quali sono le prospettive del divario tecnologico nel
campo delle comunicazioni tra Paesi ricchi e poveri?
R. – Noi possiamo causare una divisione anche più grande,
se non facciamo qualcosa adesso per dare la possibilità anche ai Paesi in via
di sviluppo di partecipare a pieno diritto a questo nuovo mondo delle
comunicazioni. Dobbiamo evitare il “digital divide”.
D. – Il diritto all’informazione, secondo lei corre il
rischio di dipendere un po’ troppo dalle leggi del mercato?
R. – Sì, questo è vero. Per esempio, quando c’è una guerra
in Africa, non c’è una grande presenza dei mezzi di telecomunicazione tra i
Paesi ricchi. Questa è una tragedia enorme. Ma posso capire la situazione delle
reti che dipendono dall’audience. Penso che tramite i nostri mezzi di
comunicazione cattolici possiamo promuovere questa conoscenza del mondo che
soffre. Questo è un modo per comunicare i bisogni delle persone nel terzo
mondo.
D. – E’ stata rinviata al 2005 ogni decisione sul governo
di internet. Cosa dire?
R. – Il governo di internet è una cosa molto delicata.
Vorremmo che internet entrasse in ogni società. Ma alcune società sono
contrarie, come la Cina, come alcuni Paesi arabi. D’altra parte, non vorremmo
che internet venisse utilizzato in modo illecito. E’ una faccenda molto
delicata, per esempio, proteggere i diritti alla riservatezza, il diritto alla
privacy; ma nello stesso tempo occorre anche garantire l’accesso alle notizie.
Noi non possiamo censurare ciò che è
necessario per una buona informazione. Un mondo ben informato è alla
base di un mondo di pace.
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DOMANI
ELEZIONI A CIPRO NORD: QUASI UN REFERENDUM
SULLA
RIUNIFICAZIONE DELL’ISOLA DIVISA DA 30 ANNI
- Intervista con Antonio Ferrari -
Elezioni decisive domani
nella Repubblica turca di Cipro nord. Il voto per il rinnovo del
Parlamento dello Stato, riconosciuto solo da Ankara, avra' ripercussioni
determinanti per il processo di pace
nell'isola, divisa dal 1974 in una parte greca e in una turca. Sulla bilancia
del voto anche le prospettive della candidatura turca all'adesione alla Unione
Europea. Il servizio di Cesare Rizzoli.
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L’anno scorso è toccato ai 600 mila greco-ciprioti
rinnovare la presidenza della Repubblica con la scelta di un nuovo presidente,
Tasus Papadopolos,che ha portato la Repubblica nei mesi scorsi tra i nuovi
Paesi membri dell’Unione Europea. Domani tocca invece all’entità dei 180 mila
turco-ciprioti che da 30 anni vivono isolati nel territorio del Nord, occupato
dall’esercito turco.
L’entità turca si è autoproclamata indipendente e da 30
anni è governata dall’anziano presidente Rauf Denktash: 80 anni e malmesso in salute. Nei mesi scorsi Denktash
ha rifiutato di aderire insieme alla Repubblica cipriota all’Unione Europea. Questo
avrebbe significato un’apertura alla
comunità internazionale che non ha mai riconosciuto il mini Stato ed avrebbe
condotto alla riunificazione dell’isola, anche con larghe autonomie per
ciascuna delle due comunità. Ma avrebbe, soprattutto, segnato la fine del muro,
fatto di sabbia, di reticolati e di antiche rivalità, che da trent’anni
divide l’isola.
Alla vigilia del voto i sondaggi non favoriscono né
Denktash né il partito del figlio Serdar, che insieme raccoglierebbero il 20
per cento. L’opposizione dei cinque partiti minori parte in vantaggio e
promette in politica la ripresa della mediazione delle Nazioni Unite per
salvaguardare i diritti della minoranza ma che vuole uscire dall’enclave,
aderire all’Unione, scrollarsi l’occupazione militare turca e giungere ad un
livello di vita pari a quella degli altri compatrioti, i greco-ciprioti, al di
là del muro di divisione.
