RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 243 - Testo della Trasmissione domenica 31 agosto 2003

 

Sommario

                                                                                                  

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

 

L’affidamento dell’Europa alla Vergine, rinnovato dal Papa all’Angelus domenicale. Una preghiera per la pace in Medio Oriente e in Africa, alla Madonna delle Lacrime di Siracusa, dove si chiude domani l’Anno Mariano a cinquant’anni dal sorprendente evento della lacrimazione

 

 Siate fieri della vostra eredità storica. E’ l’invito del cardinale Crescenzio Sepe ai cattolici della Mongolia, dove ieri ha consacrato la cattedrale cattolica di Ulaanbaatar, intitolata ai due pilastri della Chiesa, Pietro e Paolo.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 

Il riferimento alle radici cristiane dell’Europa non solo opportuno, ma costituzionalmente necessario. Così al Meeting di Rimini, il costituzionalista americano Joseph Weiler. Intervista con lo studioso, di fede ebraica

 

 Annuncio del Vangelo, liberazione per i poveri, dialogo tra fedi e culture. Su questi temi, i Missionari Comboniani guardano al futuro con il Capitolo generale  che si apre domani a Roma. Con noi, padre Dario Bossi

 

“Diritto a comunicare e sovranità popolare”, in un libro denuncia di Enrico Giardino. Intervista con l’autore

 

 L’opera dei Missionari Saveriani per la popolazione della Sierra Leone, uscita dagli orrori della guerra civile. Ai nostri microfoni, il superiore generale padre Antonio Guiotto

 

Alla Mostra del Cinema di Venezia in corsa per il Leone d’Oro, il film tedesco “Rosenstrasse”, di Margarethe von Trotta. sulla deportazione degli ebrei durante la tragedia nazista.

 

CHIESA E SOCIETA’:

 

I capi delle Chiese cristiane di Terra Santa hanno pregato e marciato insieme ieri per la pace in Medio Oriente

 

Concluso a Belozem, in Bulgaria, il IV Festival internazionale giovanile di musica cristiana. Presenti giovani ortodossi e cattolici, giunti anche da Italia e Polonia.

 

Si è tenuto questa mattina a Baghadad un corteo funebre per l’ayatollah Al-Hakim, rimasto ucciso, insieme ad oltre 120 persone,  nell’attentato di due giorni fa. 

 

Putin considera auspicabile una nuova risoluzione delle Nazioni Unite per l’ Iraq.

 

Pubblicato negli Stati Uniti un libro sui 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II.

 

Concluso ieri ad Arezzo l’annuale corso per studenti di teologia.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

31 agosto 2003

 

L’AFFIDAMENTO DELL’EUROPA ALLA VERGINE, RINNOVATO DAL PAPA ALL’ANGELUS DOMENICALE. LA PACE IN MEDIO ORIENTE E IN AFRICA, NELL’INVOCAZIONE ALLA MADONNA DELLE LACRIME DI SIRACUSA, A CINQUANT’ANNI

DAL SORPRENDENTE EVENTO DELLA LACRIMAZIONE

- A cura di Paolo Salvo -

 

 

Ancora un pensiero sull’Europa e sulle sue radici cristiane, nelle parole del Papa prima della recita dell’Angelus a Castel Gandolfo, con i pellegrini convenuti nel cortile interno e nella piazza antistante il Palazzo pontificio. Poi, il suo pensiero è andato al Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, dove si celebra il 50° anniversario della lacrimazione di Maria e domani, 1° settembre, si concluderà solennemente lo straordinario Anno Mariano indetto per ricordare quel “sorprendente evento”.

 

“La Vergine Santa faccia sì che l’Europa diventi una sinfonia di nazioni impegnate a costruire insieme la civiltà dell’amore e della pace!”. Con queste parole, Giovanni Paolo II ha voluto rinnovare il suo “affidamento a Maria” di tutti gli uomini e le donne del Continente, con cui si conclude l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa. E tra gli innumerevoli santuari mariani esistenti in ogni Paese europeo, il Papa è andato col pensiero al Santuario della Madonna delle Lacrime, dove si recò personalmente il 6 novembre 1994 per la solenne dedicazione.

 

“Lacrime misteriose” le definisce Giovanni Paolo II, lacrime che “parlano di dolore e di tenerezza, di conforto e di misericordia divina”, “segno di una presenza materna” e “appello a convertirsi a Dio, abbandonando la via del male per seguire fedelmente Gesù Cristo”. La riflessione del Papa si è quindi fatta preghiera alla Vergine: “A Te, dolce Madonna delle Lacrime, presentiamo la Chiesa e il mondo intero. Guarda a chi ha più bisogno di perdono e di riconciliazione; reca concordia nelle famiglie e pace fra i popoli”.

