RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 231 - Testo della Trasmissione di martedì 19 agosto 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

L’instancabile impegno di Giovanni Paolo II e l’azione della diplomazia vaticana in favore della pace. Sono i temi di un nuovo libro di Marco Tosatti e Franca Giansoldati, dal titolo: “Apocalisse. La profezia di Papa Wojtyla”. Intervista con gli autori.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Un’importante missione pastorale per cristiani di lingua ebraica. Con noi, mons. Jean Baptiste Gourion,  nuovo vescovo ausiliare del patriarcato latino di Gerusalemme.

 

L’emergenza profughi, una sfida urgente per la Liberia sulla strada della pace. Ai nostri microfoni, Laura Boldrini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Riunito a Baghdad il Sinodo della Chiesa caldea, per eleggere il successore del compianto patriarca Raphael Bidawid, scomparso il 7 luglio scorso.

 

La libertà del cristiano nell’età della globalizzazione, tema cruciale su cui discuterà da venerdì ad Assisi il Movimento ecclesiale di impegno culturale.

 

L’applicazione del cessate-il-fuoco in Burundi al centro dei colloqui, previsti per oggi, tra il presidente del Paese africano ed il leader dei ribelli.

 

Per celebrare i 25 anni di pontificato di Giovanni Paolo II saranno letti domani, ad Edimburgo, alcuni testi del Papa.

 

Critiche da tutto il mondo per la decisione, da parte dell’Islanda, di riaprire la caccia alle balene.

 

24 ORE NEL MONDO:

In Iraq si stringe il cerchio intorno ai fedelissimi dell’ex regime: finito nelle mani degli americani l’ex vice presidente Ramadan.

 

Israele è pronto a cedere ai palestinesi il controllo delle città di Jerico e Kalkiliya.

 

La Liberia pronta a voltare pagina: governo e ribelli firmano un accordo di pace globale.  

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 agosto 2003

 

 

L’INSTANCABILE ATTIVITA’ DI GIOVANNI PAOLO II IN FAVORE DELLA PACE E L’IMPEGNO DELLA DIPLOMAZIA VATICANA.

SONO I TEMI DEL NUOVO LIBRO DI MARCO TOSATTI E FRANCA GIANSOLDATI,

INTITOLATO “APOCALISSE. LA PROFEZIA DI PAPA WOJTYLA”

- Intervista con gli autori -

 

Un libro per ripercorrere le tappe fondamentali dell’intensa attività diplomatica della Santa Sede e l’impegno del Santo Padre contro lo scoppio della guerra in Iraq. Si tratta di “Apocalisse. La profezia di Papa Wojtyla”, scritto da Marco Tosatti e Franca Giansoldati e pubblicato da Edizioni Piemme. Ma come nasce l’idea di questa indagine giornalistica? Maria Di Maggio lo ha chiesto a Franca Giansoldati, coautrice del libro.

 

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R. – Questo libro nasce sostanzialmente da una domanda che ci siamo fatti vedendo l’attività che si è svolta in Vaticano e anche nelle varie nunziature sparse per il mondo, per contrastare la guerra in Iraq e alla fine noi abbiamo concluso che questa guerra qui, anche per il Papa, altro non è che la continuazione della prima guerra irachena del ’91. Già allora il Papa vedeva all’orizzonte il fantasma di questo scontro tra civiltà ed in questi 12 anni lui ha operato per rafforzare il dialogo islamo-cristiano. Abbiamo anche visto che nel 2001 è stato il primo Papa a mettere piede in una Moschea e subito dopo i fatti dell’11 di settembre ha convocato ad Assisi questo grosso evento storico per dire ‘no’ al terrorismo religioso, quindi lui ha sempre avuto davanti a sé questa visione e quindi questa guerra e l’azione che è stata svolta per contrastare questa guerra rappresenta proprio il percorso che ha seguito in questo tempo”.

 

A Marco Tosatti, coautore del libro abbiamo chiesto come è nata la scelta del titolo “Apocalisse, la profezia di Papa Wojtyla”.

 

R. – E’ per una doppia lettura. Apocalisse in greco significa rivelazione ed in questo libro noi abbiamo cercato di rivelare tutta una serie di cose che ovviamente all’informazione corrente quotidiana erano passate in secondo piano, cioè il grande sforzo che la diplomazia vaticana, la diplomazia della Santa Sede, ha compiuto per sventare la possibile guerra in Iraq. E Apocalisse anche perché nelle parole del Papa, da vari anni, si intravede una grande preoccupazione per il futuro dell’umanità. Una preoccupazione di carattere generale e agli occhi della gente, nel sentire comune, questo tipo di cosa ha un nome che è Apocalisse in realtà, che è un nome poi che può avere molte forme e assumere molte sostanze, ma che, diciamo così, è un termine che immediatamente viene percepito come tale, cioè la paura per quello che è il futuro del mondo.

