RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 232 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 20 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
Cristiani e musulmani dell’Asia in dialogo nelle Filippine
per la pace e lo sviluppo
Drammatica denuncia
dell’Onu in Colombia: 106 indigeni vittime di massacri tra gennaio e maggio.
Si comincia a delineare il futuro politico della
Liberia dopo l’accordo di pace firmato lunedì scorso
Con l’obiettivo di sostenere il processo di pace
in Somalia sono ripresi, nel Paese africano, i lavori della Conferenza nazionale
per la riconciliazione
Prosegue
in Afghanistan la drammatica ondata di violenze: ieri sono rimaste uccise 11
persone in seguito ad un nuovo attacco, probabilmente ad opera dei talebani.
20
agosto 2003
IL DOLORE DI GIOVANNI PAOLO II PER LE STRAGI DI
BAGHDAD E GERUSALEMME
ESPRESSO
ALL’UDIENZA GENERALE E IN UN TELEGRAMMA INVIATO IERI A KOFI ANNAN.
APPELLO
DEL PAPA AI GOVERNANTI PERCHE’ INTERROMPANO
LE
SPIRALI DI ODIO E VIOLENZA
-
Servizio di Alessandro De Carolis -
**********
Profonda
tristezza e unanime riprovazione. Una nuova, accorata preghiera perché la
spirale dell’odio sia spezzata e cessi di tormentare le terre del Medio
Oriente, da Gerusalemme a Baghdad. L’eco dei due sanguinosi attentati avvenuti
ieri in Terra Santa e nella capitale irachena è riverberata questa mattina nel
cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Nel corso dell’udienza
generale, Giovanni Paolo II ha fatto suo il dolore dei molti che, nelle due
città, stanno piangendo in queste ore i morti dell’ennesima ondata di crudeltà
che ha scosso il mondo:
“Le tragiche notizie che
giungono in queste ore da Baghdad e da Gerusalemme non possono che generare nel
nostro cuore profonda tristezza ed unanime riprovazione. Mentre affidiamo alla
misericordia divina le persone che hanno perso la vita ed imploriamo conforto
per chi piange, preghiamo il Dio della pace perché prevalga nei cuori la
saggezza ed i responsabili della cosa pubblica sappiano rompere questa funesta
spirale di odio e di violenza”.
Almeno
24 morti accertati, tra i quali il 55.enne rappresentante dell’Onu in Iraq
Sergio Vieira de Mello, e altri probabili cadaveri ancora sotto le macerie del
Canal Hotel a Baghdad, oltre a un centinaio di feriti. Altri venti morti, tra
cui diversi bambini, e ancora un centinaio di feriti nella Città Santa. Il
camion-bomba fatto esplodere sotto la sede dell’Onu nella capitale dell’Iraq e il bus dilaniato nel
cuore di Gerusalemme ad opera di un kamikaze di Hamas hanno fatto da simbolico
contrappunto alle parole del Pontefice, che proprio all’immagine della Gerusalemme
riedificata, cantata dal Salmo 147, ha dedicato oggi i pensieri della sua
catechesi.
Nei versetti spiegati dal Papa, l’antica distruzione di
Gerusalemme ad opera dei persiani – avvenuta nel 586 a.C. – diviene la cornice
su cui risalta la potenza del Signore, “che ritorna ad essere il costruttore
della Città Santa”. Del resto, ha osservato Giovanni Paolo II riferendosi al
salmo, la pace, šalôm, è “contenuta simbolicamente nel nome stesso di Gerusalemme”.
E la Parola di Dio, ha soggiunto, può “risuonare nel mondo e diventare norma e
luce di vita per tutti i popoli” attraverso “Israele e, quindi, attraverso
anche la comunità cristiana, cioè la Chiesa”. Il Signore, ha ricordato inoltre,
“agisce con la sua Parola non solo nella creazione ma anche nella storia”: un
messaggio, quello del Papa, di speranza più forte dei drammi della cronaca, che
Giovanni Paolo II ha rivolto ai 3.500 pellegrini presenti all’udienza e a tutto
il mondo. Una speranza che i credenti sono chiamati a coltivare
quotidianamente:
“Per
questo deve ogni giorno salire al cielo la nostra lode (…) per benedire il
Signore della vita e della libertà, dell’esistenza e della fede, della creazione
e della redenzione”.
Il doloroso stupore di Giovanni Paolo II per le notizie in
arrivo da Baghdad si era manifestato già ieri sera, a caldo, in un telegramma
fatto pervenire al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan,
attraverso l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, l’arcivescovo
Celestino Migliore. Nell’offrire preghiere per le vittime dell’attentato e per
i loro familiari, il Papa aveva implorato “tutti coloro che sono coinvolti nel
perpetrare atti di violenza ad abbandonare la via dell'odio” e pregato per il
prevalere della “via della riconciliazione” e per l’avvento di “un'era di pace,
giustizia e armonia sociale” per il popolo iracheno. Allo stesso mons.
