RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 235 - Testo della Trasmissione di sabato 23 agosto 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Siate artefici di speranza e di pace, combattendo il male con il bene. Così Giovanni Paolo II nell’udienza a vari gruppi di pellegrini nella residenza di Castel Gandolfo

 

La devozione mariana è via all’incontro con Cristo Redentore. Lo ricorda il Papa nella lettera al cardinale Salvatore De Giorgi, suo Inviato speciale alla chiusura dell’Anno Mariano di Siracusa, nel Santuario della Madonna delle Lacrime.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Nell’Ungheria incamminata verso l’Unione Europea, il contributo dei cristiani alla riconciliazione. Con noi, l’arcivescovo di Budapest, Peter Erdo

 

La comunità internazionale ricorda oggi la tratta schiavista e la sua abolizione. Ce ne parla Raffaello Zordan

 

In Medio Oriente, il duro colpo alla pace non uccide la speranza. Intervista con Antonio Ferrari.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Atti di intolleranza religiosa contro la Chiesa cattolica denunciati in Slovenia dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace

 

Il governo colombiano ha presentato al Congresso un disegno di legge che prevede una ‘sospensione condizionale della pena’ per i membri dei gruppi armati accusati di gravi crimini

 

La Croce Rossa parla di cento morti tra i civili negli scontri etnici dei giorni scorsi a Warri, nel Sud della Nigeria

 

La Thailandia ha estinto il debito contratto con il Fondo monetario internazionale

 

Ad Acireale da lunedì la Chiesa italiana celebra la 54.ma Settimana nazionale di Liturgia. Previsti spazi di confronto sulla riforma liturgica, a 40 anni dalla Costituzione conciliare.

 

24 ORE NEL MONDO:

Nonostante la fine della tregua, in Medio Oriente la diplomazia non smette di lavorare per la road-map

 

Prosegue il dibattito tra Onu e Washington sull’invio di nuove forze militari in Iraq, anche oggi martoriato da nuovi episodi di violenza

 

La tragica esplosione di un missile ha causato ieri, in Brasile, la morte di almeno 21 persone.

 

                                                                                    

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

23 agosto 2003

 

SIATE ARTEFICI DI SPERANZA E DI PACE, COMBATTENDO IL MALE CON IL BENE:

E’ L’ESORTAZIONE RIVOLTA STAMANI DA GIOVANNI PAOLO II AD UN GRUPPO

DI FEDELI RICEVUTI IN UDIENZA A CASTEL GANDOLFO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Volgendo lo sguardo verso la Vergine Maria, siamo “sempre più consapevoli che il vero modo di regnare è servire”: è la riflessione offerta, stamani, dal Papa ai numerosi pellegrini, ricevuti in udienza nel cortile del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Tra questi, i giovani del movimento salesiano del Triveneto, i fedeli di Miane, nella diocesi di Vittorio Veneto, e un gruppo di ragazzi spagnoli della diocesi di Solsona. Il Papa ha esortato tutti i giovani ad essere “artefici di pace e speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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(canti)

 

Circondato dall’affetto festoso dei fedeli, il Papa ha messo l’accento sull’attualità del carisma e del messaggio di Don Bosco, specialmente per le nuove generazioni. Lo spirito salesiano, ha detto, “aiuta i giovani a comprendere che il Vangelo è fonte inesauribile di vita e di gioia”. Un richiamo, corredato da una viva esortazione:

 

“Anche voi, vivete questa stupenda realtà: alla scuola di Don Bosco, siate sempre lieti, generosi e coraggiosi nel combattere il male col bene, artefici di speranza e di pace in ogni ambiente di vita”.

 

Il Santo Padre ha così salutato i fedeli della parrocchia della Natività della Beata Vergine di Miane. Una terra, ha sottolineato, che richiama Giovanni Paolo I, che tanto la amava. Sottolineando, poi, come questo sia l’Anno dedicato al Rosario, Giovanni Paolo II ha colto l’occasione per incoraggiare tutti, famiglie, giovani ed anziani, a “contemplare assiduamente con Maria il Volto di Cristo, per essere sempre suoi fedeli discepoli e testimoni”. Quindi, ha esortato i giovani pellegrini spagnoli a lasciarsi guidare dallo Spirito nel cammino di discernimento vocazionale. Il Papa non ha, poi, mancato di rivolgere un pensiero speciale alle forze dell’ordine presenti a Castello:

 

“Saluto con affetto il comandante e i Carabinieri della compagnia di Castel Gandolfo che prestano tutto l’anno generosamente il servizio alle Ville Pontificie”.

 

Infine, ha salutato una delegazione della pastorale giovanile della Cei che si reca in questi giorni in pellegrinaggio alla Croce dell’Adamello.

