RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 237 - Testo della Trasmissione di lunedì 25 agosto 2003

 

Sommario

                                                                                    

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Ricevuti dal Papa a Castel Gandolfo alcuni vescovi della Conferenza episcopale d’Egitto, in visita “ad Limina Apostolorum”

 

 Il terzo viaggio di Giovanni Paolo II in Slovacchia, dall’11 al 14 settembre: visita ad una Chiesa aperta, dopo l’isolamento comunista. Intervista con il vescovo Piero Marini.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un segno di pace dalla Bosnia Erzegovina: lo storico ponte di Mostar, simbolo di convivenza tra diverse etnie, torna ad unire le popolazioni sulle due sponde del fiume Neretva. Con noi, la prof.ssa Maria Rita Saulle e don Ante Komadina

 

Concluso alla Cittadella Cristiana di Assisi il corso internazionale di studi, dedicato quest’anno al rapporto tra la fede in Dio e le paure dell’uomo. Ai nostri microfoni, fra’ Enzo Bianchi e don Antonio Dell’Oglio

 

 Il Rwanda alle urne per le prime elezioni dopo il genocidio: un passo verso la democrazia, ma resta la tensione. Una analisi, con Raffaello Zordan.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Si chiude oggi ad Assisi l’annuale settimana teologica promossa dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dedicata alla “Libertà del cristiano nell’età della globalizzazione”.

 

Nuovo giudizio negli Stati Uniti per la catastrofe ambientale causata nel 1989 dal naufragio della petroliera Exxon Valdez, al largo dell'Alaska.

 

E’ stata senz’altro uccisa Zahra Kazemi, la giornalista iraniana-canadese morta dopo l’arresto nel giugno scorso

 

Domattina nella chiesa romana di Sant’Agnese in Agone, Messa di suffragio per Sergio Vieira de Mello, il rappresentante dell’Onu ucciso a Baghdad insieme ad altre 22 persone.

 

I valori più autentici della religiosità popolare richiamati dal cardinale peruviano Cipriani Thorne al Meeting di Rimini per l’amicizia fra i popoli.

 

24 ORE NEL MONDO:

Tragedia in India: l’esplosione di due bombe ha causato, questa mattina, la morte di almeno 41 persone

 

Uccisi dai soldati israeliani, nella Striscia di Gaza, due esponenti di primo piano di Hamas

 

 In un attentato perpetrato ieri a Najaf, in Iraq, sono state uccise tre persone ed è rimasto ferito il capo del Supremo consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 agosto 2003

 

 

RICEVUTI DAL PAPA A CASTEL GANDOLFO ALCUNI VESCOVI D’EGITTO,

IN VISITA “AD LIMINA”

 

Il Papa ha ricevuto questa mattina nella residenza pontificia di Castel Gandolfo cinque vescovi di rito copto della Conferenza episcopale d’Egitto, in visita “ad Limina”.

 

Gli stessi presuli, stamani, hanno celebrato la Santa Messa in Vaticano, sulla tomba di San Pietro. Ha presieduto la celebrazione Sua Beatitudine  Stephanos II Ghattas, Patriarca di Alessandria dei Copti.

 

 

IL TERZO VIAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II IN SLOVACCHIA, IN SETTEMBRE:

VISITA AD UNA CHIESA APERTA, DOPO L’ISOLAMENTO COMUNISTA

- Intervista con mons. Piero Marini -

 

Una Chiesa che guarda all’Europa dopo la tragedia della persecuzione sovietica. Una Chiesa che parla di perdono e di riconciliazione con il passato, attraverso la storia e l’eroismo di due suoi martiri presto beatificati. E’ questa la realtà della Slovacchia, a 20 giorni dalla terza visita di Giovanni Paolo II nel Paese europeo. Alessandro De Carolis ha chiesto al vescovo Piero Marini, maestro delle cerimonie pontificie, quale sia il significato spirituale della prossima visita apostolica:

 

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R. – Mi pare che questa occasione del viaggio in Slovacchia voglia essere un gesto di significativa riconoscenza ed attenzione da parte del Papa nei confronti di un popolo che ha molto sofferto. E la sofferenza patita sotto il regime comunista e totalitario è anche espressa dalla beatificazione di questi due figli della Chiesa slovacca, il vescovo Basile-Hopko e suor Zdenka Schelingová, i quali hanno testimoniato attraverso il carcere la loro fede.

 

D. – Cosa insegna, secondo lei, il loro martirio ad una nazione che ora guarda all’Europa unita?

 

R. – In questo momento, lei mi fa ricordare quelle parole che diceva suor Zdenka durante la sua vita e nel momento della morte: ‘Il perdono è la cosa più grande della vita”. Questo per me è il messaggio che lasciano entrambi alla loro nazione e che lasciano a tutto il mondo, se si vuole progredire verso un futuro di pace. Se guardiamo la realtà di questi giorni nel mondo, ci convinciamo sempre di più che se non c’è il perdono non si riesce a guardare con speranza verso il futuro.

