RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 229 - Testo della Trasmissione di domenica 17 agosto 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La modernità europea non può fare a meno del Vangelo della speranza: il richiamo di Giovanni Paolo II all’Angelus, perché l’Europa in crisi di valori recuperi la sua vera identità.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il blackout energetico negli Stati Uniti e in Canada: paura e insicurezza nell’era della guerra al terrorismo. Con noi, Sabino Acquaviva

 

Una vita da riscoprire: quella di Raul Follereau accanto ai lebbrosi, lottando contro indifferenza ed egoismo verso l’umanità sofferente. Ai nostri microfoni, Enzo Venza

 

La morte in esilio dell’ex dittatore ugandese Idi Amin Dada richiama alla memoria tanti orrori e conflitti consumati in Africa dagli anni Sessanta ad oggi: una riflessione di Domenico Quirico

 

Emozione ieri a Siena per il Palio dedicato alla Madonna dell’Assunta, vinto dalla contrada del “Bruco”: una tradizione popolare che si rinnova nei secoli. Intervista con l’arcivescovo Antonio Buoncristiani

 

160 giovani missionari nella Riviera romagnola, per annunciare il Vangelo nei luoghi dello svago: ce ne parla Davide Banzato.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Interrotti ieri in Ghana i colloqui per la formazione del nuovo governo della Liberia: nuove richieste dei ribelli del Lurd

 

Ripresi oggi i colloqui di pace per il Nepal

 

Ancora vittime in Iraq per il fuoco della resistenza armata

 

Il cammino di pace in Medio Oriente ancora in difficoltà

 

Riesplode la violenza in Iran

 

Arrestato in Messico un potente ‘boss’ del narcotraffico.

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

17 agosto 2003

 

LA MODERNITA’ EUROPEA NON PUO’ FARE A MENO DEL VANGELO

DELLA SPERANZA: IL RICHIAMO DI GIOVANNI PAOLO II ALL’ANGELUS PERCHE’ L’EUROPA IN CRISI DI VALORI RECUPERI LA SUA VERA IDENTITA’

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

 

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L’Europa in primo piano nel pensiero del Papa in questa assolata domenica d’agosto a Castelgandolfo. Giovanni Paolo II ha richiamato il “Vangelo della speranza”, “che spinge ad accogliere ‘la novità di Dio’”, “dono escatologico”, “oltre ogni umana possibilità”, “già presente nella storia”.  Ebbene l’Europa - ha detto il Santo Padre - che da due millenni “ascolta il Vangelo”, “non può non lasciarsi interpellare da questa ‘novità’”.

 

“La fede cristiana gli ha dato forma, e alcuni suoi valori fondamentali hanno in seguito ispirato ‘l’ideale democratico e i diritti umani’ della modernità europea”.

 

“Oltre che ‘un luogo geografico’ - ha aggiunto il Papa - l’Europa è ‘un concetto prevalentemente culturale e storico’”, caratterizzato “come Continente grazie pure alla forza unificante del cristianesimo, che ha saputo integrare tra loro diversi popoli e culture”

 

“Non si può negare che, in questi nostri tempi, l’Europa attraversi una crisi di valori, ed è importante che recuperi la sua vera identità”.

 

Giovanni Paolo II ha quindi sottolineato che “il processo di allargamento dell’Unione Europea ad altri Paesi non può riguardare unicamente aspetti geografici ed economici, ma deve tradursi in una rinnovata concordia di valori da esprimere nel diritto e nella vita”

 

Da ultimo l’invito del Papa a pregare la Madonna, venerata in tanti santuari europei:

 

“Perché aiuti il Continente ad essere sempre consapevole della propria vocazione spirituale e contribuisca a costruire la solidarietà e la pace ‘dentro i suoi confini e nel mondo intero’”.

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OGGI IN PRIMO PIANO

17 agosto 2003

 

 

IL BLACKOUT NEGLI STATI UNITI E IN CANADA: PAURA E INSICUREZZA

 NELL’ERA DELLA GUERRA AL TERRORISMO

- Con noi, Sabino Acquaviva -

 

        

Ancora mistero sulle cause del gigantesco black out energetico che ha isolato a partire da giovedì per almeno 30 ore il nord est degli Stati Uniti ed il sud est del Canada. Tra le ipotesi più accreditate quella di una falla nella rete dell' Anello del lago Erie, nell'Ohio. Ma se tutto sembra tornato alla normalità a New York e negli altri grandi centri statunitensi e canadesi, si espande l’eco delle polemiche per quanto accaduto. L'America si chiede se sia giusto spendere milioni di dollari per la guerra in Iraq, quando non si è ammodernata una rete elettrica che ora lo stesso presidente Bush riconosce “obsoleta e inadeguata”. E la stampa Usa mette pure in evidenza gli inascoltati campanelli d'allarme lanciati anche recentemente dall'Autorità nazionale per l' energia.

