RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 235 - Testo della
Trasmissione di sabato 23 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
In Medio Oriente, il duro colpo alla pace non uccide la speranza. Intervista con Antonio Ferrari.
CHIESA
E SOCIETA’:
La Thailandia ha estinto il debito contratto con il Fondo
monetario internazionale
Nonostante
la fine della tregua, in Medio Oriente la diplomazia non smette di lavorare per
la road-map
Prosegue
il dibattito tra Onu e Washington sull’invio di nuove forze militari in Iraq,
anche oggi martoriato da nuovi episodi di violenza
La
tragica esplosione di un missile ha causato ieri, in Brasile, la morte di
almeno 21 persone.
23 agosto 2003
SIATE
ARTEFICI DI SPERANZA E DI PACE, COMBATTENDO IL MALE CON IL BENE:
E’
L’ESORTAZIONE RIVOLTA STAMANI DA GIOVANNI PAOLO II AD UN GRUPPO
DI
FEDELI RICEVUTI IN UDIENZA A CASTEL GANDOLFO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Volgendo
lo sguardo verso la Vergine Maria, siamo “sempre più consapevoli che il vero
modo di regnare è servire”: è la riflessione offerta, stamani, dal Papa ai
numerosi pellegrini, ricevuti in udienza nel cortile del Palazzo Pontificio di
Castel Gandolfo. Tra questi, i giovani del movimento salesiano del Triveneto, i
fedeli di Miane, nella diocesi di Vittorio Veneto, e un gruppo di ragazzi
spagnoli della diocesi di Solsona. Il Papa ha esortato tutti i giovani ad
essere “artefici di pace e speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(canti)
Circondato dall’affetto festoso dei fedeli, il Papa ha
messo l’accento sull’attualità del carisma e del messaggio di Don Bosco,
specialmente per le nuove generazioni. Lo spirito salesiano, ha detto, “aiuta i
giovani a comprendere che il Vangelo è fonte inesauribile di vita e di gioia”.
Un richiamo, corredato da una viva esortazione:
“Anche voi, vivete questa
stupenda realtà: alla scuola di Don Bosco, siate sempre lieti, generosi e
coraggiosi nel combattere il male col bene, artefici di speranza e di pace in
ogni ambiente di vita”.
Il Santo Padre ha così salutato
i fedeli della parrocchia della Natività della Beata Vergine di Miane. Una
terra, ha sottolineato, che richiama Giovanni Paolo I, che tanto la amava.
Sottolineando, poi, come questo sia l’Anno dedicato al Rosario, Giovanni Paolo
II ha colto l’occasione per incoraggiare tutti, famiglie, giovani ed anziani, a
“contemplare assiduamente con Maria il Volto di Cristo, per essere sempre suoi
fedeli discepoli e testimoni”. Quindi, ha esortato i giovani pellegrini
spagnoli a lasciarsi guidare dallo Spirito nel cammino di discernimento vocazionale.
Il Papa non ha, poi, mancato di rivolgere un pensiero speciale alle forze
dell’ordine presenti a Castello:
“Saluto con affetto il
comandante e i Carabinieri della compagnia di Castel Gandolfo che prestano
tutto l’anno generosamente il servizio alle Ville Pontificie”.
Infine, ha salutato una
delegazione della pastorale giovanile della Cei che si reca in questi giorni in
pellegrinaggio alla Croce dell’Adamello.
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LA DEVOZIONE MARIANA, VIA ALL’INCONTRO CON CRISTO
REDENTORE:
COSI’ IL PAPA NELLA LETTERA AL CARDINALE SALVATORE
DE GIORGI,
SUO INVIATO SPECIALE ALLA CHIUSURA DELL’ANNO MARIANO
DI SIRACUSA,
NEL
SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE LACRIME
- A cura di
Paolo Salvo -
Un
“segno eloquente della Divina Misericordia” e della sollecitudine materna di
Maria verso il genere umano. Così il Papa, nella lettera in lingua latina pubblicata
stamani, descrive quell’evento prodigioso di 50 anni fa, quando una statua di
gesso raffigurante la Vergine iniziò a lacrimare, dal 29 agosto al 1° settembre
1953, ad intervalli regolari.
Giovanni Paolo II non manca di ricordare la sua memorabile
visita pastorale a Siracusa, dove il 6 novembre 1994 celebrò la Messa per la
solenne dedicazione del Santuario della Madonna delle Lacrime e pronunciò
un’omelia tutta incentrata sul significato del dolore umano, della sofferenza e
del pianto. “Lacrime di speranza”, le definì tra l’altro, “che sciolgono la
durezza dei cuori e li aprono all’incontro con Cristo Redentore, sorgente di
luce e di pace per i singoli, le famiglie e l’intera società”.