Per la Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.
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Sull’importanza di queste elezioni, Roberto Piermarini ha
sentito l’inviato del Corriere della Sera Antonio Ferrari.
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R. – Io più che di elezioni parlerei quasi di referendum:
perché la “Cipro-greca”, la Repubblica di Cipro - l’unica universalmente
riconosciuta - entrerà a far parte
dell’Unione Europea il primo di maggio, e la parte turco-cipriota con i suoi
141mila elettori e circa 270mila abitanti, si troverà fuori. Ora il governo
turco-cipriota di Denktash ha detto di essere contrario al piano dell’Onu, il
piano di Kofi Annan, e quindi non ritiene che si debba seguire in questa avventura
e a queste condizioni la parte greco-cipriota nell’Unione Europea.
L’opposizione invece vuole trovare un accordo con la parte greco-cipriota per
potere entrare insieme a lei – visto che c’è la possibilità – nell’Unione
Europea. Ecco perché sono elezioni non soltanto importanti ma addirittura
cruciali per l’opposizione: tra quelli che vogliono un accordo con l’Unione Europea
e con la parte greco-cipriota c’è mezzo mondo, dalle Nazioni Unite all’Europa,
dagli Stati Uniti fino a tutti coloro che credono che l’unica possibilità di
risolvere il problema sia appunto questa. Certo purtroppo le difficoltà, dovute
anche alla situazione regionale, sono tali che invece c’è il timore che cambi
ben poco e che Denktash possa vincere un’altra volta.
D. – Secondo alcuni sondaggi dovrebbero vincere le
opposizioni, ma il presidente Denktash è sicuro di vincere …
R. – Il discorso è molto semplice. Se votassero soltanto
gli autoctoni, cioé i turco-ciprioti, quelli nati a Cipro, di etnia e di
cultura turca, ma nati e residenti a Cipro, credo che non ci sarebbero dubbi,
le opposizioni avrebbero già stravinto le elezioni ancora prima di presentarsi
alle urne. Però c’è un problema: voteranno anche i coloni turchi che sono stati
mandati dalla Turchia dentro Cipro e voteranno anche i soldati turchi di
occupazione, che sono circa 35mila. Ora immaginate: 141mila elettori in tutto,
con 35mila soldati turchi che chiaramente seguiranno quelle che sono le linee
del governo turco ed lì che è il rischio che la bilancia continui a favorire la
parte di Denk-tash. Ecco perché c’è il rischio di un’elezione un po’
particolare dove la libertà degli autoctoni di esprimere quello che è il loro
desiderio politico, potrebbe essere addirittura umiliata.
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MODESTI
RISULTATI ALLA CONFERENZA ONU
SUI MUTAMENTI CLIMATICI CONCLUSASI
IERI A MILANO
- Ai
nostri microfoni Daniele Meregalli -
E’ mancata la firma della Russia e ancora non si
intravedono segnali dalla Cina e dall’India, ma almeno il Trattato di Kyoto
sulla riduzione dei gas serra è salvo. Con questo modesto risultato si è
conclusa a Milano Cop9, l’Assemblea delle Nazioni Unite sui mutamenti
climatici. Moderata soddisfazione da parte delle associazioni ambientaliste
presenti alla Conferenza con oltre 230 delegati che si sono dovuti accontentare
della salvaguardia del Trattato di Kyoto . Ma sentiamo i dettagli nel servizio
di Fabio Brenna:
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I 150 Paesi firmatari del Trattato di Kyoto, che
stabilisce limiti precisi all’emissione di gas-serra per le singole Nazioni,
hanno limitato i tentativi di boicottare il Trattato, rilanciando il metodo
della multilateralità. Con questo metodo sono state fissate regole per quanto
riguarda i progetti di riforestazione destinati ad assorbire anidride
carbonica. Daniele Meregalli, responsabile al Cop9 del Wwf-Italia:
“Anche le foreste vengono conteggiate assieme ad altri
strumenti come misura per la riduzione delle emissioni. Noi, su questo, abbiamo
fatto partire un allarme perché queste foreste possono essere anche piantagioni
commerciali su larga scala, possono essere foreste ogm, cioè geneticamente
modificate, possono essere infestanti, non autoctone …”.