 

D. – Che Chiesa trova oggi il Papa in Slovacchia?

 

R. – In Slovacchia, trova una Chiesa “aperta” nel senso che la Chiesa slovacca è sempre stata una Chiesa isolata durante il periodo del regime totalitario. Quando c’è stata la caduta del muro, ha potuto riannodare i suoi contatti con le altre Chiese vicine, con l’Europa, e quindi è una Chiesa rimasta con una sua identità. Nonostante tutte le persecuzioni, la Chiesa della Slovacchia, che guarda verso l’Europa, è una comunità alla ricerca dei valori cristiani che per tanti anni sono stati un po’ soffocati. E mi pare che tale apertura sia il simbolo, oggi, della situazione in Slovacchia. Inoltre, è una Chiesa che è rimasta molto legata, nelle sue devozioni, alla Madonna. Lì ci sono tanti santuari: anche durante la visita del Papa, si celebrerà la Messa del Santissimo nome di Maria. E’ evidente che  questa devozione mariana sia stata il punto di riferimento, durante gli anni della persecuzione. Va anche detto che la Slovacchia è una nazione che durante tutti questi anni ha sempre mostrato  un grande amore per il Papa. Questi sono i punti che emergono nella spiritualità di questa Nazione e che la rendono molto unita a noi nella fede e che la proiettano anche nel futuro dell’Europa con queste due prospettive.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Riconoscere esplicitamente nel Trattato le radici cristiane dell’Europa, principale garanzia di futuro” è il titolo che apre la Prima Pagina in riferimento all’Angelus di domenica nel quale Giovanni Paolo II ha rivolto il suo pensiero all’attuale proces-so di integrazione europea e, in particolare, al ruolo determinante delle sue istituzioni. A seguire, Repubblica Democratica del Congo: sacerdote ucciso dai miliziani di etnia Lendu nella provincia dell’Ituri. India: è di 41 morti e 120 feriti il bilancio provvisorio di un attentato a Bombay.

 

Nelle pagine vaticane, una pagina dedicata all’omelia di mons. Angelo Scola, patriarca di Venezia  per il 25.mo dell’elezione di Papa Giovanni Paolo I e l’omelia di mons. Giuseppe Verucchi, arcivescovo di Ravenna per l’80.mo anniversario dell’uccisione di don Minzoni. Una pagina dedicata al Meeting di Rimini.

 

Nelle pagine estere, Medio Oriente: quattro morti ad Gaza per attacco di elicotteri israeliani mirato contro i miliziani di Hamas; l’Ap cerca una nuova tregua e fa appello al Quartetto. Liberia: ripresi gli attacchi dei ribelli del Lurd nella città nororientale di Bahn: il governo denuncia centinaia di vittime. Rwanda: al voto per le prime elezioni presidenziali dopo il genocidio del 1994. Iraq: l’Onu studia la trasformazione della coalizione in “guppo unilaterale” a propria guida; la Croce Rossa riduce le attività e il personale; gli Usa sono contrari alla risoluzione proposta dal Messico sulla tutela personale dell’Onu: fragile calma a Kirkuk dopo i violenti scontri; una bomba provoca vittime nella moschea di Najaf: ancora morti tra i soldati americani; De Mello, vittima dell’attentato alla sede delle Nazioni Unite a Baghdad, sarà sepolto nel sacrario dell’Onu nel cimitero di Ginevra. Russia: decine di morti in combattimenti in Cecenia. Tre morti per l’esplosione di tre bombe a a Krasnodar, nella Russia meridionale. Colombia: sanguinoso attentato a Puerto Rico attribuito dal governo alle Farc che chiedono un incontro con il segretario dell’Onu.

 

Nella pagina culturale, un articolo sulla mostra di Paul Signac a Martigny e un ricordo di Carlo Laurenzi scritto da Manlio Cancogno.

 

Nelle pagine italiane, continuano nel Milanese le ricerche dell’assassino che venerdì ha ucciso quattro persone tra cui una bimba di due anni. A seguire i temi dell’economia, del rischio blackout e del maltempo

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 agosto 2003

 

 

UN SEGNO DI PACE DALLA BOSNIA ERZEGOVINA: IL PONTE DI MOSTAR

UNISCE DI NUOVO LE POPOLAZIONI SULLE DUE SPONDE DEL FIUME NERETVA

- Intervista con Maria Rita Saulle e don Ante Komadina -

 

Simbolo di convivenza tra i popoli, ferito dalla guerra fratricida in Bosnia ed Erzegovina, il ponte di Mostar torna ora ad unire le due sponde sul fiume Neretva. La distruzione del capolavoro architettonico del XVI secolo - l’8 novembre del 1993 - era drammaticamente assurta a simbolo della violenza del conflitto nei Balcani. Venerdì scorso, la ricostruzione dello “Stari Most” - il ponte vecchio voluto da Solimano il Magnifico - che dà anche il nome alla città di Mostar, è entrata nella sua fase finale con la posa della pietra di volta. Un momento di portata storica, salutato festosamente da centinaia di cittadini. Evento, che riporta in primo piano l’attenzione sulla regione balcanica. Ecco al microfono di Alessandro Gisotti una riflessione della prof.ssa Maria Rita Saulle, docente di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma:

 

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R. – Ritengo che questo evento sia molto importante, anche perché proprio dal punto di vista simbolico e storico le popolazioni avevano indicato, al termine della guerra nel 1995, l’abbattimento di questo ponte come una delle catastrofi della guerra.

 

D. – Secondo lei, i popoli che vivono in questo territorio stanno camminando in modo convinto sulla strada della pacificazione e della ricostruzione di un tessuto sociale lacerato dalla guerra?