Nella sua lettera, il Papa incoraggia caldamente lo
speciale culto di venerazione della Vergine Maria, “come avviene fin dai tempi
più antichi della Chiesa nascente”. Attraverso il cardinale De Giorgi, che sarà
appunto presente a Siracusa in qualità di Inviato speciale, il Papa saluta nel
Signore tutti i partecipanti, specialmente i sacerdoti. E per tutti
l’esortazione, sull’esempio di Maria, a fare docilmente la volontà di Dio,
meditare, custodire e mettere in pratica la sua parola, esercitare le virtù
cristiane, soprattutto la carità, ed essere così zelanti cooperatori nell’opera
della Redenzione.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Servire con gioia Dio e il
prossimo” è titolo che apre la prima pagina in riferimento all’udienza di
Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. A seguire, Medio Oriente: gli Usa
congelano i beni dei gruppi legati ad Hamas; centomila palestinesi partecipano
ai funerali di Shanab, il leader di Hamas ucciso da Israele; l’Ap annuncia che
attuerà la repressione contro gli estremisti islamici solo se Israele cesserà
gli attacchi. Iraq: l’Onu riduce il personale; ancora morti tra le truppe
americane e inglesi.
Nelle
pagine vaticane, la lettera di Giovanni Paolo II al cardinale Salvatore De
Giorgi per la nomina a inviato speciale alla chiusura dell’Anno Mariano Siracusano
(1° settembre 2003) e una pagina dedicata al cammino della Chiesa in America.
Nelle pagine estere, Brasile:
esplosione di un razzo in una base spaziale causa 21 morti; Repubblica
Democratica del Congo: insediato il nuovo Parlamento. Nigeria: secondo la Croce
Rossa sarebbero cento i morti causati dagli scontri tra le etnie a Warri.
Afghanistan: cruenti scontri tra l’esercito governativo e i Taleban nel
distretto centrale di Uruzgan. Immigrazione: uno studio britannico denuncia 750
morti in 18 mesi nel tentativo di entrare in Europa.
Nella pagina culturale, un
articolo di Marco Testi sui “segreti” dell’Abbazia di Farfa.
Nelle pagine italiane, la tragica
sparatoria avvenuta nel Milanese nella quale sono morti due pregiudicati, una
bimba di tre anni e un pensionato. A seguire, i temi dell’economia e dell’immigrazione.
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23 agosto 2003
DALL’UNGHERIA
IN CAMMINO VERSO L’UNIONE EUROPEA,
UN
MESSAGGIO SULLE RADICI CRISTIANE DEL CONTINENTE E SULLA RICONCILIAZIONE NELLE
SOCIETA’ USCITE DAL COMUNISMO.
CON
NOI L’ARCIVESCOVO DI BUDAPEST, PETER ERDO
-
Servizio di Carla Cotignoli -
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(musica)
L’Ungheria è tra i
10 Paesi che il prossimo anno entreranno nell’Unione Europea. In questa nuova
fase storica, particolare significato ha assunto la festa nazionale celebrata
il 20 agosto, dedicata a Santo Stefano,
primo re d’Ungheria. Vissuto tra il 935 e il 1038, è considerato tuttora
il più grande santo ed eroe nazionale.
Re Stefano seppe riunire i magiari in una sola nazione;
organizzò diocesi, fondò abbazie. A lui è attribuita la nascita del
cristianesimo e della stessa nazione ungherese. I valori cristiani tuttora
costituiscono l’identità anche culturale di questo popolo. L’Ungheria dà
testimonianza di quanto profonde siano in Europa le radici cristiane.
Oltre 100 mila persone hanno partecipato nei giorni scorsi
alla solenne celebrazione eucaristica svolta davanti alla cattedrale di Santo
Stefano a Budapest. Gremivano non solo la piazza antistante, ma anche le vie
adiacenti. Presenti anche i rappresentanti delle comunità protestanti e della
comunità calvinista. Ed anche i vescovi e delegazioni di vari Paesi dell’Europa
centrale: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Slovenia, Croazia,
Bosnia Erzegovina. Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna,
all’omelia aveva parlato del ruolo dei cristiani nel cammino di riconciliazione
e di integrazione tra i Paesi che stanno per entrare nell’Unione Europea.
Si può parlare di un risveglio del cristianesimo in atto
in Ungheria? Risponde l’arcivescovo di Budapest, Peter Erdö:
R. – Penso che questo processo sia in corso già da più di
dieci anni; è un processo dinamico.
