RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 347 - Testo della Trasmissione di sabato 13 dicembre 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

In udienza dal Papa, nella sala Clementina, oltre 400 pellegrini,  che a vario titolo sono giunti in Vaticano per rendere omaggio al Santo Padre

 

Martedì prossimo, il Papa presiederà nella Basilica vaticana le esequie del cardinale Paulos Tzadua, deceduto giovedì scorso

 

Tradizionale concerto di Natale questa sera in Vaticano per raccogliere fondi per la costruzione di nuove chiese nelle periferie di Roma: intervista con il cantante algerino Khaled.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Fallito il Vertice europeo di Bruxelles: il commento dello storico Giorgio Rumi

 

Vertice Onu sull’informazione a Ginevra: piano d’azione per colmare il divario digitale tra nord e sud del mondo. Con noi l’arcivescovo John Foley

 

Domani elezioni a Cipro nord: quasi un referendum sulla riunificazione dell’isola divisa da 30 anni. Ce ne parla Antonio Ferrari

 

Modesti risultati alla Conferenza Onu sui mutamenti climatici conclusasi ieri a Milano: ai nostri microfoni Daniele Meregalli.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Riconoscere le responsabilità della Chiesa ortodossa durante gli anni del comunismo sovietico: così, il patriarca Alessio II in un messaggio al metropolita Lavr, guida degli ortodossi russi della diaspora

 

Oggi, alle 14.30 un gruppetto di giovani scout arrivano alla stazione Termini da Trieste portando “la luce della pace”, una fiammella accesa nella chiesa della Natività a Betlemme

 

Il ruolo fondamentale della scuola nell’Italia che cambia al centro del messaggio sull’insegnamento della religione cattolica, pubblicato dalla Conferenza episcopale italiana

 

Cresce l’emozione a Venezia per l’inaugurazione, domani sera, del teatro La Fenice, distrutto otto anni fa da un terribile incendio

 

A gennaio, nell’Irlanda del nord, l’inaugurazione del nuovo monastero benedettino di Rostrevor all’insegna della riconciliazione tra cattolici e protestanti
 

24 ORE NEL MONDO:  

 Al via da domani a Kabul i lavori dell’assemblea Loya Jirga che dovrà approvare la bozza di costituzione afgana

 

E’ prossima l’incriminazione del presidente della Lituania Paksas, accusato di connivenza con la mafia russa.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

13 dicembre 2003

 

 

 

IN UDIENZA DAL PAPA, NELLA SALA CLEMENTINA, OLTRE 400 PELLEGRINI,

 CHE A VARIO TITOLO SONO GIUNTI IN VATICANO

PER RENDERE OMAGGIO AL SANTO PADRE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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“L’Europa culla dello sport moderno, che discende dagli antichi Greci, fondato sul “reciproco rispetto ed amicizia”: lo ha ricordato Giovanni Paolo II rivolto ai  270 partecipanti all’Assemblea dei 49 Comitati olimpici europei, riunita ieri ed oggi a Roma, accompagnati dal Presidente Mario Pescante.

 

“Il noto motto delle Olimpiadi moderne ‘Citius, Altius, Fortius’ continui ad improntare la pratica sportiva delle nuove generazioni”.

 

Un saluto poi ai due gruppi, una quarantina di persone, dell’Associazione italiana ottici e dell’Associazione italiana per la ricerca delle malattie oculari. Che la vostra patrona, Santa Lucia, che si festeggia oggi – li ha incoraggiati il Papa – sostenga il vostro “grande impegno” verso coloro che hanno problemi di vista.

 

“Si tratta di un importante servizio che rendete alla società”.

 

Infine un pensiero rivolto ad un centinaio di pellegrini del gruppo di distribuzione commerciale Interdis. Il Santo Padre li ha ringraziati per “il generoso sostegno” dato alle sue “iniziative di carità” “in favore dei più bisognosi”

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MARTEDI’ PROSSIMO, IL PAPA PRESIEDERA’ NELLA BASILICA VATICANA

LE ESEQUIE DEL CARDINALE PAULOS TZADUA,

ARCIVESCOVO EMERITO DI ADDIS ABEBA

 

Giovanni Paolo II presiederà, martedì prossimo – a partire dalle ore 11 – all’Altare della Confessione della Basilica Vaticana, le esequie del cardinale Paulos Tzadua, arcivescovo emerito di Addis Abeba, deceduto giovedì scorso. Il Papa terrà l’omelia e il rito dell'Ultima Commendatio e della Valedictio. La Santa Messa sarà celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger, Decano del collegio cardinalizio.