 

Positivo invece il giudizio sulla risposta della popolazione all’emergenza che poteva assumere carattere drammatici da parte della popolazione colpita, in particolare quella newyorkese: insicura, timorosa, ma al tempo stesso composta e solidale. Un evento dal significato particolare in una città, che porta ancora i segni profondi del trauma dell’11 settembre 2001 e dove la gente è costretta, ogni giorno, a confrontarsi con lo spettro di un nemico insidioso e sfuggente: il terrorismo. Sulla paura e l’insicurezza nell’era della guerra al terrore, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione del sociologo Sabino Acquaviva:

 

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R. – Prima si dava un potere, una potenza assoluta alla tecnica e alla scienza. Adesso, evidentemente, si è un po’ incerti, dubbiosi: si ha la sensazione che le grandi civiltà tecnico-scientifiche siano vulnerabili, anche se in maniera diversa dalle precedenti. Si è in grado di fare una guerra tecnologica come in Iraq, breve e poco sanguinosa, però non si è in grado di controllare il funzionamento di questi giganteschi sistemi tecnico-scientifici.

 

D. – Chiaramente, l’elemento insicurezza è determinante nella percezione della gente...

 

R. – Sì, direi che l’elemento di insicurezza è l’elemento dominante nella situazione attuale. Nel caso di New York c’era già un senso di insicurezza che proveniva dall’11 settembre. In un certo senso, la percezione della vulnerabilità militare del sistema. Adesso, con questo blackout ci si rende conto che il sistema è debole in sé e si capisce che il terrorismo potrebbe attaccarlo in gangli veramente vitali.

 

D. – Rispetto all’ultimo blackout a New York, nel 1977, in cui si registrarono numerosi atti di vandalismo, questa volta la situazione è rimasta tranquilla. E’ anzi prevalso uno spirito di solidarietà. Quanto ha influito il trauma dell’11 settembre sul comportamento della gente di New York?

 

R. – Secondo me ha influito moltissimo, perché l’11 settembre ha già costruito un senso di solidarietà tra gli individui che formano la società di New York; una solidarietà che li ha coinvolti nella ricostruzione e nel percepire il valore simbolico dell’intervento dei Vigili del fuoco ... una solidarietà che, con il nuovo blackout, ha operato. Prima, forse, non c’era una percezione di identità così forte. Poi c’è stato l’11 settembre: evidentemente ha cambiato in profondità la morale, la psicologia degli abitanti della “Grande Mela”.

 

D. – Ecco, in una città densamente popolata come New York, la paura può essere propagata in una sorta di ‘effetto-domino’?

 

R. – Sì, può essere propagata. Per fortuna, questo non è accaduto questa volta. Se ci fosse un attacco terroristico contro i centri nervosi elettrici della città, forse la situazione sarebbe diversa, perché in quel caso si avrebbe la percezione di un nemico che attacca, mentre qui c’è la debolezza, la fragilità del sistema tecnico-scientifico.

 

D. – Il blackout ha determinato anche un parziale oscuramente dell’informazione verso la zona colpita. Quanto viene amplificata la paura dalla mancanza di conoscenza dei fatti, degli avvenimento?

 

R. – Può agire in senso positivo o negativo. La non-percezione dei fatti può, da un lato, isolare. In alcuni individui può provocare appunto una sorta di isolamento psicologico e, quindi, di staticità. In altri, la mancanza di informazione può dare vita ad un senso di panico. In questo caso, direi che ha prevalso la socializzazione e la percezione dell’identità urbana. Non so cosa potrebbe accadere se l’attacco fosse di carattere terroristico.