 

R. – Un elemento è che ormai, grazie alla globalizzazione, non c’è più un popolo che possa dirsi separato dagli altri. Dall’altra parte c’è anche la volontà da parte della Bosnia Erzegovina di entrare a far parte dell’Unione Europea. Queste aperture fanno ben sperare in senso positivo. Non si può però immaginare che tutto avvenga così come può accadere con un interruttore. Perché il cambiamento sia democratico e di coesistenza si presuppone il passaggio, il trascorrere del tempo, che faccia dimenticare e anche rivedere sotto una luce diversa e critica di ciò che è accaduto a causa della guerra. Tutto va favorito lentamente e progressivamente.

 

D. – Nella vicina Serbia il premier Zivcokic ha ordinato nei giorni scorsi l’innalzamento dei livelli di sicurezza, dopo una serie di attacchi contro le forze serbe da parte di miliziani albanesi nel sud del Paese. Quale segnale possiamo trarre da queste tensioni?

 

R. – Il segnale è che bisogna lavorare nel senso della pace, ma soprattutto sulle differenza etniche e religiose. Quindi, bisognerebbe lavorare in un duplice senso: sul piano culturale, per abbattere le frontiere mentali dovute ad una differenza sia etnica, che religiosa. Ma serve anche una attenta e rigida attenzione sul piano della sicurezza.

 

D. – La comunità internazionale impegnata prima sul quadrante afgano, ora sullo scenario iracheno, è ancora sufficientemente attiva nel processo di stabilizzazione dei Balcani?

 

R. – Non credo che la comunità internazionale sia molto attiva sul piano dei Balcani, o meglio, più che la comunità internazionale l’opinione pubblica mondiale. Certo, la Bosnia è molto più tranquilla del 1995-96, però ci vuole tempo per creare una situazione che sia completamente diversa da quella precedente. La Bosnia ha soprattutto bisogno di uno sviluppo economico che sicuramente può essere un presupposto per una pacificazione integrale tra etnie. Non bisogna pensare che la Bosnia non sia stata da taluni archiviata, purtroppo è stata archiviata.

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Lo sviluppo sociale ed economico della regione è dunque un fattore chiave per le speranze di stabilizzazione della Bosnia. A Mostar, a sostegno delle fasce più deboli, si distingue per impegno la Caritas diocesana. Attraverso numerosi progetti in favore degli anziani, dei poveri, dei bambini e delle vittime della violenza in famiglia, l’organismo caritativo rappresenta un modello per il dialogo tra persone di diverse fedi ed etnie. Ce lo conferma da Mostar, don Ante Komadina, direttore della Caritas diocesana locale, ancora al microfono di Alessandro Gisotti:

 

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R. – Per noi, per la Caritas di Mostar, è importante che si guardi al bisogno dell’uomo. Non guardiamo se si tratta di un cattolico, di un ortodosso, di un musulmano, noi cerchiamo di aiutare tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Certo, il lavoro della Caritas è molto importante per la nostra società e riguardo alla democrazia. La nostra Caritas ha vissuto clandestinamente 10 anni. Adesso abbiamo sviluppato le nostre attività, vogliamo presentarci alla società e vogliamo che integrarci nella società.

 

D. – La ricostruzione del ponte di Mostar è un importante segno di riunificazione e di voglia di pace. C’è la possibilità reale di un dialogo dopo gli anni drammatici, bui, della guerra, in una zona come Mostar?

 

R. – Sì, senz’altro. I ponti sono stati sempre monumenti che collegano le persone. E la chance per un dialogo esiste. Sono veramente dell’opinione che abbiamo già raggiunto dei successi. Abbiamo già vissuto dei secoli insieme e così sarà il nostro futuro: vivere insieme ciascuno con la propria identità, ma con la comprensione per l’altro. Per chi pensa in un altro modo, crede in altro modo o che vive in un altro modo.

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DIO… NEL GREMBO DELLE NOSTRE PAURE?

L’INTERROGATIVO AL CENTRO DEL CORSO INTERNAZIONALE

DI STUDI CRISTIANI CONCLUSO IERI ALLA CITTADELLA DI ASSISI

CON NOI IL PRIORE DI BOSE ENZO BIANCHI E DON TONIO DELL’OLIO

- A cura di Carla Cotignoli e Antonella Palermo -

 

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Viviamo in un tempo minacciato da molte paure che hanno il nome di integralismo religioso, terrorismo, globalizzazione. Ma proprio nel grembo inquietante e misterioso delle nostre paure si può cogliere la presenza di Dio? E’ l’interrogativo che si è posto il corso internazionale di studi cristiani indetto, come ogni anno dalla Cittadella di Assisi, quest’anno in collaborazione con la Comunità ecumenica di Bose, l’Editrice Queriniana e Pax Christi. Un dibattito, quello concluso ieri, a cui hanno dato il contributo non solo gli apporti della teologia e spiritualità, ma anche dell’islam e ancora della filosofia, psichiatria, giornalismo, biologia.