 

 

ALTRE UDIENZE

 

Nel corso della mattinata il Papa ha ricevuto anche l’arcivescovo Dominique Mamberti, nunzio apostolico in Sudan e delegato apostolico in Somalia, alcuni vescovi del Sudan in visita ad Limina e il cardinale  Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

 

TRADIZIONALE CONCERTO DI NATALE QUESTA SERA IN VATICANO

PER RACCOGLIERE FONDI PER LA COSTRUZIONE DI NUOVE CHIESE

NELLE PERIFERIE DI ROMA

- Intervista con il cantante algerino Khaled -

 

Appuntamento questa stasera in Vaticano alle 18,00 per il tradizionale Concerto di Natale giunto quest’anno alla undicesima edizione. Molte le star della musica internazionale che si esibiranno in Aula Paolo VI, per una serata interamente dedicata alla raccolta di fondi destinati alla costruzione di chiese nei nuovi quartieri di Roma. Una iniziativa promossa dal Vicariato di Roma e che in 11 anni ha portato alla costruzione di 39 parrocchie. A dirigere l’orchestra sinfonica sarà come sempre il maestro Renato Serio.  La serata sarà trasmessa su canale 5 alla vigilia di Natale. Ce ne parla Benedetta Capelli:

 

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(musica)

 

Un serata che si ripete da 11 anni, uguale nelle emozioni che suscita ma sempre diversa nella sua realizzazione. Stesso palcoscenico – l’Aula Paolo VI – ma protagonisti che cambiano ogni volta: nomi noti della musica internazionale e italiana, personaggi famosi che offrono il loro canto ad una nobile causa. Quest’anno saranno dodici gli artisti, tre cori e una orchestra sinfonica. Tra le personalità di spicco troviamo il re della musica black, Solomon Burke; una grande voce nera, Randy Crawford; e poi Key Joyce, Ronan Keating e Natalia Kukulska, prima cantante polacca a partecipare a questo concerto.

 

Ogni artista eseguirà due brani – uno natalizio ed uno del proprio repertorio – anche se non mancheranno duetti inediti. Particolarmente attesa la performance di Khaled, l’artista algerino di fede islamica. La sua partecipazione è segno di un rinnovato invito al dialogo tra religioni diverse, la sua arte veicolo di speranza.

 

(musica)

 

R. – MA RELIGION ...

“Tutte le religioni vengono da una stessa entità che è Dio: non c’è razzismo in nessuna di essa. La religione è fatta per rendere saggio l’essere umano. Questo momento difficile per tutto il mondo di guerra, di violenza non ha nulla a che vedere con la fede e con il suo messaggio. Gli episodi terribili, avvenuti in Iraq, sono estranei sia alla religione musulmana sia a quella cristiana. Non bisogna identificare il messaggio dell’Islam con il terrorismo. L’integralismo è una forma di fanatismo come tante altre. La musica è, invece, un veicolo di pace, di tolleranza. Noi vogliamo rimanere liberi di fare la nostra musica, vogliamo crescere i nostri figli in un mondo più giusto”.

 

(musica)

 

Grandi nomi anche della musica italiana come Gianni Morandi, che canterà “Il mio amico”, brano nato in occasione dell’Anno del Disabile. Il tenore Alessandro Safina, Sergio Cammerieri e Gigi d’Alessio. Una serata in cui la musica si offre alla beneficenza.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

La prima pagina si apre con la situazione in Iraq, riguardo alla quale si sottolinea che non si ferma lo spargimento di sangue con i continui attacchi ed imboscate. 

 

Nelle vaticane, in occasione dell’udienza a diversi gruppi di pellegrini, il Papa, nell’avvicinarsi del Natale, ha assicurato per ciascuno un ricordo nella preghiera.

Una pagina dedicata alle Lettere pastorali dei vescovi italiani.

 

Nelle estere, l’intervento della Santa Sede - a Ginevra - sul ruolo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione nella promozione dello sviluppo e dei diritti umani.

UE: l’Europa non trova l’accordo a Bruxelles.

 

Nella pagina culturale, per la rubrica “Oggi” una riflessione di Gaetano Vallini dal titolo “Quanto vale l'uomo?”: la sconcertante vicenda del malato scomparso da giorni, trovato morto all’interno di un ospedale romano.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi della finanziaria e delle pensioni.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

13 dicembre 2003

 

 

FALLITO IL VERTICE DI BRUXELLES SULLA COSTITUZIONE EUROPEA.

NESSUN ACCORDO SUL SISTEMA DI VOTO. LA DISCUSSIONE VIENE

RIMANDATA AL SEMESTRE DI PRESIDENZA IRLANDESE 

- Con noi, il prof. Giorgio Rumi -

 

 

Delusione a Bruxelles per il fallimento del vertice che avrebbe dovuto sancire l’approvazione della nuova costituzione europea. Pochi istanti fa, la presidenza italiana ha reso noto che non è stato raggiunto l’accordo sul sistema di voto in seno al consiglio. Da Bruxelles, la nostra inviata Fausta Speranza:

 

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Non c’è accordo. Tutto è stato rimandato al prossimo semestre di presidenza, che passa all’Irlanda. Per la cronaca della mattinata: alle 11, si aspettava il testo che Berlusconi aveva preannunciato a conclusione del giro di colloqui bilaterali ieri sera e questa mattina. Ma il tutto è stato rimandato a fine mattinata. Si diceva che le proposte con cui mezz’ora fa è entrato in plenaria Berlusconi fossero 3 o forse anche 4. Ma nessuna ha funzionato. Secondo indiscrezioni di corridoio, Berlusconi ha tentato anche di far approvare l’ipotesi di votare tutto tranne la questione del voto, rimandandola. Ma ha trovato il fermo ‘no’ di Germania e Francia che non potevano accettare un testo definito snaturato.