 

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Asciuga le lacrime che l’odio e la violenza provocano in molte regioni della Terra, specialmente in Medio Oriente e nel Continente africano. Il tuo pianto, o Madre, sia pegno di conversione e di pace per tutti i tuoi figli!

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Tra i vari gruppi di pellegrini presenti, Giovanni Paolo II ha salutato una delegazione del Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, che ha recato, perché fosse benedetta, una corona d’oro da porre sul capo della Vergine. Nel saluto ai suoi connazionali, il Papa si è riferito al problema della disoccupazione e alla difficile situazione nel mondo del lavoro, argomenti trattati dai vescovi polacchi in un comunicato diffuso oggi. “Mi associo volentieri alla loro voce – ha detto – e prego, affinché gli urgenti problemi sociali trovino una pronta soluzione, per il bene di tutti”.

 

 

SIATE FIERI DELLA VOSTRA EREDITA’ STORICA: E’ L’INVITO DEL CARDINALE

CRESCENZIO SEPE AI CATTOLICI DELLA MONGOLIA, INAUGURANDO

 LA CATTEDRALE CATTOLICA DI ULAANBAATAR, INTITOLATA

AI SANTI PIETRO E PAOLO, PILASTRI DELLA CHIESA

- A cura di Paolo Salvo -

 

 

Le “radici storiche” del cristianesimo in Mongolia risalgono ai secoli XIII e XIV, quando nella terra delle steppe giunsero i primi missionari presso le corti dei gran khan, tra cui anche Marco Polo, il famoso mercante e navigatore italiano. Lo ha ricordato il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nell’omelia della Messa solenne con cui ha consacrato ieri mattina a Ulaanbaatar la nuova cattedrale cattolica, la prima del Paese asiatico, intitolata ai Santi Pietro e Paolo, i due pilastri della Chiesa. Con il cardinale Sepe, intorno all’altare, vi erano il nunzio apostolico in Mongolia, arcivescovo Giovanni Battista Morandini, il vescovo Wenceslao Selga Padilla, filippino, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, ordinato l’altro ieri, e i primi missionari nel “Paese dell’eterno cielo azzurro”.

 

A proposito di quelle “radici storiche”, il cardinale Sepe ha citato il gran khan Qubilai, che era particolarmente interessato al cristianesimo. Infatti, chiese personalmente a Papa Clemente IV di insegnare al suo popolo il cristianesimo e la scienza. E Marco Polo servì per diciassette anni alla sua corte. “Questo fu possibile – ha sottolineato – solo perché i gran khan mongoli, a cominciare dal più grande di tutti loro, Gengis Khan, mostrarono un tipo di saggezza molto raro nel XIII secolo, ossia la tolleranza e l’accettazione di tutte le religioni”. Secondo il porporato, proprio questa saggezza dei grandi antenati potrebbe essere stato il principio che ha guidato gli autori della nuova Costituzione mongola perché vi inserissero il “diritto fondamentale alla religione e alla libertà di religione”.

 

“E forse – ha aggiunto il cardinale – potrebbe essere stato il nostro retaggio storico cristiano del passato in Mongolia ad avere ispirato i responsabili della nuova Mongolia democratica ad avviare rapporti diplomatici con il Vaticano”. Invitando quindi i cattolici della Mongolia, oltre 150, ad essere fieri della loro “eredità storica”, il cardinale Sepe ha rivolto ad essi il saluto di Giovanni Paolo II che li assicura del suo ricordo nella preghiera, della sua costante sollecitudine, del suo sostegno e del suo affetto.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

31 agosto 2003

 

 

LA COSTITUZIONE EUROPEA DEVE RIFLETTERE

LA TRADIZIONE PLURALISTICA DEL CONTINENTE:

IL RIFERIMENTO ALLE RADICI CRISTIANE NON SOLTANTO

 OPPORTUNO,MA COSTITUZIONALMENTE NECESSARIO

COSI’  AI NOSTRI MICROFONI IL COSTITUZIONALISTA AMERICANO

PROFESSORE JOSEPH WEILER

 

 

 

Il Meeting di Rimini, conclusosi ieri, sin dal primo giorno, ha affrontato la tematica dell’Europa, ed ha lanciato un appello al governo italiano, perché chieda una radicale revisione del progetto della Carta Costituzionale europea, rinnovando anche  la richiesta di inserire esplicitamente il riconoscimento delle radici cristiane nel preambolo della nuova Costituzione. Si prospetta al riguardo il rischio che i cristiani restino emarginati in Europa rispetto alla cultura laica?