Migliore, Andrea Sarubbi ha chiesto stamani un commento sulla strage perpetrata
ai danni dell’Onu e sulla morte di Vieira de Mello:
R. –
Non si può non provare sgomento ed anche indignazione per questo gesto
irrazionale, sia per la sorte brutale di un uomo di grande valore e di tutte le
vittime di questo attentato, sia per le sorti di questo processo di riconciliazione
già di per sé molto faticoso.
D. – Mons. Migliore, si è chiesto perché è stata colpita
proprio l’Onu, che sta svolgendo un lavoro super partes?
R. – La violenza è sempre irrazionale e anche questa
volta, nella brutalità dell’accaduto, si è dimostrato un alto grado di
irrazionalità.
D. – Secondo lei, il cammino intrapreso dall’Onu in Iraq
in questo momento è un cammino giusto?
R. – L’Onu sta fornendo la propria collaborazione in un
settore, come quello della ricostruzione e dell’aiuto umanitario, nel quale ha
un’esperienza grande ed apprezzata: e l’aspetto umanitario in questo momento è
molto importante.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Preghiamo il Dio della
pace perché si rompa questa funesta spirale di odio e di violenza” è il titolo
che apre la Prima Pagina in riferimento all’udienza generale nella quale
Giovanni Paolo II, nell’unanime riprovazione del mondo, ha espresso la sua
profonda tristezza per le tragiche notizie giunte da Baghdad e da Gerusalemme.
A seguire: autobomba contro la sede dell’Onu a Baghdad provoca una strage:
ventiquattro i morti e un centinaio di feriti. Tra le vittime Sergio Vieira de
Mello, rappresentante speciale di Kofi Annan. Medio Oriente: attentato suicida
su un autobus a Gerusalemme provoca venti morti.
Nelle
pagine vaticane, un articolo dell’arcivescovo Ruppi su San Pio X nel centenario
della morte.
Nelle pagine estere, le reazioni
della comunità internazionale dopo l’attentato a Baghdad. Liberia: annunciati
aiuti dell’Unione Europea per 50 milioni di euro. Sudan: l’Igad sospende i
negoziati.
Nella pagina culturale, un
articolo di Andrea Colombo sulle memorie dell’infanzia di Pavel Florenskij
dedicate ai figli.
Nelle pagine italiane, i temi
della crisi nel mondo del calcio, dell’economia e degli incendi.
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20
agosto 2003
SGOMENTO
E SDEGNO DELLA COMUNITA’ MONDIALE
PER
L’ATTACCO ALLA SEDE DELLE NAZIONI UNITE DI BAGHDAD
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Una
strage che mortifica le speranze di pacificazione in Iraq e al tempo stesso un
attacco contro l’umanità. La comunità internazionale ha reagito sgomenta,
condannando unanime il terribile attentato di ieri al quartier generale delle
Nazioni Unite a Baghdad. Un attacco che ha causato la morte di almeno ventiquattro
persone, tra cui l’inviato speciale di Kofi Annan in Iraq, Sergio Vieira de
Mello. Oltre cento sono i feriti, mentre si teme che ci siano ancora vittime
tra le macerie dell’edificio, devastato dall’esplosione di un camion bomba. Il
segretario generale dell’Onu si è detto sconvolto per l’attentato. Un crimine,
ha dichiarato, non solo a danno delle Nazioni Unite, ma contro tutto il popolo
dell’Iraq. D’altro canto, Annan ha sottolineato che gli uomini dell’Onu
resteranno in Iraq per adempiere al proprio lavoro. Il Palazzo di Vetro vive
dunque uno dei momenti più drammatici della sua storia, come ci conferma da New
York, Fahran Haq, dell’ufficio del portavoce dell’Onu, intervistato da Paolo
Mastrolilli:
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R. - WELL,
THE IMPACT ON THE …
E’
stato un impatto devastante sul nostro lavoro, ovviamente un duro colpo, ma non
smetteremo di essere a fianco del popolo iracheno e di portare avanti la missione
che siamo chiamati a compiere.
D. – Perché lei pensa che le Nazioni Unite sono state
attaccate a Baghdad?
R. – IT’S
DIFFICULT TO SAY WHY …
E’ difficile dire il perché. Non vorrei speculare su chi
possa essere dietro a questo attacco, ma di certo mette in luce i problemi
relativi all’insicurezza in Iraq nell’ultimo periodo e ci fa capire quanto il
bisogno di sicurezza sia indispensabile.
D. – Dopo i contrasti che c’erano stati prima della
guerra, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato, il 14 agosto, una
risoluzione con cui dava il benvenuto al nuovo governo provvisorio insediato a
luglio. Pensa che ci sia qualche connessione fra questa scelta del Consiglio di
Sicurezza e l’attacco a Baghdad?
R. – I
HOPE THAT THE PEOPLE OF THE IRAQ …
Spero che il popolo iracheno si renda conto del ruolo
indipendente dell’Onu. Noi siamo indipendenti dalle potenze occupanti anche se
per ottenere dei risultati sul terreno lavoriamo con loro, visto che sono loro
ad avere il controllo del Paese, ma noi abbiamo un mandato del Consiglio di
Sicurezza e rappresentiamo tutti i 191 Paesi membri, non solo uno Stato o un
gruppo di Stati. Non posso dire già da ora quali misure adotteremo per
affrontare il problema della sicurezza, quello che è certo è che non abbiamo
intenzione di mollare e che continueremo ad offrire agli iracheni l’appoggio di
cui hanno bisogno in questo momento.