 

Il nodo è stato il sistema di voto a doppia maggioranza, osteggiato da Spagna e Polonia per la paura dei Paesi piccoli di avere poca influenza. Anche se appariva a tutti equilibrato avere un numero di voti proporzionato al numero di abitanti. Una prima ipotesi di compromesso era stata di assicurare la restrizione a 18 del numero di commissari solo a partire dal 2014. Poi, c’è stata anche quella di alzare le percentuali della doppia maggioranza: 55 per cento degli Stati piuttosto che 50, e il 65 per cento della popolazione piuttosto che il 60. E poi sembrava entrassero in ballo anche i voti all’Europarlamento. Ma tutto ciò non ha alzato affatto le percentuali di probabilità di successo. C’è da dire anche che, a sorpresa, l’Olanda ha gettato sul tavolo della trattativa anche il Patto di stabilità e di crescita che Prodi aveva assicurato sarebbe restato fuori dalla discussione sulla Costituzione. Molta tensione e forti segni di delusione si percepivano già da diverse ore nei corridoi del Palazzo del Consiglio.

Unica nota positiva: è stato raggiunto un accordo sulle sedi delle agenzie europee. L’agenzia alimentare viene assegnata a Parma, così come richiesto dall'Italia.

Da Bruxelles, Fausta Speranza, Radio Vaticana.

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Ma come spiegare il fallimento del Vertice? Ascoltiamo lo storico Giorgio Rumi, al microfono di Sergio Centofanti:

 

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R. – Probabilmente confluiscono vari fattori. Primo, ancora una debolezza proprio dell’idea europea, non dell’idea sentimentale, ma dell’appartenenza europea che dovrebbe indurre a superare gli ostacoli particolari. Poi, probabilmente un dubbio sulla natura stessa dell’Europa, come si vede dalle difficoltà di definire cosa sia l’Europa, quali siano gli elementi, i collanti della medesima. E poi, probabilmente, anche delle angustie particolari di alcuni uomini politici. Il timore che si formino dei direttorii, dei primi della classe e ultimi della classe. Ci sono delle persistenze del mondo vecchio che non si riesce a superare evidentemente.

 

D. – Quali le conseguenze di questo fallimento?

 

R. – Le conseguenze sono quelle di un rallentamento. Si rallenta il processo di unità europea, che viene in pratica rinviato. Non penso che sia una cosa drammatica, ma abbiamo la triste esperienza della Comunità europea di difesa. Se si fosse fatta 50 anni fa, il mondo sarebbe diverso. Lo so che lo storia non può funzionare con i se, però è stata una pausa da cui non siamo ancora usciti. Quindi, ci sono delle pause che possono essere facilmente superate e delle altre, purtroppo, più durature.

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VERTICE ONU SULL’INFORMAZIONE A GINEVRA:

PIANO D’AZIONE PER COLMARE IL DIVARIO DIGITALE TRA NORD E SUD DEL MONDO

- Intervista con l’arcivescovo John Foley -

 

Il 2015: questa la data fissata ieri a Ginevra, a conclusione del primo vertice mondiale Onu sull’informazione, per colmare il “divario digitale” tra il nord e il sud del Pianeta. Gli attuali strumenti di comunicazione, dal telefono a internet, dovranno servire allo sviluppo di tutti e non solo di una piccola minoranza: oggi i ricchi, pari al 16% della popolazione mondiale, rappresentano il 70% degli internauti. 170 i Paesi che hanno partecipato al vertice. Da Ginevra Mario Martelli.

 

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Il risultato non va molto oltre ad una estesa dichiarazione di principi e ad un piano di azione che dovrebbe permettere l’accesso alle tecnologie dell’informazione a più della metà degli abitanti della terra solamente entro il 2015. Punti importanti chiariti, che erano fonte di timori, hanno tuttavia trovato posto nel testo finale con l’evocazione chiara della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, quindi libertà di espressione, indipendenza dei mezzi di informazione e diritti umani. Tra i problemi di maggiore importanza si deve notare che, a parte la dichiarazione di principi, sulla necessità di porre le tecnologie di informazione al servizio dello sviluppo, non risultano chiari impegni finanziari oltre al rinvio di ulteriori decisioni all’avvenire e al nuovo vertice fissato a Tunisi fra due anni.

 

Da Ginevra Mario Martelli, per la Radio Vaticana

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Ha partecipato al vertice di Ginevra sull’informazione anche l’arcivescovo John Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. Giovanni Peduto gli ha chiesto di commentarne i risultati.

 

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R. – E’ un risultato positivo. Abbiamo innanzitutto una dichiarazione di principi, in cui si afferma che i mezzi di comunicazione non devono promuovere odio razziale o etnico, promuovere pedofilia e non devono trasmettere pornografia e violenza gratuita. Questo penso sia importante. Come Santa Sede, abbiamo suggerito una dichiarazione comune in favore della pace. Dobbiamo utilizzare i mezzi di comunicazione per la conoscenza degli altri, per promuovere la pace e la giustizia in tutto il mondo, appoggiati dai mezzi di comunicazioni sociali nel mondo: radio, televisione ed internet.

 

D. – Quali sono le prospettive del divario tecnologico nel campo delle comunicazioni tra Paesi ricchi e poveri?

 

R. – Noi possiamo causare una divisione anche più grande, se non facciamo qualcosa adesso per dare la possibilità anche ai Paesi in via di sviluppo di partecipare a pieno diritto a questo nuovo mondo delle comunicazioni. Dobbiamo evitare il “digital divide”.