D. – Proiettando lo sguardo al futuro, al futuro ingresso
dell’Ungheria in Europa, ci sono iniziative particolari proprio per rafforzare
queste radici cristiane?
R. – Adesso ci stiamo preparando al pellegrinaggio comune
per l’anno prossimo, che è previsto al santuario di Mariazell, in Austria.
Penso che quell’occasione sarà veramente un incontro molto importante per i
cattolici di tutta l’Europa centrorientale. E’ un’iniziativa di otto Conferenze
episcopali, di Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria,
Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina.
D. – Come vi preparate?
R. – Ci sono incontri regolari tra le Conferenze
episcopali della regione; i vescovi di tutti questi Paesi partecipano – almeno
mediante una loro delegazione – alle feste più importanti degli altri popoli, e
così rinforziamo anche la coscienza dell’unità della nostra fede cattolica
comune, ci conosciamo meglio. Anche nella stampa di questi Paesi vengono
pubblicati articoli sugli altri Paesi, sulle Chiese di tutta la regione. Ci
sono diversi pellegrinaggi, in santuari famosi delle rispettive nazioni,
incontri, anche incontri con la gioventù.
D. – Proprio riguardo ai giovani: è vivo l’interesse per
il Vangelo?
R. – L’interesse è certamente vivo, però è più difficile
vivere secondo il Vangelo, più difficile imparare anche sistematicamente la
fede, perché la fede non è soltanto un sentimento, è una convinzione che ha un
contenuto oggettivo, che bisogna imparare e poi mettere in pratica. Quindi, da
un lato c’è un grande interesse, dall’altro sarà necessario approfondire quello
che uno riceve come grande esperienza in un momento solenne.
D. – Questa vitalità
cristiana, quale apporto può dare all’attuale situazione del Paese?
R. – Penso che possa contribuire ad un processo di
riconciliazione che sarebbe da desiderare, penso, per tutta la regione, in
tutte le società di questi Paesi che appartenevano prima al mondo comunista e
che adesso si preparano all’ingresso nell’Unione Europea. Quindi la
riconciliazione sarebbe un frutto di tutto questo processo anche per l’intera
società.
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DALLA
TRATTA SCHIAVISTA ALLE NUOVE SCHIAVITU’ DI DONNE E BAMBINI
-
Intervista con Raffaello Zordan -
Si celebra oggi la giornata internazionale per la
commemorazione della tratta schiavista e della sua abolizione, sotto l’egida
dell’Unesco. La data ricorda l’insurrezione degli schiavi di Santo Domingo
avvenuta ben 212 anni fa e che ebbe un ruolo cruciale nell’abolizione della
tratta transatlantica. Un fenomeno che si stima abbia coinvolto oltre 10
milioni di africani fatti schiavi nelle Americhe. Ma come fu possibile per la
cultura occidentale e cristiana accettare questo terribile fenomeno e come si è
sviluppato? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Raffaello Zordan, esperto di
questioni africane della rivista Nigrizia.
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R. – Credo che il problema della schiavitù abbia
significato molto tranquillamente mettere tra parentesi l’umanità dello
schiavo. Non dimentichiamo che la tratta atlantica era una tratta “cristiana”,
cioè fatta da persone che venivano da quel tipo di impostazione, da quel tipo
di visione delle cose; mentre la tratta orientale, quella che attraverso il
deserto del Sahara portava gli schiavi verso il Nordafrica, verso l’Oriente e
verso la penisola arabica, era una tratta “musulmana”. Ancora oggi, in certe
regioni dell’Africa – penso al Congo – ci sono tribù di pigmei che vengono
considerate dalle stesse popolazioni locali nere bantù come non-persone.
Quindi, si perpetua questo tipo di meccanismo.
D. – Non possiamo certo dire che la schiavitù sia un
fenomeno del tutto debellato dal pianeta ...
R. – Certamente esistono forme di lavoro coatto che sono
abbastanza diffuse anche in Africa; per esempio, riferendoci a Paesi come la
Mauritania, con forme di schiavitù rurale – ricordiamo che in Mauritania la
schiavitù è stata abolita ufficialmente solo nel 1981 – esistono padroni che
hanno il potere assoluto sul proprio schiavo, cioè possono prestarlo,
affittarlo, venderlo ... E questo avviene soprattutto in ambiente rurale. Non
che questo non sia perseguito o non ci sia l’intenzione di farlo, però esistono
situazioni di questo genere. Tra le altre situazioni che possiamo ben mettere
in evidenza è il fenomeno dei bambini-schiavi che partendo da Stati limitrofi,
andavano a lavorare nelle piantagioni di cacao o di caffè nella Costa d’Avorio.
