RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 243 - Testo della
Trasmissione domenica 31 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Putin considera auspicabile una
nuova risoluzione delle Nazioni Unite per l’ Iraq.
Pubblicato negli Stati Uniti
un libro sui 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II.
Concluso ieri ad Arezzo
l’annuale corso per studenti di teologia.
31
agosto 2003
L’AFFIDAMENTO DELL’EUROPA ALLA VERGINE,
RINNOVATO DAL PAPA ALL’ANGELUS DOMENICALE. LA PACE IN MEDIO ORIENTE E IN
AFRICA, NELL’INVOCAZIONE ALLA MADONNA DELLE LACRIME DI SIRACUSA, A
CINQUANT’ANNI
DAL SORPRENDENTE EVENTO DELLA LACRIMAZIONE
- A cura di Paolo Salvo -
Ancora un pensiero sull’Europa e sulle sue radici
cristiane, nelle parole del Papa prima della recita dell’Angelus a Castel
Gandolfo, con i pellegrini convenuti nel cortile interno e nella piazza
antistante il Palazzo pontificio. Poi, il suo pensiero è andato al Santuario
della Madonna delle Lacrime di Siracusa, dove si celebra il 50° anniversario
della lacrimazione di Maria e domani, 1° settembre, si concluderà solennemente
lo straordinario Anno Mariano indetto per ricordare quel “sorprendente evento”.
“La Vergine Santa faccia sì che
l’Europa diventi una sinfonia di nazioni impegnate a costruire insieme la
civiltà dell’amore e della pace!”. Con queste parole, Giovanni Paolo II ha
voluto rinnovare il suo “affidamento a Maria” di tutti gli uomini e le donne
del Continente, con cui si conclude l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa. E tra gli innumerevoli santuari mariani esistenti in ogni
Paese europeo, il Papa è andato col pensiero al Santuario della Madonna delle
Lacrime, dove si recò personalmente il 6 novembre 1994 per la solenne
dedicazione.
“Lacrime misteriose” le definisce Giovanni Paolo II,
lacrime che “parlano di dolore e di tenerezza, di conforto e di misericordia
divina”, “segno di una presenza materna” e “appello a convertirsi a Dio,
abbandonando la via del male per seguire fedelmente Gesù Cristo”. La
riflessione del Papa si è quindi fatta preghiera alla Vergine: “A Te, dolce
Madonna delle Lacrime, presentiamo la Chiesa e il mondo intero. Guarda a chi ha
più bisogno di perdono e di riconciliazione; reca concordia nelle famiglie e
pace fra i popoli”.
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Asciuga le lacrime che l’odio e
la violenza provocano in molte regioni della Terra, specialmente in Medio
Oriente e nel Continente africano. Il tuo pianto, o Madre, sia pegno di
conversione e di pace per tutti i tuoi figli!
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Tra i vari gruppi di pellegrini
presenti, Giovanni Paolo II ha salutato una delegazione del Santuario della
Madonna delle Lacrime di Siracusa, che ha recato, perché fosse benedetta, una
corona d’oro da porre sul capo della Vergine. Nel saluto ai suoi connazionali,
il Papa si è riferito al problema della disoccupazione e alla difficile
situazione nel mondo del lavoro, argomenti trattati dai vescovi polacchi in un
comunicato diffuso oggi. “Mi associo volentieri alla loro voce – ha detto – e
prego, affinché gli urgenti problemi sociali trovino una pronta soluzione, per
il bene di tutti”.
SIATE FIERI DELLA VOSTRA EREDITA’ STORICA: E’
L’INVITO DEL CARDINALE
CRESCENZIO SEPE AI CATTOLICI DELLA MONGOLIA,
INAUGURANDO
LA
CATTEDRALE CATTOLICA DI ULAANBAATAR, INTITOLATA
AI SANTI PIETRO E PAOLO, PILASTRI DELLA CHIESA
- A cura di Paolo Salvo -
Le “radici storiche” del cristianesimo in Mongolia
risalgono ai secoli XIII e XIV, quando nella terra delle steppe giunsero i
primi missionari presso le corti dei gran khan, tra cui anche Marco Polo, il
famoso mercante e navigatore italiano. Lo ha ricordato il cardinale Crescenzio
Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli,
nell’omelia della Messa solenne con cui ha consacrato ieri mattina a
Ulaanbaatar la nuova cattedrale cattolica, la prima del Paese asiatico,
intitolata ai Santi Pietro e Paolo, i due pilastri della Chiesa. Con il cardinale
Sepe, intorno all’altare, vi erano il nunzio apostolico in Mongolia,
arcivescovo Giovanni Battista Morandini, il vescovo Wenceslao Selga Padilla,
filippino, della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, ordinato l’altro
ieri, e i primi missionari nel “Paese dell’eterno cielo azzurro”.