 

D. – Dell’attività del Santo Padre nel periodo della guerra in Iraq, che cosa l’ha colpita di più?

 

R. – Mi ha colpito la partecipazione, il dolore con cui lui ha seguito tutto questo svolgersi, come se veramente ogni persona che perdeva la vita in Iraq, fosse una persona che gli era vicina. Credo che lui senta questo in maniera molto profonda e poi questa sua preoccupazione per il futuro del mondo, per le sorti dell’umanità, che è in realtà la domanda di questo libro a cui noi abbiamo accennato delle possibili risposte, ma forse l’unica vera grande risposta la può dare proprio il Papa.

 

D. – Qual è l’intento di questo libro?

 

R. – Di far riflettere come tutte le conseguenze negative che la Santa Sede prevedeva da questa guerra in Iraq si stanno realizzando. Credo che veramente la riflessione sul ruolo degli Stati, sul ruolo dell’Onu, sia l’eredità maggiore che questa guerra lascia ed è anche, devo dire, la vittoria maggiore della Santa Sede in questo campo.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

La  Prima Pagina  è aperta dalla notizia che in Liberia è stato raggiunto l’accordo per un governo di transizione; cinquanta marines americani sbarcano a Monrovia. Iraq: arrestato l’ex vicepresidente del regime di Saddam Hussein Taha Yasin Ramadam; i soldati britannici trovano una neonata irachena in una cassa di munizioni; statunitensi sotto accusa dopo l’uccisione di un cameraman; quattordicenne ucciso dai militari americani mentre un soldato muore per l’esplosione di una mina a Baghdad. Uganda: ancora un massacro di civili perpetrato dai ribelli del Nord. Sudan: incertezza sui negoziati; l’opposizione minaccia l’apertura di nuovi fronti.

 

Nelle pagine vaticane, una pagina sugli aspetti antropologici e umani della clonazione umana.

 

Nelle pagine estere, sul fronte del terrorismo, quattro condanne a morte in Marocco per l’attentato del 16 marzo a Casablanca; l’Arabia Saudita consegna allo Yemen i sospetti responsabili dell’attentato alla petroliera francese Linburg. Medio Oriente: completati 120 chilometri del “muro” che divide Israele dalla Cisgiordania. Iran: il governo rassicura Mosca sulla natura civile degli impianti nucleari. Kosovo: l’uccisione di un serbo accresce le tensioni. Libia: dopo l’ammissione delle responsabilità per la strage di Lockerbie, Londra presenta una risoluzione per la revoca delle sanzioni, mentre Parigi minaccia di porre un veto. Sahara: confermata la liberazione degli ostaggi europei. Argentina: firmato l’accordo per le forniture petrolifere dal Venezuela.

 

Nella pagina culturale, un “Oggi” dedicato alla neonata irachena trovata dai soldati britannici in una cassa di proiettili. Per il consueto elzeviro di Luigi M. Personè, un articolo sul gusto della battuta.

 

Nelle pagine italiane, i temi dell’economia, della crisi nel mondo del calcio e degli incendi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 agosto 2003

 

 

UNA MISSIONE PASTORALE PER CRISTIANI DI LINGUA EBRAICA

- Intervista con mons. Jean Baptiste Gourion -

 

Vivo interesse ha suscitato nel mondo religioso e nell’opinione pubblica la notizia dello scorso 14 agosto, quando Giovanni Paolo II ha nominato vescovo ausiliare del patriarca latino di Gerusalemme il padre Jean Baptiste Gourion, della Congregazione Benedettina Olivetana, abate del Monastero “Santa Maria della Risurrezione” ad Abu Gosh, un pacifico villaggio israeliano dove vive una comunità cristiana di lingua ebraica. Con la stessa nomina papale, il padre Gourion viene appunto incaricato della cura pastorale dei fedeli cattolici di espressione ebraica esistenti nel territorio del patriarcato latino di Gerusalemme. Nato nel 1934 a Oran, in Algeria, e battezzato all’età di 23 anni, la notte di Pasqua del 1958, padre Gourion entrò poi nell’Abbazia di Bec, in Francia, finché nel 1976 fu mandato con due confratelli ad Abu Gosh, in Israele, per dare vita ad una nuova fondazione monastica, della quale divenne quindi superiore ed abate. Nel 1990, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, lo ha nominato vicario episcopale e presidente dell’Opera di San Giacomo di Gerusalemme, per la cura pastorale della comunità cristiana di lingua ebraica. Il nuovo presule tiene a sottolineare che il suo compito è di carattere pastorale e che dovrà occuparsi proprio della modesta comunità cristiana di espressione ebraica, come spiega al microfono di Romilda Ferrauto, della nostra redazione francese.