Se l’Italia ha aumentato dal 1990 le emissioni di anidride
carbonica del 7,3 per cento invece di diminuirle del 6,5 per cento, come le
sarebbe imposto dal Trattato di Kyoto, è segno che iniziative concrete per la
riduzione delle emissioni nocive devono partire dal basso, incrementando le
tecnologie a basso assorbimento di energia e limitando il trasporto su gomma.
Una iniziativa lanciata da associazioni ambientaliste e di consumatori mira, ad
esempio, ad evitare di spargere nell’ambiente tre milioni di tonnellate di CO
semplicemente sostituendo le lampadine convenzionali con altre, a basso consumo.
Da Milano, per la Radio Vaticana, Fabio Brenna.
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13
dicembre 2003
RICONOSCERE LE RESPONSABILITA’
DELLA CHIESA ORTODOSSA
DURANTE GLI ANNI DEL COMUNISMO
SOVIETICO:
COSI’, IL PATRIARCA ALESSIO II IN
UN MESSAGGIO
AL METROPOLITA LAVR, GUIDA DEGLI
ORTODOSSI RUSSI DELLA DIASPORA
MOSCA.=
L’intera Chiesa ortodossa russa porta la “responsabilità” per quanto è accaduto
all’“amata nazione” durante l'epoca del “comunismo senza Dio”. Sono le
significative parole del patriarca Alessio II contenute in un messaggio al metropolita
Lavr, capo della Chiesa ortodossa russa all’estero, atteso per una visita a
Mosca all'inizio di gennaio. Il patriarca porge le proprie scuse per “tutte le
parole e azioni che non hanno facilitato l'avvicinamento” tra le due Chiese.
“Nell'esaminare le cause del collasso della vecchia Russia - si legge nel messaggio
- noi ci rendiamo conto che l'intera Chiesa russa porta il fardello di
responsabilità per ciò che è accaduto al nostro amato Paese e al nostro popolo”
che, constata, “non possedeva un'immunità sufficientemente forte contro le
perniciose pseudo-dottrine senza Dio”. Il patriarca afferma inoltre che i
fedeli delle due Chiese hanno “dovuto vivere in un mondo diviso dalla Cortina
di ferro, su parti opposte ed ognuno di
noi è stato sottoposto, in un modo o nell'altro, all'influenza interessata di
sistemi politici contrapposti”. Ma oggi, prosegue Alessio II, le cose sono cambiate
e “la persistente divisione sta diventando sempre più inspiegabile per il nostro
popolo”. La Chiesa, conclude il messaggio, “deve allora dare alla Russia un
nuovo esempio di unità e capacità di superamento dei disaccordi”. (A.G.)
GLI SCOUT DIFFONDONO LA “LUCE DELLA PACE” DELLA
GROTTA DI BETLEMME.
DA
OGGI POMERIGGIO, LA CONSEGNA DELLE FIAMMELLE NELLE PARROCHIE ROMANE.