 

Ecco,  al microfono di Luca Collodi, una valutazione di questa questione, così discussa, del professore Joseph Weiler, costituzionalista, docente alla New York University, di religione ebraica, intervenuto a Rimini:

 

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R. – Un po’ c’è questo rischio, ma se accadrà è anche un po’ colpa loro perché sono diventati assai timidi. Al momento ci sono solo 4 Paesi che ritengono opportuno di fare riferimento a Dio e alle radici cristiane nel preambolo. E’ sorprendente, perché questo riferimento non è soltanto opportuno ma costituzionalmente necessario.

 

D. – Qual è il problema che si pone proprio dal punto di vista costituzionale in questa Carta europea?

 

R. – Nella tradizione costituzionale europea, per quanto riguarda la simbologia costituzionale, ci sono chiaramente due tradizioni in Europa. C’è la tradizione laica, rappresentata dalla Costituzione francese, per esempio, dove non c’è alcun riferimento spirituale né a Dio né al cristianesimo. E’ una tradizione da rispettare. C’è un’altra tradizione che si trova nella Costituzione tedesca, nella Costituzione irlandese, nella Costituzione maltese, nella Costituzione danese, dove non soltanto c’è il riferimento a Dio, ma in alcune di queste Costituzioni c’è anche un riferimento esplicito al cristianesimo. Ora, la Costituzione europea deve essere davvero europea. Cioè non deve favorire solo un punto di vista o l’altro. Una Costituzione europea che facesse riferimento esclusivamente al cristianesimo e a Dio non sarebbe europea. Allo stesso modo una Costituzione in cui nella sua simbologia ci fosse soltanto il riferimento alla tradizione laica non sarebbe altrettanto europea. Quel preambolo di Giscard, della Convenzione, è nella tradizione francese laica, ed in questo senso non rappresenta la tradizione pluralistica europea, non si può predicare pluralismo culturale e praticare imperialismo costituzionale.

 

D. – Prof. Weiler, lei pensa che i politici cattolici in Europa abbiano cercato anche di salvaguardare il rispetto, ad esempio, per la religione ebraica e per quella musulmana?

 

R. – Io sono ebreo praticante, e nell’assetto costituzionale europeo è garantita la libertà religiosa. C’è da dire che l’Europa è prevalentemente cristiana. Non dà fastidio né a musulmani né a ebrei accettare questo fatto. E allora non vedo alcuna ragione, dal punto di vista ebraico o musulmano, di obiettare al riferimento che non è per niente esclusivista. Vorrei dire che gli Stati membri come l’Italia, la Polonia, l’Irlanda, la Spagna, con tutta serenità possono richiedere il riferimento a Dio e ai valori cristiani, non solo in nome di una sensibilità religiosa, ma in nome della pluralità europea. Quando l’Europa dice ‘uniti nella diversità’, anche la diversità costituzionale deve essere riflessa nel documento costituente. E’ difficile vedere come l’Europa possa negare questa diversità.

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ANNUNCIO DEL VANGELO, LIBERAZIONE PER I POVERI, DIALOGO TRA FEDI E CULTURE:

I MISSIONARI COMBONIANI GUARDANO AL FUTURO CON IL CAPITOLO GENERALE

 

- Intervista con padre Dario Bossi -

 

 

L’elezione del nuovo superiore generale e la delineazione delle priorità per i prossimi sei anni di missione: sono questi gli obiettivi centrali per i padri comboniani che si riuniscono da domani a Roma per il Capitolo generale. A questo appuntamento si intreccia la Carovana della pace organizzata dal 5 al 15 settembre.

 

Ogni iniziativa assume un rilievo particolare in considerazione della prossima canonizzazione del fondatore, padre Daniele Comboni, il 5 ottobre prossimo. Ma cosa resta da realizzare della sua missione che oggi guida 1.800 religiosi in Africa, Asia, America ed Europa? Fausta Speranza lo ha chiesto a padre Dario Bossi.

 

 

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R. – Il sogno di Comboni era, ed è attualmente tramite tanti comboniani, salvare l’Africa con l’Africa; rigenerare l’Africa con l’Africa. C’è ancora tanto di incompiuto, perché questa rigenerazione, questa salvezza che vuol dire vita

piena a partire da oggi, vuol dire ricostruzione del Regno di Dio nei tessuti della vita della gente africana, della gente del Sud del mondo, è ancora incompleta. Anzi, se riflettiamo, vediamo che le disparità, le disuguaglianze, per certi versi anche il cadere dell’Africa in un progressivo dimenticatoio, sono peggiorate rispetto all’epoca di Comboni. Dall’altra parte anche sui metodi c’è ancora molta incompletezza, perché l’intuizione profetica di Comboni è stata proprio quella di dire: “Si rigenera, si salva un popolo tramite il popolo stesso”. Mentre vediamo che ancora oggi le logiche sia civili, politiche, e a volte ecclesiali, pensano e si rimodellano spesso su forme di neocolonialismo, per cui sembra che la salvezza di questi popoli debba sempre venire da noi, dalle nostre tecniche, dai nostri metodi e dalla nostra visione. In realtà si impedisce al popolo africano di liberarsi e di manifestare in sé quello che sta sognando. Questo è un grave vuoto, un grave scandalo.