 

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R. – NOTRE COMMUNAUTE EST UNE COMMUNAUTE MODESTE, QUI EST NEE...

La nostra è una comunità piccola, nata – in definitiva – dalla creazione dello Stato d’Israele, quando quei cristiani che non erano di formazione e di cultura araba si sono ritrovati in Israele. C’erano, per esempio, matrimoni misti, persone che si erano convertite al cristianesimo, persone che lavoravano in ambiente israeliano.

 

D. – Perché Giovanni Paolo II ha ritenuto necessario nominare un ausiliare per una comunità molto piccola, da un punto di vista numerico? Significa forse che la situazione di tale comunità è delicata e che quindi c’è da svolgere un lavoro pastorale impegnativo?

 

R. – IL Y A UN TRAVAIL PASTORAL IMPORTANT ET IL Y A AUSSI LE SENS...

C’è un lavoro pastorale importante da svolgere e poi c’è anche il significato stesso di questa comunità. Esiste una necessità di ‘visibilità’, di esistere, di avere una struttura ecclesiale.

 

D. – Come è stata accolta la sua nomina dai fedeli arabi che – a quanto si dice – non vedono di buon occhio i cristiani di espressione ebraica che sospettano forse di parteggiare per Israele?

 

R. – IL N’Y A AUCUNE MEFIANCE ENTRE LA COMMUNAUTE ARABE ET...

Non c’è nessun sospetto tra la comunità araba e quella ebraica. Nessuno. E’ una creazione artificiale. E’ chiaro che la stampa ha fatto un gran parlare, ha messo insieme fatti che in realtà non hanno alcun legame tra di loro, e così facendo mi hanno messo in contrapposizione al patriarca, facendo così una lettura politica di questa nomina.

 

D. – Come lei ben saprà, la sua nomina ha sollevato speculazioni e commenti; alcuni vedono nella sua nomina la preoccupazione della Santa Sede di ristabilire un certo equilibrio in considerazione del fatto che il patriarca è palestinese.

 

R. – L’ARTICLE DE HENRI TINCQ SUR ‘LE MONDE’ EST ABSURDE, VOYEZ, PARCE QUE...

L’articolo di Henri Tincq apparso su ‘Le Monde’ è assurdo, perché così tutto viene ridotto a livello politico. Si tratta invece di un atto pastorale del Santo Padre. Alcuni potrebbero preoccuparsi, si è parlato molto di una ‘divisione’ della Chiesa. E’ evidente che la cultura araba e quella ebraica sono due mondi diversi, ma questo è tutto!

 

D. – Eppure, padre Gourion, è legittimo pensare che la sua nomina possa servire anche ad ottenere un miglioramento nel dialogo giudeo-cristiano. Sappiamo che Giovanni Paolo II ha compiuto gesti molto importanti in questo campo ...

 

R. – OUI, OUI, ET EN ISRAEL EN PARTICULIER; IL A POSE DES ACTES...

Certamente, e soprattutto in Israele. Ha fatto cose eccezionali, che solo lui avrebbe potuto fare. Se così vogliamo dire, la necessità che il Papa ha percepito e che egli incarna è quella di favorire la riconciliazione tra la Chiesa ed il mondo ebraico all’insegna della volontà di reciproca comprensione per raggiungere relazioni normali tra la Chiesa, che nasce dal popolo ebraico, ed il popolo ebraico stesso, al di là delle tensioni che esistono, perché – in un certo senso – Gesù ci divide: come diceva un padre qui, “Colui che ci unisce, ci separa anche dal mondo ebraico”. Ma gli ebrei rivestono per la Chiesa un’importanza grandissima.

 

D. – Comunque, la sua nomina avrà probabilmente dei riflessi politici...

 

R. – MAIS C’EST POSSIBLE, BIEN SUR, PACE QUE...

E’ certamente possibile, perché qui tutto è visto in questa ottica ed è pervaso dalle tensioni politiche; viviamo un periodo molto difficile della nostra storia. Il nostro atteggiamento, però, è quello di non porci sul piano politico, ma di superarlo per testimoniare ciò che è alla base di tutto, la realtà delle cose, la realtà spirituale e mistica: questa è comunque la terra della Rivelazione, dell’Incarnazione. Anche quello che sta accadendo qui, sia pure con tutte le contraddizioni e le sofferenze, ha anche una dimensione mistica, spirituale, teologale... Credo che il Santo Padre l’abbia compreso appieno, e da molto tempo, e questo lo ha indotto a prendere una decisione che gli è molto cara.