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LA DEVOZIONE MARIANA, VIA ALL’INCONTRO CON CRISTO REDENTORE:

COSI’ IL PAPA NELLA LETTERA AL CARDINALE SALVATORE DE GIORGI,

SUO INVIATO SPECIALE ALLA CHIUSURA DELL’ANNO MARIANO DI SIRACUSA,

 NEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE LACRIME

 - A cura di Paolo Salvo -

 

La devozione verso la Vergine Maria conduce i fedeli a Cristo e alla piena verità su di Lui, che è il Figlio di Dio, via, verità, vita e risurrezione nostra. Il senso autentico del culto mariano viene così ricordato da Giovanni Paolo II in una lettera indirizzata al cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo, contenente la nomina dello stesso porporato ad Inviato speciale per la celebrazione di chiusura dell’Anno Mariano Siracusano, in programma nel Santuario della Madonna delle Lacrime il 1° settembre prossimo.

 

Un “segno eloquente della Divina Misericordia” e della sollecitudine materna di Maria verso il genere umano. Così il Papa, nella lettera in lingua latina pubblicata stamani, descrive quell’evento prodigioso di 50 anni fa, quando una statua di gesso raffigurante la Vergine iniziò a lacrimare, dal 29 agosto al 1° settembre 1953, ad intervalli regolari.

 

Giovanni Paolo II non manca di ricordare la sua memorabile visita pastorale a Siracusa, dove il 6 novembre 1994 celebrò la Messa per la solenne dedicazione del Santuario della Madonna delle Lacrime e pronunciò un’omelia tutta incentrata sul significato del dolore umano, della sofferenza e del pianto. “Lacrime di speranza”, le definì tra l’altro, “che sciolgono la durezza dei cuori e li aprono all’incontro con Cristo Redentore, sorgente di luce e di pace per i singoli, le famiglie e l’intera società”.

 

Nella sua lettera, il Papa incoraggia caldamente lo speciale culto di venerazione della Vergine Maria, “come avviene fin dai tempi più antichi della Chiesa nascente”. Attraverso il cardinale De Giorgi, che sarà appunto presente a Siracusa in qualità di Inviato speciale, il Papa saluta nel Signore tutti i partecipanti, specialmente i sacerdoti. E per tutti l’esortazione, sull’esempio di Maria, a fare docilmente la volontà di Dio, meditare, custodire e mettere in pratica la sua parola, esercitare le virtù cristiane, soprattutto la carità, ed essere così zelanti cooperatori nell’opera della Redenzione. 

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

 “Servire con gioia Dio e il prossimo” è titolo che apre la prima pagina in riferimento all’udienza di Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. A seguire, Medio Oriente: gli Usa congelano i beni dei gruppi legati ad Hamas; centomila palestinesi partecipano ai funerali di Shanab, il leader di Hamas ucciso da Israele; l’Ap annuncia che attuerà la repressione contro gli estremisti islamici solo se Israele cesserà gli attacchi. Iraq: l’Onu riduce il personale; ancora morti tra le truppe americane e inglesi.

 

Nelle pagine vaticane, la lettera di Giovanni Paolo II al cardinale Salvatore De Giorgi per la nomina a inviato speciale alla chiusura dell’Anno Mariano Siracusano (1° settembre 2003) e una pagina dedicata al cammino della Chiesa in America.

 

Nelle pagine estere, Brasile: esplosione di un razzo in una base spaziale causa 21 morti; Repubblica Democratica del Congo: insediato il nuovo Parlamento. Nigeria: secondo la Croce Rossa sarebbero cento i morti causati dagli scontri tra le etnie a Warri. Afghanistan: cruenti scontri tra l’esercito governativo e i Taleban nel distretto centrale di Uruzgan. Immigrazione: uno studio britannico denuncia 750 morti in 18 mesi nel tentativo di entrare in Europa.

 

Nella pagina culturale, un articolo di Marco Testi sui “segreti” dell’Abbazia di Farfa.

 

Nelle pagine italiane, la tragica sparatoria avvenuta nel Milanese nella quale sono morti due pregiudicati, una bimba di tre anni e un pensionato. A seguire, i temi dell’economia e dell’immigrazione.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

23 agosto 2003

 

DALL’UNGHERIA IN CAMMINO VERSO L’UNIONE EUROPEA,

UN MESSAGGIO SULLE RADICI CRISTIANE DEL CONTINENTE E SULLA RICONCILIAZIONE NELLE SOCIETA’ USCITE DAL COMUNISMO.