A proposito di quelle “radici
storiche”, il cardinale Sepe ha citato il gran khan Qubilai, che era
particolarmente interessato al cristianesimo. Infatti, chiese personalmente a
Papa Clemente IV di insegnare al suo popolo il cristianesimo e la scienza. E
Marco Polo servì per diciassette anni alla sua corte. “Questo fu possibile – ha
sottolineato – solo perché i gran khan mongoli, a cominciare dal più grande di
tutti loro, Gengis Khan, mostrarono un tipo di saggezza molto raro nel XIII
secolo, ossia la tolleranza e l’accettazione di tutte le religioni”. Secondo il
porporato, proprio questa saggezza dei grandi antenati potrebbe essere stato il
principio che ha guidato gli autori della nuova Costituzione mongola perché vi inserissero
il “diritto fondamentale alla religione e alla libertà di religione”.
“E
forse – ha aggiunto il cardinale – potrebbe essere stato il nostro retaggio
storico cristiano del passato in Mongolia ad avere ispirato i responsabili
della nuova Mongolia democratica ad avviare rapporti diplomatici con il
Vaticano”. Invitando quindi i cattolici della Mongolia, oltre 150, ad essere
fieri della loro “eredità storica”, il cardinale Sepe ha rivolto ad essi il
saluto di Giovanni Paolo II che li assicura del suo ricordo nella preghiera,
della sua costante sollecitudine, del suo sostegno e del suo affetto.
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31
agosto 2003
LA COSTITUZIONE EUROPEA
DEVE RIFLETTERE
LA TRADIZIONE
PLURALISTICA DEL CONTINENTE:
IL RIFERIMENTO ALLE
RADICI CRISTIANE NON SOLTANTO
OPPORTUNO,MA COSTITUZIONALMENTE NECESSARIO
COSI’ AI NOSTRI MICROFONI IL COSTITUZIONALISTA
AMERICANO
PROFESSORE
JOSEPH WEILER
Il
Meeting di Rimini, conclusosi ieri, sin dal primo giorno, ha affrontato la
tematica dell’Europa, ed ha lanciato un appello al governo italiano, perché
chieda una radicale revisione del progetto della Carta Costituzionale europea,
rinnovando anche la richiesta di
inserire esplicitamente il riconoscimento delle radici cristiane nel preambolo
della nuova Costituzione. Si prospetta al riguardo il rischio che i cristiani
restino emarginati in Europa rispetto alla cultura laica?
Ecco, al microfono di Luca Collodi, una
valutazione di questa questione, così discussa, del professore Joseph Weiler, costituzionalista,
docente alla New York University, di religione ebraica, intervenuto a Rimini:
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R. – Un po’ c’è questo rischio, ma se accadrà è
anche un po’ colpa loro perché sono diventati assai timidi. Al momento ci sono
solo 4 Paesi che ritengono opportuno di fare riferimento a Dio e alle radici
cristiane nel preambolo. E’ sorprendente, perché questo riferimento non è
soltanto opportuno ma costituzionalmente necessario.
D. – Qual è il problema che si
pone proprio dal punto di vista costituzionale in questa Carta europea?
R. – Nella tradizione
costituzionale europea, per quanto riguarda la simbologia costituzionale, ci
sono chiaramente due tradizioni in Europa. C’è la tradizione laica,
rappresentata dalla Costituzione francese, per esempio, dove non c’è alcun
riferimento spirituale né a Dio né al cristianesimo. E’ una tradizione da
rispettare. C’è un’altra tradizione che si trova nella Costituzione tedesca,
nella Costituzione irlandese, nella Costituzione maltese, nella Costituzione
danese, dove non soltanto c’è il riferimento a Dio, ma in alcune di queste
Costituzioni c’è anche un riferimento esplicito al cristianesimo. Ora, la
Costituzione europea deve essere davvero europea. Cioè non deve favorire solo
un punto di vista o l’altro. Una Costituzione europea che facesse riferimento
esclusivamente al cristianesimo e a Dio non sarebbe europea. Allo stesso modo
una Costituzione in cui nella sua simbologia ci fosse soltanto il riferimento
alla tradizione laica non sarebbe altrettanto europea. Quel preambolo di
Giscard, della Convenzione, è nella tradizione francese laica, ed in questo
senso non rappresenta la tradizione pluralistica europea, non si può predicare
pluralismo culturale e praticare imperialismo costituzionale.