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EMERGENZA PROFUGHI IN LIBERIA: UNA SFIDA URGENTE

 PER IL PAESE AFRICANO SULLA STRADA VERSO LA PACE

- Con noi, Laura Boldrini -

 

Guardare con speranza al futuro, iniziando a ricostruire il tessuto di una società lacerata dalla violenza. Con l’accordo di pace, firmato ieri ad Accra, la Liberia prosegue il cammino sulla via della pacificazione, dopo la partenza dell’ex presidente Taylor. Un percorso accidentato, ma indispensabile per tracciare una prospettiva di stabilità nel martoriato Paese dell’Africa occidentale. Tra le prime emergenze da affrontare verso la normalizzazione in Liberia, quella degli sfollati interni e dei rifugiati della vicina Sierra Leone. Alessandro Gisotti ne ha parlato con Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati:

 

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R. – Gli sviluppi degli ultimi giorni lasciano ben sperare. L’Alto Commissariato ha potuto far arrivare al porto di Monrovia, il giorno di “Ferragosto”, una nave con a bordo aiuti di prima necessità: cibo, coperte, materassi, ma anche carburante, acqua ed altri materiali, per circa 7 mila persone.

 

D. – Qual è la condizione dei migliaia di sfollati interni, vittime della guerra civile in Liberia?

 

R. – La Liberia è un piccolo Paese di circa 2 milioni e 700 mila persone. Purtroppo, ci sono stime per cui metà della popolazione è stata costretta o comunque è a rischio di sfollamento. Un enorme numero di persone è stato costretto negli anni ad abbandonare le proprie case. Noi, come Alto Commissariato, ci auguriamo di poter avere le risorse economiche per assistere una parte di questi sfollati interni che, sicuramente, vertono in condizioni gravissime e che, a questo punto, hanno bisogno di ogni tipo di assistenza.

 

D. – In Liberia si trovano migliaia di rifugiati sierraleonesi. Quali sono gli interventi programmati dall’Alto Commissariato per far fronte a questa emergenza nell’emergenza?

 

R. – Questa è veramente un’emergenza nell’emergenza. Il 4 luglio scorso, l’Alto Commissariato aveva iniziato ad evacuare questi rifugiati della Sierra Leone, presenti da anni in Liberia, attraverso uno spostamento via mare. Nelle ultime settimane, a causa dell’aumento dei combattimenti e dell’impossibilità di attraccare al porto di Monrovia, questo programma era stato interrotto. E’ stato ripreso invece venerdì scorso, quando la nave è arrivata con a bordo aiuti per 7 mila persone. Ad oggi posso dire che sono state rimpatriate 1500 persone. Questi viaggi continueranno e potranno portare ogni volta tra le 200 e le 300 persone. Abbiamo una lunga lista d’attesa di sierraleonesi che vogliono ritornare a casa, anche perché nelle ultime settimane hanno subito soprusi, attacchi e violenze da parte delle fazioni in lotta.

 

D. – I vostri operatori sono riusciti a visitare tre campi profughi, vicino alla capitale Monrovia. In che condizioni si trovano i sierraleonesi radunati in queste aree?

 

R. – Dopo settimane che avevamo perso i contatti, ieri, per la prima volta, siamo riusciti a visitare questi campi profughi. Sono tre campi. La situazione è stata abbastanza sconcertante, perché di fatto sono vuoti. C’erano 15 mila sierraleonesi che vi abitavano da anni e abbiamo trovato 50 rifugiati in uno di questi campi, il campo di Samukai. Questi 50 rifugiati hanno parlato di situazioni veramente terrificanti che si sono susseguite negli ultimi giorni, nelle ultime settimane, tanto che tutta la popolazione è scappata. L’ultima incursione è stata di qualche giorno fa: miliziani e guerriglieri sono arrivati in questo campo, hanno saccheggiato tutto, hanno portato via purtroppo anche delle ragazze e alcuni giovani uomini e sono state divise parecchie famiglie. Noi ci auguriamo che la forza di pace possa quanto prima estendere la sua fascia di protezione anche a questi campi. Stiamo negoziando infatti con Ecomil, affinché possa essere fornita una qualche sorta di protezione anche a questi campi profughi.

 

D. – La Liberia è un Paese ferito in profondità da oltre 10 anni di guerra civile. Quali sono le priorità per ricostruire la Liberia e ridare speranza ad un popolo così provato?

 

R. – Prima di tutto bisognerà riuscire a far sì che questo processo di pace sia solido. Abbiamo visto in passato, altre volte, che la Liberia ha tentato di venir fuori dalla situazione di conflitto e, purtroppo, poi ci sono state altre recrudescenze. Quindi, l’importante è solidificare questo rapporto di speranza che ci deve essere nella popolazione; dare la possibilità ai militari che depongono le armi di avere un lavoro, di essere reinseriti nella società; fornire educazione ai giovani, perché poi questa è l’unica soluzione affinché ci sia un’alternativa alla guerra. Quindi, riconciliare una comunità divisa e che ha sofferto moltissimo e sicuramente fornire i finanziamenti necessari per questa transizione.