 

Alle minacce di una globalizzazione condizionata dai poteri forti della politica e dell’economia, è stata prospettata la globalizzazione dei diritti e della solidarietà. Si è parlato anche di Europa. Quale alternativa alla minaccia di scontro di civiltà? Uno solo: il dialogo. Lo hanno affermato l’islamista Fouad Allam e il coordinatore nazionale di Pax Christi, don Tonio dell’Olio. Anzi. L’Europa può essere “un laboratorio” politico, religioso e culturale essendo una realtà in costruzione che attende l’apporto di tutti. 

 

Ma dov’è la chiave di volta che libera da ogni paura? Quel grembo fecondo di Dio… ha risposto Enzo Bianchi, priore della Comunità ecumenica di Bose. Ma lasciamo a lui la parola, al microfono di Antonella Palermo:

 

R. – Noi abbiamo un grembo che è pieno di paure, dalla paura della morte alla stessa paura di Dio, purtroppo, a causa del nostro peccato. Ecco, Dio sta invece davanti a noi con un grembo di misericordia. Non dimentichiamo mai che proprio quando gli ebrei hanno cercato di dare un nome a questo sentimento materno di Dio nei confronti dell’uomo, un sentimento che è anche perdono dei peccati, che è anche tenerezza, hanno dato il nome proprio di ‘misericordia’, il nome di ‘grembo’, il nome di ‘viscere di Dio’.

 

D. – Perché più sembra che l’uomo si adoperi per costruire le proprie sicurezze, più avanza dentro di sé l’incertezza e il timore, talvolta anche di se stessi, come lei diceva?

 

R. – Perché l’uomo continua a non vivere nella logica della comunione con Dio.  Quindi contraddicendo quello che è il piano creazionale, il piano della salvezza di Dio, finisce poi per avere paura delle cose che lui stesso produce, delle sue azioni. Davanti all’uomo sta sempre quella via che Dio ha dato: la via del bene, della beatitudine, della vita da una parte; del peccato, del male, della morte dall’altra. Sta all’uomo scegliere.

 

D. – C’è stata nella sua vita una grande paura che è riuscito a vincere, magari con la preghiera e l’affidamento totale al Signore, o che forse è rimasto ancora tra le pieghe del suo cuore?

 

R. – Credo di sì. Credo – anzi – che forse l’esperienza più dura che ho fatto nella mia vita, ad un certo punto, è stata l’esperienza della paura. Ma mi ha soprattutto confortato un pensiero: quello di poter cantare la misericordia di Dio anche all’inferno, come diceva Silvano Dell’Atos. E questo, devo dire, mi ha fatto vincere ogni paura e mi ha rimesso nella fiducia totale di Dio.

 

D. – A Don Tonio Dell’Olio, un’ultima domanda: si può dunque sintetizzare che la paura equivale al vuoto e la serenità alla pienezza di vita e alla possibilità di dare un senso a questa nostra esistenza?

 

R. – Per noi credenti, ha un nome ed un volto e si chiama ‘Dio’, si chiama ‘Padre’, si chiama ‘Gesù Cristo’. “Padre mio, mi abbandono a te”, a me sembra davvero la sconfitta di ogni paura. E soprattutto l’immagine di un Dio – il Dio dei cristiani – ha comunicato, che non è il Dio potente, onnipotente, ma il Dio debole. Il fatto storico di un Dio, che muore sulla croce, fa di questa debolezza, che è totalmente umana, la sua forza che diventa anche la nostra forza per vincere le paure.

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IL RWANDA AL VOTO, NOVE ANNI DOPO IL GENOCIDIO.

UN PASSO VERSO LA DEMOCRAZIA, CHE PERÒ RESTA LONTANA

- Intervista con Raffaello Zordan -

 

Sono iniziate nella calma le operazioni di voto in Rwanda, dove 3 milioni e 900 mila elettori sono chiamati oggi alle urne, per la prima volta dopo il genocidio del ’94. Ma è una calma solo apparente, perché nelle ultime ore si sono verificati numerosi atti di intimidazione nei confronti degli avversari di Paul Kagame, capo di Stato uscente. Il servizio di Andrea Sarubbi:

 

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Chiamare pressioni quelle in atto su Faustin Twagiramungu, ex primo ministro del Paese rientrato a giugno da 8 anni di esilio a Bruxelles, è un impossibile eufemismo. Perché il principale sfidante di Kagame si è visto arrestare e torturare, nel giro delle ultime ore, un numero imprecisato di familiari. Ha ricevuto minacce dal Rwanda e dall’estero – hanno rivelato fonti locali – ed è stato costretto a candidarsi come indipendente perché il suo partito, il Movimento repubblicano democratico, è stato sciolto e dichiarato fuorilegge.

 

L’accusa è quella di sovversione, ma le organizzazioni umanitarie non hanno dubbi: la polizia avrebbe agito su ordine del governo, alla ricerca di una riconferma da ottenere con ogni mezzo. Non è un caso che, proprio nell’imminenza del voto, un’altra rivale si sia messa da parte: Alivera Mukabaramba, del Partito per il progresso e la concordia, si è ritirata a sorpresa dalla corsa alla presidenza ed ha invitato i suoi elettori a votare per Kagame.