D. – Prof. Weiler, lei pensa che
i politici cattolici in Europa abbiano cercato anche di salvaguardare il
rispetto, ad esempio, per la religione ebraica e per quella musulmana?
R. – Io sono ebreo praticante, e
nell’assetto costituzionale europeo è garantita la libertà religiosa. C’è da
dire che l’Europa è prevalentemente cristiana. Non dà fastidio né a musulmani
né a ebrei accettare questo fatto. E allora non vedo alcuna ragione, dal punto
di vista ebraico o musulmano, di obiettare al riferimento che non è per niente
esclusivista. Vorrei dire che gli Stati membri come l’Italia, la Polonia,
l’Irlanda, la Spagna, con tutta serenità possono richiedere il riferimento a
Dio e ai valori cristiani, non solo in nome di una sensibilità religiosa, ma in
nome della pluralità europea. Quando l’Europa dice ‘uniti nella diversità’,
anche la diversità costituzionale deve essere riflessa nel documento
costituente. E’ difficile vedere come l’Europa possa negare questa diversità.
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ANNUNCIO DEL VANGELO,
LIBERAZIONE PER I POVERI, DIALOGO TRA FEDI E CULTURE:
I MISSIONARI COMBONIANI GUARDANO AL FUTURO CON IL
CAPITOLO GENERALE
- Intervista con padre Dario Bossi -
L’elezione del nuovo superiore
generale e la delineazione delle priorità per i prossimi sei anni di missione:
sono questi gli obiettivi centrali per i padri comboniani che si riuniscono da
domani a Roma per il Capitolo generale. A questo appuntamento si intreccia la
Carovana della pace organizzata dal 5 al 15 settembre.
Ogni iniziativa assume un
rilievo particolare in considerazione della prossima canonizzazione del
fondatore, padre Daniele Comboni, il 5 ottobre prossimo. Ma cosa resta da
realizzare della sua missione che oggi guida 1.800 religiosi in Africa, Asia,
America ed Europa? Fausta Speranza lo ha chiesto a padre Dario Bossi.
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R. – Il sogno di Comboni era, ed è attualmente
tramite tanti comboniani, salvare l’Africa con l’Africa; rigenerare l’Africa
con l’Africa. C’è ancora tanto di incompiuto, perché questa rigenerazione,
questa salvezza che vuol dire vita
piena a partire da oggi, vuol dire ricostruzione del
Regno di Dio nei tessuti della vita della gente africana, della gente del Sud
del mondo, è ancora incompleta. Anzi, se riflettiamo, vediamo che le disparità,
le disuguaglianze, per certi versi anche il cadere dell’Africa in un
progressivo dimenticatoio, sono peggiorate rispetto all’epoca di Comboni.
Dall’altra parte anche sui metodi c’è ancora molta incompletezza, perché
l’intuizione profetica di Comboni è stata proprio quella di dire: “Si rigenera,
si salva un popolo tramite il popolo stesso”. Mentre vediamo che ancora oggi le
logiche sia civili, politiche, e a volte ecclesiali, pensano e si rimodellano
spesso su forme di neocolonialismo, per cui sembra che la salvezza di questi
popoli debba sempre venire da noi, dalle nostre tecniche, dai nostri metodi e
dalla nostra visione. In realtà si impedisce al popolo africano di liberarsi e
di manifestare in sé quello che sta sognando. Questo è un grave vuoto, un grave
scandalo.
D. – Padre Dario, quali sono le
parole chiave di questo impegno nel mondo dei comboniani?
R. – Sicuramente la parola
chiave è evangelizzazione, che però, per noi, significa promozione integrale
della persona umana, ossia incidere su tutte quelle strutture di peccato e di
ingiustizia che attualmente sono la realtà più antievangelica che c’è nel
mondo. Per noi comboniani, evangelizzare, essere coscienza critica e lottare
per la liberazione e la giustizia è qualcosa di profondamente coeso, di
profondamente legato, perchè non si può parlare di Vangelo se non si parla di
annuncio di liberazione per i poveri. Diciamo poi che le urgenze di una nuova
evangelizzazione oggi nel mondo sicuramente prevedono anche la sfida del
dialogo tra le religioni, dell’inculturazione del Vangelo nelle culture diverse
e quindi della ricerca di nuovi modelli di Chiesa e dell’ascolto della verità
che è presente già come seme del Verbo in tutte le culture e religioni.
D. – Tutto questo, dunque,
trasporta la carovana della pace che parte il 5 settembre?