 

D. – Padre Dario, quali sono le parole chiave di questo impegno nel mondo dei comboniani?

 

R. – Sicuramente la parola chiave è evangelizzazione, che però, per noi, significa promozione integrale della persona umana, ossia incidere su tutte quelle strutture di peccato e di ingiustizia che attualmente sono la realtà più antievangelica che c’è nel mondo. Per noi comboniani, evangelizzare, essere coscienza critica e lottare per la liberazione e la giustizia è qualcosa di profondamente coeso, di profondamente legato, perchè non si può parlare di Vangelo se non si parla di annuncio di liberazione per i poveri. Diciamo poi che le urgenze di una nuova evangelizzazione oggi nel mondo sicuramente prevedono anche la sfida del dialogo tra le religioni, dell’inculturazione del Vangelo nelle culture diverse e quindi della ricerca di nuovi modelli di Chiesa e dell’ascolto della verità che è presente già come seme del Verbo in tutte le culture e religioni.

 

D. – Tutto questo, dunque, trasporta la carovana della pace che parte il 5 settembre?

 

R. – Un gruppo di giovani che circolano per varie tappe in Italia, da Assisi, a Napoli, a Roma, a Montesole, a Barbiana e a Brescia, per terminare a Limone sul Garda, dove appunto è nato Daniele Comboni, per incontrare le realtà più periferiche delle città, le persone più semplici, e riflettere insieme a loro sul tema della Pacem in Terris e sulle provocazioni che questa enciclica ci dà per la costruzione della pace a partire da qui, ma con occhi aperti al mondo. Il compito di ciascuno di noi cristiani è avere quel sano strabismo di chi si impegna nel locale in maniera radicale, ma allo stesso tempo ha gli occhi puntati all’esterno, ai lontani, da loro vuole imparare e in funzione loro vuole vivere.

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IL DIRITTO A COMUNICARE POSTO A RISCHIO

DALLA GLOBALIZZAZIONE DEI POTERI MEDIATICI

 

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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In questi giorni l’uscita contemporanea negli Stati Uniti e in Francia di un libro, “Blak list”, firmato da 14 giornalisti americani, che documentano le pressioni subite per diverse ragioni e a vario titolo, una censura a volte non dichiarata ma inesorabile, denunciando un fenomeno in crescita di grave rischio per la libertà d’informazione: il legame tra concentrazioni editoriali, politica e potere militare.

 

Anche in Italia, pubblicato dai Fratelli Frilli, è uscito un libro “Diritto a comunicare e sovranità popolare”, che offre una lettura fortemente critica dell’attuale sistema dei media e pone sotto accusa le logiche del potere mediatico, che opprimono piuttosto che liberare l’uomo, arrivando perfino a ‘minacciare’ la democrazia. L’autore Enrico Giardino, ingegnere, già dirigente della Rai, interpreta eventi e scenari di attualità secondo un’ottica marxista che può spiazzare il lettore non allineato politicamente, riguardo in particolare il conflitto israelo palestinese ed i recenti conflitti nei Balcani.

 

Pure porta il merito questo saggio di aprire interrogativi che interpellano tutta la società, sollecitando risposte individuali e pubbliche per affrontare una grande sfida per l’umanità nel terzo millennio. All’autore chiediamo come si configura oggi il diritto a comunicare?

 

R. - Il diritto a comunicare è stato sancito dall’Unesco nel 1984, ed ha avuto, dopo il rapporto McBride del ’77, una sua codificazione, superando i concetti precedenti, fuorvianti e negativi. Tale diritto ora sta rivivendo una seconda stagione molto importante. Infatti, ad esempio, a dicembre di quest’anno a Ginevra, si terrà un’importante Conferenza dell’Onu, dell’Uit, l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, e dell’Unesco, dove una sessione di questa assise internazionale sarà dedicata appunto al diritto a comunicare.

 

D. – Lei auspica che la comunicazione diventi un potere costituzionale, dunque,    un problema di Stato?

 

R. – Leggendo la Carta Costituzionale, non solo nell’articolo 21, ma anche  nell’articolo 43 ed in altri, si nota che è possibile  al suo interno trovare delle soluzioni di ordinamento che riconoscano il diritto a comunicare, come potere messo al servizio dell’esercizio della sovranità popolare e sociale. Questo è quindi fattibile senza ricorrere a modificazioni della Carta Costituzionale.

 

D. – Ing. Giardino, dal libro viene fuori anche una visione, possiamo dire, apocalittica del mondo dell’informazione. Ma da dove ripartire per ritrovare un ruolo centrale all’utente, al cittadino, alla persona?