 

D. – Il diritto all’informazione, secondo lei corre il rischio di dipendere un po’ troppo dalle leggi del mercato?

 

R. – Sì, questo è vero. Per esempio, quando c’è una guerra in Africa, non c’è una grande presenza dei mezzi di telecomunicazione tra i Paesi ricchi. Questa è una tragedia enorme. Ma posso capire la situazione delle reti che dipendono dall’audience. Penso che tramite i nostri mezzi di comunicazione cattolici possiamo promuovere questa conoscenza del mondo che soffre. Questo è un modo per comunicare i bisogni delle persone nel terzo mondo.

 

D. – E’ stata rinviata al 2005 ogni decisione sul governo di internet. Cosa dire?

 

R. – Il governo di internet è una cosa molto delicata. Vorremmo che internet entrasse in ogni società. Ma alcune società sono contrarie, come la Cina, come alcuni Paesi arabi. D’altra parte, non vorremmo che internet venisse utilizzato in modo illecito. E’ una faccenda molto delicata, per esempio, proteggere i diritti alla riservatezza, il diritto alla privacy; ma nello stesso tempo occorre anche garantire l’accesso alle notizie. Noi non possiamo censurare ciò che è  necessario per una buona informazione. Un mondo ben informato è alla base di un mondo di pace.

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DOMANI ELEZIONI A CIPRO NORD: QUASI UN REFERENDUM

SULLA RIUNIFICAZIONE DELL’ISOLA DIVISA DA 30 ANNI

- Intervista con Antonio Ferrari -

 

Elezioni decisive domani  nella Repubblica turca di Cipro nord. Il voto per il rinnovo del Parlamento dello Stato, riconosciuto solo da Ankara, avra' ripercussioni determinanti  per il processo di pace nell'isola, divisa dal 1974 in una parte greca e in una turca. Sulla bilancia del voto anche le prospettive della candidatura turca all'adesione alla Unione Europea. Il servizio di Cesare Rizzoli.

 

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L’anno scorso è toccato ai 600 mila greco-ciprioti rinnovare la presidenza della Repubblica con la scelta di un nuovo presidente, Tasus Papadopolos,che ha portato la Repubblica nei mesi scorsi tra i nuovi Paesi membri dell’Unione Europea. Domani tocca invece all’entità dei 180 mila turco-ciprioti che da 30 anni vivono isolati nel territorio del Nord, occupato dall’esercito turco.

 

L’entità turca si è autoproclamata indipendente e da 30 anni è governata dall’anziano presidente Rauf Denktash: 80 anni e  malmesso in salute. Nei mesi scorsi Denktash ha rifiutato di aderire insieme alla Repubblica cipriota all’Unione Europea. Questo avrebbe  significato un’apertura alla comunità internazionale che non ha mai riconosciuto il mini Stato ed avrebbe condotto alla riunificazione dell’isola, anche con larghe autonomie per ciascuna delle due comunità. Ma avrebbe, soprattutto, segnato la fine del muro, fatto di sabbia, di reticolati e di antiche rivalità, che da trent’anni divide  l’isola.

 

Alla vigilia del voto i sondaggi non favoriscono né Denktash né il partito del figlio Serdar, che insieme raccoglierebbero il 20 per cento. L’opposizione dei cinque partiti minori parte in vantaggio e promette in politica la ripresa della mediazione delle Nazioni Unite per salvaguardare i diritti della minoranza ma che vuole uscire dall’enclave, aderire all’Unione, scrollarsi l’occupazione militare turca e giungere ad un livello di vita pari a quella degli altri compatrioti, i greco-ciprioti, al di là del muro di divisione.

 

Per la Radio Vaticana, Cesare Rizzoli.

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Sull’importanza di queste elezioni, Roberto Piermarini ha sentito l’inviato del Corriere della Sera Antonio Ferrari.

 

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R. – Io più che di elezioni parlerei quasi di referendum: perché la “Cipro-greca”, la Repubblica di Cipro - l’unica universalmente riconosciuta -  entrerà a far parte dell’Unione Europea il primo di maggio, e la parte turco-cipriota con i suoi 141mila elettori e circa 270mila abitanti, si troverà fuori. Ora il governo turco-cipriota di Denktash ha detto di essere contrario al piano dell’Onu, il piano di Kofi Annan, e quindi non ritiene che si debba seguire in questa avventura e a queste condizioni la parte greco-cipriota nell’Unione Europea. L’opposizione invece vuole trovare un accordo con la parte greco-cipriota per potere entrare insieme a lei – visto che c’è la possibilità – nell’Unione Europea. Ecco perché sono elezioni non soltanto importanti ma addirittura cruciali per l’opposizione: tra quelli che vogliono un accordo con l’Unione Europea e con la parte greco-cipriota c’è mezzo mondo, dalle Nazioni Unite all’Europa, dagli Stati Uniti fino a tutti coloro che credono che l’unica possibilità di risolvere il problema sia appunto questa. Certo purtroppo le difficoltà, dovute anche alla situazione regionale, sono tali che invece c’è il timore che cambi ben poco e che Denktash possa vincere un’altra volta.