Lì c’era un accordo, proprio, tra le famiglie ed i proprietari di queste
piantagioni.
D. – Il concetto di schiavitù nella comunità
internazionale e nei Trattati si è allargato per analogia?
R. – Sì; la tratta di donne africane che vengono portate
in Occidente – anche in Italia – per la prostituzione, detta molto chiaramente,
è un fenomeno che ha a che vedere con la criminalità organizzata, nella maggior
parte dei casi; ma ha anche a vedere con il fatto che esiste una domanda,
naturalmente, di andarsene, cioè queste donne – giovani, nella maggior parte –
vogliono uscire da situazioni complicate, da situazioni difficili e sperano,
cercano, immaginano di trovare delle possibilità anche attraverso questa via.
Sono schiave soprattutto perché devono pagare cifre enormi per essere portate –
non so – dalla Nigeria all’Italia, alla Francia, per “lavorare”, e queste cifre
enormi, poi, vengono ripagate nel corso di anni con lo sfruttamento intensivo.
Di fatto sono cifre che le tengono legate ad un gruppo della malavita organizzata
che le sfrutta fino in fondo.
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MEDIO ORIENTE, LA DIPLOMAZIA CI PROVA ANCORA:
IL
DURO COLPO ALLA PACE NON UCCIDE LA SPERANZA
-
Intervista ad Antonio Ferrari -
Nonostante
la fine della tregua in Medio Oriente, proseguono gli sforzi diplomatici per
fermare sul nascere la spirale di violenza. Gli Stati Uniti, in particolare,
confidano ancora nella tenuta della road-map, il piano di pace proposto
dal Quartetto, ma anche l’Egitto ha avviato un nuovo tentativo di mediazione.
Delle possibili soluzioni alla crisi tra israeliani e palestinesi, Andrea Sarubbi
ha parlato con Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera ed
analista di questioni mediorientali:
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R. –
Qualcosa indubbiamente bisogna inventarsi, perché il problema non è se la road
map sia viva o è morta: il problema, piuttosto, è che a questo piano di
pace non esistono alternative. La road map non è una proposta esclusiva
di Washington, ma nasce dal lavoro congiunto di Stati Uniti, Onu, Unione Europea
e Russia. E proprio per questo è, al momento, l’unica proposta possibile. Per
inventarsi qualcosa c’è bisogno di quello che definirei “un coraggio al
plurale”. Occorre che le due parti agiscano in maniera sincronizzata e che,
contemporaneamente, gli Stati Uniti aumentino la pressione: sia sui palestinesi
che, soprattutto, su Israele, perché se si continua in questa logica di spirale
– l’attentato, la rappresaglia, la tregua che finisce e poi l’omicidio mirato –
non si va da nessuna parte e si rischia una catastrofe.
D. – Ai
nostri microfoni, padre Faltas da Betlemme ha detto che serve un intervento
internazionale. Intervento internazionale significa caschi blu o che cos’altro?
R. –
Israele non ha mai voluto i caschi blu. Io credo che, per il momento,
l’intervento internazionale non possa essere che un intervento politico degli
Stati Uniti: forte, fortissimo, possibilmente in sintonia con l’Unione Europea.
Dopodiché, se la situazione sul terreno riuscirà a calmarsi, si potrà anche
pensare ad una forza che possa garantire stabilità e sicurezza.
D. – In
queste ore sta tentando una mediazione anche l’Egitto. Che possibilità di
convincimento ha Il Cairo su israeliani e palestinesi?
R. –
Non dimentichiamo che l’Egitto e i suoi inviati sono stati protagonisti assieme
a forze palestinesi – e mi riferisco soprattutto a Marwan Barghuti, che dal
carcere ha mediato con gli estremisti – nell’accettazione della tregua da parte
dei gruppi armati. Queste settimane di cessate-il-fuoco, insomma, sono state
possibili anche grazie alla mediazione egiziana. Il fatto di riproporre un
dialogo, da parte dell’Egitto, è un passo estremamente importante, perché –
come era stato possibile raggiungere una tregua allora – non è escluso che ci
si riesca anche oggi. Sperare, in questo momento, è doveroso.
D. –
Secondo alcuni, la fine della tregua segna la sconfitta del progetto politico
di Abu Mazen. Il premier palestinese è un politico che ha ancora qualche carta da
giocarsi, oppure è finito qui?