 

R. – Il libro apre tutta una serie di prospettive: di riacquisizione, di riappropriazione, di questo diritto comunicativo, che è insieme  individuale e collettivo e che ancora non è stato mai riconosciuto. Propone poi, ad esempio, una Carta universale dei diritti comunicativi dei popoli, dei cittadini utenti e dei lavoratori della comunicazione, che, se approvata con legge, fornirà degli strumenti concreti nel diritto attivo, cioè di partecipazione, ed in quello passivo, d’informazione, a tutti i cittadini,a tutti i popoli ed a tutti i lavoratori del settore.

 

D. – Ma su chi bisogna fare maggiormente leva? Su i Governi e gli Stati o sull’opinione pubblica?

 

R. –    Punto di partenza, vista la storia che abbiamo avuto in questi decenni, sono le mobilitazioni sociali e popolari che in questi anni, da Porto Allegre ai ‘Girotondi’, abbiamo avuto in Italia e nel mondo. Naturalmente questi gruppi devono operare delle pressioni sui governi, sugli amministratori centrali e periferici, sugli operatori della scuola e su tutti i lavoratori del mondo della comunicazione, che sono moltissimi, per ottenere che queste conquiste e che queste proposte si realizzino, divengano leggi dello Stato, e quindi siano poi esigibili da tutti. Perché l’interesse è assolutamente generale, attuale e necessario.

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L’OPERA DEI MISSIONARI SAVERIANI PER LA POPOLAZIONE

DELLA SIERRA LEONE USCITA DAGLI ORRORI DELLA GUERRA CIVILE

 

- Intervista con padre Antonio Guiotto -

 

 

La Sierra Leone emerge da una guerra civile protrattasi per dieci anni e il cui impatto sulle condizioni di vita e di salute della popolazione è risultato devastante. Il Fronte Rivoluzionario Unito, il principale gruppo ribelle contro il governo di Freetown, si è macchiato di terribili crudeltà contro i civili, arrivando a compiere orrende mutilazioni sulla popolazione inerme. Si stima che le vittime del conflitto ammontino a 100.000 morti e ad oltre 30.000 mutilati, a cui si aggiungono migliaia di bambini soldato e di donne sottoposte ad abusi sessuali. Oggi quasi tutte le aree del Paese sono state dichiarate sicure e i profughi stanno facendo ritorno alle loro case. In questa difficile opera di ricostruzione della Sierra Leone, i padri saveriani continuano ad occuparsi materialmente e spiritualmente della popolazione civile come racconta ai nostri microfoni padre Antonio Guiotto, superiore generale dei missionari saveriani in Sierra Leone. L’intervista è di Maria Di Maggio.

 

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R. – Noi siamo impegnati a recuperare il morale di questa gente con diverse attività: attività nel campo educativo, nella scuola; attività nel campo sanitario, rimettendo in sesto il nostro ospedale e le nostre cliniche, con interventi nei villaggi attraverso cliniche mobili; tanta attività umanitaria con aiuti per la ricostruzione di case, di scuole, strutture pubbliche come pozzi ed altre cose che erano state distrutte dalla guerra. Abbiamo lavorato molto in questo anno e mezzo, da quando siamo tornati nel nord.

 

D. – Prima della guerra civile, la Sierra Leone spiccava per la pacifica convivenza tra le diverse etnie presenti al suo interno, poi il conflitto ha scatenato l’odio tra le numerose etnie ed anche tra appartenenti ad un medesimo gruppo etnico. Quindi, a suo avviso, come si può costruire oggi una cultura di pace in Sierra Leone?

 

R. – Questo è il lavoro che stiamo facendo oggi. Abbiamo avuto varie attività e soprattutto incontri con giovani, nel tentativo di inculcare la mentalità che favorisca la pace e portare questi giovani a ragionare insieme, ponendo loro dei problemi. Ci vorrà del tempo, però, già vediamo che un po’ alla volta, man mano che passa il tempo, dimenticano le ferite più profonde. C’è, quindi, la possibilità di intervenire e guarire tutte queste ferite.

 

D. – Tra le conseguenze più atroci della guerra civile c’è la problematica dei bambini soldato. Cosa fanno i missionari saveriani per favorire la riabilitazione degli ex bambini soldato?

 

R. – Noi abbiamo aperto nel 2000 un centro per il recupero di ragazzi soldato, i quali venivano tenuti nel centro per qualche tempo, per parlare loro e per far sentire loro un po’ di affetto, per farli stare assieme. Abbiamo poi lavorato molto per riconsegnarli alle loro famiglie di origine, quando era possibile, perché in certi casi le famiglie non li volevano più. In quel caso abbiamo cercato sistemazioni alternative e di dar loro un po’ di formazione in qualche attività lavorativa, in maniera che diventassero al più presto indipendenti.