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Durante la notte, a Baghdad, è
proseguito incessante il lavoro delle squadre di soccorso. Stamani, invece, è
iniziato il lavoro degli investigatori americani che stanno cercando tracce per
risalire ai responsabili della strage. Secondo Ahmad Chalabi, membro del
Consiglio di governo transitorio iracheno, dietro l’attentato ci sarebbero i
fedelissimi di Saddam Hussein, alleati con altri guerriglieri.
Obiettivo dei terroristi:
l’uomo di fiducia di Kofi Annan, Sergio Vieira de Mello. Brasiliano 55enne, de
Mello era una delle personalità più stimate delle Nazioni Unite. Nei sui 33
anni al servizio dell’Onu si è dedicato all’emergenza profughi, lavorando al
quartier generale di Ginevra e poi in Bangladesh, Sudan, Cipro e Mozambico. Si
era inoltre distinto come eccellente mediatore in alcune delle crisi più
difficili degli ultimi anni da Timor Est al Kosovo. Il suo mandato a Baghdad
doveva terminare tra otto giorni, dopo quattro mesi di intenso lavoro. De Mello
aveva individuato proprio nel problema sicurezza l’emergenza prioritaria per
l’Iraq. Ascoltiamo una sua dichiarazione alla Radio dell’Onu, nel maggio scorso,
in occasione della sua nomina ad inviato speciale a Baghdad:
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Penso che la prima sfida sia il problema della sicurezza
soprattutto nei centri urbani, cominciando dalla capitale, Baghdad. So, anche
per esperienza, che quando tutte le istituzioni dello Stato crollano,
ristabilire la legge e l’ordine non è facile. Perciò posso capire, fino ad un
certo punto, quel che succede e faremo di tutto, in questo contesto, per
aiutare le autorità ad identificare le aree più vulnerabili, per contribuire
alla stabilità e alla sicurezza affinché siano ristabilite il più presto
possibile.
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Oltre a De Mello, l’Onu piange anche altri suoi esponenti
di spicco rimasti uccisi nell’attentato di Baghdad tra cui il coordinatore
dell’Unicef in Iraq, il canadese Christopher Klein-Beekman. Per tutta la
comunità delle Nazioni Unite, l’attacco terroristico rappresenta quindi uno shock
senza precedenti, come spiega, costernato, Giuseppe de Vincentis, direttore
dell’Undp di Roma, il Programma dell’Onu per lo sviluppo umano:
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R. – E’ stata una notizia che ci ha completamente
devastati; c’è profonda costernazione per l’attacco, la morte dei colleghi e
tra di loro anche di amici. Indubbiamente ci ha colti sbigottiti per l’orrendo
atto che è stato perpetrato.
D. – Lei conosceva bene Sergio Vieira de Mello: che
ricordo ha di questa personalità, di questa figura importante delle Nazioni
Unite?
R. – Ho avuto l’onore, in Cambogia, di lavorare a stretto
contatto con lui e ne ho ammirato sin dall’inizio l’integrità e la totale
devozione ai principi delle Nazioni Unite. Era un uomo di pace; aveva una
carica che riusciva a trasmettere a tutti. Lo ricordo perfettamente quando lui
ci chiamava per le riunioni e prendeva la parola, tutti i possibili dissensi,
le differenze venivano messe da parte nel riconoscimento della sua leadership
moderata e illuminata. Era veramente un grande personaggio, era tra i migliori,
se non il migliore.
D. – Cosa cambia per le Nazioni Unite dopo questa orrenda
strage?
R. – Certo, da una parte c’è lo sbigottimento e
l’incertezza per questo attacco inaspettato, il primo di questo genere, verso
un simbolo, un’organizzazione che cerca di portare pace invece che
conflittualità. Di sicuro, il messaggio che è traspirato in queste ore
drammatiche è che le Nazioni Unite non si lasceranno intimidire, continueranno
nella loro opera di riappacificazione, di ricostruzione, di aiuto umanitario.
Come si procederà in questo contesto lacerato, resta da vedersi in questi
prossimi giorni.