R. – Un gruppo di giovani che
circolano per varie tappe in Italia, da Assisi, a Napoli, a Roma, a Montesole,
a Barbiana e a Brescia, per terminare a Limone sul Garda, dove appunto è nato
Daniele Comboni, per incontrare le realtà più periferiche delle città, le
persone più semplici, e riflettere insieme a loro sul tema della Pacem in
Terris e sulle provocazioni che questa enciclica ci dà per la costruzione
della pace a partire da qui, ma con occhi aperti al mondo. Il compito di
ciascuno di noi cristiani è avere quel sano strabismo di chi si impegna nel
locale in maniera radicale, ma allo stesso tempo ha gli occhi puntati
all’esterno, ai lontani, da loro vuole imparare e in funzione loro vuole
vivere.
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IL
DIRITTO A COMUNICARE POSTO A RISCHIO
DALLA GLOBALIZZAZIONE DEI POTERI MEDIATICI
- Servizio di Roberta Gisotti -
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In questi giorni l’uscita
contemporanea negli Stati Uniti e in Francia di un libro, “Blak list”, firmato
da 14 giornalisti americani, che documentano le pressioni subite per diverse
ragioni e a vario titolo, una censura a volte non dichiarata ma inesorabile,
denunciando un fenomeno in crescita di grave rischio per la libertà
d’informazione: il legame tra concentrazioni editoriali, politica e potere
militare.
Anche in Italia, pubblicato dai
Fratelli Frilli, è uscito un libro “Diritto a comunicare e sovranità popolare”,
che offre una lettura fortemente critica dell’attuale sistema dei media e pone
sotto accusa le logiche del potere mediatico, che opprimono piuttosto che
liberare l’uomo, arrivando perfino a ‘minacciare’ la democrazia. L’autore
Enrico Giardino, ingegnere, già dirigente della Rai, interpreta eventi e
scenari di attualità secondo un’ottica marxista che può spiazzare il lettore
non allineato politicamente, riguardo in particolare il conflitto israelo
palestinese ed i recenti conflitti nei Balcani.
Pure porta il merito questo
saggio di aprire interrogativi che interpellano tutta la società, sollecitando
risposte individuali e pubbliche per affrontare una grande sfida per l’umanità
nel terzo millennio. All’autore chiediamo come si configura oggi il diritto a
comunicare?
R. - Il diritto a comunicare è
stato sancito dall’Unesco nel 1984, ed ha avuto, dopo il rapporto McBride del
’77, una sua codificazione, superando i concetti precedenti, fuorvianti e
negativi. Tale diritto ora sta rivivendo una seconda stagione molto importante.
Infatti, ad esempio, a dicembre di quest’anno a Ginevra, si terrà un’importante
Conferenza dell’Onu, dell’Uit, l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni,
e dell’Unesco, dove una sessione di questa assise internazionale sarà dedicata
appunto al diritto a comunicare.
D. – Lei auspica che la
comunicazione diventi un potere costituzionale, dunque, un problema di Stato?
R. – Leggendo la Carta Costituzionale,
non solo nell’articolo 21, ma anche
nell’articolo 43 ed in altri, si nota che è possibile al suo interno trovare delle soluzioni di
ordinamento che riconoscano il diritto a comunicare, come potere messo al
servizio dell’esercizio della sovranità popolare e sociale. Questo è quindi
fattibile senza ricorrere a modificazioni della Carta Costituzionale.
D. – Ing. Giardino, dal libro
viene fuori anche una visione, possiamo dire, apocalittica del mondo
dell’informazione. Ma da dove ripartire per ritrovare un ruolo centrale
all’utente, al cittadino, alla persona?
R. – Il libro apre tutta una
serie di prospettive: di riacquisizione, di riappropriazione, di questo diritto
comunicativo, che è insieme individuale
e collettivo e che ancora non è stato mai riconosciuto. Propone poi, ad
esempio, una Carta universale dei diritti comunicativi dei popoli, dei
cittadini utenti e dei lavoratori della comunicazione, che, se approvata con
legge, fornirà degli strumenti concreti nel diritto attivo, cioè di partecipazione,
ed in quello passivo, d’informazione, a tutti i cittadini,a tutti i popoli ed a
tutti i lavoratori del settore.
D. – Ma su chi bisogna fare
maggiormente leva? Su i Governi e gli Stati o sull’opinione pubblica?
R. – Punto
di partenza, vista la storia che abbiamo avuto in questi decenni, sono le
mobilitazioni sociali e popolari che in questi anni, da Porto Allegre ai
‘Girotondi’, abbiamo avuto in Italia e nel mondo. Naturalmente questi gruppi
devono operare delle pressioni sui governi, sugli amministratori centrali e
periferici, sugli operatori della scuola e su tutti i lavoratori del mondo
della comunicazione, che sono moltissimi, per ottenere che queste conquiste e
che queste proposte si realizzino, divengano leggi dello Stato, e quindi siano
poi esigibili da tutti. Perché l’interesse è assolutamente generale, attuale e
necessario.