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UNA VITA DA RISCOPRIRE OGNI GIORNO: QUELLA DI RAUL FOLLEREAU

ACCANTO AI LEBBROSI, LOTTANDO CONTRO L’INDIFFERENZA E L’EGOISMO

VERSO L’UMANITA’ SOFFERENTE

 

 

Ricorre oggi il centenario della nascita di Raoul Follereau, l’uomo che con la sua opera si mise a servizio dei lebbrosi. Per quarant’anni lavorò per sconfiggere la lebbra che ancora oggi è diffusa in 91 nazioni. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oltre duecento persone si ammalano ogni giorno, più di 1 al minuto; maggiormente colpiti i Paesi più poveri come la Repubblica Democratica del Congo, l’Uganda, la Tanzania e l’India, in cui si vive con meno di 1 euro al giorno. Il servizio di Benedetta Capelli:

 

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(musica)

 

Il poeta dei lebbrosi, il giornalista delle denunce sociali, il servo dei poveri: questo fu Raoul Follereau. A 32 anni, durante un viaggio in Costa D’Avorio a seguito del missionario Charles de Foucauld, visitò il villaggio di Adzopè devastato dalla lebbra. Quello fu l’inizio di una nuova vita. In 10 anni, 1200 conferenze per dare voce alla sofferenza di quella gente; il risultato fu la fondazione della “città dei lebbrosi” ad Adzopè, una struttura per evitare l’emarginazione. Nel ’54, l’istituzione della “Giornata Mondiale dei malati di lebbra”, a cui partecipano ancora oggi 150 Paesi. Vinse l’indifferenza dei grandi del suo tempo, mandando lettere ad Eseinhower e Kruscev. In piena guerra fredda, chiese ai due presidenti l’equivalente del costo di due bombardieri per guarire i malati di lebbra. E tra il ’64 e il ’69 promosse la campagna “il costo di un giorno di guerra per la pace”, a cui aderirono 4 milioni di persone. Ma quali furono i valori che lo animarono? Ce lo spiega il presidente dell’Associazioni Amici di Raoul Follereau, il dott. Enzo Venza:

 

“I suoi valori universali, che oggi chiameremmo anche ‘globali’, e sono l’attenzione agli ultimi, lebbrosi al primo posto, a cui lui dedicò, insieme alla moglie, tutta la sua vita; la salvaguardia dei diritti della persona – al primo posto il diritto alla salute. Ecco, questo fu uno dei suoi punti fondamentali in cui intervenne nella sua vita a favore proprio dei lebbrosi che rappresentavano l’icona dell’umanità sofferente. E poi anche la lotta all’indifferenza, che lui chiamava “l’altra lebbra”: per questo oggi noi più che commemorare la figura di Follereau, vogliamo in questo senso ‘riscoprirla’”.

 

Il motore dell’opera di Follereau fu l’amore verso il più debole. “Il mondo ha fame di grano e tenerezza”, diceva, e in questa frase è condensato lo spirito del suo agire. Nemmeno la morte, avvenuta a Parigi nel 1977, ha spento il suo grido. Oltre 22 associazioni in vari Paesi del mondo hanno raccolto il suo testamento spirituale, un messaggio carico di denuncia e forza, come ribadisce il dott. Venza:

 

“Il messaggio di Follereau ha una sua evoluzione nel tempo, nel senso che lui cominciò con il dire che la lebbra si può vincere, però poi, negli anni successivi, cominciò a dire che ai lebbrosi debbono essere riconosciuti gli stessi diritti delle altre persone e degli altri malati; e infine, approda ad un altro concetto: lebbrosi siamo anche noi, perché la nostra indifferenza favorisce un po’ questa situazione di ingiustizia. E questo messaggio ci invita oggi a costruire quello che noi chiamiamo un mondo di pace e di giustizia, un mondo di salvaguardia dei diritti –  pensiamo che ancora ci sono 700 mila lebbrosi ogni anno – e ci invita anche a costruire un mondo in cui l’informazione sia proprio al servizio della verità. L’obiettivo di Follereau non era soltanto di aiutare le persone che stavano distanti, ma anche di impegnarsi nel posto in cui si vive. Naturalmente con dimensioni e con mezzi diversi, perché altrimenti questo impegno diventa alienante”.

 

E il vagabondo della carità, Follereau diceva: “E’ amando che salveremo l’umanità. La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno”.