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Come tragicamente dimostrato
dall’attacco di ieri, la situazione in Iraq è quanto mai instabile, a tre mesi
e mezzo dalla fine della seconda guerra del Golfo. Il presidente americano,
Bush, ha dichiarato che gli Stati Uniti non si faranno intimidire
dall’attentato. Dal canto suo, proprio Kofi Annan ha ricordato oggi che le
“potenze occupanti” sono largamente responsabili della sicurezza nel Paese,
anche se “ciò non scusa o giustifica la violenza insensata” vista in Iraq. Ma
per un’analisi sul significato e le conseguenze politiche dell’attacco alle
Nazioni Unite, Fausta Speranza ha intervistato Alberto Negri, inviato speciale
de “Il Sole 24-ore”:
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R. – Le Nazioni Unite sono, come tanti altri obiettivi
occidentali a Baghdad, uno di quelli che erano e che sono nel mirino di questa
situazione di instabilità tra guerriglia e terrorismo. Le Nazioni Unite
rappresentavano gli anni dell’embargo, gli anni delle sanzioni ma in fondo
anche quel sistema che, in qualche modo, teneva il Paese in stato di
protezionismo e di controllo da parte delle autorità internazionali. Penso
comunque che abbia inciso moltissimo il fatto che l’occupazione americana non
abbia avuto un contrasto reale, concreto da parte delle organizzazioni
internazionali delle Nazioni Unite. In fondo, questa loro incapacità di
incidere sulle situazioni concrete li fa passare agli occhi di alcuni gruppi
dalla parte dei nemici da combattere.
D. – Oltre agli aspetti drammatici che sono nel fatto
stesso, quali altre conseguenze possiamo pensare che abbia questo gesto?
R. – Non saprei, quali altre conseguenze ci possano essere
oltre a quelle che già vediamo tutti i giorni: continui attentati, morti tra le
truppe americane, instabilità che vanno di pari passo con una ricostruzione che
non attinge a quasi nessuno degli obiettivi che si era preposto all’inizio,
anche quelli più basilari, come dare luce e acqua alla popolazione.
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LA NUOVA STRAGE NEL CUORE DELLO STATO EBRAICO
CONGELA
LE SPERANZE DI PACE TRA ISRAELIANI E PALESTINESI
- A cura di Roberta Gisotti -
“Un
grande silenzio, appena turbato dal pianto sommesso e dai lamenti dei feriti”:
la scena spettrale del sanguinoso attentato a Gerusalemme nelle parole di un
volontario ebreo, tra i primi a soccorrere i superstiti e a comporre i resti
delle povere vittime. Ultimo, ennesimo atto di follia omicida contro innocenti
inermi.
Raed Abdel Hamid, questo il nome del palestinese di
Hebron, accecato dall’odio, che si è fatto esplodere nell’autobus della linea
2, intorno alle 21 locali, all’altezza dell’albergo Novotel, nel quartiere
ebraico di Shmuel Hanavi, poco distante dalle mura della Città Vecchia, sulla
grande strada che collega il centro di Gerusalemme con la periferia nord, e
prosegue verso Ramallah.
29 anni, imam di una delle più grandi moschee della sua
città e maestro di scuola, quest’uomo ha scelto di legare il suo nome al sangue
e al dolore di tante famiglie colpevoli solo di essere israeliane ed ebree, di
ritorno dalle preghiere al Muro del Pianto. Per questo indossava abiti tipici
degli ebrei ortodossi, per confondersi tra loro, carnefice e vittima del suo
insano gesto. Membro di Hamas, ma a rivendicare l’attentato suicida è stata la
Jihad islamica con un comunicato diffuso dall’emittente tv “Al Manara” dei
guerriglieri Hezbollah in Libano. La Jihad aveva infatti promesso di vendicare
l’uccisione alcuni giorni fa ad Hebron di un suo militante.
Immediate le reazioni sul fronte politico. Il governo
israeliano ha congelato tutti i colloqui politici e sulla sicurezza con
l’Autorità nazionale palestinese (anp) ed ha sospeso sine die il ritiro
dalle città cisgiordane di Gerico e Kalkiliya, previsto in settimana, mentre
dalla scorsa notte sono chiusi i valichi di transito fra Israele ed i Territori
e si aspettano le decisioni del Consiglio di Difesa, riunito oggi a Tel Aviv.
Da parte palestinese è giunta invece la condanna del premier Abu Mazen, che ha
fatto sapere di avere interrotto qualsiasi contatto con i leader di Hamas e
della Jihad islamica. Proprio ieri sera Abu Mazen si era incontrato con esponenti
dei gruppi militanti islamici per convincerli a proseguire la tregua. Ma il
portavoce del governo israeliano, Pazner lo ha accusato invece di non fare
nulla: “non ha disarmato e smantellato le organizzazioni terroristiche”, ha
detto.
Sul
piano internazionale da registrare la condanna degli Stati Uniti, “nei termini
più forti possibili” ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, mentre il
ministro degli Esteri egiziano Maher ha sollecitato “la prosecuzione di sforzi
seri per l’applicazione della ‘road map’”, l’itinerario di pace – lo
ricordiamo – che prevede la realizzazione di uno Stato palestinese entro il 2005.
Su questa linea di impegno anche l’Unione Europea. Stamane una troika dell’Ue,
guidata dall’ambasciatore italiano Giulio Terzi, ha fatto visita al luogo dove
si è consumata - ha detto il diplomatico - un “offesa per l’umanità”.”Oggi
tutto viene rimesso in discussione… – ha aggiunto - ma questo non può che
accrescere la determinazione di tutti e dell’Unione europea… per rilanciare il
processo di pace…perché questa deve essere la sconfitta dei terroristi”. Ferma
condanna anche della Russia per “un crimine” - ha detto il viceministro degli
Esteri, Fedotov - diretto anche “a colpire il processo di pace in Medio Oriente”,
“ma non bisogna cedere al gioco dei
terroristi”.