R. –
Personalmente credo che Abu Mazen non abbia finito le sue carte. È l’unico
politico palestinese assolutamente credibile ed anche gradito alle altre parti:
penso ad Israele, agli Stati Uniti, a gran parte del mondo arabo ed all’Unione
Europea. Il problema è che Abu Mazen deve essere sostenuto nella sua battaglia
più grande: quella di ottenere che all’interno dell’Autorità palestinese ci sia
una unica linea di comando. Attualmente, c’è un presidente eletto, che è
Arafat, e c’è un primo ministro, che è Abu Mazen: non si può andare avanti con
tre corpi di polizia controllati dal primo e gli altri tre controllati dal
secondo. Abu Mazen ha già minacciato più di una volta di dimettersi, ma non
credo possa farlo per un motivo del genere. Ritengo che la sola strada
percorribile sia che tutte le forze della moderazione – e qui sarebbe
importante anche il ruolo del presidente Arafat – si mettano d’accordo per dare
una strategia unica all’Autorità palestinese. Il problema delle forze di
sicurezza, che agiscono in maniera a volte quasi contrapposta, deve essere
superato: altrimenti, non si va da nessuna parte.
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23 agosto 2003
UNA FORTE DENUNCIA DEI RECENTI ATTI DI
INTOLLERANZA RELIGIOSA
NEI CONFRONTI DELLA CHIESA CATTOLICA IN SLOVENIA
IN UNA DICHIARAZIONE DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA E
PACE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE
LJUBLJANA.= “Numerosi sono gli atti di intolleranza
religiosa che si sono verificati in Slovenia, soprattutto nei confronti della
Chiesa cattolica, verso i valori cristiani e gli edifici sacri”. E’ quanto
denuncia la dichiarazione della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza
episcopale slovena. Ed enumera gli ultimi episodi tra cui quello accaduto il 15
agosto scorso, nella solennità dell’Assunzione di Maria: un consigliere
comunale ha impedito che venissero suonate le campane della cattedrale. Proprio
nel giorno della festa della stessa cattedrale, nonché festa civile. Il
documento enumera poi fatti di profanazione di chiese, di statue della Madre di
Dio, dell’incendio di un crocefisso. Nella dichiarazione si lamenta che
“nessuno dei rappresentanti del potere abbia condannato esplicitamente queste
azioni, né se ne sia distanziato. Anzi – si legge - molti mass media hanno umiliato e condannato i rappresentanti
della Chiesa cattolica per le condanne espresse dopo le offese ai vari luoghi
di culto”. La Commissione Giustizia e Pace non manca di denunciare le cause di
questa crescente intolleranza: “i molti problemi nel rapporto tra Stato e
Chiesa rimasti irrisolti”. La Slovenia è tra i pochi Paesi in cui è vietato
l’insegnamento della religione nelle Scuole. E ancora i mass media: “su certi
giornalisti – afferma la dichiarazione – incidono pregiudizi negativi, un modo
cinico, non professionale, parziale e marginale di affrontare le questioni
religiose e ecclesiali”. Il documento interpella il presidente della
Repubblica, il governo, il commissario dei diritti umani, il ministro della
Pubblica istruzione, i direttori dei programmi di Radio e TV nazionali e degli
altri mass media, perché prendano i dovuti provvedimenti per impedire l’aumento
dell’intolleranza verso la fede e la Chiesa cattolica nel Paese”. (C.C.)
IL GOVERNO COLOMBIANO HA PRESENTATO AL CONGRESSO
UN DISEGNO DI LEGGE
RELATIVO A UNA ‘SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA
PENA’ PER I MEMBRI
DEI GRUPPI ARMATI ILLEGALI ACCUSATI DI GRAVI
CRIMINI
DISPOSTI A CONSEGNARE LE ARMI
BOGOTA’.
= Per “stimolare la smobilitazione e il conseguimento della pace” in Colombia,
insanguinata da 40 anni di conflitto interno, come ha dichiarato il ministro
dell’interno Fernando Londoño Hoyos, il governo colombiano ha presentato al
Congresso un disegno di legge che prevede una “sospensione condizionale della
pena” per i membri dei gruppi armati illegali accusati di gravi crimini,
disposti a consegnare le armi. Ne
dovrebbero quindi beneficiare principalmente i paramilitari delle Auc
(Autodifese unite della Colombia) nell’ambito del negoziato di pace avviato con
l’esecutivo, che prevede la completa smobilitazione degli uomini di Carlos
Castaño Gil entro il 31 dicembre 2005. A questi potrebbero essere applicate, al
posto del carcere, pene alternative che potrebbero comportare l’interdizio-ne
perpetua dai pubblici uffici e il divieto di detenere armi. In cambio, i combattenti
ai quali verrà applicato il provvedimento, dovranno impegnarsi a non perpetrare
nuovi delitti, a contribuire agli indennizzi previsti per il familiari delle
loro vittime, a fornire costante reperibilità e a uscire dal Paese. “Il
controllo di accesso a questo strumento è nelle mani del presidente della
Repubblica – ha precisato il ministro – egli è l’unico legittimato a
richiederne l’applicazione discrezionale al potere giudiziario”. Il nuovo
istituto giuridico avrebbe portata più ampia di indulto e amnistia, previsti
dalla Costituzione solo per i colpevoli di delitti politici. (C.C.)
