RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 229 - Testo della
Trasmissione di domenica 17 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
Ripresi oggi i colloqui di pace
per il Nepal
Ancora vittime in Iraq per il
fuoco della resistenza armata
Il cammino di pace in
Medio Oriente ancora in difficoltà
Arrestato in Messico un potente
‘boss’ del narcotraffico.
17 agosto 2003
LA
MODERNITA’ EUROPEA NON PUO’ FARE A MENO DEL VANGELO
DELLA
SPERANZA: IL RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II ALL’ANGELUS PERCHE’ L’EUROPA IN
CRISI DI VALORI RECUPERI LA SUA VERA IDENTITA’
- Servizio di Roberta Gisotti -
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L’Europa in primo piano nel pensiero del Papa in questa
assolata domenica d’agosto a Castelgandolfo. Giovanni Paolo II ha richiamato il
“Vangelo della speranza”, “che spinge ad accogliere ‘la novità di Dio’”, “dono
escatologico”, “oltre ogni umana possibilità”, “già presente nella
storia”. Ebbene l’Europa - ha detto il
Santo Padre - che da due millenni “ascolta il Vangelo”, “non può non lasciarsi interpellare
da questa ‘novità’”.
“La fede cristiana gli ha dato
forma, e alcuni suoi valori fondamentali hanno in seguito ispirato ‘l’ideale
democratico e i diritti umani’ della modernità europea”.
“Oltre che ‘un luogo geografico’
- ha aggiunto il Papa - l’Europa è ‘un concetto prevalentemente culturale e
storico’”, caratterizzato “come Continente grazie pure alla forza unificante
del cristianesimo, che ha saputo integrare tra loro diversi popoli e culture”
“Non si può negare che, in questi nostri tempi,
l’Europa attraversi una crisi di valori, ed è importante che recuperi la sua
vera identità”.
Giovanni Paolo II ha quindi sottolineato che “il
processo di allargamento dell’Unione Europea ad altri Paesi non può riguardare
unicamente aspetti geografici ed economici, ma deve tradursi in una rinnovata
concordia di valori da esprimere nel diritto e nella vita”
Da ultimo l’invito del Papa a pregare la Madonna, venerata
in tanti santuari europei:
“Perché
aiuti il Continente ad essere sempre consapevole della propria vocazione
spirituale e contribuisca a costruire la solidarietà e la pace ‘dentro i suoi
confini e nel mondo intero’”.
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17 agosto 2003
IL BLACKOUT
NEGLI STATI UNITI E IN CANADA: PAURA E INSICUREZZA
NELL’ERA DELLA GUERRA AL TERRORISMO
- Con
noi, Sabino Acquaviva -
Ancora mistero sulle cause del gigantesco black out
energetico che ha isolato a partire da giovedì per almeno 30 ore il nord est
degli Stati Uniti ed il sud est del Canada. Tra le ipotesi più accreditate
quella di una falla nella rete dell' Anello del lago Erie, nell'Ohio. Ma se
tutto sembra tornato alla normalità a New York e negli altri grandi centri
statunitensi e canadesi, si espande l’eco delle polemiche per quanto accaduto.
L'America si chiede se sia giusto spendere milioni di dollari per la guerra in
Iraq, quando non si è ammodernata una rete elettrica che ora lo stesso
presidente Bush riconosce “obsoleta e inadeguata”. E la stampa Usa mette pure
in evidenza gli inascoltati campanelli d'allarme lanciati anche recentemente
dall'Autorità nazionale per l' energia.
Positivo
invece il giudizio sulla risposta della popolazione all’emergenza che poteva
assumere carattere drammatici da parte della popolazione colpita, in particolare
quella newyorkese: insicura,
timorosa, ma al tempo stesso composta e solidale. Un evento dal significato
particolare in una città, che porta ancora i segni profondi del trauma dell’11
settembre 2001 e dove la gente è costretta, ogni giorno, a confrontarsi con lo
spettro di un nemico insidioso e sfuggente: il terrorismo. Sulla paura e
l’insicurezza nell’era della guerra al terrore, Alessandro Gisotti ha raccolto
la riflessione del sociologo Sabino Acquaviva:
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R. – Prima si dava un potere, una potenza assoluta alla
tecnica e alla scienza. Adesso, evidentemente, si è un po’ incerti, dubbiosi:
si ha la sensazione che le grandi civiltà tecnico-scientifiche siano
vulnerabili, anche se in maniera diversa dalle precedenti. Si è in grado di
fare una guerra tecnologica come in Iraq, breve e poco sanguinosa, però non si
è in grado di controllare il funzionamento di questi giganteschi sistemi
tecnico-scientifici.