CON NOI L’ARCIVESCOVO DI BUDAPEST, PETER ERDO

- Servizio di Carla Cotignoli - 

 

 

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(musica)

 

L’Ungheria  è tra i 10 Paesi che il prossimo anno entreranno nell’Unione Europea. In questa nuova fase storica, particolare significato ha assunto la festa nazionale celebrata il 20 agosto, dedicata a Santo Stefano,  primo re d’Ungheria. Vissuto tra il 935 e il 1038, è considerato tuttora il più grande santo ed eroe nazionale.

 

Re Stefano seppe riunire i magiari in una sola nazione; organizzò diocesi, fondò abbazie. A lui è attribuita la nascita del cristianesimo e della stessa nazione ungherese. I valori cristiani tuttora costituiscono l’identità anche culturale di questo popolo. L’Ungheria dà testimonianza di quanto profonde siano in Europa le radici cristiane.

 

Oltre 100 mila persone hanno partecipato nei giorni scorsi alla solenne celebrazione eucaristica svolta davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Budapest. Gremivano non solo la piazza antistante, ma anche le vie adiacenti. Presenti anche i rappresentanti delle comunità protestanti e della comunità calvinista. Ed anche i vescovi e delegazioni di vari Paesi dell’Europa centrale: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina. Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, all’omelia aveva parlato del ruolo dei cristiani nel cammino di riconciliazione e di integrazione tra i Paesi che stanno per entrare nell’Unione Europea. 

 

Si può parlare di un risveglio del cristianesimo in atto in Ungheria? Risponde l’arcivescovo di Budapest,  Peter Erdö:

 

R. – Penso che questo processo sia in corso già da più di dieci anni; è un processo dinamico.

 

D. – Proiettando lo sguardo al futuro, al futuro ingresso dell’Ungheria in Europa, ci sono iniziative particolari proprio per rafforzare queste radici cristiane?

 

R. – Adesso ci stiamo preparando al pellegrinaggio comune per l’anno prossimo, che è previsto al santuario di Mariazell, in Austria. Penso che quell’occasione sarà veramente un incontro molto importante per i cattolici di tutta l’Europa centrorientale. E’ un’iniziativa di otto Conferenze episcopali, di Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina.

 

D. – Come vi preparate?

 

R. – Ci sono incontri regolari tra le Conferenze episcopali della regione; i vescovi di tutti questi Paesi partecipano – almeno mediante una loro delegazione – alle feste più importanti degli altri popoli, e così rinforziamo anche la coscienza dell’unità della nostra fede cattolica comune, ci conosciamo meglio. Anche nella stampa di questi Paesi vengono pubblicati articoli sugli altri Paesi, sulle Chiese di tutta la regione. Ci sono diversi pellegrinaggi, in santuari famosi delle rispettive nazioni, incontri, anche incontri con la gioventù.

 

D. – Proprio riguardo ai giovani: è vivo l’interesse per il Vangelo?

 

R. – L’interesse è certamente vivo, però è più difficile vivere secondo il Vangelo, più difficile imparare anche sistematicamente la fede, perché la fede non è soltanto un sentimento, è una convinzione che ha un contenuto oggettivo, che bisogna imparare e poi mettere in pratica. Quindi, da un lato c’è un grande interesse, dall’altro sarà necessario approfondire quello che uno riceve come grande esperienza in un momento solenne.

 

D. – Questa vitalità  cristiana, quale apporto può dare all’attuale situazione del Paese?

 

R. – Penso che possa contribuire ad un processo di riconciliazione che sarebbe da desiderare, penso, per tutta la regione, in tutte le società di questi Paesi che appartenevano prima al mondo comunista e che adesso si preparano all’ingresso nell’Unione Europea. Quindi la riconciliazione sarebbe un frutto di tutto questo processo anche per l’intera società.

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DALLA TRATTA SCHIAVISTA ALLE NUOVE SCHIAVITU’ DI DONNE E BAMBINI

- Intervista con Raffaello Zordan -

 

 

Si celebra oggi la giornata internazionale per la commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione, sotto l’egida dell’Unesco. La data ricorda l’insurrezione degli schiavi di Santo Domingo avvenuta ben 212 anni fa e che ebbe un ruolo cruciale nell’abolizione della tratta transatlantica. Un fenomeno che si stima abbia coinvolto oltre 10 milioni di africani fatti schiavi nelle Americhe. Ma come fu possibile per la cultura occidentale e cristiana accettare questo terribile fenomeno e come si è sviluppato? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Raffaello Zordan, esperto di questioni africane della rivista Nigrizia.