 

D. – Secondo alcuni sondaggi dovrebbero vincere le opposizioni, ma il presidente Denktash è sicuro di vincere …

 

R. – Il discorso è molto semplice. Se votassero soltanto gli autoctoni, cioé i turco-ciprioti, quelli nati a Cipro, di etnia e di cultura turca, ma nati e residenti a Cipro, credo che non ci sarebbero dubbi, le opposizioni avrebbero già stravinto le elezioni ancora prima di presentarsi alle urne. Però c’è un problema: voteranno anche i coloni turchi che sono stati mandati dalla Turchia dentro Cipro e voteranno anche i soldati turchi di occupazione, che sono circa 35mila. Ora immaginate: 141mila elettori in tutto, con 35mila soldati turchi che chiaramente seguiranno quelle che sono le linee del governo turco ed lì che è il rischio che la bilancia continui a favorire la parte di Denk-tash. Ecco perché c’è il rischio di un’elezione un po’ particolare dove la libertà degli autoctoni di esprimere quello che è il loro desiderio politico, potrebbe essere addirittura umiliata.

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MODESTI RISULTATI ALLA CONFERENZA ONU

SUI MUTAMENTI CLIMATICI CONCLUSASI IERI A MILANO

- Ai nostri microfoni Daniele Meregalli -

 

 

E’ mancata la firma della Russia e ancora non si intravedono segnali dalla Cina e dall’India, ma almeno il Trattato di Kyoto sulla riduzione dei gas serra è salvo. Con questo modesto risultato si è conclusa a Milano Cop9, l’Assemblea delle Nazioni Unite sui mutamenti climatici. Moderata soddisfazione da parte delle associazioni ambientaliste presenti alla Conferenza con oltre 230 delegati che si sono dovuti accontentare della salvaguardia del Trattato di Kyoto . Ma sentiamo i dettagli nel servizio di Fabio Brenna:

 

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I 150 Paesi firmatari del Trattato di Kyoto, che stabilisce limiti precisi all’emissione di gas-serra per le singole Nazioni, hanno limitato i tentativi di boicottare il Trattato, rilanciando il metodo della multilateralità. Con questo metodo sono state fissate regole per quanto riguarda i progetti di riforestazione destinati ad assorbire anidride carbonica. Daniele Meregalli, responsabile al Cop9 del Wwf-Italia:

 

“Anche le foreste vengono conteggiate assieme ad altri strumenti come misura per la riduzione delle emissioni. Noi, su questo, abbiamo fatto partire un allarme perché queste foreste possono essere anche piantagioni commerciali su larga scala, possono essere foreste ogm, cioè geneticamente modificate, possono essere infestanti, non autoctone …”.

 

Se l’Italia ha aumentato dal 1990 le emissioni di anidride carbonica del 7,3 per cento invece di diminuirle del 6,5 per cento, come le sarebbe imposto dal Trattato di Kyoto, è segno che iniziative concrete per la riduzione delle emissioni nocive devono partire dal basso, incrementando le tecnologie a basso assorbimento di energia e limitando il trasporto su gomma. Una iniziativa lanciata da associazioni ambientaliste e di consumatori mira, ad esempio, ad evitare di spargere nell’ambiente tre milioni di tonnellate di CO semplicemente sostituendo le lampadine convenzionali con altre, a basso consumo.

 

Da Milano, per la Radio Vaticana, Fabio Brenna.

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CHIESA E SOCIETA’

13 dicembre 2003

 

 

RICONOSCERE LE RESPONSABILITA’ DELLA CHIESA ORTODOSSA

DURANTE GLI ANNI DEL COMUNISMO SOVIETICO:

COSI’, IL PATRIARCA ALESSIO II IN UN MESSAGGIO

AL METROPOLITA LAVR, GUIDA DEGLI ORTODOSSI RUSSI DELLA DIASPORA

 

MOSCA.= L’intera Chiesa ortodossa russa porta la “responsabilità” per quanto è accaduto all’“amata nazione” durante l'epoca del “comunismo senza Dio”. Sono le significative parole del patriarca Alessio II contenute in un messaggio al metropolita Lavr, capo della Chiesa ortodossa russa all’estero, atteso per una visita a Mosca all'inizio di gennaio. Il patriarca porge le proprie scuse per “tutte le parole e azioni che non hanno facilitato l'avvicinamento” tra le due Chiese. “Nell'esaminare le cause del collasso della vecchia Russia - si legge nel messaggio - noi ci rendiamo conto che l'intera Chiesa russa porta il fardello di responsabilità per ciò che è accaduto al nostro amato Paese e al nostro popolo” che, constata, “non possedeva un'immunità sufficientemente forte contro le perniciose pseudo-dottrine senza Dio”. Il patriarca afferma inoltre che i fedeli delle due Chiese hanno “dovuto vivere in un mondo diviso dalla Cortina di ferro, su parti  opposte ed ognuno di noi è stato sottoposto, in un modo o nell'altro, all'influenza interessata di sistemi politici contrapposti”. Ma oggi, prosegue Alessio II, le cose sono cambiate e “la persistente divisione sta diventando sempre più inspiegabile per il nostro popolo”. La Chiesa, conclude il messaggio, “deve allora dare alla Russia un nuovo esempio di unità e capacità di superamento dei disaccordi”. (A.G.)