 

D. – Padre Guiotto vuole raccontarci il momento più bello da lei vissuto in tutti questi anni di missione in Sierra Leone?

 

R. – Non è solo uno, sono vari. Soprattutto in questo anno e mezzo, da quando sono tornato al nord, ho avuto la possibilità di lavorare nei villaggi, quelli più lontani. I momenti più belli sono stati l’incontro con la gente nei villaggi, gente che non aveva mai visto neanche un missionario, e che mi ha accettato. Abbiamo pregato assieme, abbiamo celebrato insieme la libertà, la fede e la pace. E’ stata una esperienza bellissima, nei villaggi più lontani, vedere l’accoglienza, l’ascolto e la risposta di questa gente, che si sentiva felice perché vedeva che c’era qualcuno che si curava di loro, che faceva chilometri e ore a piedi per aiutarli. Penso che questa sia stata la cosa più bella per me in questo ultimo anno e mezzo.

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ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA IN CORSA PER IL LEONE D’ORO IL FILM “ROSENSTRASSE”  DI MARGARETHE VON TROTTA, SU UN PASSATO DA NON DIMENTICARE

 

- Dalla città lagunare Luca Pellegrini - 

 

 

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Un film sulla memoria e sulla determinazione femminile, il sacrificio e il coraggio civile, la solidarietà e la speranza. Un film tedesco, fatto da tedeschi che perfora, coraggiosamente, uno dei tanti episodi tragici della storia di quel popolo.

 

Siamo nel 1943, ma non, come nel bel film polacco “Pornografia” di Jan Jakob Kolski, in una segregata tenuta estiva della Polonia invasa, ma nel cuore stesso della potere nazista: Berlino. La regista del film, Margarethe von Trotta, ricostruisce in modo originale un fatto che si collega più che mai alle vicende spaventose del suo popolo e di quello ebraico, uniti in un mare di sangue, sopraffazione e violenza. In Rosenstrasse – che è anche il titolo del film – sono reclusi uomini ebrei sposati con donne tedesche, insomma quella metà contaminata ed impura del matrimonio misto: una spina nel fianco dell’ideologia nazista.

 

Le donne vogliono i mariti a loro sottratti, i nazisti vogliono la loro eliminazioni fisica, la storia vuole la sua giustizia. Qui si innesta la doppia memoria di Ruth e di Lena che il destino, come molti altri destini dell’epoca, riunisce per sempre. Nel 2002, sempre a Berlino Ruth cerca di sopprimere il passato, Lena lo rivive e lo racconta senza pudori, come un momento vissuto eroicamente. Il loro presente rimane però indivisibile. Ruth aveva perso definitivamente la madre e la trova in Lena; Lena, di una prestigiosa famiglia ariana che l’ha espulsa dal suo nucleo, è angosciosamente separata dal marito ebreo. Sono state e lo sono ancora, a modo loro, due donne coraggiose: la prima aggrappandosi ad una nuova identità e famiglia, la seconda guidando il gruppo di indomite donne tedesche, giorno e notte, vigilanti in quella strada sino alla loro ideale vittoria.

 

Margarethe von Trotta governa benissimo l’oscillare dei tempi del racconto coordinato dalla figura della figlia di Ruth, che si tuffa nel passato per fare chiarezza sul presente. Non concede nulla al sentimentalismo, alla spettacolarità del dolore, all’effetto pietà, alla condanna a priori. All’effetto bifronte cerca soltanto di riappacificare, lei stessa e lo spettatore, con il non rimorso di quell’epoca.

 

Da segnalare le attrici, tutte splendide, i colori della fotografia, l’uso del sonoro, l’applauso finale. Dopo “Il pianista” di Polanski, potrebbero vincere le madri coraggio della von Trotta?

 

Da Venezia, Luca Pellegrini, per Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

31 agosto 2003

 

IN MEDIO ORIENTE LA DRAMMATICA CATENA DI ATTACCHI, CHE ANCHE OGGI NON SI E’ ARRESTATA, NON FRENA GLI SFORZI PER LA PACE: PER PROMUOVERE L’ARMONIA TRA ISRAELIANI E PALESTINESI IERI HANNO MARCIATO INSIEME

I CAPI DELLE CHIESE CRISTIANE

 