 

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R. – Credo che il problema della schiavitù abbia significato molto tranquillamente mettere tra parentesi l’umanità dello schiavo. Non dimentichiamo che la tratta atlantica era una tratta “cristiana”, cioè fatta da persone che venivano da quel tipo di impostazione, da quel tipo di visione delle cose; mentre la tratta orientale, quella che attraverso il deserto del Sahara portava gli schiavi verso il Nordafrica, verso l’Oriente e verso la penisola arabica, era una tratta “musulmana”. Ancora oggi, in certe regioni dell’Africa – penso al Congo – ci sono tribù di pigmei che vengono considerate dalle stesse popolazioni locali nere bantù come non-persone. Quindi, si perpetua questo tipo di meccanismo.

 

D. – Non possiamo certo dire che la schiavitù sia un fenomeno del tutto debellato dal pianeta ...

 

R. – Certamente esistono forme di lavoro coatto che sono abbastanza diffuse anche in Africa; per esempio, riferendoci a Paesi come la Mauritania, con forme di schiavitù rurale – ricordiamo che in Mauritania la schiavitù è stata abolita ufficialmente solo nel 1981 – esistono padroni che hanno il potere assoluto sul proprio schiavo, cioè possono prestarlo, affittarlo, venderlo ... E questo avviene soprattutto in ambiente rurale. Non che questo non sia perseguito o non ci sia l’intenzione di farlo, però esistono situazioni di questo genere. Tra le altre situazioni che possiamo ben mettere in evidenza è il fenomeno dei bambini-schiavi che partendo da Stati limitrofi, andavano a lavorare nelle piantagioni di cacao o di caffè nella Costa d’Avorio. Lì c’era un accordo, proprio, tra le famiglie ed i proprietari di queste piantagioni.

 

D. – Il concetto di schiavitù nella comunità internazionale e nei Trattati si è allargato per analogia?

 

R. – Sì; la tratta di donne africane che vengono portate in Occidente – anche in Italia – per la prostituzione, detta molto chiaramente, è un fenomeno che ha a che vedere con la criminalità organizzata, nella maggior parte dei casi; ma ha anche a vedere con il fatto che esiste una domanda, naturalmente, di andarsene, cioè queste donne – giovani, nella maggior parte – vogliono uscire da situazioni complicate, da situazioni difficili e sperano, cercano, immaginano di trovare delle possibilità anche attraverso questa via. Sono schiave soprattutto perché devono pagare cifre enormi per essere portate – non so – dalla Nigeria all’Italia, alla Francia, per “lavorare”, e queste cifre enormi, poi, vengono ripagate nel corso di anni con lo sfruttamento intensivo. Di fatto sono cifre che le tengono legate ad un gruppo della malavita organizzata che le sfrutta fino in fondo.

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MEDIO ORIENTE, LA DIPLOMAZIA CI PROVA ANCORA:

IL DURO COLPO ALLA PACE NON UCCIDE LA SPERANZA

- Intervista ad Antonio Ferrari -

 

 

Nonostante la fine della tregua in Medio Oriente, proseguono gli sforzi diplomatici per fermare sul nascere la spirale di violenza. Gli Stati Uniti, in particolare, confidano ancora nella tenuta della road-map, il piano di pace proposto dal Quartetto, ma anche l’Egitto ha avviato un nuovo tentativo di mediazione. Delle possibili soluzioni alla crisi tra israeliani e palestinesi, Andrea Sarubbi ha parlato con Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera ed analista di questioni mediorientali:

 

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R. – Qualcosa indubbiamente bisogna inventarsi, perché il problema non è se la road map sia viva o è morta: il problema, piuttosto, è che a questo piano di pace non esistono alternative. La road map non è una proposta esclusiva di Washington, ma nasce dal lavoro congiunto di Stati Uniti, Onu, Unione Europea e Russia. E proprio per questo è, al momento, l’unica proposta possibile. Per inventarsi qualcosa c’è bisogno di quello che definirei “un coraggio al plurale”. Occorre che le due parti agiscano in maniera sincronizzata e che, contemporaneamente, gli Stati Uniti aumentino la pressione: sia sui palestinesi che, soprattutto, su Israele, perché se si continua in questa logica di spirale – l’attentato, la rappresaglia, la tregua che finisce e poi l’omicidio mirato – non si va da nessuna parte e si rischia una catastrofe.

 

D. – Ai nostri microfoni, padre Faltas da Betlemme ha detto che serve un intervento internazionale. Intervento internazionale significa caschi blu o che cos’altro?

 

R. – Israele non ha mai voluto i caschi blu. Io credo che, per il momento, l’intervento internazionale non possa essere che un intervento politico degli Stati Uniti: forte, fortissimo, possibilmente in sintonia con l’Unione Europea. Dopodiché, se la situazione sul terreno riuscirà a calmarsi, si potrà anche pensare ad una forza che possa garantire stabilità e sicurezza.