E’ TORNATA LA CALMA A WARRI, CITTA’ MERIDIONALE
DELLA NIGERIA,
DOPO GLI SCONTRI ETNICI DEI GIORNI SCORSI.
LA CROCE ROSSA PARLA DI CENTO MORTI TRA I CIVILI.
SULLO SFONDO DELLE VIOLENZE,
LO SFRUTTAMENTO DEI RICCHI GIACIMENTI DI PETROLIO
WARRI (NIGERIA). = Un centinaio
di morti e oltre un migliaio di feriti. Non c’è pace per la Nigeria, costretta
ad un nuovo bilancio di sangue in seguito alle violenze a sfondo etnico che nei
giorni scorsi hanno sconvolto la cittadina di Warri, nella regione petrolifera
meridionale del Delta. Il numero delle vittime è stato reso noto dalla Croce Rossa
nigeriana che ha “corretto” il bilancio circolato nei giorni scorsi, fermo a
qualche decina di morti. La calma è ritornata mercoledì scorso, quando i leader
dei due gruppi protagonisti delle violenze, Itsekiri e Ijaw, hanno dichiarato
un ‘cessate il fuoco. Gli scontri di questi giorni sono stati tra i peggiori
degli ultimi mesi, ma già a marzo una identica esplosione di violenza aveva
provocato decine di morti. La rivolta aveva obbligato le multinazionali del
petrolio presenti nel Delta – tra cui i giganti del greggio Royal Dutch
Shell e Chevron Texaco – a diminuire del quaranta per cento la
produzione di greggio. Le due etnie avversarie rivendicano una maggiore tutela
ambientale e soprattutto chiedono di godere dei benefici economici derivanti
dal petrolio e si contendono i contratti di collaborazione con le grandi
compagnie internazionali. (A.D.C)
BUONE NOTIZIE PER L’ECONOMIA
DELLA TAHILANDIA:
IL PAESE ASIATICO HA ESTINTO
IL DEBITO CONTRATTO CON IL FONDO MONETARIO
INTERNAZIONALE
WASHINGTON.= Buone notizie sul fronte economico per la
Thailandia. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha, infatti, annunciato
l’imminente chiusura della sua sede nel Paese asiatico, segno che l’economia
thailandese si sta avviando verso un concreto miglioramento. La decisione è
stata presa un mese dopo che il governo di Bangkok ha terminato di pagare il
debito stipulato con l’organismo finanziario che aveva provveduto ad un
finanziamento durante la crisi economica del 1997-98. “La nostra scelta – si
legge in un comunicato del Fondo monetario – si basa su una molteplicità di
fattori, tra cui il miglioramento del clima economico e l’evoluzione del nostro
rapporto con la Thailandia”. Dopo la chiusura della sede di Bangkok, prevista
per metà settembre, dirigenti dell’organismo finanziario si recheranno con
regolarità in visita nella nazione asiatica per incontrare le autorità. Il 31
luglio scorso il premier thailandese Thaksin Shinawatra, magnate delle
telecomunicazioni al governo del Paese dal 2001, aveva annunciato l’estinzione
del debito con il Fmi, dopo il versamento della tranche finale di 60 miliardi
di baht (circa 1,43 miliardi di dollari) effettuato due anni prima del previsto.
(A.G.)
A
QUARANT’ANNI DALLA COSTITUZIONE LITURGICA DEL CONCILIO VATICANO II,
LA 54.MA SETTIMANA NAZIONALE DI LITURGIA - CHE
AVRA’ INIZI0 LUNEDì PROSSIMO
AD ACIREALE -
APPROFONDIRA’ LA PORTATA E LE NOVITA’ DEL DOCUMENTO.