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CHIESA E SOCIETA’

19 agosto 2003

 

 

SI E’ APERTO OGGI, A BAGHDAD, IL SINODO DELLA CHIESA CALDEA

PER L’ELEZIONE DEL NUOVO PATRIARCA

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

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BAGHDAD. = E’ in corso da oggi, a Baghdad, il Sinodo della Chiesa caldea per l’elezione del nuovo patriarca. I 22 vescovi presenti dovranno infatti nominare il successore del patriarca Raphael Bidawid, deceduto lo scorso 7 luglio. Dopo anni di marginalità e assenza dalla vita sociale la comunità cattolica caldea, sotto la guida del nuovo patriarca, vuole contribuire al futuro dell’Iraq. Nel Paese arabo, dove l’islam è religione di stato perché il 90 per cento della popolazione è musulmana, la Costituzione riconosce libertà di culto. Ma negli ultimi decenni, sotto la dittatura di Saddam Hussein, su 250 deputati dell’Assemblea nazionale, pochissimi erano cristiani. Oggi, invece - riferiscono fonti missionarie - i cristiani possono recuperare un ruolo significativo nella vita sociale. Nel nuovo scenario politico che si sta delineando, inoltre, vi è preoccupazione fra i cristiani per la presenza di alcune correnti oltranziste sciite che premono per l’instaurazione di una teocrazia islamica. I cristiani, in Iraq, sono in tutto circa 800.000, pari a circa il 3 per cento della popolazione, suddivisi in cattolici e ortodossi. I cattolici caldei ne costituiscono la larga maggioranza, oltre il 70 per cento, con circa 500-600 mila fedeli. A Baghdad c’è la sede del patriarcato e la comunità caldea più numerosa, con oltre 350 mila fedeli. La Chiesa caldea si dedica soprattutto alla catechesi, all’educazione e all’assistenza di numerose famiglie povere, cristiane e musulmane. Nella liturgia caldea la lingua ufficiale è l’aramaico, ma poiché i fedeli parlano correntemente l’arabo, la celebrazione della Santa Messa è bilingue. Esistono comunità caldee della diaspora in America, Europa, Oceania. Nel 2000 è stata istituita a Roma la procura della Chiesa caldea presso la Santa Sede.

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IN VISTA DEL PROSSIMO VERTICE DEL WTO IN MESSICO, INTELLETTUALI

E TEOLOGI CATTOLICI DISCUTERANNO DAL 22 AL 25 AGOSTO, PRESSO LA DOMUS PACIS DI ASSISI,

SUL TEMA “LA LIBERTÀ DEL CRISTIANO NELL’ETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE”

 

ASSISI. = Si può essere veramente liberi in un mondo globalizzato oppure ci attendono nuove pericolose schiavitù? Su questi interrogativi è incentrato l’incontro teologico annuale, organizzato dal Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), in programma presso la Domus Pacis di Assisi dal 22 al 25 agosto. Lo sguardo del convegno, dedicato al tema “La libertà del cristiano nell’età della globalizzazione”, è rivolto alla conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), convocata a Cancun, in Messico, dal 10 al 14 settembre. Largo spazio sarà lasciato al dibattito e al confronto tra i partecipanti che giungeranno da tutta Italia. Sulla fatica e sul coraggio della libertà discuteranno l’assistente centrale dell’Università cattolica, mons. Gianni Ambrosio, l’assistente nazionale del Meic, mons. Ignazio Sanna, il professore di filosofia all’Università di Macerata, Luigi Alici, ed il presidente nazionale del Meic, Renato Balduzzi. Ma il vero tema di fondo della tavola rotonda sarà l’analisi delle possibili reazioni alla Babele, diventata globale, senza perdere di vista le opportunità o gli aspetti potenzialmente positivi della globalizzazione. Per interpretare equamente le sfide di questa esigenza, il presidente del Meic rimarca come “sia necessario mettere in un giusto rapporto la libertà e la ricerca della verità, per evitare di avvitarsi in false libertà che non sono altro che forme mascherate di dipendenza culturale ed economica”. Per avere maggiori informazioni sull’incontro è possibile consultare il sito www.meic.net (A.L.)