 

D. – In queste ore sta tentando una mediazione anche l’Egitto. Che possibilità di convincimento ha Il Cairo su israeliani e palestinesi?

 

R. – Non dimentichiamo che l’Egitto e i suoi inviati sono stati protagonisti assieme a forze palestinesi – e mi riferisco soprattutto a Marwan Barghuti, che dal carcere ha mediato con gli estremisti – nell’accettazione della tregua da parte dei gruppi armati. Queste settimane di cessate-il-fuoco, insomma, sono state possibili anche grazie alla mediazione egiziana. Il fatto di riproporre un dialogo, da parte dell’Egitto, è un passo estremamente importante, perché – come era stato possibile raggiungere una tregua allora – non è escluso che ci si riesca anche oggi. Sperare, in questo momento, è doveroso.

 

D. – Secondo alcuni, la fine della tregua segna la sconfitta del progetto politico di Abu Mazen. Il premier palestinese è un politico che ha ancora qualche carta da giocarsi, oppure è finito qui?

 

R. – Personalmente credo che Abu Mazen non abbia finito le sue carte. È l’unico politico palestinese assolutamente credibile ed anche gradito alle altre parti: penso ad Israele, agli Stati Uniti, a gran parte del mondo arabo ed all’Unione Europea. Il problema è che Abu Mazen deve essere sostenuto nella sua battaglia più grande: quella di ottenere che all’interno dell’Autorità palestinese ci sia una unica linea di comando. Attualmente, c’è un presidente eletto, che è Arafat, e c’è un primo ministro, che è Abu Mazen: non si può andare avanti con tre corpi di polizia controllati dal primo e gli altri tre controllati dal secondo. Abu Mazen ha già minacciato più di una volta di dimettersi, ma non credo possa farlo per un motivo del genere. Ritengo che la sola strada percorribile sia che tutte le forze della moderazione – e qui sarebbe importante anche il ruolo del presidente Arafat – si mettano d’accordo per dare una strategia unica all’Autorità palestinese. Il problema delle forze di sicurezza, che agiscono in maniera a volte quasi contrapposta, deve essere superato: altrimenti, non si va da nessuna parte.

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CHIESA E SOCIETA’

23 agosto 2003

 

UNA FORTE DENUNCIA DEI RECENTI ATTI DI INTOLLERANZA RELIGIOSA

NEI CONFRONTI DELLA CHIESA CATTOLICA IN SLOVENIA

IN UNA DICHIARAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE

 

LJUBLJANA.=  “Numerosi sono gli atti di intolleranza religiosa che si sono verificati in Slovenia, soprattutto nei confronti della Chiesa cattolica, verso i valori cristiani e gli edifici sacri”. E’ quanto denuncia la dichiarazione della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale slovena. Ed enumera gli ultimi episodi tra cui quello accaduto il 15 agosto scorso, nella solennità dell’Assunzione di Maria: un consigliere comunale ha impedito che venissero suonate le campane della cattedrale. Proprio nel giorno della festa della stessa cattedrale, nonché festa civile. Il documento enumera poi fatti di profanazione di chiese, di statue della Madre di Dio, dell’incendio di un crocefisso. Nella dichiarazione si lamenta che “nessuno dei rappresentanti del potere abbia condannato esplicitamente queste azioni, né se ne sia distanziato. Anzi – si legge -  molti mass media hanno umiliato e condannato i rappresentanti della Chiesa cattolica per le condanne espresse dopo le offese ai vari luoghi di culto”. La Commissione Giustizia e Pace non manca di denunciare le cause di questa crescente intolleranza: “i molti problemi nel rapporto tra Stato e Chiesa rimasti irrisolti”. La Slovenia è tra i pochi Paesi in cui è vietato l’insegnamento della religione nelle Scuole. E ancora i mass media: “su certi giornalisti – afferma la dichiarazione – incidono pregiudizi negativi, un modo cinico, non professionale, parziale e marginale di affrontare le questioni religiose e ecclesiali”. Il documento interpella il presidente della Repubblica, il governo, il commissario dei diritti umani, il ministro della Pubblica istruzione, i direttori dei programmi di Radio e TV nazionali e degli altri mass media, perché prendano i dovuti provvedimenti per impedire l’aumento dell’intolleranza verso la fede e la Chiesa cattolica nel Paese”. (C.C.)