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L’OPERA DEI MISSIONARI
SAVERIANI PER LA POPOLAZIONE
DELLA SIERRA LEONE USCITA DAGLI ORRORI DELLA
GUERRA CIVILE
- Intervista con padre Antonio Guiotto -
La Sierra Leone emerge da una
guerra civile protrattasi per dieci anni e il cui impatto sulle condizioni di
vita e di salute della popolazione è risultato devastante. Il Fronte
Rivoluzionario Unito, il principale gruppo ribelle contro il governo di Freetown,
si è macchiato di terribili crudeltà contro i civili, arrivando a compiere
orrende mutilazioni sulla popolazione inerme. Si stima che le vittime del
conflitto ammontino a 100.000 morti e ad oltre 30.000 mutilati, a cui si
aggiungono migliaia di bambini soldato e di donne sottoposte ad abusi sessuali.
Oggi quasi tutte le aree del Paese sono state dichiarate sicure e i profughi
stanno facendo ritorno alle loro case. In questa difficile opera di
ricostruzione della Sierra Leone, i padri saveriani continuano ad occuparsi
materialmente e spiritualmente della popolazione civile come racconta ai nostri
microfoni padre Antonio Guiotto, superiore generale dei missionari saveriani in
Sierra Leone. L’intervista è di Maria Di Maggio.
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R. – Noi siamo impegnati a recuperare il morale di
questa gente con diverse attività: attività nel campo educativo, nella scuola;
attività nel campo sanitario, rimettendo in sesto il nostro ospedale e le
nostre cliniche, con interventi nei villaggi attraverso cliniche mobili; tanta
attività umanitaria con aiuti per la ricostruzione di case, di scuole,
strutture pubbliche come pozzi ed altre cose che erano state distrutte dalla
guerra. Abbiamo lavorato molto in questo anno e mezzo, da quando siamo tornati
nel nord.
D. – Prima della guerra civile, la Sierra Leone
spiccava per la pacifica convivenza tra le diverse etnie presenti al suo
interno, poi il conflitto ha scatenato l’odio tra le numerose etnie ed anche
tra appartenenti ad un medesimo gruppo etnico. Quindi, a suo avviso, come si
può costruire oggi una cultura di pace in Sierra Leone?
R. – Questo è il lavoro che stiamo facendo oggi.
Abbiamo avuto varie attività e soprattutto incontri con giovani, nel tentativo
di inculcare la mentalità che favorisca la pace e portare questi giovani a
ragionare insieme, ponendo loro dei problemi. Ci vorrà del tempo, però, già
vediamo che un po’ alla volta, man mano che passa il tempo, dimenticano le
ferite più profonde. C’è, quindi, la possibilità di intervenire e guarire tutte
queste ferite.
D. – Tra le conseguenze più atroci della guerra
civile c’è la problematica dei bambini soldato. Cosa fanno i missionari
saveriani per favorire la riabilitazione degli ex bambini soldato?
R. – Noi abbiamo aperto nel 2000 un centro per il
recupero di ragazzi soldato, i quali venivano tenuti nel centro per qualche
tempo, per parlare loro e per far sentire loro un po’ di affetto, per farli
stare assieme. Abbiamo poi lavorato molto per riconsegnarli alle loro famiglie
di origine, quando era possibile, perché in certi casi le famiglie non li
volevano più. In quel caso abbiamo cercato sistemazioni alternative e di dar
loro un po’ di formazione in qualche attività lavorativa, in maniera che
diventassero al più presto indipendenti.
D. – Padre Guiotto vuole raccontarci il momento più
bello da lei vissuto in tutti questi anni di missione in Sierra Leone?
R. – Non è solo uno, sono vari. Soprattutto in
questo anno e mezzo, da quando sono tornato al nord, ho avuto la possibilità di
lavorare nei villaggi, quelli più lontani. I momenti più belli sono stati
l’incontro con la gente nei villaggi, gente che non aveva mai visto neanche un
missionario, e che mi ha accettato. Abbiamo pregato assieme, abbiamo celebrato
insieme la libertà, la fede e la pace. E’ stata una esperienza bellissima, nei
villaggi più lontani, vedere l’accoglienza, l’ascolto e la risposta di questa
gente, che si sentiva felice perché vedeva che c’era qualcuno che si curava di
loro, che faceva chilometri e ore a piedi per aiutarli. Penso che questa sia
stata la cosa più bella per me in questo ultimo anno e mezzo.