 

 

IL PRESIDENTE DEL BURUNDI, DOMITIEN NDAYZEYE, INCONTRERA’ PROSSIMAMENTE

IN SUDAFRICA IL LEADER DEL PRINCIPALE GRUPPO RIBELLE

PER FAR PROGREDIRE IL PROCESSO DI PACE NEL PAESE

 

BUJUMBURA. = Il presidente del Burundi, Domitien Ndayizeye, ha lasciato questa mattina la capitale Bujumbura per recarsi in Sudafrica dove incontrerà Pierre Nkurunziza, leader del principale gruppo ribelle attivo nel Paese, le Forze di difesa della democrazia (Fdd). Incontrando i giornalisti all’aeroporto prima di salire sull’aereo, Ndayizeye ha detto che “le Fdd hanno accettato di partecipare alle istituzioni e insieme cercheremo di risolvere i problemi del Burundi”. Secondo alcune fonti, i colloqui tra il presidente burundese e il leader delle Fdd si terranno oggi e domani in una località segreta nella provincia di Gauteng, nel Nord Est del Sudafrica e saranno incentrati sulle modalità con cui far progredire l’applicazione del cessate-il-fuoco siglato a dicembre dell’anno scorso ma sistematicamente violato da entrambe le parti. Nonostante le molte iniziative diplomatiche tentate dai mediatori, guidati dal vicepresidente sudafricano, Jacob Zuma, i nodi da sciogliere restano sempre gli stessi: spartizione del potere e trasformazione dell’esercito burundese, concedendo l’ingresso nei vertici delle forze armate di elementi di etnia ‘hutu’. La crisi burundese sarà al centro del 23.mo summit dei capi di Stato e di governo della Comunità dell'Africa australe (Sadc) che si terrà a Dar er Salaam, in Tanzania, lunedì e martedì prossimi.

 

 

IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI PER IL 25.MO ANNO DI PONTIFICATO

DI GIOVANNI PAOLO II SARANNO LETTI, DOMANI, ALCUNI TESTI DEL PAPA

IN APERTURA DELLA CONFERENZA DI EDIMBURGO, UNA DELLE 25 TENUTE

IN ALTRETTANTE CITTÀ DAI VATICANISTI ITALIANI

 

EDIMBURGO. = Alcuni brani delle opere di Karol Wojtyla, tra i quali ‘Fratello del nostro Dio’, ‘La bottega dell’orefice’ e ‘Trittico Romano’ saranno letti, domani, da uno dei più noti attori del Fringe Festival di Edimburgo, Richard De Marco. L’iniziativa si svolgerà in occasione di una delle 25 conferenze, tenute dai vaticanisti italiani in altrettante città del mondo, che rientrano nel complesso degli eventi promossi dal ministero italiano degli Affari esteri e dagli Istituti italiani di cultura per celebrare il XXV anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II. La serie di conferenze sul pontificato, incentrate sull’annuncio evangelico “Andate in tutto il mondo”, intende evidenziare lo straordinario contributo del Papa alla visibilità internazionale dell'Italia. “Per la stampa italiana - ha detto Baccini in una nota – il pontificato di Giovanni Paolo II rappresenta un’autentica materia di specializzazione: da 25 anni i giornalisti italiani sono infatti più assidui e numerosi nei viaggi papali, testimoni ravvicinati di una straordinaria avventura umana e spirituale”. “Un’avventura – ha aggiunto - che da Roma ha raggiunto il mondo intero, oltrepassando i confini della Chiesa e delle Chiese, fino a diventare patrimonio globale della storia e della cultura del nostro tempo”. (A.L.)

 

 

SOLLEVA CRITICHE IN TUTTO IL MONDO LA DECISIONE DELL’ISLANDA, DOPO 14 ANNI

DI MORATORIA, DI RIAPRIRE - UFFICIALMENTE A FINI SCIENTIFICI - LA CACCIA ALLE BALENE. PROTESTANO I GOVERNI STATUNITENSE

E BRITANNICO E LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E ANIMALISTE. LA COMMISSIONE BALENIERA INTERNAZIONALE

HA BANDITO QUESTA ATTIVITA’ A SCOPI COMMERCIALE SIN DAL 1989

- A cura di Roberta Gisotti -

 

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REYKJAVIK. = Dopo una moratoria durata 14 anni, è stata riaperta ufficialmente domenica scorsa in Islanda la caccia alla balene. Le autorità di Reykjavik hanno autorizzato tre baleniere a catturare entro sei settimane 38 balene a fini di ricerca scientifica. In due anni ne saranno poi catturate 500. L'Islanda afferma di dover controllare la popolazione delle balene per proteggere le riserve di pesce e i mezzi di sostentamento dei pescatori. La decisione islandese è stata però fortemente criticata dai governi statunitense e britannico e dalle organizzazioni ambientaliste e in difesa degli animali. Il Fondo internazionale per il benessere degli animali (Ifaw) ha affermato che non vi sono basi scientifiche per legittimare quest'operazione. In Gran Bretagna, la Società reale per la prevenzione della crudeltà verso gli animali (Rspca), ha chiesto ai consumatori di valutare il problema prima di comprare pesce dall'Islanda. L'organizzazione ambientalista Greenpeace teme che la ripresa della caccia alle balene nasconda fini commerciali ed ha inviato una nave nelle acque dell’Islanda. Le proteste sono arrivate a migliaia anche sotto forma di e-mail, che hanno invaso i Ministeri islandesi e le Ambasciate di Reykjavik in tutto il mondo. Sin dal 1989 la Commissione baleniera internazionale (Cbi) decise una moratoria della caccia a scopi commerciali dei cetacei. Bando che viene sfidato dalla Norvegia e dal Giappone dove ogni vengono catturati 700 esemplari, ufficialmente a fini scientifici. Le popolazioni della Groenlandia, della Siberia e dell'Alaska sono invece autorizzate dalla Cbi a continuare la caccia “per motivi di sopravvivenza”.