 

 

IL GOVERNO COLOMBIANO HA PRESENTATO AL CONGRESSO UN DISEGNO DI LEGGE

RELATIVO A UNA ‘SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA’ PER I MEMBRI

DEI GRUPPI ARMATI ILLEGALI ACCUSATI DI GRAVI CRIMINI

DISPOSTI A CONSEGNARE LE ARMI

 

BOGOTA’. = Per “stimolare la smobilitazione e il conseguimento della pace” in Colombia, insanguinata da 40 anni di conflitto interno, come ha dichiarato il ministro dell’interno Fernando Londoño Hoyos, il governo colombiano ha presentato al Congresso un disegno di legge che prevede una “sospensione condizionale della pena” per i membri dei gruppi armati illegali accusati di gravi crimini, disposti a consegnare le armi.  Ne dovrebbero quindi beneficiare principalmente i paramilitari delle Auc (Autodifese unite della Colombia) nell’ambito del negoziato di pace avviato con l’esecutivo, che prevede la completa smobilitazione degli uomini di Carlos Castaño Gil entro il 31 dicembre 2005. A questi potrebbero essere applicate, al posto del carcere, pene alternative che potrebbero comportare l’interdizio-ne perpetua dai pubblici uffici e il divieto di detenere armi. In cambio, i combattenti ai quali verrà applicato il provvedimento, dovranno impegnarsi a non perpetrare nuovi delitti, a contribuire agli indennizzi previsti per il familiari delle loro vittime, a fornire costante reperibilità e a uscire dal Paese. “Il controllo di accesso a questo strumento è nelle mani del presidente della Repubblica – ha precisato il ministro – egli è l’unico legittimato a richiederne l’applicazione discrezionale al potere giudiziario”. Il nuovo istituto giuridico avrebbe portata più ampia di indulto e amnistia, previsti dalla Costituzione solo per i colpevoli di delitti politici. (C.C.)

 

 

E’ TORNATA LA CALMA A WARRI, CITTA’ MERIDIONALE DELLA NIGERIA,

DOPO GLI SCONTRI ETNICI DEI GIORNI SCORSI.

LA CROCE ROSSA PARLA DI CENTO MORTI TRA I CIVILI.

SULLO SFONDO DELLE VIOLENZE,

LO SFRUTTAMENTO DEI RICCHI GIACIMENTI DI PETROLIO

 

WARRI (NIGERIA). = Un centinaio di morti e oltre un migliaio di feriti. Non c’è pace per la Nigeria, costretta ad un nuovo bilancio di sangue in seguito alle violenze a sfondo etnico che nei giorni scorsi hanno sconvolto la cittadina di Warri, nella regione petrolifera meridionale del Delta. Il numero delle vittime è stato reso noto dalla Croce Rossa nigeriana che ha “corretto” il bilancio circolato nei giorni scorsi, fermo a qualche decina di morti. La calma è ritornata mercoledì scorso, quando i leader dei due gruppi protagonisti delle violenze, Itsekiri e Ijaw, hanno dichiarato un ‘cessate il fuoco. Gli scontri di questi giorni sono stati tra i peggiori degli ultimi mesi, ma già a marzo una identica esplosione di violenza aveva provocato decine di morti. La rivolta aveva obbligato le multinazionali del petrolio presenti nel Delta – tra cui i giganti del greggio Royal Dutch Shell e Chevron Texaco – a diminuire del quaranta per cento la produzione di greggio. Le due etnie avversarie rivendicano una maggiore tutela ambientale e soprattutto chiedono di godere dei benefici economici derivanti dal petrolio e si contendono i contratti di collaborazione con le grandi compagnie internazionali. (A.D.C)

 

 

BUONE NOTIZIE PER L’ECONOMIA DELLA TAHILANDIA:

IL PAESE ASIATICO HA ESTINTO

IL DEBITO CONTRATTO CON IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

 

WASHINGTON.= Buone notizie sul fronte economico per la Thailandia. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha, infatti, annunciato l’imminente chiusura della sua sede nel Paese asiatico, segno che l’economia thailandese si sta avviando verso un concreto miglioramento. La decisione è stata presa un mese dopo che il governo di Bangkok ha terminato di pagare il debito stipulato con l’organismo finanziario che aveva provveduto ad un finanziamento durante la crisi economica del 1997-98. “La nostra scelta – si legge in un comunicato del Fondo monetario – si basa su una molteplicità di fattori, tra cui il miglioramento del clima economico e l’evoluzione del nostro rapporto con la Thailandia”. Dopo la chiusura della sede di Bangkok, prevista per metà settembre, dirigenti dell’organismo finanziario si recheranno con regolarità in visita nella nazione asiatica per incontrare le autorità. Il 31 luglio scorso il premier thailandese Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni al governo del Paese dal 2001, aveva annunciato l’estinzione del debito con il Fmi, dopo il versamento della tranche finale di 60 miliardi di baht (circa 1,43 miliardi di dollari) effettuato due anni prima del previsto. (A.G.)