Ma
cerchiamo di capire se ci sono possibilità di risanare una ferita tanto profonda,
tra due popoli martoriati incapaci da oltre mezzo secolo di coesistere in
quella Terra, che amano entrambi. Ascoltiamo l’opinione del collega Guido Olimpio
del “Corriere della Sera”, al microfono di Andrea Sarubbi:
**********
R. –
Certamente, è un colpo piuttosto severo perché già “Al-Hudna”, la tregua provvisoria,
era in difficoltà, era a rischio; l’attentato, con tutti questi morti, e anche
la modalità dell’attacco, spietato, rischia di affondarla definitivamente.
Quindi questo il primo elemento. Il secondo elemento: non c’è dubbio che ci
possano essere dei contraccolpi nei rapporti inter-palestinesi.
D. – A proposito di rapporti inter-palestinesi: Abu Mazen
ha promesso il pugno duro contro gli estremisti. Finora, però, non c’è
riuscito?
R. – Abu Mazen ha una parte di responsabilità: purtroppo,
bisogna dirlo. Gli americani da un mese, se non di più, avevano insistito in
maniera decisa, netta sulla necessità di fare passi concreti contro gli
estremisti. Abu Mazen non ha potuto farlo: non ha la forza, non è in grado –
per il momento – di intervenire. A questo punto, se non agisce in qualche modo,
se oltre agli arresti non chiude le strutture sociali – per esempio – di Hamas,
è evidente che la sua immagine sarà fortemente compromessa ed è chiaro che
l’esperimento del suo governo potrebbe avere i giorni contati se non le ore
contate.
D. – Secondo te, l’attentato di ieri sera mette la parola
‘fine’ sulla ‘road-map’?
R. – Non c’è dubbio che la ‘road-map’ rischia di
interrompersi in maniera brutale, brusca. Abu Mazen, e soprattutto Dahlan, che
è responsabile della sicurezza, dovranno fare il possibile per dimostrare di
avere un minimo di controllo. Israele dovrebbe astenersi da qualsiasi tipo di
azione militare, azioni che negli ultimi tempi hanno rimesso in movimento tutti
i gruppi islamici; quindi, astenersi da azioni militari per vedere se veramente
Abu Mazen è capace di fare qualcosa. Senza atti concreti, è chiaro che la ‘road-map’
si può considerare fallita.
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Sgomento per l’accaduto anche nella comunità cristiana,
dove si tocca con mano la fragilità della parola ‘tregua’ in un contesto di
radicata conflittualità, di odi e rancori, per tanti lutti da una parte e
dall’altra, come spiega padre Giovanni Battistelli, Custode di Terra Santa,
raggiunto telefonicamente a Gerusalemme da Andrea Sarubbi:
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R. – Sto provando un disagio enorme. Oggi abbiamo avuto
anche una riunione con i capi delle Chiese per capire la situazione che stiamo
vivendo. E’ un periodo di tregua però è solo la parola ‘tregua’, perché
vendette contro vendette, situazioni difficili, il muro che si sta costruendo …
Io mi auguro che noi qui saremo sempre in grado di trasmettere serenità al
mondo che ci circonda, però vedo che le difficoltà sono enormi e sono troppi i
rancori, i desideri di vendetta ancora presenti nelle persone e nei gruppi.
D. – Un aspetto positivo della vicenda, se si può definire
così, è che comunque il premier palestinese Abu Mazen ha preso le distanze dai
gruppi estremisti e li ha condannati molto duramente …
R. – Certamente li condanna. Ha detto che ha interrotto i
colloqui. Ma che soluzioni ci saranno se i colloqui non continueranno? Che
siano colloqui-dialogo non solo di parole ma anche di fatti, perché qui di
parole ne sentiamo tante sia da una parte che dall’altra, ma restano parole.
D. – L’attentato di ieri sera a Gerusalemme è stato
compiuto poche ore dopo quello contro la sede dell’Onu a Baghdad. Non manca chi
vede un collegamento tra due tipi diversi di terrorismo …
R. – Questo pericolo di un collegamento, del quale i
grandi, Bush e gli altri, parlano ci potrebbe anche essere. Però, penso che qui
sono più reazioni che riguardano episodi determinati di vendette contro
vendette.
D. – Quindi, secondo lei, è fuorviante considerare il
terrorismo palestinese un ‘parente stretto’ del terrorismo islamico in
generale?
R. – Non dico che sia fuorviante. Certamente ci saranno
dei legami, ci saranno degli aiuti, però sono due punti, secondo me, che non sono
strettamente collegati. Certo, c’è un terrorismo universale e questo deve
essere condannato assolutamente, ma occorre togliere anche le cause che
procurano questo terrorismo ed abbiamo bisogno davvero di persone di buona
volontà che cerchino la pace nella giustizia.