 

 

GLI SCOUT DIFFONDONO LA “LUCE DELLA PACE” DELLA GROTTA DI BETLEMME.

DA OGGI POMERIGGIO, LA CONSEGNA DELLE FIAMMELLE NELLE PARROCHIE ROMANE.

MERCOLEDI’ PROSSIMO, L’INCONTRO DEGLI SCOUT CON IL SANTO PADRE

-          A cura di padre Federico Lombardi -

 

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ROMA.= Oggi, alle 14.30 un gruppetto di giovani scout arrivano alla Stazione Termini da Trieste portando “la luce della pace”, una fiammella accesa nella Chiesa della Natività a Betlemme, dove arde perennemente una lampada alimentata dall’olio donato da tutti i Paesi cristiani del mondo. Saranno accolti dagli scout romani, che da oggi e nei prossimi giorni consegneranno fiammelle, simbolo di pace, in numerose istituzioni luoghi e parrocchie della capitale, in particolare in Campidoglio lunedì 15 e al Papa, nella Udienza generale di mercoledì 17, dove gli scout presenti saranno oltre 1900. La diffusione della “luce della pace” è una iniziativa nata in Austria nel 1986, nel quadro di una azione di solidarietà promossa dalla Radiotelevisione nazionale austriaca: è appunto un bambino austriaco che si reca a Betlemme ad attingere la luce nella grotta dove nacque Gesù, per portarla in patria, e qui – con la collaborazione delle ferrovie nazionali, che portano i bimbi nelle diverse stazioni – diffonderla in tutto il Paese. Gli scout italiani hanno a loro volta da diversi anni raccolto l’iniziativa dei loro fratelli austriaci e – con la collaborazione delle Ferrovie dello Stato – fra il 13 e il 14 dicembre portano la “luce della pace” lungo tutta la penisola, a partire da Trieste fino a Torino, Palermo, Cagliari e Lecce e di qui poi in molte altre città, dove si vanno moltiplicando le iniziative di solidarietà e di incontro intorno a questo simbolo piccolo, ma altamente significativo. Quest’anno, con la presentazione della luce al Papa in occasione del 25.mo di Pontificato, la “luce della pace” raggiunge un nuovo traguardo nella diffusione del suo messaggio.

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IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA SCUOLA NELL’ITALIA CHE CAMBIA

 AL CENTRO DEL MESSAGGIO SULL’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA,

PUBBLICATO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

 

ROMA.= “Abbiamo bisogno di trovare nuove ragioni di vita, alle quali la scuola può dare un contributo singolare”. E’ quanto sottolinea il messaggio sull’insegnamento della religione cattolica, pubblicato dalla presidenza della Conferenza episcopale italiana.  Le attese e le speranze di ieri e di oggi, prosegue, “sono invito pressante perché Gesù e il suo messaggio di salvezza siano annunciati all’umanità intera”. Il documento della Cei ribadisce poi che “il Crocifisso pone in evidenza proprio questa prospettiva: per i credenti esso è il segno più grande ed eloquente dell’amore che Dio Padre ha manifestato nel suo Figlio fatto uomo; per i credenti di altri religioni e per i non credenti esso è una espressione viva e alta del dono di sé e del perdono”. Il messaggio si sofferma sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola, scelta oggi dal 92 per cento degli studenti italiani. Questa, afferma, “ha lo scopo di favorire la conoscenza e il confronto con il cristianesimo”. Intende aiutare i cristiani, i cattolici in particolare, “ad approfondire la loro appartenenza religiosa”. Tuttavia, si rivolge a quanti cristiani non sono, invitandoli “a confrontarsi lealmente con la religione che ha contribuito in maniera significativa a dare all’Italia un volto e un’identità”. I cambiamenti in atto nel nostro Paese, si legge, “non ridimensionano la validità di tale insegnamento, ma richiedono piuttosto che esso venga svolto in maniera ancora più partecipata e coinvolgente”. Nessun alunno e nessuna famiglia, avverte la Cei, “dovrebbero privarsene a cuor leggero”. D’altro canto, affinché l’insegnamento della religione cattolica sia parte viva della scuola e della sua proposta educativa, la comunità ecclesiale riafferma il suo impegno ad essere presente nella scuola per “servire la vocazione trascendente della persona e il suo anelito di libertà, di giustizia e di pace”. (A.G.)

 

 