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LA MORTE IN ESILIO DELL’EX DITTATORE UGANDESE IDI AMIN DADA

RICHIAMA UNA RIFLESSIONE SUI TANTI ORRORI E CONFLITTI

CHE HANNO ATTRAVERSATO L’AFRICA DAGLI ANNI ’60 AD OGGI

 

 

È morto ieri in un ospedale di Gedda, in Arabia Saudita, Idi Amin Dada, ex dittatore ugandese fra il 1971 ed il 1979 e protagonista di uno dei più feroci e sanguinari regimi della storia africana. Nei suoi 8 anni di governo, Amin impose al Paese la legge del terrore, uccidendo – secondo le organizzazioni per i diritti umani – circa 400 mila oppositori. A Domenico Quirico, esperto di questioni africane del quotidiano “La Stampa”, Andrea Sarubbi ha chiesto di tracciare un ritratto dell’ex dittatore:

 

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R. – Il conto delle vittime di Amin Dada è molto complicato. Certamente Amin è stato un dittatore, spietato feroce, sanguinario. E’ stata anche l’espressione di tutti gli orrori che hanno attraversato l’Africa dal ’60 ad oggi. E’ stato un prodotto del colonialismo e la proiezione tra le più feroci del post-colonialismo. Sono stati gli inglesi che gli hanno insegnato i metodi della guerra sporca – aveva combattuto nella repressione della rivolta dei Mau-Mau in Kenya – e poi è diventato l’espressione di una classe dirigente africana, dell’Africa diventata indipendente. Certamente non è stato un caso isolato, anzi è stato uno dei tanti dirigenti africani che hanno assassinato l’Africa in questi ultimi 40 anni.

 

D. – Un prodotto del colonialismo diceva lei, anche perché senza l’appoggio della Gran Bretagna non sarebbe riuscito a fare il colpo di stato nel 1971…

 

R. – Assolutamente si, se non ci fosse stato l’appoggio della Gran Bretagna e l’appoggio di Israele, Idi Amin non sarebbe mai diventato capo dell’Uganda, Gli inglesi e gli israeliani non si fidavano di Obote, che era il presidente dell’indipendenza e un personaggio anche lui assai poco democratico, molto discutibile e molto discusso e favorirono il colpo di Stato di Amin, pensando che tutto sommato quel ex-sergente e semianalfabeta potesse essere manovrato molto più facilmente di Obote. Sbagliarono completamente i loro calcoli perché sappiamo che Idi Amin era dotato di una sua – come dire – furbizia politica stranamente sofisticata, assai più sofisticata di quanto immaginassero i suoi ‘burattinai’! Cacciò gli israeliani e si appoggiò agli arabi, costrinse gli inglesi a portarlo su una portantina per pareggiare i conti dell’umiliazione coloniale, ecc.ecc.

 

D. – Ma non fu soltanto Israele ad avere problemi con lui. Penso a diversi Stati africani, per esempio il Sud Africa: voleva attaccare il Sud Africa per combattere – diceva – l’apartheid ...

 

R. – Sì. Fece anche un tentativo peraltro abbastanza patetico di invasione della Tanzania, ossessionato da questa necessità dello sbocco al mare ... Ecco, forse il rischio che c’è stato con Idi Amin è stato quello di etichettarlo nella categoria dei personaggi pittoreschi oppure di un pittoresco molto sanguinario e molto ‘noir’. In realtà, politicamente è stato un personaggio assai più sofisticato di quanto possa apparire nell’aneddotica spesso – devo dire – anche abbastanza falsa che lo circonda. Idi Amin aveva capito una cosa fondamentale: che in quegli anni, presentarsi come ‘terzomondista’, come filo-sovietico, filo-arabo, anti-israeliano eccetera, rendeva politicamente. Effettivamente, ha reso politicamente a Idi Amin. C’è stato un periodo in cui questo personaggio che massacrava migliaia di persone era considerato un eroe africano: veniva ricevuto con tutti gli onori nelle varie capitali dell’Africa, partecipava ai congressi dell’Organizzazione per l’unità africana, era considerato praticamente un personaggio importante ed autorevole. E questo dovrebbe fare molto riflettere!

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EMOZIONE IERI A SIENA PER IL PALIO DEDICATO ALLA MADONNA DELL’ASSUNTA,

VINTO DALLA CONTRADA DEL “BRUCO”:

UNA TRADIZIONE POPOLARE CHE SI RINNOVA NEI SECOLI

 

 

E’ del “Bruco” il Palio dell’Assunta 2003. La 35.ma vittoria per la contrada gialloverde è stata conquistata dal cavallo Berio, montato dal fantino Luigi Bruschelli, detto Trecciolino. Per la mossa valida la piazza ha dovuto attendere oltre un’ora, con 11 chiamate fra i canapi e tre false partenze. Almeno due i cavalli infortunati, tra questi uno in maniera grave. Nel dopo Palio, dedicato alla Madonna dell’Assunta, anche tafferugli fra i contradaioli. Una manifestazione che ogni anno apre anche qualche polemica sull’opportunità di tramandare un evento che, comunque, affonda le sue radici nei secoli passati ed ha forti legami con la tradizione religiosa della città toscana. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Antonio Buoncristiani, arcivescovo di Siena.