D. – Chiaramente, l’elemento insicurezza è determinante
nella percezione della gente...
R. – Sì, direi che l’elemento di insicurezza è l’elemento
dominante nella situazione attuale. Nel caso di New York c’era già un senso di
insicurezza che proveniva dall’11 settembre. In un certo senso, la percezione
della vulnerabilità militare del sistema. Adesso, con questo blackout ci si
rende conto che il sistema è debole in sé e si capisce che il terrorismo
potrebbe attaccarlo in gangli veramente vitali.
D. – Rispetto all’ultimo blackout a New York, nel 1977, in
cui si registrarono numerosi atti di vandalismo, questa volta la situazione è
rimasta tranquilla. E’ anzi prevalso uno spirito di solidarietà. Quanto ha
influito il trauma dell’11 settembre sul comportamento della gente di New York?
R. – Secondo me ha influito moltissimo, perché l’11
settembre ha già costruito un senso di solidarietà tra gli individui che
formano la società di New York; una solidarietà che li ha coinvolti nella
ricostruzione e nel percepire il valore simbolico dell’intervento dei Vigili
del fuoco ... una solidarietà che, con il nuovo blackout, ha operato. Prima,
forse, non c’era una percezione di identità così forte. Poi c’è stato l’11
settembre: evidentemente ha cambiato in profondità la morale, la psicologia
degli abitanti della “Grande Mela”.
D. – Ecco, in una città densamente popolata come New York,
la paura può essere propagata in una sorta di ‘effetto-domino’?
R. – Sì, può essere propagata. Per fortuna, questo non è
accaduto questa volta. Se ci fosse un attacco terroristico contro i centri
nervosi elettrici della città, forse la situazione sarebbe diversa, perché in
quel caso si avrebbe la percezione di un nemico che attacca, mentre qui c’è la
debolezza, la fragilità del sistema tecnico-scientifico.
D. – Il
blackout ha determinato anche un parziale oscuramente dell’informazione verso
la zona colpita. Quanto viene amplificata la paura dalla mancanza di conoscenza
dei fatti, degli avvenimento?
R. – Può agire in senso positivo o negativo. La
non-percezione dei fatti può, da un lato, isolare. In alcuni individui può
provocare appunto una sorta di isolamento psicologico e, quindi, di staticità.
In altri, la mancanza di informazione può dare vita ad un senso di panico. In
questo caso, direi che ha prevalso la socializzazione e la percezione
dell’identità urbana. Non so cosa potrebbe accadere se l’attacco fosse di
carattere terroristico.