TEL AVIV. = La polizia israeliana è riuscita a sventare tre attacchi suicidi nel corso di questi ultimi due giorni. Uno di questi era stato pianificato dalla Jihad e doveva essere perpetrato in territorio israeliano con un’autobomba. Lo ha rivelato, oggi, la Radio israeliana spiegando che le forze di sicurezza del Paese sono in stato di massima allerta per il rischio di nuovi attacchi. Ed i timori sono stati purtroppo confermati da un ennesimo attacco. Un camionista israeliano è rimasto infatti gravemente ferito, questa mattina, da un cecchino che lo ha colpito nei pressi di Rafah Yam, nella Striscia di Gaza. L’episodio di violenza stato rivendicato dal movimento fondamentalista Hamas, che ha dichiarato di aver voluto così rispondere alle recenti operazioni dell’esercito israeliano condotte contro militanti dell’organizzazione. Nonostante lo scenario sia tragicamente dominato dall’odio, dalla violenza e dalla paura non mancano, in Medio Oriente, iniziative tese alla eliminazione delle barriere, non solo storiche , tra israeliani e palestinesi. Diverse decine di cristiani hanno infatti marciato ieri, a Betlemme, per protestare contro il muro, voluto da Tel Aviv, che divide lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. A quanto riferisce il sito del quotidiano israeliano, Ha'aretz, i leader di 13 Chiese cristiane, si sono prima riuniti in un monastero pregando per la pace e poi hanno marciato verso una sezione del muro, che si trova presso Betlemme. All’evento hanno aderito anche il patriarca latino, Michel Sabbah, ed i patriarchi delle Chiese armena, copta, siriana, etiope e greco ortodossa, oltre al vescovo anglicano e a quello luterano. (A.L)

 

 

SI E’ CONCLUSO A BELOZEM, IN BULGARIA, IL IV FESTIVAL INTERNAZIONALE GIOVANILE DI MUSICA CRISTIANA. ALL’INIZIATIVA HANNO PARTECIPATO GIOVANI CATTOLICI

 ED ORTODOSSI PROVENIENTI ANCHE DALL’ITALIA E DALLA POLONIA

 

BELOZEM. = Dopo la celebrazione eucaristica presieduta, il 29 agosto scorso, dal nunzio apostolico in Bulgaria, mons. Giuseppe Leanza, si è concluso ieri, nel piccolo paese bulgaro di Belozem, il IV Festival internazionale giovanile di Musica cristiana, promosso dai frati cappuccini. L’iniziativa, alla quale hanno preso parte giovani cattolici ed ortodossi, è stata organizzata con l’obiettivo di manifestare la gioia del Vangelo nella musica e nella solidarietà. Il Festival, che ha proposto le canzoni di diversi cantautori di ispirazione cristiana, ha anche permesso a tanti giovani, tra i quali italiani, polacchi ma anche messicani, di conoscere più a fondo la complessa realtà della Bulgaria, uno Stato dove l’adesione al libero mercato e la chiusura delle aziende statali, non sono state indolori. “Nel Paese – afferma il 38.enne frate cappuccino, padre Cristoforo Kurzok - i cattolici, presenti soprattutto a Sofia dove abitano un milione e 400 mila persone, sono circa 80 mila e non hanno alcun problema di convivenza con la maggioranza della popolazione di rito bizantino-ortodosso”. A Sofia e a Belozem, come spiega padre Cristoforo, la rete di attività francescane è molto ricca: “l’associazione ‘Sant'Antonio’ offre sostegno ai bisognosi ed è anche impegnata nelle adozioni a distanza; per formare i giovani alla cultura cristiana sono poi stati costituiti il movimento ‘Luce-Vita’ ed un Centro giovani che gestisce diversi corsi, dall’informatica alla formazione professionale, per disoccupati”. (A.L.)

 

 

DECINE DI MIGLIAIA DI SCIITI  HANNO PARTECIPATO STAMANI A BAGHDAD, CITTÀ SCOSSA ANCHE OGGI DA UN NUOVO EPISODIO DI VIOLENZA, AD UN CORTEO FUNEBRE PER L’AYATOLLAH AL-HAKIM, RIMASTO UCCISO LO SCORSO 29 AGOSTO NELL’ATTENTATO COSTATO LA VITA A PIÙ DI 120 PERSONE

 

BAGHDAD. = Non si arresta in Iraq l’interminabile spirale di odio che sta insanguinando il Paese arabo. Oggi due persone sono state uccise ed altre due gravemente ferite da guardie del corpo di un dignitario sciita integralista, Moqtada Sadr, che hanno  sparato su una vettura ad un posto di blocco a Najaf, a Sud di Baghdad. Questa mattina si sono intanto riunite, nella capitale irachena, diverse migliaia di persone per partecipare ad una cerimonia funebre per l’ayatollah Mohammed Baqr al-Hakim, il leader sciita rimasto ucciso nell’attentato perpetrato due giorni fa e costato la vita ad oltre 120 persone a Najaf, davanti alla moschea di Ali, al termine della preghiera del venerdì. Imponenti misure di sicurezza sono state predisposte per l’occasione: la folla si è raccolta, questa mattina, davanti alla moschea Imam al-Khadam, nel quartiere a maggioranza sciita di Khadimiya, da dove è partito il corteo funebre. Nel corso della cerimonia il fratello della guida sciita, Abdel Aziz al-Hakim, ha pronunciato un discorso nel quale ha duramente criticato la presenza americana in Iraq, attribuendo la responsabilità della situazione di instabilità e la mancanza di sicurezza nel Paese alla coalizione guidata da Washington. Abel Aziz al-Hakim, che fa parte del Consiglio di governo transitorio iracheno, ha quindi lanciato un appello agli iracheni esortandoli a stare tutti uniti. Domani le spoglie dell’ayatollah dovrebbero essere trasportate nella città sciita di Kerbala, a 80 km a Sud  di Baghdad, per poi essere trasferite per la sepoltura a Najaf, teatro del sanguinoso episodio di violenza dello scorso 29 agosto. Le autorità di Najaf hanno intanto annunciato che 4 presunti responsabili della strage, arrestati ieri, potrebbero essere militanti islamici legati ad Al Qaeda  (A.L.)