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ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA IN CORSA PER IL
LEONE D’ORO IL FILM “ROSENSTRASSE” DI
MARGARETHE VON TROTTA, SU UN PASSATO DA NON DIMENTICARE
- Dalla città lagunare Luca Pellegrini -
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Un film sulla memoria e sulla
determinazione femminile, il sacrificio e il coraggio civile, la solidarietà e
la speranza. Un film tedesco, fatto da tedeschi che perfora, coraggiosamente,
uno dei tanti episodi tragici della storia di quel popolo.
Siamo nel 1943, ma non, come nel
bel film polacco “Pornografia” di Jan Jakob Kolski, in una segregata tenuta
estiva della Polonia invasa, ma nel cuore stesso della potere nazista: Berlino.
La regista del film, Margarethe von Trotta, ricostruisce in modo originale un
fatto che si collega più che mai alle vicende spaventose del suo popolo e di
quello ebraico, uniti in un mare di sangue, sopraffazione e violenza. In Rosenstrasse
– che è anche il titolo del film – sono reclusi uomini ebrei sposati con donne
tedesche, insomma quella metà contaminata ed impura del matrimonio misto: una
spina nel fianco dell’ideologia nazista.
Le donne vogliono i mariti a
loro sottratti, i nazisti vogliono la loro eliminazioni fisica, la storia vuole
la sua giustizia. Qui si innesta la doppia memoria di Ruth e di Lena che il
destino, come molti altri destini dell’epoca, riunisce per sempre. Nel 2002,
sempre a Berlino Ruth cerca di sopprimere il passato, Lena lo rivive e lo
racconta senza pudori, come un momento vissuto eroicamente. Il loro presente
rimane però indivisibile. Ruth aveva perso definitivamente la madre e la trova
in Lena; Lena, di una prestigiosa famiglia ariana che l’ha espulsa dal suo
nucleo, è angosciosamente separata dal marito ebreo. Sono state e lo sono
ancora, a modo loro, due donne coraggiose: la prima aggrappandosi ad una nuova
identità e famiglia, la seconda guidando il gruppo di indomite donne tedesche,
giorno e notte, vigilanti in quella strada sino alla loro ideale vittoria.
Margarethe von Trotta governa
benissimo l’oscillare dei tempi del racconto coordinato dalla figura della
figlia di Ruth, che si tuffa nel passato per fare chiarezza sul presente. Non
concede nulla al sentimentalismo, alla spettacolarità del dolore, all’effetto
pietà, alla condanna a priori. All’effetto bifronte cerca soltanto di
riappacificare, lei stessa e lo spettatore, con il non rimorso di quell’epoca.
Da segnalare le attrici, tutte
splendide, i colori della fotografia, l’uso del sonoro, l’applauso finale. Dopo
“Il pianista” di Polanski, potrebbero vincere le madri coraggio della von
Trotta?
Da Venezia, Luca Pellegrini, per
Radio Vaticana.
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31
agosto 2003
IN MEDIO ORIENTE LA DRAMMATICA CATENA DI ATTACCHI,
CHE ANCHE OGGI NON SI E’ ARRESTATA, NON FRENA GLI SFORZI PER LA PACE: PER
PROMUOVERE L’ARMONIA TRA ISRAELIANI E PALESTINESI IERI HANNO MARCIATO INSIEME
I CAPI DELLE CHIESE CRISTIANE
TEL AVIV. = La polizia israeliana è riuscita a
sventare tre attacchi suicidi nel corso di questi ultimi due giorni. Uno di
questi era stato pianificato dalla Jihad e doveva essere perpetrato in
territorio israeliano con un’autobomba. Lo ha rivelato, oggi, la Radio
israeliana spiegando che le forze di sicurezza del Paese sono in stato di
massima allerta per il rischio di nuovi attacchi. Ed i timori sono stati
purtroppo confermati da un ennesimo attacco. Un camionista israeliano è rimasto
infatti gravemente ferito, questa mattina, da un cecchino che lo ha colpito nei
pressi di Rafah Yam, nella Striscia di Gaza. L’episodio di violenza stato
rivendicato dal movimento fondamentalista Hamas, che ha dichiarato di aver
voluto così rispondere alle recenti operazioni dell’esercito israeliano
condotte contro militanti dell’organizzazione. Nonostante lo scenario sia
tragicamente dominato dall’odio, dalla violenza e dalla paura non mancano, in
Medio Oriente, iniziative tese alla eliminazione delle barriere, non solo
storiche , tra israeliani e palestinesi. Diverse decine di cristiani hanno
infatti marciato ieri, a Betlemme, per protestare contro il muro, voluto da Tel
Aviv, che divide lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. A quanto riferisce il
sito del quotidiano israeliano, Ha'aretz, i leader di 13 Chiese cristiane, si
sono prima riuniti in un monastero pregando per la pace e poi hanno marciato
verso una sezione del muro, che si trova presso Betlemme. All’evento hanno
aderito anche il patriarca latino, Michel Sabbah, ed i patriarchi delle Chiese
armena, copta, siriana, etiope e greco ortodossa, oltre al vescovo anglicano e
a quello luterano. (A.L)
SI E’ CONCLUSO A BELOZEM, IN BULGARIA, IL IV
FESTIVAL INTERNAZIONALE GIOVANILE DI MUSICA CRISTIANA. ALL’INIZIATIVA HANNO
PARTECIPATO GIOVANI CATTOLICI
ED ORTODOSSI PROVENIENTI ANCHE DALL’ITALIA E
DALLA POLONIA
BELOZEM.