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24 ORE NEL MONDO

19 agosto 2003

 

 

- A cura di Barbara Castelli -

 

Prosegue in Iraq la caccia ai fedelissimi dell’ex dittatore Saddam Hussein. A finire nelle mani delle truppe statunitensi, questa volta, sarebbe l’ex vicepresidente iracheno, Taha Yassin Ramadan. La notizia, confermata dal Pentagono, è stata diffusa da un alto responsabile del partito patriottico del Kurdistan. Ramadan è il numero 38 della lista dei 55 responsabili più ricercati dell’ex regime ed è raffigurato dal 10 di quadri. Resta alta, intanto, la tensione nel Paese. Nella notte la base americana di Tikrit è stata attaccata da alcuni uomini armati a bordo di un’ambulanza e di un altro veicolo. E mentre non si placa la polemica sull’uccisione del cameraman della Reuter, l’intelligence americana informa che sugli ultimi attentati in Iraq si allunga l’ombra di al-Qaeda. Sarebbero proprio i militanti di Osama bin Laden, avvertono gli Stati Uniti, i responsabili della campagna di sabotaggio che sta investendo acquedotti, oleodotti, linee elettriche e tutto quanto possa servire a garantire un normale svolgimento nella vita degli iracheni.

 

Non si fermano gli attacchi dei taleban in Afghanistan. Ieri 10 poliziotti, tra cui il capo provinciale, sono stati uccisi in un agguato nel distretto di Kharwar, a sud di Kabul. E’ stata, invece, di origine accidentale l’esplosione che si è registrata stamani a Kandahar, nella casa del fratello del presidente afgano, Hamid Karzai.

 

La diplomazia ancora all’opera per salvare il processo di pace in Medio Oriente. Secondo quanto ha riferito stamani il ministro della Difesa, Shaoul Mofaz, Israele è pronta a cedere in settimana ai palestinesi il controllo delle città di Jéricho e Kalkiliya, in Cisgiordania. Il premier palestinese, Abu Mazen, intanto, ha espresso insofferenza per l’operato del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat. Parlando con il senatore statunitense John McCain, Abu Mazen ha ammesso di non avere potere sui militanti mentre Arafat oscura la sua immagine.

 

La Liberia finalmente pronta a voltare pagina. Da Accra, capitale del Ghana, è giunta, infatti, ieri la notizia che il Paese africano attendeva da tempo: il governo ed i due principali gruppi ribelli - Lurd e Model - hanno firmato un accordo di pace globale. Via libera, dunque, alla formazione di un esecutivo di transizione, guidato dall’attuale presidente, Moses Blah. Sui compiti che attendono il nuovo governo di transizione liberiano, abbiamo intervistato padre Carmine Curci, direttore della rivista comboniana “Nigrizia”:

 

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R. - In modo particolare sono: ricostruire il Paese, dare sicurezza al Paese e cominciare a fare entrare gli aiuti per questa popolazione, che da anni vive in una situazione di grande povertà. Non sarà un lavoro facile, quindi, soprattutto per quanto riguarda i ribelli, che domani presenteranno i nomi dei possibili ministri. Teniamo presente che sia il Lurd sia il Model sono parte di altri piccoli gruppi di ribelli: metterli insieme in questo momento non sarà facile. E’ importante, inoltre, neutralizzare Charles Taylor. L’ex presidente, infatti, è partito svuotando le casse dello Stato e farà di tutto perché la sua presenza si faccia sentire in questo governo. Tutto sommato però si stanno facendo dei passi per portare una certa pace, una certa tranquillità in Liberia.

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Condanne a morte per gli attentati di Casablanca. Un Tribunale marocchino ha inflitto stamani la pena capitale a 3 kamikaze scampati agli attentati suicidi dello scorso 16 maggio e ad un quarto integralista coinvolto nella vicenda. I giudici hanno emesso anche pesanti condanne al carcere, dai 30 anni ai 10 mesi, nei confronti di tutti gli altri imputati, complessivamente 87 persone, accusati di essere coinvolti a vario titolo nei 5 attentati che causarono complessivamente 45 vittime.