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UNA
VITA DA RISCOPRIRE OGNI GIORNO: QUELLA DI RAUL FOLLEREAU
ACCANTO
AI LEBBROSI, LOTTANDO CONTRO L’INDIFFERENZA E L’EGOISMO
VERSO
L’UMANITA’ SOFFERENTE
Ricorre
oggi il centenario della nascita di Raoul Follereau, l’uomo che con la sua
opera si mise a servizio dei lebbrosi. Per quarant’anni lavorò per sconfiggere
la lebbra che ancora oggi è diffusa in 91 nazioni. Secondo l’Organizzazione mondiale
della sanità, oltre duecento persone si ammalano ogni giorno, più di 1 al
minuto; maggiormente colpiti i Paesi più poveri come la Repubblica Democratica
del Congo, l’Uganda, la Tanzania e l’India, in cui si vive con meno di 1 euro
al giorno. Il servizio di Benedetta Capelli:
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(musica)
Il
poeta dei lebbrosi, il giornalista delle denunce sociali, il servo dei poveri:
questo fu Raoul Follereau. A 32 anni, durante un viaggio in Costa D’Avorio a seguito
del missionario Charles de Foucauld, visitò il villaggio di Adzopè devastato
dalla lebbra. Quello fu l’inizio di una nuova vita. In 10 anni, 1200 conferenze
per dare voce alla sofferenza di quella gente; il risultato fu la fondazione
della “città dei lebbrosi” ad Adzopè, una struttura per evitare
l’emarginazione. Nel ’54, l’istituzione della “Giornata Mondiale dei malati di
lebbra”, a cui partecipano ancora oggi 150 Paesi. Vinse l’indifferenza dei
grandi del suo tempo, mandando lettere ad Eseinhower e Kruscev. In piena guerra
fredda, chiese ai due presidenti l’equivalente del costo di due bombardieri per
guarire i malati di lebbra. E tra il ’64 e il ’69 promosse la campagna “il
costo di un giorno di guerra per la pace”, a cui aderirono 4 milioni di
persone. Ma quali furono i valori che lo animarono? Ce lo spiega il presidente
dell’Associazioni Amici di Raoul Follereau, il dott. Enzo Venza:
“I suoi
valori universali, che oggi chiameremmo anche ‘globali’, e sono l’attenzione
agli ultimi, lebbrosi al primo posto, a cui lui dedicò, insieme alla moglie,
tutta la sua vita; la salvaguardia dei diritti della persona – al primo posto
il diritto alla salute. Ecco, questo fu uno dei suoi punti fondamentali in cui
intervenne nella sua vita a favore proprio dei lebbrosi che rappresentavano
l’icona dell’umanità sofferente. E poi anche la lotta all’indifferenza, che lui
chiamava “l’altra lebbra”: per questo oggi noi più che commemorare la figura di
Follereau, vogliamo in questo senso ‘riscoprirla’”.
Il
motore dell’opera di Follereau fu l’amore verso il più debole. “Il mondo ha
fame di grano e tenerezza”, diceva, e in questa frase è condensato lo spirito
del suo agire. Nemmeno la morte, avvenuta a Parigi nel 1977, ha spento il suo
grido. Oltre 22 associazioni in vari Paesi del mondo hanno raccolto il suo testamento
spirituale, un messaggio carico di denuncia e forza, come ribadisce il dott.
Venza:
“Il
messaggio di Follereau ha una sua evoluzione nel tempo, nel senso che lui
cominciò con il dire che la lebbra si può vincere, però poi, negli anni
successivi, cominciò a dire che ai lebbrosi debbono essere riconosciuti gli
stessi diritti delle altre persone e degli altri malati; e infine, approda ad
un altro concetto: lebbrosi siamo anche noi, perché la nostra indifferenza favorisce
un po’ questa situazione di ingiustizia. E questo messaggio ci invita oggi a
costruire quello che noi chiamiamo un mondo di pace e di giustizia, un mondo di
salvaguardia dei diritti – pensiamo che
ancora ci sono 700 mila lebbrosi ogni anno – e ci invita anche a costruire un
mondo in cui l’informazione sia proprio al servizio della verità. L’obiettivo
di Follereau non era soltanto di aiutare le persone che stavano distanti, ma
anche di impegnarsi nel posto in cui si vive. Naturalmente con dimensioni e con
mezzi diversi, perché altrimenti questo impegno diventa alienante”.
E il
vagabondo della carità, Follereau diceva: “E’ amando che salveremo l’umanità.
La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno”.
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LA MORTE IN ESILIO DELL’EX DITTATORE UGANDESE IDI
AMIN DADA
RICHIAMA
UNA RIFLESSIONE SUI TANTI ORRORI E CONFLITTI
CHE
HANNO ATTRAVERSATO L’AFRICA DAGLI ANNI ’60 AD OGGI
È morto ieri in un ospedale di Gedda, in
Arabia Saudita, Idi Amin Dada, ex dittatore ugandese fra il 1971 ed il 1979 e
protagonista di uno dei più feroci e sanguinari regimi della storia africana.