= Dopo la celebrazione eucaristica presieduta, il 29 agosto scorso, dal nunzio
apostolico in Bulgaria, mons. Giuseppe Leanza, si è concluso ieri, nel piccolo
paese bulgaro di Belozem, il IV Festival internazionale giovanile di Musica
cristiana, promosso dai frati cappuccini. L’iniziativa, alla quale hanno preso
parte giovani cattolici ed ortodossi, è stata organizzata con l’obiettivo di
manifestare la gioia del Vangelo nella
musica e nella solidarietà. Il Festival, che ha proposto le canzoni di diversi
cantautori di ispirazione cristiana, ha anche permesso a tanti giovani, tra i
quali italiani, polacchi ma anche messicani, di conoscere più a fondo la
complessa realtà della Bulgaria, uno Stato dove l’adesione al libero mercato e
la chiusura delle aziende statali, non sono state indolori. “Nel Paese –
afferma il 38.enne frate cappuccino, padre Cristoforo Kurzok - i cattolici,
presenti soprattutto a Sofia dove abitano un milione e 400 mila persone, sono
circa 80 mila e non hanno alcun problema di convivenza con la maggioranza della
popolazione di rito bizantino-ortodosso”. A Sofia e a Belozem, come spiega
padre Cristoforo, la rete di attività francescane è molto ricca:
“l’associazione ‘Sant'Antonio’ offre sostegno ai bisognosi ed è anche impegnata
nelle adozioni a distanza; per formare i giovani alla cultura cristiana sono
poi stati costituiti il movimento ‘Luce-Vita’ ed un Centro giovani che gestisce
diversi corsi, dall’informatica alla formazione professionale, per
disoccupati”. (A.L.)
DECINE
DI MIGLIAIA DI SCIITI HANNO PARTECIPATO
STAMANI A BAGHDAD, CITTÀ SCOSSA ANCHE OGGI DA UN NUOVO EPISODIO DI VIOLENZA, AD
UN CORTEO FUNEBRE PER L’AYATOLLAH AL-HAKIM, RIMASTO UCCISO LO SCORSO 29 AGOSTO
NELL’ATTENTATO COSTATO LA VITA A PIÙ DI 120 PERSONE
BAGHDAD.
= Non si arresta in Iraq l’interminabile spirale di odio che sta insanguinando
il Paese arabo. Oggi due persone sono state uccise ed altre due gravemente
ferite da guardie del corpo di un dignitario sciita integralista, Moqtada Sadr,
che hanno sparato su una vettura ad un
posto di blocco a Najaf, a Sud di Baghdad. Questa mattina si sono intanto
riunite, nella capitale irachena, diverse migliaia di persone per partecipare
ad una cerimonia funebre per l’ayatollah Mohammed Baqr al-Hakim, il leader
sciita rimasto ucciso nell’attentato perpetrato due giorni fa e costato la vita
ad oltre 120 persone a Najaf, davanti alla moschea di Ali, al termine della
preghiera del venerdì. Imponenti misure di sicurezza sono state predisposte per
l’occasione: la folla si è raccolta, questa mattina, davanti alla moschea Imam
al-Khadam, nel quartiere a maggioranza sciita di Khadimiya, da dove è partito
il corteo funebre. Nel corso della cerimonia il fratello della guida sciita,
Abdel Aziz al-Hakim, ha pronunciato un discorso nel quale ha duramente
criticato la presenza americana in Iraq, attribuendo la responsabilità della
situazione di instabilità e la mancanza di sicurezza nel Paese alla coalizione
guidata da Washington. Abel Aziz al-Hakim, che fa parte del Consiglio di governo
transitorio iracheno, ha quindi lanciato un appello agli iracheni esortandoli a
stare tutti uniti. Domani le spoglie dell’ayatollah dovrebbero essere
trasportate nella città sciita di Kerbala, a 80 km a Sud di Baghdad, per poi essere trasferite per la
sepoltura a Najaf, teatro del sanguinoso episodio di violenza dello scorso 29
agosto. Le autorità di Najaf hanno
intanto annunciato che 4 presunti responsabili della
strage, arrestati ieri, potrebbero essere militanti islamici legati ad Al Qaeda
(A.L.)