 

La Gran Bretagna ha depositato ieri al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un progetto di risoluzione per revocare le sanzioni imposte alla Libia dopo l’attentato di Lockerbie. Sulla vicenda, tuttavia, pesa la posizione della Francia. Parigi potrebbe, infatti, ricorrere al diritto di veto se Tripoli non acconsentirà a versare risarcimenti “equi” anche per le vittime dell’attentato del 1989, contro un aereo della compagnia francese Uta.

 

Sono liberi ed in buona salute i 14 ostaggi europei - in maggioranza tedeschi - rapiti a febbraio dagli estremisti islamici algerini e poi trasferiti nella regione sahariana oltre il confine con il Mali. Il loro ritorno a casa è ormai questione di ore. Sentiamo Andrea Sarubbi:

 

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A Bamako è ormai tutto pronto. C’è l’aereo che dovrebbe riportarli stasera a Colonia, se i turisti - 9 tedeschi, 4 svizzeri ed un olandese - avranno la forza di partire. C’è anche il viceministro agli Esteri tedesco, Juergen Chrobog, che ha condotto l’ultima fase della trattativa con i sequestratori. Una trattativa difficile e misteriosa, che - secondo una parte della stampa tedesca - si sarebbe conclusa con una sconfitta diplomatica: i rapitori, forse appartenenti al Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento, avrebbero ricevuto 65 milioni di dollari dal governo del Mali, che - a sua volta - se li farebbe presto restituire da Germania, Svizzera ed Olanda, sotto forma di aiuti allo sviluppo. Nessuno, a Berlino, conferma, né è facile reperire altri particolari sulla vicenda. Il quotidiano Tagesspiegel pubblica oggi un’intervista a Said Gheddafi, che smentisce la tesi del riscatto ma sottolinea l’importante opera di mediazione svolta dalla Libia. Determinante anche l’apporto del Mali - il presidente Amadou Toumani Touré è stato ringraziato pubblicamente dal governo tedesco - e quello, più militare che politico, dell’Algeria: proprio un blitz delle forze di Algeri permise, infatti, la liberazione di un primo gruppo di 17 persone, lo scorso 14 maggio.

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Il cancelliere tedesco, Gerhard Schroeder, ha espresso “grande sollievo e soddisfazione” per la liberazione dei 14 ostaggi europei del Sahara. In una dichiarazione diffusa stamani a Berlino il cancelliere ha, inoltre, sottolineato l’intenzione della Germania di aiutare in tutti i modi le autorità del Mali e dell’Algeria a fare in modo che i rapitori non restino impuniti.

 

Alcune persone sono rimaste ferite oggi in Iran nel corso di scontri tra polizia e manifestanti, che protestavano contro un progetto di divisione della provincia orientale del Khorasan. La settimana scorsa gravissimi incidenti, con un bilancio di 8 morti e 150 feriti, si erano verificati per analoghi motivi a Samirom, una cittadina nell’Iran centrale.

 

Non si placano le violenze in Colombia. Gentil Bahamón Obando, sindaco di Suaza, è stato ucciso ieri a coltellate nel suo letto da 3 persone vestite da agenti di polizia. Poche ore prima, la guerriglia era tornata a minacciare anche il capo dello Stato, Alvaro Uribe, mentre il suo elicottero tentava di atterrare a Granata. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Le Farc sono tornate ad impensierire il presidente, Alvaro Uribe, costringendolo con un attacco a modificare una visita programmata nel dipartimento di Antioquia. Poche ore prima, le Farc avevano duramente accusato Uribe di volere a tutti i costi fomentare una guerra civile generalizzata nel Paese. Il fatto è che l’attuale governo e la guerriglia non sembrano in grado di trovare uno spazio di dialogo, soprattutto perché le Farc respingono la proposta di mediazione dell’Onu, mentre continuano a proporre uno scambio umanitario fra decine di ostaggi e di guerriglieri che si trovano nelle carceri colombiane. Questo nuovo episodio, inoltre, giunge a poche ore dall’arrivo del segretario alla Difesa statunitense, Donald Rumsfeld, che intende appoggiare la politica di sicurezza dell’unico Paese dell’America Latina apertamente allineato con Washington.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Negli Stati Uniti torna l’incubo del cecchino. A quasi un anno dalla serie di omicidi messi a punto da un serial killer poi arrestato, il West Virginia si trova a fare i conti con un altro omicida. Negli ultimi 4 giorni 3 persone sono state uccise a bruciapelo, con la stessa modalità. A seguire le indagini anche l’Fbi.

 

 

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