Nei suoi 8 anni di governo, Amin impose al Paese la legge del terrore,
uccidendo – secondo le organizzazioni per i diritti umani – circa 400 mila
oppositori. A Domenico Quirico, esperto di questioni africane del quotidiano
“La Stampa”, Andrea Sarubbi ha chiesto di tracciare un ritratto dell’ex dittatore:
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R. – Il conto delle vittime di Amin Dada è molto
complicato. Certamente Amin è stato un dittatore, spietato feroce, sanguinario.
E’ stata anche l’espressione di tutti gli orrori che hanno attraversato
l’Africa dal ’60 ad oggi. E’ stato un prodotto del colonialismo e la proiezione
tra le più feroci del post-colonialismo. Sono stati gli inglesi che gli hanno
insegnato i metodi della guerra sporca – aveva combattuto nella repressione
della rivolta dei Mau-Mau in Kenya – e poi è diventato l’espressione di una
classe dirigente africana, dell’Africa diventata indipendente. Certamente non è
stato un caso isolato, anzi è stato uno dei tanti dirigenti africani che hanno
assassinato l’Africa in questi ultimi 40 anni.
D. – Un prodotto del colonialismo diceva lei, anche perché
senza l’appoggio della Gran Bretagna non sarebbe riuscito a fare il colpo di
stato nel 1971…
R. – Assolutamente si, se non ci fosse stato l’appoggio
della Gran Bretagna e l’appoggio di Israele, Idi Amin non sarebbe mai diventato
capo dell’Uganda, Gli inglesi e gli israeliani non si fidavano di Obote, che
era il presidente dell’indipendenza e un personaggio anche lui assai poco
democratico, molto discutibile e molto discusso e favorirono il colpo di Stato
di Amin, pensando che tutto sommato quel ex-sergente e semianalfabeta potesse
essere manovrato molto più facilmente di Obote. Sbagliarono completamente i
loro calcoli perché sappiamo che Idi Amin era dotato di una sua – come dire –
furbizia politica stranamente sofisticata, assai più sofisticata di quanto immaginassero
i suoi ‘burattinai’! Cacciò gli israeliani e si appoggiò agli arabi, costrinse
gli inglesi a portarlo su una portantina per pareggiare i conti
dell’umiliazione coloniale, ecc.ecc.
D. – Ma non fu soltanto Israele ad avere problemi con lui.
Penso a diversi Stati africani, per esempio il Sud Africa: voleva attaccare il
Sud Africa per combattere – diceva – l’apartheid ...
R. – Sì. Fece anche un tentativo peraltro abbastanza
patetico di invasione della Tanzania, ossessionato da questa necessità dello
sbocco al mare ... Ecco, forse il rischio che c’è stato con Idi Amin è stato
quello di etichettarlo nella categoria dei personaggi pittoreschi oppure di un
pittoresco molto sanguinario e molto ‘noir’. In realtà, politicamente è stato
un personaggio assai più sofisticato di quanto possa apparire nell’aneddotica
spesso – devo dire – anche abbastanza falsa che lo circonda. Idi Amin aveva
capito una cosa fondamentale: che in quegli anni, presentarsi come
‘terzomondista’, come filo-sovietico, filo-arabo, anti-israeliano eccetera,
rendeva politicamente. Effettivamente, ha reso politicamente a Idi Amin. C’è
stato un periodo in cui questo personaggio che massacrava migliaia di persone era
considerato un eroe africano: veniva ricevuto con tutti gli onori nelle varie
capitali dell’Africa, partecipava ai congressi dell’Organizzazione per l’unità
africana, era considerato praticamente un personaggio importante ed autorevole.
E questo dovrebbe fare molto riflettere!
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EMOZIONE IERI A SIENA PER IL PALIO DEDICATO ALLA
MADONNA DELL’ASSUNTA,
VINTO
DALLA CONTRADA DEL “BRUCO”:
UNA TRADIZIONE
POPOLARE CHE SI RINNOVA NEI SECOLI
E’ del “Bruco” il Palio dell’Assunta 2003. La 35.ma
vittoria per la contrada gialloverde è stata conquistata dal cavallo Berio,
montato dal fantino Luigi Bruschelli, detto Trecciolino. Per la mossa valida la
piazza ha dovuto attendere oltre un’ora, con 11 chiamate fra i canapi e tre
false partenze. Almeno due i cavalli infortunati, tra questi uno in maniera
grave. Nel dopo Palio, dedicato alla Madonna dell’Assunta, anche tafferugli fra
i contradaioli. Una manifestazione che ogni anno apre anche qualche polemica
sull’opportunità di tramandare un evento che, comunque, affonda le sue radici
nei secoli passati ed ha forti legami con la tradizione religiosa della città
toscana. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Antonio Buoncristiani,
arcivescovo di Siena.