MERCOLEDI’
PROSSIMO, L’INCONTRO DEGLI SCOUT CON IL SANTO PADRE
-
A cura di padre Federico Lombardi -
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ROMA.=
Oggi, alle 14.30 un gruppetto di giovani scout arrivano alla Stazione Termini
da Trieste portando “la luce della pace”, una fiammella accesa nella Chiesa
della Natività a Betlemme, dove arde perennemente una lampada alimentata
dall’olio donato da tutti i Paesi cristiani del mondo. Saranno accolti dagli
scout romani, che da oggi e nei prossimi giorni consegneranno fiammelle, simbolo
di pace, in numerose istituzioni luoghi e parrocchie della capitale, in
particolare in Campidoglio lunedì 15 e al Papa, nella Udienza generale di
mercoledì 17, dove gli scout presenti saranno oltre 1900. La diffusione della
“luce della pace” è una iniziativa nata in Austria nel 1986, nel quadro di una
azione di solidarietà promossa dalla Radiotelevisione nazionale austriaca: è
appunto un bambino austriaco che si reca a Betlemme ad attingere la luce nella
grotta dove nacque Gesù, per portarla in patria, e qui – con la collaborazione
delle ferrovie nazionali, che portano i bimbi nelle diverse stazioni –
diffonderla in tutto il Paese. Gli scout italiani hanno a loro volta da diversi
anni raccolto l’iniziativa dei loro fratelli austriaci e – con la
collaborazione delle Ferrovie dello Stato – fra il 13 e il 14 dicembre portano
la “luce della pace” lungo tutta la penisola, a partire da Trieste fino a Torino,
Palermo, Cagliari e Lecce e di qui poi in molte altre città, dove si vanno moltiplicando
le iniziative di solidarietà e di incontro intorno a questo simbolo piccolo, ma
altamente significativo. Quest’anno, con la presentazione della luce al Papa in
occasione del 25.mo di Pontificato, la “luce della pace” raggiunge un nuovo
traguardo nella diffusione del suo messaggio.
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IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA SCUOLA
NELL’ITALIA CHE CAMBIA
AL CENTRO DEL MESSAGGIO SULL’INSEGNAMENTO
DELLA RELIGIONE CATTOLICA,
PUBBLICATO
DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
ROMA.= “Abbiamo bisogno di trovare nuove
ragioni di vita, alle quali la scuola può dare un contributo singolare”. E’
quanto sottolinea il messaggio sull’insegnamento della religione cattolica,
pubblicato dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana. Le attese e le speranze di ieri e di oggi,
prosegue, “sono invito pressante perché Gesù e il suo messaggio di salvezza
siano annunciati all’umanità intera”. Il documento della Cei ribadisce poi che
“il Crocifisso pone in evidenza proprio questa prospettiva: per i credenti esso
è il segno più grande ed eloquente dell’amore che Dio Padre ha manifestato nel
suo Figlio fatto uomo; per i credenti di altri religioni e per i non credenti
esso è una espressione viva e alta del dono di sé e del perdono”. Il messaggio
si sofferma sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola, scelta
oggi dal 92 per cento degli studenti italiani. Questa, afferma, “ha lo scopo di
favorire la conoscenza e il confronto con il cristianesimo”. Intende aiutare i
cristiani, i cattolici in particolare, “ad approfondire la loro appartenenza
religiosa”. Tuttavia, si rivolge a quanti cristiani non sono, invitandoli “a
confrontarsi lealmente con la religione che ha contribuito in maniera
significativa a dare all’Italia un volto e un’identità”. I cambiamenti in atto
nel nostro Paese, si legge, “non ridimensionano la validità di tale
insegnamento, ma richiedono piuttosto che esso venga svolto in maniera ancora
più partecipata e coinvolgente”. Nessun alunno e nessuna famiglia, avverte la
Cei, “dovrebbero privarsene a cuor leggero”. D’altro canto, affinché
l’insegnamento della religione cattolica sia parte viva della scuola e della
sua proposta educativa, la comunità ecclesiale riafferma il suo impegno ad
essere presente nella scuola per “servire la vocazione trascendente della
persona e il suo anelito di libertà, di giustizia e di pace”. (A.G.)