 

 

A QUARANT’ANNI DALLA COSTITUZIONE LITURGICA DEL CONCILIO VATICANO II,

LA 54.MA SETTIMANA NAZIONALE DI LITURGIA - CHE AVRA’ INIZI0 LUNEDì PROSSIMO

AD ACIREALE -  APPROFONDIRA’ LA PORTATA E LE NOVITA’ DEL DOCUMENTO.

PREVISTI SPAZI DI CONFRONTO SULLA RIFORMA LITURGICA

 

ACIREALE.= “Liturgia, fonte e culmine. A quarant’anni dalla Costituzione conciliare”. Questo il tema al centro della 54.ma Settimana nazionale di Liturgia promossa dal Cal (Centro di Azione Liturgica) che si svolgerà al Centro Congressi di Acireale dal 25 al 29 agosto. Obiettivo del convegno: esplorare la portata della Costituzione liturgica del Vaticano II nel contesto del magistero conciliare; esaminare gli elementi di tradizione e di novità del documento; approfondire la dimensione ecumenica della liturgia. Non mancheranno spazi di confronto e scambio di esperienze su vari aspetti della riforma liturgica avviata dal Concilio: arte, libri liturgici, animazione. Tra i partecipanti: il cardinale Salvatore De Giorni, arcivescovo di Palermo; il nunzio apostolico in Italia, arcivescovo Paolo Romeo; il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, vescovo Piero Marini. (C.C.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

23 agosto 2003

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Dopo la fine della tregua, il Medio Oriente appare ripiombato nell’incubo della guerra. La reazione israeliana all’attentato di Gerusalemme non si è ancora conclusa: perquisizioni ed arresti si sono registrati ad Hebron, Jenin e nella zona di Betlemme; la striscia di Gaza è stata divisa in tre zone da posti di blocco e in una sparatoria all’ospedale di Nablus, sono stati uccisi tre membri delle Brigate di Al-Aqsa. Ma la comunità internazionale non smette di lavorare per salvare l’itinerario di pace della road map. Su questi sforzi ci riferisce Graziano Motta:

 

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Nonostante la fine della tregua, la diplomazia si attiva per tenere in vita le esigue possibilità di un nuovo cessate-il-fuoco. Spronato dagli Stati Uniti, il presidente egiziano, Mubarak, ha inviato il suo consigliere, Ussama al-Baz, a Ramallah, dove ha avuto tre ore di colloquio con Yasser Arafat e Abu Mazen, poi ha incontrato il ministro degli Esteri israeliano Shalom. L’esigenza di proseguire sulla via del dialogo è stata riaffermata dal presidente Bush, che ha disposto il sequestro negli Stati Uniti di beni di esponenti di Hamas e di gruppi sospettati di finanziare questa organizzazione che – ha affermato – per avere rivendicato ufficialmente la strage di Gerusalemme ha riconosciuto di essere terroristica. Anche l’Unione Europea si appresta ad esercitare nuove pressioni per il superamento della crisi, ma il governo palestinese, riunitosi ieri sera, ha sostenuto che la sua azione è condizionata dalla cessazione delle aggressioni di Israele, come vengono considerate le operazioni dei soldati contro esponenti e militanti delle organizzazioni della rivolta. Ieri, una folla valutata 100 mila persone, ha partecipato ai funerali di Ismail Abu Shanab, l’esponente di Hamas, ucciso il giorno prima.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Gravi focolai di tensione si registrano anche in Afghanistan dove due soldati afghani e quattro guerriglieri Taleban sono rimasti uccisi, ieri, in uno scontro a fuoco nella provincia centrale di Uruzgan. Si tratta dell’ultimo di una serie di attacchi attribuiti a miliziani del deposto regime afghano che, nelle scorse settimane, hanno causato decine di morti.

 

In Iraq non sembra purtroppo terminare il drammatico vortice di violenze che sta avvolgendo le forze anglo-americane, presenti nel Paese arabo, in una interminabile spirale di odio. La decisione di evacuare, mercoledì scorso, l’ambasciata britannica a Baghdad all’indomani del sanguinoso attentato alla sede dell’Onu, ha confermato, purtroppo, i timori delle forze inglesi che sono state colpite, questa mattina, da un nuovo, grave attacco: tre soldati britannici sono stati uccisi a Bassora, nell’area meridionale del Paese. Prosegue, intanto, il dibattito tra l’amministrazione americana e le Nazioni Unite sulla possibilità di allargare ad altri Paesi la presenza militare in Iraq: il nodo da sciogliere è la leadership della forza internazionale. Ce lo conferma Paolo Mastrolilli:

 