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R. – Il significato religioso viene dalla storia, perché i
palii più antichi erano fatti in onore della Madonna: ad esempio quello
documentato in onore della Madonna di Provenzano del 1500, ma anche prima nei
secoli ci sono memorie e tradizioni. Il palio è qualche cosa che viene portato
in Cattedrale. C’è un drappellone, un’icona si potrebbe dire, su seta, che
viene dato poi al vincitore ma che viene conservato in Cattedrale, benedetto
dall’arcivescovo e poi riportato in Piazza del Campo. La sera poi, alla fine
del Palio, i vincitori tornano in Cattedrale per rendere grazie alla Madonna,
con una religiosità popolare molto accentuata. Il legame è strettissimo, tanto
che non si potrebbe vedere il Palio senza la devozione mariana dei senesi.
D. – Mons. Buoncristiani, perché il palio di Siena si
corre il 16 e non il 15 che è il giorno della Festa dell’Assunta?
R. – Chi è a Siena si rende subito conto con facilità di
quale è il motivo. Il Palio ha tutto un suo complesso rituale di sorteggi, di
prove che hanno bisogno di più giorni, in realtà. Il giorno della Festa poi è
il giorno della Festa. La Festa è soprattutto caratterizzata alla vigilia dal
corteo del cero, la mattina dalla Messa dell’arcivescovo con tutte le autorità
e con tutti i rappresentanti delle contrade. C’è poi il corteo pubblico a cui
prendono parte l’arcivescovo con il sindaco e tutti gli altri, fino alla
consegna, in un teatro, del premio ‘Mangia d’oro’, che rappresenta, in qualche
maniera, il giorno della glorificazione della città. Il giorno, invece, della
popolarità più stretta, nel senso di appartenenza più diretta, è quello del
palio, ossia il giorno 16.
D. – Mons. Buoncristiani, il palio, che nell’immaginario
collettivo vede una certa divisione tra le contrade, unisce, invece, la città
di Siena? Proprio a partire forse dall’elemento religioso?
R. – L’elemento religioso è un elemento che sicuramente
unisce. Basta vedere che tutte le contrade partecipano alla Festa dell’Assunta,
partecipano alla Festa di Santa Maria in Provenzano, l’altro Palio, e
partecipano all’inaugurazione dell’anno contradaiolo per la Festa di Sant’Ansano,
che è il patrono della città e diocesi di Siena. L’elemento religioso, quindi,
è sicuramente un elemento unificante. E’ pure vero che ci sono delle divisioni,
perché le contrade sono 17 e sono 17 realtà amiche e nemiche all’interno della
città. Ai senesi, tuttavia, piace molto dire che il Palio è un po’ un’immagine
della vita: queste realtà contraddittorie anche, di amicizia ed inimicizia, fanno
parte della vita. L’importante credo sia sottolineare quello che ci unisce ed
attenuare totalmente quello che ci divide, questo nella vita di ogni giorno
come anche nel Palio.
D. – In sostanza una festa di popolo che richiama secoli e
secoli di storia di Siena e della tradizione, più in generale, anche toscana …
R. – Sicuramente, io penso che sia un memoriale. Chi vede
il Palio di Siena in televisione non ne capisce niente, perché la vede come una
gara sportiva. In realtà, è un memoriale di secoli di storia e un memoriale di
una cultura, questo è molto importante. Va vissuto in un modo speciale. Ecco,
un Palio non va visto, va vissuto.