PREVISTI SPAZI DI CONFRONTO SULLA RIFORMA
LITURGICA
ACIREALE.= “Liturgia, fonte e
culmine. A quarant’anni dalla Costituzione conciliare”. Questo il tema al
centro della 54.ma Settimana nazionale di Liturgia promossa dal Cal (Centro di
Azione Liturgica) che si svolgerà al Centro Congressi di Acireale dal 25 al 29
agosto. Obiettivo del convegno: esplorare la portata della Costituzione
liturgica del Vaticano II nel contesto del magistero conciliare; esaminare gli
elementi di tradizione e di novità del documento; approfondire la dimensione
ecumenica della liturgia. Non mancheranno spazi di confronto e scambio di esperienze
su vari aspetti della riforma liturgica avviata dal Concilio: arte, libri liturgici,
animazione. Tra i partecipanti: il cardinale Salvatore De Giorni, arcivescovo
di Palermo; il nunzio apostolico in Italia, arcivescovo Paolo Romeo; il maestro
delle celebrazioni liturgiche pontificie, vescovo Piero Marini. (C.C.)
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23 agosto 2003
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
Dopo la fine della tregua, il
Medio Oriente appare ripiombato nell’incubo della guerra. La reazione
israeliana all’attentato di Gerusalemme non si è ancora conclusa: perquisizioni
ed arresti si sono registrati ad Hebron, Jenin e nella zona di Betlemme; la
striscia di Gaza è stata divisa in tre zone da posti di blocco e in una
sparatoria all’ospedale di Nablus, sono stati uccisi tre membri delle Brigate
di Al-Aqsa. Ma la comunità internazionale non smette di lavorare per salvare
l’itinerario di pace della road map. Su questi sforzi ci riferisce
Graziano Motta:
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Nonostante la fine della tregua, la diplomazia si attiva
per tenere in vita le esigue possibilità di un nuovo cessate-il-fuoco. Spronato
dagli Stati Uniti, il presidente egiziano, Mubarak, ha inviato il suo
consigliere, Ussama al-Baz, a Ramallah, dove ha avuto tre ore di colloquio con
Yasser Arafat e Abu Mazen, poi ha incontrato il ministro degli Esteri
israeliano Shalom. L’esigenza di proseguire sulla via del dialogo è stata
riaffermata dal presidente Bush, che ha disposto il sequestro negli Stati Uniti
di beni di esponenti di Hamas e di gruppi sospettati di finanziare questa
organizzazione che – ha affermato – per avere rivendicato ufficialmente la
strage di Gerusalemme ha riconosciuto di essere terroristica. Anche l’Unione
Europea si appresta ad esercitare nuove pressioni per il superamento della
crisi, ma il governo palestinese, riunitosi ieri sera, ha sostenuto che la sua
azione è condizionata dalla cessazione delle aggressioni di Israele, come
vengono considerate le operazioni dei soldati contro esponenti e militanti
delle organizzazioni della rivolta. Ieri, una folla valutata 100 mila persone,
ha partecipato ai funerali di Ismail Abu Shanab, l’esponente di Hamas, ucciso
il giorno prima.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
**********
Gravi focolai di tensione si registrano anche in
Afghanistan dove due soldati afghani e quattro guerriglieri Taleban sono
rimasti uccisi, ieri, in uno scontro a fuoco nella provincia centrale di
Uruzgan. Si tratta dell’ultimo di una serie di attacchi attribuiti a miliziani
del deposto regime afghano che, nelle scorse settimane, hanno causato decine di
morti.