 

 

UNA NUOVA RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE IN IRAQ È AUSPICABILE, ANZI POSSIBILE”. LO HA DICHIARATO IL PRESIDENTE RUSSO, VLADIMIR PUTIN OSPITE

IN SARDEGNA DEL PREMIER ITALIANO, SILVIO BERLUSCONI

 

SASSARI. = Il presidente russo, Vladimir Putin, ospite in Sardegna del primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, conferma che la nuova fase internazionale e diplomatica del dopoguerra iracheno può essere vicina. “Una nuova risoluzione delle Nazioni Unite – ha annunciato - è auspicabile, anzi possibile”, precisando che la Russia sta lavorando “attraverso continui contatti con partner europei e americani” per trovare quella quadratura che possa permettere di arrivare già durante la sessione annuale dell'Assemblea generale dell’Onu, a fine settembre, ad un mandato per le Nazioni Unite. Lo ha chiesto di nuovo insistentemente, all’indomani dell’attentato di Najaf, la Francia che si dichiara pronta “ad assumersi le proprie responsabilità in un quadro multilaterale”. Ma Putin, che ha ricevuto le condoglianze da Berlusconi per il grave lutto provocato ieri dall’incidente del sottomarino russo nel Mar di Barents, fa un ulteriore passo in avanti nella ricerca della mediazione con gli Stati Uniti ed è disponibile anche ad un’importante apertura di credito a Washington. Il presidente russo ha infatti dichiarato “che una forza multinazionale sotto il comando degli Stati Uniti è un’ipotesi realizzabile purché la decisione venga presa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. (A.L.)

 

 

PUBBLICATO NEGLI STATI UNITI ‘UNA LUCE PER IL MONDO’, LIBRO CHE CELEBRA

I 25 ANNI DI PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II

 

WASHINGTON. = “A Light for the World (Una luce per il mondo)”. E’ questo il titolo del libro uscito negli Stati Uniti per celebrare il 25.mo anno di pontificato di Giovanni Paolo II. L’opera, di cui sono già state vendute oltre di dieci mila copie, contiene più di quaranta brevi saggi, arricchiti da suggestive fotografie che illustrano 25 anni di ministero itinerante al servizio della Chiesa e dell’uomo. La prefazione è stata scritta dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e la presentazione è del presidente della Conferenza cattolica degli Stati Uniti, mons. Wilton Gregory. Di grande interesse sono un saggio biografico a cura di John Thavis, corrispondente romano del Catholic news service, un sommario dei principali scritti del Papa ed un breve dizionario con i più comuni termini ecclesiastici. Felice complemento del libro sono inoltre quasi trenta ricordi personali di laici ed ecclesiastici su Giovanni Paolo II.

 

 

 

 

SI E’ CONCLUSO IERI, AD AREZZO, IL CORSO ANNUALE PER STUDENTI DI TEOLOGIA INCENTRATO, IN QUESTA EDIZIONE, SUI TEMI DELLA GIUSTIZIA, DELLA PACE

E DELLA SALVAGUARDIA DEL CREATO

 

AREZZO. = Si è concluso, ieri, presso il Santuario di “La Verna”, ad Arezzo, il Corso annuale per studenti di teologia. L’iniziativa, promossa dall'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro e alla quale hanno partecipato 40 seminaristi, è stata realizzata per offrire ai futuri sacerdoti una conoscenza del servizio per l’evangelizzazione. Le tematiche affrontate hanno riguardato problemi sociali come l’economia e la politica, ma anche altri argomenti importanti quali il lavoro, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In particolare sono state approfondite le conseguenze legate al cambiamento del lavoro, un tema di estrema attualità che coinvolge la vita quotidiana di tante famiglie. In un contesto così carico di tensioni internazionali, è stata inoltre riproposta la figura di un profeta di pace: Don Lorenzo Milani. (A.L.)

 

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