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160 GIOVANI
MISSIONARI NELLA RIVIERA ROMAGNOLA,
PER
ANNUNCIARE IL VANGELO NEI LUOGHI DELLO SVAGO
-
Intervista con don Davide Banzato -
Si
conclude oggi l’iniziativa di “Evangelizzazione di Strada”, promossa dalle
parrocchie di Riccione e Cattolica nei luoghi di aggregazione giovanile delle
due località, con il coinvolgimento di gruppi tra cui “Sentinelle del mattino”
e “Nuovi Orizzonti”. Il servizio è di Francesco Vitale:
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“Chi ha sete
venga a me”. Questa la scritta che per tutta la settimana si è letta su uno
striscione che un aereo ha trascinato sorvolando gli stabilimenti balneari
della riviera romagnola. Ma è stato anche lo slogan adottato da oltre 160
giovani missionari impegnati ad incontrare altri giovani nelle spiagge, nelle
discoteche, nei luoghi più comuni con l’intento di sensibilizzarli
all’evangelizza-zione attraverso catechesi, celebrazioni liturgiche, veglie notturne,
spettacoli e musical. Davide Banzato, uno dei responsabili in missione, ci
racconta questa esperienza:
R. – I giovani stanno rispondendo benissimo a tutte le
iniziative, dall’animazione delle spiagge in cui raduniamo 2 mila – 3 mila
persone e poi facciamo testimonianza, ai contatti personali, a tu per tu, sulle
spiagge e anche di sera nelle vie principali, ai musical, agli spettacoli fino
a portare i ragazzi a pregare in chiesa, a pregare sulla spiaggia con loro.
Ieri dopo l’animazione abbiamo pregato con 2 mila ragazzi in spiaggia. C’erano
dei giornalisti che erano sconvolti: perché tutto pensavano meno che riuscisse
un’iniziativa del genere. Invece, la cosa meravigliosa è proprio vedere come
queste persone hanno una grande ‘sete’ di Dio. Quello che secondo me sta
funzionando di più è andare dalle persone, fermarle, chiedere: “Come stai?”,
fermarsi, guardarsi negli occhi ... questo colpisce tantissimo. Poi, sono loro
che ti chiedono: “Ma perché tu vuoi sapere da me come sto?”, e allora scatta la
testimonianza, scatta parlare di noi, del nostro incontro con Gesù Cristo risorto,
la gioia di stare con loro e proponiamo loro di pregare insieme sul momento, o
se possiamo pregare noi con loro o se vogliono venire con noi fino alla chiesa
dove c’è tutta un’altra Chiesa che li aspetta per pregare insieme, per parlare,
ci sono i sacerdoti per la confessione. Vi dico che fino alle due di notte, la
chiesa è rimasta aperta, piena gremita di giovani con le creste colorate, con i
piercing, con i tatuaggi ... è stata una cosa spettacolare. Abbiamo
avuto – così, è un esempio – sei naziskin che, contattati da un ex naziskin
che adesso è qui come missionario, sono tornati alle sei e un quarto del
mattino per tornare in chiesa. E lì, veramente, c’è il miracolo perché ragazzi
che sono vent’anni, trent’anni che non si confessano, arrivano, li portiamo per
mano fino davanti all’Eucaristia esposta: si inginocchiano e scoppiano a
piangere.
Ad essere evangelizzati – riflette don Banzato – sono gli
stessi evangelizzatori. Bisogna chiedere allo Spirito Santo la capacità di
donarsi agli altri con il dialogo, la testimonianza, l’ascolto:
R. – C’è veramente più gioia nel donare che nel ricevere.
Questo vivere alla lettera il Vangelo – “l’avete fatto a me”, una cosa che
Madre Teresa di Calcutta ripeteva sempre, prendendoti la mano, diceva: “Lo hai
fatto a me” – questo fare qualcosa per gli altri: poi trovi persone che ti
evangelizzano. Bisogna uscire dalle parrocchie, uscire dalle chiese, andare a
testimoniare; bisogna portare la gioia di Cristo risorto perché troppe persone
la stanno cercando nei posti sbagliati!
Al termine di questa settimana, sono molti i giovani desiderosi
di diventare evangelizzatori per le iniziative future. Potranno in questo modo
mettere a disposizione di altri le loro esperienze e i loro talenti per vedere
nei volti delle persone che incontreranno, i colori di un arcobaleno che torna
ad illuminare la loro giornata.