“UNA NUOVA RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE IN IRAQ È
AUSPICABILE, ANZI POSSIBILE”. LO HA DICHIARATO IL PRESIDENTE RUSSO, VLADIMIR
PUTIN OSPITE
IN
SARDEGNA DEL PREMIER ITALIANO, SILVIO BERLUSCONI
SASSARI. = Il presidente russo,
Vladimir Putin, ospite in Sardegna del primo ministro italiano, Silvio
Berlusconi, conferma che la nuova fase internazionale e diplomatica del
dopoguerra iracheno può essere vicina. “Una nuova risoluzione delle Nazioni Unite – ha
annunciato - è auspicabile, anzi possibile”,
precisando che la Russia sta lavorando “attraverso continui contatti con
partner europei e americani” per trovare quella quadratura che possa permettere
di arrivare già durante la sessione annuale dell'Assemblea generale dell’Onu, a
fine settembre, ad un
mandato per le Nazioni Unite. Lo ha chiesto di nuovo
insistentemente, all’indomani dell’attentato di Najaf, la Francia che si
dichiara pronta “ad assumersi le proprie responsabilità in un quadro
multilaterale”. Ma Putin, che ha ricevuto le condoglianze da Berlusconi per il
grave lutto provocato ieri dall’incidente del sottomarino russo nel Mar di
Barents, fa un ulteriore passo in avanti nella ricerca della mediazione con gli
Stati Uniti ed è disponibile anche ad un’importante apertura di credito a Washington. Il presidente russo ha infatti
dichiarato “che una forza multinazionale sotto il comando degli Stati Uniti è
un’ipotesi realizzabile purché la decisione venga presa dal
Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. (A.L.)
PUBBLICATO
NEGLI STATI UNITI ‘UNA LUCE PER IL
MONDO’, LIBRO CHE CELEBRA
I 25
ANNI DI PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II
WASHINGTON. = “A Light for the World (Una
luce per il mondo)”. E’ questo il titolo del libro uscito negli Stati Uniti per
celebrare il 25.mo anno di pontificato di Giovanni Paolo II. L’opera, di cui
sono già state vendute oltre di dieci mila copie, contiene più di quaranta
brevi saggi, arricchiti da suggestive fotografie che illustrano 25 anni di
ministero itinerante al servizio della Chiesa e dell’uomo. La prefazione è
stata scritta dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e la
presentazione è del presidente della Conferenza cattolica degli Stati Uniti,
mons. Wilton Gregory. Di grande interesse sono un saggio biografico a cura di
John Thavis, corrispondente romano del Catholic news service, un
sommario dei principali scritti del Papa ed un breve dizionario con i più
comuni termini ecclesiastici. Felice complemento del libro sono inoltre quasi
trenta ricordi personali di laici ed ecclesiastici su Giovanni Paolo II.
SI E’ CONCLUSO IERI, AD AREZZO, IL CORSO ANNUALE PER
STUDENTI DI TEOLOGIA INCENTRATO, IN QUESTA EDIZIONE, SUI TEMI DELLA GIUSTIZIA,
DELLA PACE
E DELLA SALVAGUARDIA DEL CREATO
AREZZO. = Si è concluso, ieri, presso il Santuario
di “La Verna”, ad Arezzo, il Corso annuale per studenti di teologia.
L’iniziativa, promossa dall'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il
lavoro e alla quale hanno partecipato 40 seminaristi, è stata realizzata per
offrire ai futuri sacerdoti una conoscenza del servizio per l’evangelizzazione.
Le tematiche affrontate hanno riguardato problemi sociali come l’economia
e la politica, ma anche altri argomenti importanti quali il lavoro, la
giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In particolare sono state approfondite le conseguenze legate al
cambiamento del lavoro, un tema di estrema attualità che coinvolge la vita
quotidiana di tante famiglie. In un contesto così carico di tensioni
internazionali, è stata inoltre riproposta la figura di un profeta di pace: Don
Lorenzo Milani. (A.L.)
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