 

A chi cercava un significato politico in queste presidenziali, dunque, resta solo delusione. Agli altri restano le curiosità: le lunghe file di elettori ai seggi, le schede con le foto dei candidati per aiutare i numerosi analfabeti. Resta, soprattutto, il rammarico per un Paese che, a nove anni dal terribile massacro, non riesce ancora a sperimentare la democrazia. Ed il cammino è piuttosto lungo, come conferma Raffaello Zordan, della rivista missionaria Nigrizia:

 

R. – Chi ha seguito le vicende rwandesi in questi anni non può certo dire che ci sia stato un approccio ad una transizione democratica effettiva. In Rwanda comanda il presidente, e con lui i suoi uomini e l’esercito che c’è attorno. Occorre, comunque, ragionare in positivo: dare un minimo di credito anche ad un appuntamento elettorale come questo e cercare di trovarvi del buono dentro.

 

D. – Che cosa manca al Rwanda per diventare un Paese democratico?

 

R. – Manca, innanzitutto, la possibilità di una effettiva riconciliazione tra le due  etnie: quella minoritaria, tutsi, e quella maggioritaria, hutu. Non credo che Kagame sia la persona in grado di fare un’operazione di questo genere. Fino a qualche mese fa, rilasciava dichiarazioni piuttosto bellicose, in cui diceva che i tutsi rischiano un secondo genocidio: in questa maniera ha giustificato il suo intervento di aggressione in Congo. La situazione, quindi, è obiettivamente complicata.

 

D. – Nessuno crede veramente che l’ex-premier Twagiramungu, di etnia hutu, possa impensierire Kagame. Forse in Rwanda mancano le alternative?

 

R. – Se ci fosse un effettivo gioco democratico, probabilmente queste alternative potrebbero anche saltar fuori. Lo stesso Twagiramungu – che era in esilio fino a ieri, e che ha organizzato la sua campagna elettorale da Bruxelles – potrebbe potenzialmente rappresentare un’alternativa. Potrebbe essere capace di creare effettivamente una coesione nazionale e di tenere insieme i pezzi del popolo rwandese.

 

D. – Abbiamo ribadito che si tratta del primo appuntamento elettorale dopo il genocidio del’94. Si può parlare di riconciliazione?

 

R. – Un pezzettino di strada, in questo senso, è stato fatto con l’istituzione dei tribunali popolari gacaca, che già da un anno o due stanno cercando di trovare una via d’uscita dal genocidio. Una via d’uscita che non è solo, naturalmente, giudiziaria, ma che si propone come un momento di riconciliazione, sulla scia di quello che è successo in Sudafrica con la Commissione di verità e riconciliazione.

 

D. – A livello internazionale, quali sono gli interessi che ruotano attorno al Rwanda?

 

R. – A partire dall’inizio degli anni ’90 si è assistito, nell’area dei Grandi Laghi - e nel Rwanda, in particolare – ad un progressivo smantellamento della presenza francese. Si è giocata – e non si è ancora conclusa – una partita di influenza tra Francia e Stati Uniti. L’Africa ha un altro valore dopo l’11 settembre, perché a Washington interessa avere alleati nel Continente, in funzione anti-terrorismo.

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CHIESA E SOCIETA’

25 agosto 2003

 

 

INTELLETTUALI CATTOLICI A CONFRONTO SU LIBERTA’ E GLOBALIZZAZIONE

- A cura di Ignazio Ingrao -

 

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ASSISI. = Con uno sguardo rivolto alla conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio, in programma in settembre a Cancun, in Messico, si chiude oggi ad Assisi l’annuale settimana teologica promossa dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dedicata alla “libertà del cristiano nell’età della globalizzazione”. Qual è la responsabilità del cristiano nel villaggio globale? Questo l’interrogativo che è tornato ripetutamente nel corso dell’incontro. “La globalizzazione non è un destino, è una sfida”, ha sottolineato Giuseppe Lorizio, teologo della Pontificia Università Lateranense. Perciò siamo chiamati ad orientare questo cambiamento alla luce dei valori cristiani. A tale riguardo un ruolo centrale va riservato alla dimensione educativa, ha suggerito Luigi Alici, ordinario di Filosofia all’Università di Macerata. E’ urgente, secondo Alici, “riannodare il filo spezzato tra le generazioni” per alimentare una cultura comune su cui costruire il futuro di un’umanità autenticamente solidale. “La vera libertà – ha spiegato il presidente del Meic, Renato Balduzzi – non è libertà dai legami forti o, peggio, da legami di ogni genere, bensì è la capacità di disegnarsi un proprio percorso di liberazione rivitalizzando i legami familiari e di lavoro, le proprie radici religiose ed etiche”. Il liberalismo contemporaneo di fronte a sfide come quella della globalizzazione non significa libertà negativa, libertà dagli altri. Deve, al contrario, diventare scelta positiva, affidata alla responsabilità individuale. “L’industria culturale e l’industria della comunicazione pubblicitaria – ha proseguito Balduzzi – vogliono legami deboli così da imporre più facilmente i propri prodotti a livello planetario”. Per fronteggiare questo fenomeno, i cristiani devono essere capaci di “mettere in rapporto libertà e ricerca della verità per evitare di avvitarsi in false libertà che non sono altro che forme mascherate di dipendenza culturale ed economica”.