In Iraq non sembra purtroppo terminare il drammatico
vortice di violenze che sta avvolgendo le forze anglo-americane, presenti nel
Paese arabo, in una interminabile spirale di odio. La decisione di evacuare,
mercoledì scorso, l’ambasciata britannica a Baghdad all’indomani del sanguinoso
attentato alla sede dell’Onu, ha confermato, purtroppo, i timori delle forze
inglesi che sono state colpite, questa mattina, da un nuovo, grave attacco: tre
soldati britannici sono stati uccisi a Bassora, nell’area meridionale del
Paese. Prosegue, intanto, il dibattito tra l’amministrazione americana e le
Nazioni Unite sulla possibilità di allargare ad altri Paesi la presenza
militare in Iraq: il nodo da sciogliere è la leadership della forza
internazionale. Ce lo conferma Paolo Mastrolilli:
**********
Il presidente Bush ha detto che
terroristi stranieri stanno entrando in Iraq, ma ha aggiunto che le forze di
occupazione stanno vincendo la guerra e presto riceveranno il supporto di altre
truppe internazionali. Gli investigatori che conducono l’indagine
sull’attentato contro la sede dell’Onu hanno messo sotto inchiesta alcune
guardie della struttura, sospettate di aver collaborato con i terroristi. Si
tratta di uomini che in passato avevano militato nella polizia segreta di
Saddam e forse hanno guidato gli attentatori contro l’ufficio dove si trovava
Sergio Viera de Mello, il rappresentante speciale del segretario generale Kofi
Annan, morto nell’attentato. Il Palazzo di Vetro è tornato al centro del lavoro
diplomatico dopo la visita del segretario di Stato americano, Powell, che è
aperto all’idea di una nuova risoluzione per convincere più Paesi ad inviare
truppe. Ieri, anche il ministro degli Esteri britannico Straw ha incontrato
Annan, ma il segretario generale ha dichiarato che questa iniziativa
difficilmente passerà se Washington non accetterà di cedere parte del controllo
del Paese. Il ministro degli Esteri francese de Villepin ha detto che l’Iraq è
in decomposizione e la crisi non verrà risolta fino a quando la sovranità
popolare prenderà il posto dell’occupazione militare.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Il segretario generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan, ha intanto nominato il portoghese Ramiro Lopes da
Silva successore provvisorio di Sergio Vieira de Mello, l’inviato speciale dell’Onu
in Iraq morto, martedì scorso, nell’attentato perpetrato nella capitale
irachena. Il feretro del diplomatico brasiliano arriverà alla base militare del
Galeao, a Rio de Janeiro, alle 9 locali di domani mattina (le 14 in Italia).
Successivamente è prevista una cerimonia alla quale presenzieranno anche Kofi
Annan ed il presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva.
In Brasile la tragica esplosione di un missile, avvenuta
nella base spaziale di Alcantara, in Amazzonia, ha provocato, ieri, la morte di
almeno 21 persone ed il ferimento di altre 20. Il ministro della difesa
brasiliano, Jose Viegas, ha precisato che le cause dell'incidente, avvenuto
alle 13.30 locali (le 18.30 italiane), non sono ancora del tutto chiare. Il
razzo avrebbe dovuto portare in orbita, lunedì prossimo, a 750 chilometri di
altezza, due satelliti di fabbricazione brasiliana che sono andati completamente
distrutti nell’esplosione. Con il lancio del 25 agosto, il Brasile sarebbe
dovuto diventare il primo Paese latinoamericano a mettere in orbita un
satellite con un proprio vettore. Il servizio di Maurizio Salvi:
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A causa di un incidente al sistema
di accensione, uno dei quattro propulsori del razzo Vls si è improvvisamente
attivato, determinando una esplosione di dimensioni tali da essere avvertita a
molti chilometri di distanza, nella città di Sao Luis de Maranao. Al momento
dello scoppio nelle vicinanze del razzo si trovavano varie centinaia di
persone, intente a realizzare gli ultimi test prima del lancio previsto per
lunedì. Questo disastro colpisce ancora una volta duramente la nascente
industria spaziale brasiliana, debilitata dai due precedenti fallimenti di
lancio di vettori dello stesso tipo. Commentando l’accaduto e la distruzione anche
di due satelliti, che dovevano essere messi in orbita, il presidente Lula ha sostenuto
che il governo è determinato a continuare gli sforzi per dotare il Paese di una
tecnologia propria in questo campo.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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Il Senegal è senza esecutivo. Il primo ministro, Idrissa
Seck, ha rassegnato le dimissioni del suo governo al presidente della Repubblica,
Abdoulaye Wade. Il capo di Stato già oggi dovrebbe iniziare il giro di
consultazioni per la formazione di un nuovo esecutivo, che dovrebbe contenere
alcuni rappresentanti dell’opposizione e personalità della società civile.
Restiamo
in Africa, dove la Repubblica democratica del Congo cerca, a fatica, la
stabilità politica. Nella capitale, Kinshasa, si sono insediati ieri i due rami
del Parlamento di transizione: l’Assemblea nazionale ed il Senato, composti complessivamente
da 620 delegati, in rappresentanza di governo, opposizione politica, gruppi
ribelli e società civile.
“Il passato non si ripeterà”. E’ questo l’appello
lanciato, in un messaggio televisivo, dal capo dell’attuale governo ad
interim della Liberia, Moses Blah, che ha anche chiesto perdono per le
colpe del passato regime. Il console onorario indiano in Liberia, Upjit Singh
Sachdeva, è stato intanto aggredito da un gruppo di ribelli armati che ha fatto
irruzione nella sede del consolato a Monrovia. I miliziani si sono anche
impossessati di documenti considerati di fondamentale importanza. In India è
attualmente in corso un dibattito sull’opportunità di inviare una forza di pace
nel Paese africano.
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