Francesco Vitale per la Radio Vaticana.
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17 agosto 2003
LA
LIBERIA NUOVAMENTE SULL’ORLO DELLA CRISI.
SONO
STATI INTERROTTI IERI IN GHANA I COLLOQUI PER LA FORMAZIONE
DEL
NUOVO GOVERNO: I RIBELLI DEL LURD AVANZANO ALTRE RICHIESTE
MONROVIA. = Nuovamente a rischio il processo
di pace in Liberia. I negoziati per la formazione del nuovo governo, che si
stavano svolgendo ad Accra, in Ghana, tra il presidente, Moses Blah, e i
ribelli del movimento “Liberiano Uniti per la Riconciliazione e la Democrazia”,
si sono arenati. I guerriglieri del Lurd rivendicano, infatti, le cariche di
vice-presidente e presidente del Parlamento e minacciano la ripresa delle
ostilità se le loro richieste cadranno nel vuoto. Il rappresentante delle
Nazioni Unite per la Liberia, Jacques Paul Klein, ha invitato le parti ad essere
flessibili per raggiungere un accordo; mentre il ministro del Ghana per gli Affari
Esteri, Addo Akufo-Addo, ha dichiarato che le rivendicazioni dei guerriglieri
non possono essere onorate, aggiungendo che “hanno già ottenuto a sufficienza”.
In Liberia, intanto, è giunto un secondo contingente della forza di pace
inviata dalle Nazioni dell’Africa occidentale. I 110 soldati nigeriani,
salutati con entusiasmo dalla folla, provvederanno a mantenere la sicurezza tra
le strade di Monrovia. Proprio nella capitale ieri sono stati distribuiti i
primi aiuti umanitari tra la popolazione. (B.C.)
RIPRESI
OGGI A NEPALGUNJ I COLLOQUI TRA GOVERNO E RIBELLI MAOISTI
NEPALGUNJ. = Il Nepal forse ad una svolta. Il governo di
Kathmandu e i ribelli maoisti hanno ripreso oggi i colloqui per porre termine a
una rivolta che dura da sette anni e ha provocato migliaia di morti. L’incontro
si svolge a Nepalgunj, a 500 chilometri dalla capitale, in un’area in larga
misura controllata dai ribelli. Il mese scorso i maoisti hanno accettato di
prendere nuovamente posto al tavolo delle trattative dopo la scarcerazione dei
loro leader. Dopo il cessate il fuoco siglato in gennaio, altri due incontri si
sono svolti tra le parti, ma senza alcun esito concreto. In questa occasione,
invece, si respira ottimismo da entrambe le parti. I maoisti, in particolare,
auspicano la formazione di un governo provvisorio che prepari una bozza di
costituzione. Quest’ultima dovrebbe ridurre e definire le prerogative del re.
(B.C.)
LA CAPPELLA SISTINA SI TRASFERISCE A RIMINI CON LA
MOSTRA
“LA
SISTINA E MICHELANGELO. STORIA E FORTUNA DI UN CAPOLAVORO”
RIMINI. = “La Sistina e Michelangelo. Storia e fortuna di
un capolavoro”. E’ il titolo che accompagnerà, dal 24 agosto al 16 novembre, la
singolare mostra promossa dal Meeting per l'amicizia tra i popoli di Rimini ed
i Musei Vaticani. L’esposizione, che si propone l’obiettivo di offrire una
visione della cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo, come nessuno l’ha
mai potuta ammirare, verrà riproposta a Savona, presso il Palazzo del
Commissario, dal 30 novembre al 12 aprile. Il progetto espositivo, articolato
in cinque sezioni e coadiuvato da un apparato multimediale, intende così
mettere a disposizione del grande pubblico, alla luce dei nuovi studi che hanno
accompagnato il restauro, il messaggio che questo spettacolare edificio ha
significato nella storia religiosa, culturale e artistica del Rinascimento
italiano e dei secoli successivi. (B.C.)
NUOVE
VITTIME IN IRAQ PER IL FUOCO DELLA RESISTENZA ARMATA.