CRESCE L’EMOZIONE A VENEZIA PER L’INAUGURAZIONE, DOMANI SERA,

 DEL TEATRO LA FENICE, DISTRUTTO OTTO ANNI FA DA UN TERRIBILE INCENDIO

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

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VENEZIA.= Una città intera aspetta trepidante la rinascita di uno dei suoi simboli più cari. Venezia attende così, tra emozione ed orgoglio, la riapertura dello storico teatro “La Fenice”, devastato otto anni fa da uno spaventoso incendio. Riportato all’antico splendore, attraverso un lavoro certosino, il teatro inaugurato nel 1792 con un’opera di Giovanni Paisiello non è solo un tempio della musica, ma anche un testimone d’eccezione della storia di un popolo. Di qui, lo straordinario significato delle note dell’Inno di Mameli, che domani sera torneranno a risuonare nella grande sala della rinata “Fenice”. Alla presenza del presidente Ciampi, il maestro Riccardo Muti, che proprio su questo palcoscenico debuttò 33 anni fa, dirigerà l’orchestra della “Fenice” nel concerto di inaugurazione. Dopo Fratelli d’Italia, verrà eseguito il brano di Beethoven “La consacrazione della casa” e componimenti di Stravinskij, Caldara e Wagner. Ieri, alle prove generali, di fronte alle donne e gli uomini che hanno contribuito alla ricostruzione, Muti ha parlato di “momento magico”. Per festeggiare l’evento, la prossima settimana offrirà dunque un programma di serate che già si preannunciano indimenticabili. Alla “Fenice”, suonerà l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, i Wiener Philharmoniker e l’orchestra filarmonica di San Pietroburgo. Il 19 dicembre, poi, canterà Elton John. Come a dire, la musica di ieri e di oggi rende omaggio alla “casa ritrovata”.

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A GENNAIO, NELL’IRLANDA DEL NORD, L’INAUGURAZIONE DEL NUOVO

 MONASTERO BENEDETTINO DI ROSTREVOR ALL’INSEGNA DELLA

 RICONCILIAZIONE TRA CATTOLICI E PROTESTANTI

 

BELFAST.= Un segno di riconciliazione tra cattolici e protestanti: a gennaio, in coincidenza con la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, verrà inaugurato il nuovo monastero benedettino di Rostrevor, nella contea nord-irlandese di Down. Ci saranno cinque monaci, quattro francesi e uno da Belfast. Mons. John McAreavey, vescovo di Dromore, diocesi in cui si trova il convento, ha dichiarato a “The Belfast Telegraph” che “questa presenza monastica è un dono di Dio per noi. Ci arricchisce con le tipiche tradizioni di contemplazione, approfondimento delle Scritture, liturgie di preghiera, impegno per l’ecumenismo e l’impegno per la riconciliazione. Ho fiducia - ha concluso - che questa comunità, radicata nella diocesi di Dromore, potrà crescere e portare frutti abbondanti”. Il nuovo monastero avrà degli spazi per l’accoglienza dei pellegrini e per ritiri, potendo ospitare fino a cento persone. I cinque religiosi hanno registrato un Cd con 21 canzoni in gregoriano, intitolato “Peace Upon You” (“La pace sia con voi”), prodotto in cinquemila copie, di cui oltre mille già vendute. Il ricavato è destinato a coprire le spese di ristrutturazione del monastero. (A.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

13 dicembre 2003

 

 

- A cura di Dorotea Gambardella -

 

Si aprono domani a Kabul, in Afghanistan, i lavori della Loya Jirga, l’assemblea tradizionale afgana composta da circa 500 delegati di tutte le province del Paese con il compito di approvare la bozza di Costituzione presentata il 3 novembre dalla Commissione costituente, al presidente ad interim Hamid Karzai. Ma quali ostacoli si frappongono al varo di questa carta costituzionale? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, più volte inviato in Afghanistan dal settimanale “Famiglia cristiana”.

 

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R. – Io credo che le eventuali difficoltà per la Loya Jirga possano venire non solo da divergenze di opinione, ma anche dalla situazione interna, che come ben vediamo, giorno dopo giorno, non si è affatto normalizzata e presenta, al contrario, tratti inquietanti. Abbiamo visto nelle scorse ore questa specie di sfida che Hekmatyar ha lanciato agli americani e in generale alle truppe Nato operanti in Afghanistan. Sappiamo quali difficoltà stanno incontrando le truppe statunitensi nelle loro operazioni di rastrellamento anti-talebano nell’area sud orientale del Paese, dove in pochi giorni sono stati uccisi circa venti bambini e lo stesso portavoce delle truppe Usa ha dovuto ammettere che gli americani non sono quasi neanche entrati in contatto con il nemico. Ecco, io credo che questa posizione possa gravare pesantemente sui lavori dalla Loya Jirga.

 

D. – La nuova Costituzione può garantire la pace in questo martoriato Paese afghano?

 

R. – Non lo so. Io non ho molta fiducia che un testo costituzionale - in qualche modo un po’ astratto rispetto alla situazione sul terreno -, possa fare miracoli. Può servire, può essere utile, può essere certamente una base per un lavoro di riconciliazione nazionale. E’ un po’ quello che si può dire forse anche per l’Iraq: c’è innanzitutto un problema da risolvere: che sono state fatte delle guerre, sono stati occupati dei territori ma non si sono risolti tutti i problemi che erano alla radice delle crisi.

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In Lituania è stato raggiunto un numero sufficiente di firme per far scattare la procedura per la messa in stato d’accusa del presidente della repubblica Rolandas Paksas, a causa dei suoi presunti legami con la mafia russa. Paksas continua a negare ogni addebito nonostante una commissione d’inchiesta abbia raccolto pesanti prove di contatti tra alcuni suoi collaboratori ed esponenti della malavita organizzata russa. Ma sono possibili le dimissioni di Paksas richieste dalla piazza, prima della procedura d’impeachment? Ci risponde Audrone Strimaityte, dell’Agenzia Baltica d’Informazione, raggiunta telefonicamente a Vilnius:

 

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R. – La possibilità c’è. Però il presidente, sin dall’inizio dello scandalo, ha sempre ripetuto che non è colpevole, che non ha firmato nessun decreto e nessuna legge contro lo Stato. Circolano voci che, vista la situazione, sarebbe meglio che lo facesse. Il presidente del Parlamento ed anche i capi della Chiesa hanno sostenuto, qualche giorno fa, che il miglior regalo per il popolo lituano sarebbe quello delle dimissioni del presidente.