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20
agosto 2003
UN DIALOGO AUTENTICO TRA
CRISTIANI E MUSULMANI DEL CONTINENTE ASIATICO, PER LA PACE E LO SVILUPPO. L’OBIETTIVO DELL’INCONTRO CHE SI CONCLUDE OGGI NELLE FILIPPINE, TRA STUDIOSI, CAPI RELIGIOSI E LAICI CRISTIANI
E MUSULMANI DI 13 PAESI ASIATICI. INTERVENUTO
ANCHE L’ARCIVESCOVO FITZGERALD
DEL DICASTERO VATICANO PER IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO
PASAY
CITY. = Si conclude oggi l’incontro di studiosi, capi religiosi e laici
musulmani e cristiani (cattolici e protestanti), apertosi lunedì scorso a Pasay
City, nelle Filippine. L’arcivescovo cattolico di Davao, Fernando Capalla, ha
dichiarato all’agenzia Uca che l’iniziativa è stata decisa dopo l’attentato di
Bali che nell’ottobre scorso aveva provocato la morte di 200 persone. “Possiamo
contribuire a prevenire l’estremismo religioso sia da parte islamica che da
parte cristiana”. Il titolo dell’incontro ben ne esprime l’obiettivo: “Alla
ricerca della pace e dello sviluppo attraverso un autentico dialogo di vita,
tra cristiani e musulmani dell’Asia”. Il principale obiettivo della conferenza
è stato creare una rete permanente tra i leader cristiani e musulmani
nell’intero continente asiatico, favorire la conoscenza reciproca e l’impegno a favore della pace specie nelle
aree dove i conflitti armati colpiscono le comunità cristiane e musulmane. Nel
corso della Conferenza ha avuto luogo un ricco scambio di esperienze ed sono
stati avviati progetti di pace in particolare in questa area che ha registrato
non pochi conflitti religiosi. Vi è intervenuto anche il presidente del
Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, l’arcivescovo Michael Louis
Fitzgerald, che ha parlato su “Cristianesimo, religione di pace”. (C.C.)
ENTRO 72 ORE IN COLOMBIA VERRA’
RIAVVIATO IL PROGRAMMA DI INTERCETTAZIONE
DEI VOLI USATI PER IL TRASPORTO DI STUPEFACENTI.
I MILITARI COLOMBIANI AVRANNO IL SUPPORTO AMERICANO. LO HA
ANNUNCIATO
IL SEGRETARIO ALLA DIFESA STATUNITENSE
DONALD RUMSFELD
BOGOTA’. = Verrà
fermato ogni aereo considerato sospetto di trasportare stupefacenti. Nel caso i
cui il pilota si rifiuti di atterrare i militari colombiani saranno autorizzati
ad abbatterlo. Questo programma di intercettazione dei voli era stato sospeso
nel 2001 dopo un grave incidente avvenuto nei cieli sovrastanti la foresta di
Pebas, nel Perù nordorientale, in cui rimasero uccisi una missionaria laica
statunitense e sua figlia. La versione ufficiale fu che l’aereo, con a bordo
cinque esponenti dell’Associazione dei Battisti per la predicazione del Vangelo
nel mondo - gruppo religioso della Pennsylvania - era stato colpito per errore
dall’aviazione peruviana. Gli Usa – come informa la Misna - scaricarono ogni responsabilità sulle
autorità di Lima, sostenendo inoltre che un velivolo della Cia, impegnato nella
cooperazione alla sorveglianza anti droga, aveva ripetutamente ordinato che
venisse identificata con certezza la provenienza del piccolo velivolo prima di
aprire il fuoco. La Casa Bianca ha ora dato il suo assenso per riavviare il
programma su raccomandazione del segretario di Stato Colin Powell. La decisione
è stata annunciata ieri, durante la
breve visita a Bogotá del segretario alla difesa Donald Rumsfeld. “Cominceremo
il prima possibile, prima di 72 ore” ha confermato il ministro della difesa
colombiano Martha Lucía Ramírez. I militari colombiani torneranno quindi a
contare sul supporto americano. (C.C.)
IN SOLI 5 MESI DA GENNAIO A MAGGIO,
UCCISI IN COLOMBIA 106 INDIGENI: BAMBINI, ADULTI, ANZIANI. LO DENUNCIA
L’UFFICIO COLOMBIANO DELL’ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I DIRITTI
UMANI. MENTRE CONTINUANO AD ESSERE
VIOLATI I DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI DELLE 84 ETNIE PRESENTI NEL
PAESE
BOGOTA’. = Sono 106 gli indigeni
massacrati in Colombia in appena cinque mesi – da gennaio a maggio: sono
bambini, adulti e anziani, dei popoli Awa, Embera Chamí, Embera Katió, Muruy,
Tucano o Wiwa – solo per citare alcune delle 84 etnie che ancora si contano nel
Paese sudamericano - vittime di esecuzioni, massacri indiscriminati, sparizioni
forzate, violenze e abusi di ogni genere. E’ quanto denuncia l’ufficio
colombiano dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani: ha
stilato un bollettino di gran lunga superiore a quello fornito dall’esercito
regolare lo scorso anno, fermo a 73 vittime accertate. Il mancato
riconoscimento dei loro diritti economici, sociali e culturali si combina
fatalmente con continue violazioni del loro diritto alla sopravvivenza da parte
di tutti i protagonisti del conflitto interno - guerriglia, paramilitari,
regolari - nessuno escluso.