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NUOVO GIUDIZIO NEGLI STATI UNITI PER LA CATASTROFE AMBIENTALE CAUSATA

NEL 1989 DAL NAUFRAGIO DELLA PETROLIERA EXXON VALDEZ, AL LARGO DELL'ALASKA. GIA’ CONDANNATA NEL ’94 A PAGARE 5 MILIARDI DI DOLLARI, POI RIDOTTI NEL 2002 A 4, LA EXXONMOBIL ORA SPERA IN UNA ULTERIORE RIDUZIONE

 

IRVING. = Vi sarà un nuovo giudizio per la catastrofe ambientale causata nel 1989 dal naufragio della petroliera Exxon Valdez al largo dell'Alaska. La Corte d'Appello federale, con sede a San Francisco in California, ha infatti bloccato la sentenza di condanna inflitta alla ExxonMobil nel dicembre scorso – dal giudice Holland, della Corte distrettuale ad Anchorage in Alaska. Condanna che era stata quantificata in un risarcimento da parte della compagnia petrolifera di 4 miliardi di dollari in danni punitivi e interessi. Le 50 mila tonnellate di petrolio fuoruscite dalla Exxon Valdez, incagliatasi su un fondale roccioso il 24 marzo 1989, causarono la più estesa 'marea nera' nella storia degli Stati Uniti. Il greggio inquinò oltre 1.600 km di costa, causò la morte di migliaia di mammiferi marini e uccelli, e danni inestimabili alla fauna ittica. In precedenza nel 1994 ExxonMobil era stata condannata a pagare 5 miliardi di dollari, ma nel novembre 2001 aveva ottenuto, davanti alla Corte d'Appello di San Francisco, l'annullamento della sentenza. Nel dicembre scorso, il giudice Holland aveva poi ridotto la somma di un miliardo di dollari. (R.G.)        

 

 

E' STATA SENZ’ALTRO UCCISA ZAHRA KAZEMI, LA GIORNALISTA IRANIANA-CANADESE MORTA DOPO L’ARRESTO NEL GIUGNO SCORSO : LO HA DICHIARATO PUBBLICAMENTE

 IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIRITTI UMANI DEL PARLAMENTO IRANIANO

 

TEHERAN. = E’ morta per un colpo in testa infertole volontariamente, Zahra Kazemi, la giornalista iraniana-canadese, deceduta dopo essere stata arrestata lo scorso giugno. Lo ha dichiarato pubblicamente Hossein Ansari Rad, presidente   della Commissione diritti umani del Parlamento iraniano. Finora la versione ufficiale era stata che Kazemi fosse morta per un trauma alla testa, di cui non era nota la causa. Secondo Ansari Rad, l'autopsia ha escluso che la giornalista possa aver subito accidentalmente il colpo cadendo o sbattendo in altro modo la testa. “Colui che l’ha colpita - ha affermato il presidente della Commissione diritti umani - è un professionista, perché l’ha fatto cercando di non lasciare alcun segno”. L’Agenzia iraniana dei lavoratori Ilna ha scritto che secondo l'organizzazione “Avvocati senza frontiere”, Zahra Kazemi sarebbe stata anche violentata da tre di coloro che la interrogavano, ed ha chiesto eventuali conferme in proposito al presidente della Commissione parlamentare. “Non ho alcuna informazione in proposito - ha risposto Ansari Rad, sempre citato dall’Ilna - ma purtroppo in passato alcuni casi del genere sono stati scoperti”. Dopo l’autopsia effettuata in Iran, Teheran ha rifiutato di consegnare il corpo della giornalista al Canada, dove viveva. Ieri la Magistratura ha annunciato l’imminente pubblicazione dei risultati dell’inchiesta sulla morte della giornalista. Alla fine di luglio l’ufficio del Procuratore aveva annunciato l’arresto di cinque persone sospettate di essere coinvolte. Due di esse sono state in seguito rilasciate. (R.G.)  

 

 

GIUNTE STAMANE A GINEVRA, DOVE SARA’ SEPOLTO,

LE SPOGLIE DI SERGIO VIERA DE MELLO, RAPPRESENTANTE ONU IN IRAQ,

UCCISO IL 19 AGOSTO A BAGHDAD, INSIEME AD ALTRE 22 PERSONE.

DOMANI MESSA DI SUFFRAGIO, A ROMA, NELLA CHIESA DI SANTA AGNESE IN AGONE

 

GINEVRA/ROMA. = Le spoglie di Sergio Vieira de Mello, il rappresentante dell’Onu in Iraq, morto il 19 agosto nell'attentato contro il quartier generale delle Nazioni Unite a Baghdad, sono arrivate stamane a Ginevra. De Mello, i cui funerali si sono svolti sabato a Rio de Janeiro, nel natio Brasile, sarà infatti sepolto nel Pantheon delle Nazioni Unite, che si trova nel cimitero 'des Roix' della città svizzera. E domani ad una settimana dalla morte sarà celebrata anche a Roma per iniziativa dell'ambasciata brasiliana in Italia una Messa alle ore nove nella chiesa di Santa Agnese in Agone, a piazza Navona, accanto alla sede diplomatica del Paese latinoamericano. (R.G.)