 

D. – L’uscita di scena di Paksas, le sue dimissioni, possono essere un elemento positivo per l’ingresso della Lituania nell’Unione Europea?

 

R. – Questo scandalo viene considerato un problema di politica interna e quindi non può e non dovrebbe influenzare l’ingresso del nostro Paese nell’Unione Europea o nella Nato.

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All’alba di oggi, una studentessa palestinese di 20 anni, madre di due bambini, è stata uccisa da colpi d'arma da fuoco sparati da soldati israeliani, mentre si  recava all'università di Nablus, in Cisgiordania. Intanto a Tel Aviv, è stato revocato lo stato di massima allerta proclamato ieri dalle forze di sicurezza. Lo ha riferito la radio nazionale, precisando che l’allarme resta in vigore nel nord della regione di Sharon. Sul fronte dei negoziati, il premier palestinese Abu Ala ha incontrato questa mattina, a Ramallah, l'inviato Usa David Sutterfield. Nessuna indiscrezione è trapelata sul contenuto dei colloqui. Firmata, inoltre, ieri sera dal presidente americano Gorge W. Bush, la legge sulle sanzioni alla Siria, se le autorità di Damasco non si attiveranno per combattere il terrorismo nel Medio Oriente e in Iraq. A tal fine, Bush ha chiesto ancora una volta ad Israele di astenersi da azioni che ostacolano la creazione di uno stato palestinese.

 

Un iracheno è stato ucciso e un altro è stato fatto prigioniero questa mattina all'alba  dai soldati americani, in seguito a uno scontro a fuoco nelle strade di Tikrit, città natale dell'ex presidente Saddam Hussein. Lo hanno reso noto fonti militari statunitensi. Intanto dalla Georgia è arrivato l’annuncio dell’invio in Iraq di altri 500 soldati entro l’estate. Sul fronte degli accordi per la ricostruzione nel Paese, la Russia ha ribadito oggi la sua protesta nei confronti della decisione Usa di escludere dai lavori le imprese delle nazioni contrarie alla  guerra. Per Mosca – si legge in una dichiarazione del viceministro degli esteri Iuri Fedotov, diffusa questa mattina - la posizione di Washington rischia di avere “conseguenze serie e negative e pone dubbi sulla reale volontà statunitense di collaborare con la comunità internazionale per un'equa soluzione in Iraq”.

 

Una persona è morta e altre tre sono rimaste ferite ieri nella capitale di Haiti, Port au Prince, durante una protesta contro il presidente Aristide. Secondo testimoni oculari, tra le file dei sostenitori di Aristide, sono stati reclutati anche dei bambini.

 

L'Iran firmerà nei prossimi giorni il protocollo al Trattato di non proliferazione nucleare che regolamenta l’attività atomica e impone controlli per accertarne la non pericolosità. Lo ha riferito oggi alla stampa il ministro degli esteri  Kamal Kharrazi.

 

In seguito ai numerosi scandali per corruzione all'interno dell'esecutivo, il presidente del Perù, Alejandro Toledo, ha chiesto le dimissioni dei massimi rappresentanti del governo.

 

La necessità di promuovere le relazioni tra Iran ed Egitto - interrotte a causa della Rivoluzione islamica – nonostante le divergenze. E’ quanto emerso dall'incontro avvenuto a Ginevra fra i presidenti dei rispettivi Paesi, Khatami e Mubarak.

 

L’esercito della Costa d’Avorio ha deciso di rinviare la smobilitazione dalla linea del cessate-il-fuoco, che taglia in due il Paese. “Non ci sono abbastanza fondi per un disarmo ufficiale - ha detto ieri il colonnello Jules Yao Yao - perciò daremo inizio a una smobilitazione informale”: una ritirata contenuta delle truppe dispiegate lungo la zona smilitarizzata, che divide la zona controllata dai militari della capitale Abidjan dal centro-nord del Paese, occupato dalle “Forze Nuove”, la coalizione dei tre movimenti ex-ribelli. Nei giorni scorsi il presidente Gbagbo aveva annunciato l’inizio del disarmo per il prossimo 15 dicembre. Una data che sembra però destinata a slittare, anche a causa degli scontri avvenuti nella notte tra giovedì e venerdì ad Abidjan, dove un attacco alla sede della radio-televisione nazionale ha provocato 19 vittime.

 

L'ambasciata americana a Bogotà, nel timore di attentati terroristici, ha proclamato lo stato d’allerta, invitando i cittadini statunitensi ad evitare luoghi affollati. Il monito della sede diplomatica segue le minacce delle truppe rivoluzionarie della Colombia, che il 29 novembre avevano parlato del personale militare americano come di un loro possibile bersaglio, visto il sostegno militare degli Stati Uniti alle forze armate colombiane.

 

 

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