BURKINA FASO, NEL QUADRO DELLA PROMOZIONE
DELL’ARTIGIANATO LOCALE,
INIZIATO IERI UN SEMINARIO DI FORMAZIONE PER
RENDERE COMPETITIVA
QUESTA
ATTIVITA’ LAVORATIVA E DARE IMPULSO ALL’ECONOMIA DISASTRATA
OUAGADOUGOU. = Ha avuto inizio
ieri un seminario di formazione per la promozione dell’artigianato locale nella
città di Ouagadougou, in Burkina Faso. L’iniziativa è stata organizzata dalla federazione degli artigiani del Paese
africano (Fenabf), in collaborazione con l’Ufficio internazionale del lavoro
(Bit), la Confederazione africana degli artigiani dell’Africa dell’ovest
(Caao), con l’appoggio dell’Unione economica e monetaria africana dell’ovest
(Uemoa). Per rilanciare il settore e dare ossigeno all’economia disastrata del
Paese - come sostengono i promotori dell’iniziativa - appare indispensabile una
rinnovata formazione professionale. "Gli artigiani del Burkina Faso - ha
detto il presidente del Caao, Yacouba Coulibaly - dovranno far fronte alla
mondializzazione dell’economia, il che implica non solo una preparazione
tecnica adeguata, ma anche una perfetta conoscenza delle norme che regolano il
settore". Ciò permetterà agli artigiani di comprendere al meglio le
strategie e gli obiettivi delle varie federazioni, mettendoli nella situazione
di poter dare nuova linfa alla loro professione. (C.C.)
ANNULLATA IN NIGERIA LA CONDANNA A
MORTE PER LAPIDAZIONE,
PREVISTA DALLA LEGGE ISLAMICA, NEI CONFRONTI DI UN UOMO COLPEVOLE
DI AVER USATO VIOLENZA CONTRO UNA BAMBINA DI 9 ANNI. E’ STATO
PREDISPOSTO
IL RICOVERO DELL’IMPUTATO IN UN ISTITUTO PSICHIATRICO
A CAUSA DELLA SUA INFERMITA’ MENTALE
DUTSE. = Il
tribunale islamico nigeriano responsabile del processo di appello contro Mallam
Ado Baranda, riconosciuto colpevole di aver usato violenza contro una bambina
di 9 anni, ha annullato la condanna a morte per lapidazione emessa nei suoi
confronti nei mesi scorsi. La Corte islamica della città di Dutse, nel nord
della Nigeria – come informa la Misna - ha accolto il ricorso presentato della
difesa, che ha invocato l’infermità mentale per il proprio assistito,
predisponendone il ricovero in un istituto psichiatrico. Da quando, nel 1999,
la sharìa (legge islamica) è stata introdotta in 12 Stati del nord della
Nigeria nessuna condanna a morte è mai stata eseguita. Ricordiamo i casi che
hanno suscitato l’indignazione internazionale, riguardanti due donne, Safiya
Husseini Tungar Tudu, la cui pena è stata cancellata in appello, e Amina Lawal,
in attesa di presentare il secondo ricorso. (C.C.)
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20
agosto 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
L’accordo di pace, firmato lunedì scorso ad Accra, in
Ghana, tra il governo liberiano e i due gruppi ribelli del Lurd (Liberiani
Uniti per la riconciliazione e la democrazia) e del Model (Movimento per la
democrazia in Liberia), dovrebbe finalmente assicurare alla Liberia un futuro
di stabilità dopo una guerra civile durata oltre 14 anni, interrotti raramente
da brevi tregue. Tra i punti principali dell’intesa, che sancisce la fine del
sanguinoso conflitto, sono anche previsti il rilascio di tutti i prigionieri,
politici e di guerra, ed il dispiegamento di una forza di interposizione che
avrà il compito di far rispettare il cessate-il-fuoco, creare corridoi
umanitari per la distribuzione degli aiuti alla popolazione e stabilire le
modalità di disarmo. Sul fronte politico, l’accordo prevede che l’esecutivo di
transizione prenderà il potere il prossimo 14 ottobre 2003, data della scadenza
del mandato del neo-presidente Moses Blah, e rimarrà in carica fino al 2006,
quando si insedierà un governo democraticamente eletto. E’ anche da rimarcare
che gli uomini del Lurd e del Model potranno entrare in politica una volta che
i due gruppi saranno riconvertiti in partiti politici. I diritti
civili e politici contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo dovranno, inoltre, essere pienamente rispettati e le parti hanno
concordato sulla necessità di stabilire una commissione nazionale indipendente
dei diritti umani. Per
sostenere il processo di pace nel Paese africano, dove è sempre più drammatica
la situazione umanitaria, la Commissione europea ha intanto proposto al
Consiglio dell’Ue di stanziare 50 milioni di euro. La cifra verrebbe attinta
dal Fondo europeo per lo sviluppo, in attesa dell’intervento delle Nazioni
Unite.