 

 

INTERVENTO DEL CARDINALE PERUVIANO JUAN LUIS CIPRIANI AL MEETING DI RIMINI, NELL’AMBITO DELLA MOSTRA DEDICATA AL SENOR DE LOS MILAGROS,

IL SIGNORE DEI MIRACOLI,

RADICATA ESPRESSIONE DI FEDE POPOLARE IN AMERICA LATINA

- A cura di Stefano Andrini -

 

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RIMINI. = “Nel contesto della nuova evangelizzazione è fondamentale la riscoperta dei valori più autentici della religiosità popolare”. Lo ha affermato al Meeting di Rimini il cardinal Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima, partecipando ad un incontro dedicato al Señor de los milagros, in margine ad una mostra che fa rivivere la devozione al Signore dei miracoli, la massima espressione di fede popolare diffusa in America Latina. A proposito della religiosità popolare, l’arcivescovo di Lima, ha ricordato che si sta osservando una crescente rinascita: “anche il Meeting - ha affermato - è una moderna espressione di religiosità popolare”. “Con il Signore dei miracoli, 352 anni fa, è stato fatto a Lima un grande dono – ha affermato l’arcivescovo – che oggi sta superando le frontiere del Paese”. “Anche in Giappone – ha ricordato il cardinale – ho trovato gruppi di devoti”. “Perché questo? -  si è chiesto -  perché il Cristo fa miracoli nel nostro cuore, tra la nostra gente. Fa il miracolo della conversione. Ed è in questa prospettiva, che ogni anno, almeno milioni di persone, di ogni condizione sociale, di ogni età, vicini e lontani alla fede, si trovano di fronte al volto di Cristo”. “La prima evangelizzazione in Perù – ha sottolineato – è stata fatta in modo grandioso attorno alla Croce. Tracce di questa si trovano nelle case, in tutte le case, anche le più sperdute, ove il Crocefisso è segno della presenza di Cristo. Nel cammino del Meeting, attorno al desiderio di felicità, si segnalano in particolare due mostre: la prima dedicata all’Apocalisse di San Giovanni, il cui intento è quello di restituire all’ultimo libro della Bibbia il motivo per cui è stato scritto, libro di speranza e della speranza; la seconda, alla storia delle apparizioni mariane di Fatima. Nel pomeriggio di ieri, don Massimo Camisasca ha presentato il secondo volume sulla storia di Comunione e liberazione, cioè gli anni della ripresa dopo il ’68, “che ho scritto - ha detto - per documentare come la paterna presenza di don Giussani ci abbia reso consapevoli che è possibile costruire in ogni situazione della storia”.

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24 ORE NEL MONDO

25 agosto 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco  -

 

 

Una grave tragedia ha colpito l’India dove, questa mattina, due bombe sono esplose a Bombay, capitale economica del Paese causando la morte di almeno 41 persone ed il ferimento di altre 125. Secondo le prime ricostruzioni, si tratterebbe di attentati legati a dissidi interreligiosi tra indù e musulmani. I particolari nel servizio di Roberto Piermarini:

 

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Una delle esplosioni è avvenuta presso il tempio hindu di Mumba Devi, un’altra presso il monumento noto come Gateway of India, Porta dell’India. Sul resto, le notizie non sono ancora chiare, mentre si comincia a far luce sul movente degli attentati, che sarebbero di matrice islamica. Pochi minuti prima delle bombe, infatti, l’alta corte dell’Uttar Pradesh aveva riconosciuto la presenza di resti di un tempio indù, risalente al decimo o all’undicesimo secolo, sul sito conteso di Ayodhya, nel nord. Un luogo di culto reclamato anche dai musulmani, che nel 1500 vi avevano costruito una moschea. Ma nel ’92, una folla di estremisti indù l’aveva distrutta. L’avvocato che rappresenta i musulmani accusa la commissione di archeologi inviata dal governo: il loro rapporto, diffuso questa mattina dai giudici dell’Uttar Pradesh, sarebbe stato condizionato da pressioni del partito Hindu Bharatiya Janata, oggi al governo. Si attende, dunque, un ricorso, ma si teme soprattutto una nuova ondata di violenze interreligiose. Come quelle che undici anni fa, per lo stesso motivo, avevano già causato 2 mila morti.

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Prosegue l’interminabile spirale di odio in Medio Oriente, dove due esponenti di primo piano di Hamas sono stati uccisi, la scorsa notte, dai soldati israeliani nella Striscia di Gaza. Si tratta del responsabile del coordinamento delle attività dell’organizzazione estremista tra Gaza e la Cisgiordania, Ahmed Shatiwi, e del presidente dell’Associazione studentesca dell’Università islamica di Gaza, Wahid Alhumas. Nel raid perpetrato ieri sera sono rimasti uccisi anche due membri della guardia presidenziale di Arafat. Sulle reazioni palestinesi a questo grave episodio di violenza ci riferisce Graziano Motta:

 

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Immediata la reazione dello sceicco Yassin, leader di Hamas “Israele pagherà un caro prezzo per questi massacri” e lo stato di allerta ‘attentati’ è nuovamente montato nel territorio dello Stato ebraico, che ieri aveva respinto la proposta di una nuova tregua che coinvolgesse le organizzazioni terroristiche. Il ministro della difesa ed il capo dello Stato maggiore affermano che l’esercito non allenterà la caccia ai capi e agli esponenti delle organizzazioni terroristiche che continuano a colpire a colpi di mortaio le fattorie agricole della Striscia di Gaza e con missili il territorio israeliano vicino. Uno di questi è caduto. Ieri, sulla spiaggia della città di Askalon. Sul piano politico, contrasti all’interno della direzione palestinese sulla decisione di Arafat di nominare come ministro degli interni un suo uomo di fiducia, Nasser Yussuf, per esautorare Mohammed Dahlan, ministro della sicurezza del governo di Abu Mazen, e il premier è tornato a minacciare le dimissioni.