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Il presidente Bush ha detto che terroristi stranieri stanno entrando in Iraq, ma ha aggiunto che le forze di occupazione stanno vincendo la guerra e presto riceveranno il supporto di altre truppe internazionali. Gli investigatori che conducono l’indagine sull’attentato contro la sede dell’Onu hanno messo sotto inchiesta alcune guardie della struttura, sospettate di aver collaborato con i terroristi. Si tratta di uomini che in passato avevano militato nella polizia segreta di Saddam e forse hanno guidato gli attentatori contro l’ufficio dove si trovava Sergio Viera de Mello, il rappresentante speciale del segretario generale Kofi Annan, morto nell’attentato. Il Palazzo di Vetro è tornato al centro del lavoro diplomatico dopo la visita del segretario di Stato americano, Powell, che è aperto all’idea di una nuova risoluzione per convincere più Paesi ad inviare truppe. Ieri, anche il ministro degli Esteri britannico Straw ha incontrato Annan, ma il segretario generale ha dichiarato che questa iniziativa difficilmente passerà se Washington non accetterà di cedere parte del controllo del Paese. Il ministro degli Esteri francese de Villepin ha detto che l’Iraq è in decomposizione e la crisi non verrà risolta fino a quando la sovranità popolare prenderà il posto dell’occupazione militare.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha intanto nominato il portoghese Ramiro Lopes da Silva successore provvisorio di Sergio Vieira de Mello, l’inviato speciale dell’Onu in Iraq morto, martedì scorso, nell’attentato perpetrato nella capitale irachena. Il feretro del diplomatico brasiliano arriverà alla base militare del Galeao, a Rio de Janeiro, alle 9 locali di domani mattina (le 14 in Italia). Successivamente è prevista una cerimonia alla quale presenzieranno anche Kofi Annan ed il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva.

 

In Brasile la tragica esplosione di un missile, avvenuta nella base spaziale di Alcantara, in Amazzonia, ha provocato, ieri, la morte di almeno 21 persone ed il ferimento di altre 20. Il ministro della difesa brasiliano, Jose Viegas, ha precisato che le cause dell'incidente, avvenuto alle 13.30 locali (le 18.30 italiane), non sono ancora del tutto chiare. Il razzo avrebbe dovuto portare in orbita, lunedì prossimo, a 750 chilometri di altezza, due satelliti di fabbricazione brasiliana che sono andati completamente distrutti nell’esplosione. Con il lancio del 25 agosto, il Brasile sarebbe dovuto diventare il primo Paese latinoamericano a mettere in orbita un satellite con un proprio vettore. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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A causa di un incidente al sistema di accensione, uno dei quattro propulsori del razzo Vls si è improvvisamente attivato, determinando una esplosione di dimensioni tali da essere avvertita a molti chilometri di distanza, nella città di Sao Luis de Maranao. Al momento dello scoppio nelle vicinanze del razzo si trovavano varie centinaia di persone, intente a realizzare gli ultimi test prima del lancio previsto per lunedì. Questo disastro colpisce ancora una volta duramente la nascente industria spaziale brasiliana, debilitata dai due precedenti fallimenti di lancio di vettori dello stesso tipo. Commentando l’accaduto e la distruzione anche di due satelliti, che dovevano essere messi in orbita, il presidente Lula ha sostenuto che il governo è determinato a continuare gli sforzi per dotare il Paese di una tecnologia propria in questo campo.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Il Senegal è senza esecutivo. Il primo ministro, Idrissa Seck, ha rassegnato le dimissioni del suo governo al presidente della Repubblica, Abdoulaye Wade. Il capo di Stato già oggi dovrebbe iniziare il giro di consultazioni per la formazione di un nuovo esecutivo, che dovrebbe contenere alcuni rappresentanti dell’opposizione e personalità della società civile.

 

Restiamo in Africa, dove la Repubblica democratica del Congo cerca, a fatica, la stabilità politica. Nella capitale, Kinshasa, si sono insediati ieri i due rami del Parlamento di transizione: l’Assemblea nazionale ed il Senato, composti complessivamente da 620 delegati, in rappresentanza di governo, opposizione politica, gruppi ribelli e società civile.

 

“Il passato non si ripeterà”. E’ questo l’appello lanciato, in un messaggio televisivo, dal capo dell’attuale governo ad interim della Liberia, Moses Blah, che ha anche chiesto perdono per le colpe del passato regime. Il console onorario indiano in Liberia, Upjit Singh Sachdeva, è stato intanto aggredito da un gruppo di ribelli armati che ha fatto irruzione nella sede del consolato a Monrovia. I miliziani si sono anche impossessati di documenti considerati di fondamentale importanza. In India è attualmente in corso un dibattito sull’opportunità di inviare una forza di pace nel Paese africano.

 

 

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