CRESCE
L’EMOZIONE A VENEZIA PER L’INAUGURAZIONE, DOMANI SERA,
DEL TEATRO LA FENICE, DISTRUTTO OTTO
ANNI FA DA UN TERRIBILE INCENDIO
- A
cura di Alessandro Gisotti -
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VENEZIA.= Una città intera
aspetta trepidante la rinascita di uno dei suoi simboli più cari. Venezia
attende così, tra emozione ed orgoglio, la riapertura dello storico teatro “La
Fenice”, devastato otto anni fa da uno spaventoso incendio. Riportato
all’antico splendore, attraverso un lavoro certosino, il teatro inaugurato nel
1792 con un’opera di Giovanni Paisiello non è solo un tempio della musica, ma
anche un testimone d’eccezione della storia di un popolo. Di qui, lo
straordinario significato delle note dell’Inno di Mameli, che domani sera
torneranno a risuonare nella grande sala della rinata “Fenice”. Alla presenza
del presidente Ciampi, il maestro Riccardo Muti, che proprio su questo
palcoscenico debuttò 33 anni fa, dirigerà l’orchestra della “Fenice” nel
concerto di inaugurazione. Dopo Fratelli d’Italia, verrà eseguito il
brano di Beethoven “La consacrazione della casa” e componimenti di Stravinskij,
Caldara e Wagner. Ieri, alle prove generali, di fronte alle donne e gli uomini
che hanno contribuito alla ricostruzione, Muti ha parlato di “momento magico”.
Per festeggiare l’evento, la prossima settimana offrirà dunque un programma di
serate che già si preannunciano indimenticabili. Alla “Fenice”, suonerà
l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, i Wiener Philharmoniker e l’orchestra
filarmonica di San Pietroburgo. Il 19 dicembre, poi, canterà Elton John. Come a
dire, la musica di ieri e di oggi rende omaggio alla “casa ritrovata”.
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A GENNAIO, NELL’IRLANDA DEL NORD, L’INAUGURAZIONE
DEL NUOVO
MONASTERO BENEDETTINO DI ROSTREVOR
ALL’INSEGNA DELLA
RICONCILIAZIONE TRA CATTOLICI E PROTESTANTI
BELFAST.=
Un segno di riconciliazione tra cattolici e protestanti: a gennaio, in
coincidenza con la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, verrà
inaugurato il nuovo monastero benedettino di Rostrevor, nella contea
nord-irlandese di Down. Ci saranno cinque monaci, quattro francesi e uno da
Belfast. Mons. John McAreavey, vescovo di Dromore, diocesi in cui si trova il
convento, ha dichiarato a “The Belfast Telegraph” che “questa presenza
monastica è un dono di Dio per noi. Ci arricchisce con le tipiche tradizioni di
contemplazione, approfondimento delle Scritture, liturgie di preghiera, impegno
per l’ecumenismo e l’impegno per la riconciliazione. Ho fiducia - ha concluso -
che questa comunità, radicata nella diocesi di Dromore, potrà crescere e
portare frutti abbondanti”. Il nuovo monastero avrà degli spazi per
l’accoglienza dei pellegrini e per ritiri, potendo ospitare fino a cento
persone. I cinque religiosi hanno registrato un Cd con 21 canzoni in
gregoriano, intitolato “Peace Upon You” (“La pace sia con voi”), prodotto in cinquemila
copie, di cui oltre mille già vendute. Il ricavato è destinato a coprire le
spese di ristrutturazione del monastero. (A.G.)
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13
dicembre 2003
- A cura di Dorotea Gambardella -
Si aprono domani a Kabul, in
Afghanistan, i lavori della Loya Jirga, l’assemblea tradizionale afgana
composta da circa 500 delegati di tutte le province del Paese con il compito di
approvare la bozza di Costituzione presentata il 3 novembre dalla Commissione
costituente, al presidente ad interim Hamid Karzai. Ma quali ostacoli si
frappongono al varo di questa carta costituzionale? Roberto Piermarini lo ha
chiesto a Fulvio Scaglione, più volte inviato in Afghanistan dal settimanale
“Famiglia cristiana”.