ANCORA
IN FIAMME L’OLEODOTTO DI KIRKUK
BAGHDAD. = La resistenza armata in Iraq ha centrato un
nuovo bersaglio. Un soldato danese inquadrato nella Forza di stabilizzazione
operante nel Paese è stato ucciso nella notte nel corso di uno scontro a fuoco.
Nell’imboscata anche due iracheni hanno perso la vita. La coalizione
britannico-statunitense, intanto, ha rimesso in libertà 200 detenuti iracheni
incarcerati nel Centro di detenzione di Um Qasr, nei pressi della frontiera con
il Kuwait. Tra questi, c’erano anche alcuni prigionieri di guerra. E’ ancora in
fiamme, intanto, l’oleodotto che porta il petrolio iracheno dai giacimenti di
Kirkuk, nel nord del Paese, al porto turco di Ceyhan. Secondo quanto hanno
riferito fonti militari, l’incendio doloso ha causato diversi danni.
IL CAMMINO DI PACE IN MEDIO ORIENTE ANCORA IN
DIFFICOLTA’.
FINITO
IN MANETTE IERI UN ESPONENTE DELLA JIHAD ISLAMICA
GERUSALEMME. = Resta ancora teso il clima in Medio
Oriente. Un esponente della Jihad islamica, Attaf Saib Arraf Nazal, è stato
catturato nella notte da un’unità militare nella città cisgiordana di Kalkilya;
mentre 15 attivisti palestinesi, ricercati da Israele e incarcerati a Gerico
dall’Autorità nazionale palestinese, hanno iniziato uno sciopero della fame per
protestare contro la loro detenzione. Ad acuire la tensione, le dichiarazioni
del ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz. Il presidente
palestinese, Yasser Arafat, ha detto, è “tornato a dare il via libera agli attentati”.
Scettiche le reazioni di Hamas e della Jihad islamica all’annuncio di Israele
sul ritiro dell’esercito da 4 città della Cisgiordania. (B.C.)
RIESPLODE
LA VIOLENZA IN IRAN:
6
MORTI E 150 FERITI NEGLI SCONTRI SCOPIATI NELLA CITTA’ DI SAMIRON
PER
MOTIVI DI ASETTO AMMINISTRATIVO
TEHERAN. = 6 morti e circa 150 feriti: è il bilancio,
ancora provvisorio, degli scontri avvenuti negli ultimi 3 giorni nella città di
Samirom, nell’Iran centrale, durante una protesta per la ridefinizione dell’assetto
amministrativo. Gli incidenti hanno visto protagonisti gli abitanti del vicino
villaggio di Vardasht, che protestavano contro la decisione di far rientrare lo
stesso villaggio nel territorio amministrativo di un’altra città, Dahagan,
anzichè in quello di Samirom. Una fonte del governatorato di Isfahan, capoluogo
della regione, ha detto che ai manifestanti è stato promesso che la decisione
sul riordino amministrativo del territorio sarà revocata e grazie a questo i
disordini sono cessati. (B.C.)
ARRESTATO
IN MESSICO IL POTENTE BOSS DEL NARCOTRAFFICO,
ARMANDO VALENCIA CORNEJO
CITTA’ DEL MESSICO. = E’ finito in manette oggi a
Guadalajara il messicano Armando Valencia Cornejo, indicato negli Stati Uniti
come il boss del narcotraffico che introduce nel Paese dal 50 al 60% della
droga consumata nel mercato locale. Lo ha reso noto il procuratore generale
della Repubblica, Rafael Macedo de la Concha, precisando che, insieme con lui,
sono stati arrestati anche 7 dei suoi principali collaboratori. Valencia Cornejo,
per il quale la giustizia Usa ha disposto un mandato di cattura internazionale,
ritenendolo responsabile dell’introduzione e dello spaccio di cocaina, eroina e
marijuana, soprattutto a New York, Chicago e in California, è da anni il capo
del cartello ‘dei Valencia’. Questo gruppo opera in combutta con i
narcotrafficanti colombiani ed ha la stessa rilevanza degli altri due grandi
cartelli messicani, quelli guidati da Carrillo Puente e dai fratelli Arellano Felix.
(B.C.)
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