 

Per Radio  Vaticana, Graziano Motta.

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Un’ulteriore conferma della difficile posizione del primo ministro palestinese, Abu Mazen, che continua a respingere la nomina del generale Nasser Yousuf come ministro degli Interni, arriva dalla decisione del presidente, Yasser Arafat, di nominare l’ex capo della sicurezza preventiva, Jibril Rajoub, alla testa della forza di sicurezza nazionale. Rajoub fu destituito un anno fa da Arafat, ma recentemente i due esponenti palestinesi si sono riavvicinati in seguito alla comune opposizione ad Abu Mazen e a Mohammed Dahlan.

 

Nell’Iraq non ancora pacificato affiorano nuove tensioni. Mentre il Nord del Paese è stato segnato, negli ultimi giorni, da violenti scontri etnici, nel Sud gli attacchi non hanno risparmiato la leadership religiosa degli sciiti. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha intanto riconosciuto, oggi, che è allo studio la trasformazione della coalizione in “un gruppo unilaterale guidato dalle Nazioni Unite”. Un ruolo di maggiore responsabilità delle Nazioni Unite nell'Iraq del dopo-Saddam Hussein si prospetta come uno dei principali contraccolpi del tragico attentato di martedì scorso alla sede Onu di Baghdad. Sulla complessa situazione del Paese arabo, ci riferisce Paolo Mastrolilli:

 

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Una bomba è scoppiata ieri a Najaf, nell’ufficio dell’ayatollah al-Hakim, uccidendo 3 guardie del corpo e ferendo il religioso. Al-Hakim è legato allo Sciri, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, che finora ha collaborato con le forze di occupazione americane. Questo, secondo alcuni membri del gruppo, è il motivo dell’attacco contro l’ayatollah. Gli sciiti sono la maggioranza etnica del Paese e abitano soprattutto al Sud. La loro posizione, rispetto alla presenza delle truppe di Washington, è considerata determinante per la stabilità. L’amministratore americano Paul Bremer ha detto che molti terroristi stranieri stanno varcando i confini proprio per alimentare le violenze. La situazione è tesa anche a Kirkouk, nel Nord del Paese, dopo gli scontri etnici degli ultimi due giorni tra la minoranza curda e quella turcomanna che hanno fatto almeno 12 vittime. La Croce Rossa nel frattempo ha deciso di ridurre il suo personale a Baghdad per precauzione, dopo l’attacco della settimana scorsa contro la sede delle Nazioni Unite. La popolarità del presidente Bush è scesa al 44 per cento proprio per l’Iraq.

 

Da New York ,per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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L’Ayatollah iraniano, Ali Khamenei, ha intanto condannato, oggi, l’attacco perpetrato a Najaf, in Iraq, ed ha anche espresso la speranza che il popolo iracheno possa innalzare, al più presto, la bandiera dell’islam, dell’indipendenza e della libertà.

 

Per la prima volta dal genocidio del 1994, il Rwanda è atteso oggi alle urne. Si vota per l’elezione del nuovo presidente ed un secondo mandato del capo di Stato uscente, Paul Kagame, appare scontato.

 

Nonostante la firma degli accordi tra governo e ribelli, la Liberia è ancora in balia della guerra civile: centinaia di civili sono stati massacrati e numerosi villaggi sono stati dati alle fiamme nella regione di Bahn, nella contea di Nimba, a nordest di Monrovia. Ce ne parla Giulio Albanese:

 

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Testimoni oculari avrebbero riferito dell’uccisione indiscriminata di circa un migliaio di civili. Numerose località del Paese sono ancora in preda a feroci bande armate che saccheggiano le abitazioni perpetrando indicibili vessazioni contro la stremata popolazione. Cruenti combattimenti vengono segnalati nella città settentrionale di Ganta, circa 200 chilometri a Nord della capitale ed anche in altri villaggi limitrofi, dove l’insicurezza regna sovrana. Mentre migliaia di persone sono fuggite da Buchanan, la seconda città portuale della Liberia, a causa di nuovi combattimenti anche nei pressi di Harbel, una cinquantina di chilometri da Monrovia, sono avvenute sparatorie, uccisioni e ruberie. Nella stessa capitale le notti sono scandite da raid compiuti da giovani armati, che sotto l’effetto di sostanze stupefacenti compiono ogni forma di sopruso contro i civili, soprattutto nei confronti delle donne.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Nella Repubblica Democratica del Congo miliziani dell’etnia Lendu hanno ucciso Justin Mandro Kpanga, 30 anni, il vice parroco di Fataki, cittadina del Nord Ituri, scomparso dagli inizi di agosto insieme con altri civili, catturati dalle milizie di etnia Lendu. Lo ha rivelato l’Agenzia missionaria Misna.

 

Spostiamoci in Russia, dove questa mattina sono state registrate tre diverse esplosioni nella zona di Krasnodar, nel Sud del Paese, non lontana dalla Cecenia. Secondo un primo bilancio, sarebbero tre le vittime segnalate e una decina i feriti. Non si conoscono ancora i dettagli in merito all’origine delle deflagrazioni, verificatesi vicino a due bar ed alla fermata di un tram.

 

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