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R. – Io credo che le eventuali
difficoltà per la Loya Jirga possano venire non solo da divergenze di opinione,
ma anche dalla situazione interna, che come ben vediamo, giorno dopo giorno,
non si è affatto normalizzata e presenta, al contrario, tratti inquietanti.
Abbiamo visto nelle scorse ore questa specie di sfida che Hekmatyar ha lanciato
agli americani e in generale alle truppe Nato operanti in Afghanistan. Sappiamo
quali difficoltà stanno incontrando le truppe statunitensi nelle loro
operazioni di rastrellamento anti-talebano nell’area sud orientale del Paese,
dove in pochi giorni sono stati uccisi circa venti bambini e lo stesso
portavoce delle truppe Usa ha dovuto ammettere che gli americani non sono quasi
neanche entrati in contatto con il nemico. Ecco, io credo che questa posizione
possa gravare pesantemente sui lavori dalla Loya Jirga.
D. – La nuova Costituzione può
garantire la pace in questo martoriato Paese afghano?
R. – Non lo so. Io non ho molta
fiducia che un testo costituzionale - in qualche modo un po’ astratto rispetto
alla situazione sul terreno -, possa fare miracoli. Può servire, può essere
utile, può essere certamente una base per un lavoro di riconciliazione
nazionale. E’ un po’ quello che si può dire forse anche per l’Iraq: c’è
innanzitutto un problema da risolvere: che sono state fatte delle guerre, sono
stati occupati dei territori ma non si sono risolti tutti i problemi che erano
alla radice delle crisi.
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In Lituania è stato raggiunto un numero sufficiente di
firme per far scattare la procedura per la messa in stato d’accusa del
presidente della repubblica Rolandas Paksas, a causa dei suoi presunti legami
con la mafia russa. Paksas continua a negare ogni addebito nonostante una commissione
d’inchiesta abbia raccolto pesanti prove di contatti tra alcuni suoi
collaboratori ed esponenti della malavita organizzata russa. Ma sono possibili
le dimissioni di Paksas richieste dalla piazza, prima della procedura
d’impeachment? Ci risponde Audrone Strimaityte, dell’Agenzia Baltica
d’Informazione, raggiunta telefonicamente a Vilnius:
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R. – La possibilità c’è. Però il presidente, sin
dall’inizio dello scandalo, ha sempre ripetuto che non è colpevole, che non ha
firmato nessun decreto e nessuna legge contro lo Stato. Circolano voci che,
vista la situazione, sarebbe meglio che lo facesse. Il presidente del
Parlamento ed anche i capi della Chiesa hanno sostenuto, qualche giorno fa, che
il miglior regalo per il popolo lituano sarebbe quello delle dimissioni del
presidente.
D. – L’uscita di scena di Paksas, le sue dimissioni,
possono essere un elemento positivo per l’ingresso della Lituania nell’Unione
Europea?
R. – Questo scandalo viene considerato un problema di
politica interna e quindi non può e non dovrebbe influenzare l’ingresso del
nostro Paese nell’Unione Europea o nella Nato.
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All’alba di oggi, una
studentessa palestinese di 20 anni, madre di due bambini, è stata uccisa da
colpi d'arma da fuoco sparati da soldati israeliani, mentre si recava all'università di Nablus, in
Cisgiordania. Intanto a Tel Aviv, è stato revocato lo stato di massima allerta
proclamato ieri dalle forze di sicurezza. Lo ha riferito la radio nazionale,
precisando che l’allarme resta in vigore nel nord della regione di Sharon. Sul
fronte dei negoziati, il premier palestinese Abu Ala ha incontrato questa
mattina, a Ramallah, l'inviato Usa David Sutterfield. Nessuna indiscrezione è
trapelata sul contenuto dei colloqui. Firmata, inoltre, ieri sera dal presidente
americano Gorge W. Bush, la legge sulle sanzioni alla Siria, se le autorità di
Damasco non si attiveranno per combattere il terrorismo nel Medio Oriente e in
Iraq. A tal fine, Bush ha chiesto ancora una volta ad Israele di astenersi da
azioni che ostacolano la creazione di uno stato palestinese.