Anche in Somalia lo scenario
politico è dominato dagli sforzi per la realizzazione di un autentico processo
di pace. Dopo un’interruzione di cinque giorni, la Conferenza nazionale per la
riconciliazione del Paese africano ha infatti ripreso i propri lavori a
Mbaghati, sobborgo della capitale kenyana Nairobi. Lo riferisce l’agenzia di
informazione dell’Onu, ‘Irinnews’, citando un rappresentante del comitato
tecnico dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), l’organizzazione
dell’Africa orientale che guida la mediazione. Alla fine di luglio il
presidente del governo di transizione somalo, Abdulkassim Salat Hassan, aveva
abbandonato i colloqui di pace, ai quali non hanno partecipato anche alcuni
leader dell’Alleanza della valle di Juba (Jva), una delle fazioni che da oltre
un decennio si contendono, con le armi, il controllo della capitale somala.
Nelle scorse settimane il rappresentante per la Somalia del segretario generale
delle Nazioni Unite, Winston Tubman, aveva fatto sapere che i negoziati
sarebbero comunque continuati nonostante la loro assenza. Dal 1991, dopo la
caduta del regime di Siad Barre, la Somalia è priva di un governo
internazionalmente riconosciuto ed il Paese continua ad essere martoriato da
sanguinosi scontri tra bande armate rivali.
In Afghanistan, alla drammatica sequela di violenze che,
la scorsa settimana, ha causato la morte di oltre 60 persone, si sono purtroppo
aggiunti altri sanguinosi combattimenti. Anche ieri, la Giornata dell’
indipendenza, si sono verificati nuovi attacchi da parte dei talebani. Sulla
situazione del Paese asiatico, ci riferisce Maurizio Pascucci:
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Soltanto nella giornata di ieri 11
persone sono state uccise da elementi ritenuti fedeli ai talebani. Domenica un
colpo di mortaio esploso contro l’abitazione di un soldato ha ucciso 2 persone
e lunedì un’indagine è finita con un agguato in cui sono rimasti uccisi 9
agenti afghani nella provincia di Laghar, a soli 100 chilometri dalla capitale
Kabul. E ancora domenica scambi tra militari e presunte milizie talebane
sarebbero costati la vita a 15 ribelli e 10 militari afghani nei pressi del
confine sud-orientale con il Pakistan. Si tratta solo di alcuni esempi di una
lunga serie di incidenti in Afghanistan contro obiettivi che rappresentano le
autorità locali, militari e operatori umanitari. I responsabili sarebbero
gruppi diversi legati al passato regime dei talebani, ad Al Qaeda, al leader
islamico ribelle Hekmatyiar ed a fazioni in lotta tra loro. L’acuirsi della violenza
giunge contemporaneamente al passaggio delle forze di pace sotto il controllo
della Nato.
Maurizio Pascucci per la Radio
Vaticana.
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In Venezuela il presidente, Hugo Chavez, festeggia la
trascorsa metà del suo mandato, rinnovando le promesse elettorali e procedendo
sul cammino delle riforme. L’opposizione, invece, torna a far sentire la sua
voce, chiedendo un referendum per le dimissioni del capo di Stato. Ce ne parla
Maurizio Salvi:
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Il raggiungimento della data a
partire dalla quale può essere organizzato in Venezuela un referendum
revocatorio dell’incarico del presidente Chavez è stato festeggiato la notte
scorsa dall’opposizione con un lancio di fuochi di artificio a Caracas e in
numerose altre località del Paese. Il coordinamento democratico, faticosamente
ricompostosi dopo il fallimento dello sciopero generale del dicembre scorso, ha
annunciato che per celebrare la fine dei 3 anni di presidenza di Chavez si
svolgeranno oggi 6 marce nella capitale che accompagneranno la consegna delle
firme necessarie per la consultazione popolare. Chavez ha festeggiato il suo
terzo anno di governo a Buenos Aires dove ieri ha incontrato il presidente
argentino Nestor Kirchner insieme al quale ha criticato il modello neo liberale
e gli schemi finora adottati per risolvere il problema del debito estero.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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Si è finalmente conclusa la drammatica esperienza di 14
turisti europei rapiti nei mesi scorsi da un gruppo integralista islamico nel
deserto algerino. L’aereo che trasportava nove tedeschi, quattro svizzeri e un
olandese è atterrato questa mattina all’aeroporto militare di Colonia, in
Germania, proveniente da Bamako, capitale del Paese centrafricano del Mali. I
turisti erano da oltre cinque mesi nelle mani dei rapitori.
Un gommone con 35 clandestini a bordo è stato recuperato,
questa mattina, dalle motovedette della guardia costiera italiana, ad una
trentina di miglia a Sud di Lampedusa. Fra gli immigrati, che dicono di
provenire dall’Africa orientale, vi sono 8 donne e due bambini.
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