Un iracheno è stato ucciso e un
altro è stato fatto prigioniero questa mattina all'alba dai soldati americani, in seguito a uno
scontro a fuoco nelle strade di Tikrit, città natale dell'ex presidente Saddam
Hussein. Lo hanno reso noto fonti militari statunitensi. Intanto dalla Georgia è arrivato l’annuncio dell’invio in
Iraq di altri 500 soldati entro l’estate. Sul fronte degli accordi per la
ricostruzione nel Paese, la Russia ha ribadito oggi la sua protesta nei
confronti della decisione Usa di escludere dai lavori le imprese delle nazioni
contrarie alla guerra. Per Mosca – si
legge in una dichiarazione del viceministro degli esteri Iuri Fedotov, diffusa
questa mattina - la posizione di Washington rischia di avere “conseguenze serie
e negative e pone dubbi sulla reale volontà statunitense di collaborare con la
comunità internazionale per un'equa soluzione in Iraq”.
Una persona è morta
e altre tre sono rimaste ferite ieri nella capitale di Haiti, Port au Prince,
durante una protesta contro il presidente Aristide. Secondo testimoni oculari,
tra le file dei sostenitori di Aristide, sono stati reclutati anche dei
bambini.
L'Iran firmerà nei
prossimi giorni il protocollo al Trattato di non proliferazione nucleare che
regolamenta l’attività atomica e impone controlli per accertarne la non
pericolosità. Lo ha riferito oggi alla stampa il ministro degli esteri Kamal Kharrazi.
In seguito ai
numerosi scandali per corruzione all'interno dell'esecutivo, il presidente del
Perù, Alejandro Toledo, ha chiesto le dimissioni dei massimi rappresentanti del
governo.
La necessità di
promuovere le relazioni tra Iran ed Egitto - interrotte a causa della
Rivoluzione islamica – nonostante le divergenze. E’ quanto emerso dall'incontro
avvenuto a Ginevra fra i presidenti dei rispettivi Paesi, Khatami e Mubarak.
L’esercito
della Costa d’Avorio ha deciso di rinviare la smobilitazione dalla linea del
cessate-il-fuoco, che taglia in due il Paese. “Non ci sono abbastanza fondi per
un disarmo ufficiale - ha detto ieri il colonnello Jules Yao Yao - perciò
daremo inizio a una smobilitazione informale”: una ritirata contenuta delle
truppe dispiegate lungo la zona smilitarizzata, che divide la zona controllata
dai militari della capitale Abidjan dal centro-nord del Paese, occupato dalle
“Forze Nuove”, la coalizione dei tre movimenti ex-ribelli. Nei giorni scorsi il
presidente Gbagbo aveva annunciato l’inizio del disarmo per il prossimo 15
dicembre. Una data che sembra però destinata a slittare, anche a causa degli
scontri avvenuti nella notte tra giovedì e venerdì ad Abidjan, dove un attacco
alla sede della radio-televisione nazionale ha provocato 19 vittime.
L'ambasciata
americana a Bogotà, nel timore di attentati terroristici, ha proclamato lo
stato d’allerta, invitando i cittadini statunitensi ad evitare luoghi
affollati. Il monito della sede diplomatica segue le minacce delle truppe
rivoluzionarie della Colombia, che il 29 novembre avevano parlato del personale
militare americano come di un loro possibile bersaglio, visto il sostegno
militare degli Stati Uniti alle forze armate colombiane.
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