 

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R. – Il significato religioso viene dalla storia, perché i palii più antichi erano fatti in onore della Madonna: ad esempio quello documentato in onore della Madonna di Provenzano del 1500, ma anche prima nei secoli ci sono memorie e tradizioni. Il palio è qualche cosa che viene portato in Cattedrale. C’è un drappellone, un’icona si potrebbe dire, su seta, che viene dato poi al vincitore ma che viene conservato in Cattedrale, benedetto dall’arcivescovo e poi riportato in Piazza del Campo. La sera poi, alla fine del Palio, i vincitori tornano in Cattedrale per rendere grazie alla Madonna, con una religiosità popolare molto accentuata. Il legame è strettissimo, tanto che non si potrebbe vedere il Palio senza la devozione mariana dei senesi.

 

D. – Mons. Buoncristiani, perché il palio di Siena si corre il 16 e non il 15 che è il giorno della Festa dell’Assunta?

 

R. – Chi è a Siena si rende subito conto con facilità di quale è il motivo. Il Palio ha tutto un suo complesso rituale di sorteggi, di prove che hanno bisogno di più giorni, in realtà. Il giorno della Festa poi è il giorno della Festa. La Festa è soprattutto caratterizzata alla vigilia dal corteo del cero, la mattina dalla Messa dell’arcivescovo con tutte le autorità e con tutti i rappresentanti delle contrade. C’è poi il corteo pubblico a cui prendono parte l’arcivescovo con il sindaco e tutti gli altri, fino alla consegna, in un teatro, del premio ‘Mangia d’oro’, che rappresenta, in qualche maniera, il giorno della glorificazione della città. Il giorno, invece, della popolarità più stretta, nel senso di appartenenza più diretta, è quello del palio, ossia il giorno 16.

 

D. – Mons. Buoncristiani, il palio, che nell’immaginario collettivo vede una certa divisione tra le contrade, unisce, invece, la città di Siena? Proprio a partire forse dall’elemento religioso?

 

R. – L’elemento religioso è un elemento che sicuramente unisce. Basta vedere che tutte le contrade partecipano alla Festa dell’Assunta, partecipano alla Festa di Santa Maria in Provenzano, l’altro Palio, e partecipano all’inaugurazione dell’anno contradaiolo per la Festa di Sant’Ansano, che è il patrono della città e diocesi di Siena. L’elemento religioso, quindi, è sicuramente un elemento unificante. E’ pure vero che ci sono delle divisioni, perché le contrade sono 17 e sono 17 realtà amiche e nemiche all’interno della città. Ai senesi, tuttavia, piace molto dire che il Palio è un po’ un’immagine della vita: queste realtà contraddittorie anche, di amicizia ed inimicizia, fanno parte della vita. L’importante credo sia sottolineare quello che ci unisce ed attenuare totalmente quello che ci divide, questo nella vita di ogni giorno come anche nel Palio.

 

D. – In sostanza una festa di popolo che richiama secoli e secoli di storia di Siena e della tradizione, più in generale, anche toscana …

 

R. – Sicuramente, io penso che sia un memoriale. Chi vede il Palio di Siena in televisione non ne capisce niente, perché la vede come una gara sportiva. In realtà, è un memoriale di secoli di storia e un memoriale di una cultura, questo è molto importante. Va vissuto in un modo speciale. Ecco, un Palio non va visto, va vissuto.

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160 GIOVANI MISSIONARI NELLA RIVIERA ROMAGNOLA,

PER ANNUNCIARE IL VANGELO NEI LUOGHI DELLO SVAGO

- Intervista con don Davide Banzato -

 

 

Si conclude oggi l’iniziativa di “Evangelizzazione di Strada”, promossa dalle parrocchie di Riccione e Cattolica nei luoghi di aggregazione giovanile delle due località, con il coinvolgimento di gruppi tra cui “Sentinelle del mattino” e “Nuovi Orizzonti”. Il servizio è di Francesco Vitale:

 

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         “Chi ha sete venga a me”. Questa la scritta che per tutta la settimana si è letta su uno striscione che un aereo ha trascinato sorvolando gli stabilimenti balneari della riviera romagnola. Ma è stato anche lo slogan adottato da oltre 160 giovani missionari impegnati ad incontrare altri giovani nelle spiagge, nelle discoteche, nei luoghi più comuni con l’intento di sensibilizzarli all’evangelizza-zione attraverso catechesi, celebrazioni liturgiche, veglie notturne, spettacoli e musical. Davide Banzato, uno dei responsabili in missione, ci racconta questa esperienza:

 

R. – I giovani stanno rispondendo benissimo a tutte le iniziative, dall’animazione delle spiagge in cui raduniamo 2 mila – 3 mila persone e poi facciamo testimonianza, ai contatti personali, a tu per tu, sulle spiagge e anche di sera nelle vie principali, ai musical, agli spettacoli fino a portare i ragazzi a pregare in chiesa, a pregare sulla spiaggia con loro. Ieri dopo l’animazione abbiamo pregato con 2 mila ragazzi in spiaggia. C’erano dei giornalisti che erano sconvolti: perché tutto pensavano meno che riuscisse un’iniziativa del genere. Invece, la cosa meravigliosa è proprio vedere come queste persone hanno una grande ‘sete’ di Dio. Quello che secondo me sta funzionando di più è andare dalle persone, fermarle, chiedere: “Come stai?”, fermarsi, guardarsi negli occhi ... questo colpisce tantissimo. Poi, sono loro che ti chiedono: “Ma perché tu vuoi sapere da me come sto?”, e allora scatta la testimonianza, scatta parlare di noi, del nostro incontro con Gesù Cristo risorto, la gioia di stare con loro e proponiamo loro di pregare insieme sul momento, o se possiamo pregare noi con loro o se vogliono venire con noi fino alla chiesa dove c’è tutta un’altra Chiesa che li aspetta per pregare insieme, per parlare, ci sono i sacerdoti per la confessione. Vi dico che fino alle due di notte, la chiesa è rimasta aperta, piena gremita di giovani con le creste colorate, con i piercing, con i tatuaggi ... è stata una cosa spettacolare. Abbiamo avuto – così, è un esempio – sei naziskin che, contattati da un ex naziskin che adesso è qui come missionario, sono tornati alle sei e un quarto del mattino per tornare in chiesa. E lì, veramente, c’è il miracolo perché ragazzi che sono vent’anni, trent’anni che non si confessano, arrivano, li portiamo per mano fino davanti all’Eucaristia esposta: si inginocchiano e scoppiano a piangere.

 

Ad essere evangelizzati – riflette don Banzato – sono gli stessi evangelizzatori. Bisogna chiedere allo Spirito Santo la capacità di donarsi agli altri con il dialogo, la testimonianza, l’ascolto:

 

R. – C’è veramente più gioia nel donare che nel ricevere. Questo vivere alla lettera il Vangelo – “l’avete fatto a me”, una cosa che Madre Teresa di Calcutta ripeteva sempre, prendendoti la mano, diceva: “Lo hai fatto a me” – questo fare qualcosa per gli altri: poi trovi persone che ti evangelizzano. Bisogna uscire dalle parrocchie, uscire dalle chiese, andare a testimoniare; bisogna portare la gioia di Cristo risorto perché troppe persone la stanno cercando nei posti sbagliati!

 

Al termine di questa settimana, sono molti i giovani desiderosi di diventare evangelizzatori per le iniziative future. Potranno in questo modo mettere a disposizione di altri le loro esperienze e i loro talenti per vedere nei volti delle persone che incontreranno, i colori di un arcobaleno che torna ad illuminare la loro giornata.

 

Francesco Vitale per la Radio Vaticana.

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CHIESA E SOCIETA’

17 agosto 2003

 

LA LIBERIA NUOVAMENTE SULL’ORLO DELLA CRISI.

SONO STATI INTERROTTI IERI IN GHANA I COLLOQUI PER LA FORMAZIONE

DEL NUOVO GOVERNO: I RIBELLI DEL LURD AVANZANO ALTRE RICHIESTE

 

MONROVIA. = Nuovamente a rischio il processo di pace in Liberia. I negoziati per la formazione del nuovo governo, che si stavano svolgendo ad Accra, in Ghana, tra il presidente, Moses Blah, e i ribelli del movimento “Liberiano Uniti per la Riconciliazione e la Democrazia”, si sono arenati. I guerriglieri del Lurd rivendicano, infatti, le cariche di vice-presidente e presidente del Parlamento e minacciano la ripresa delle ostilità se le loro richieste cadranno nel vuoto. Il rappresentante delle Nazioni Unite per la Liberia, Jacques Paul Klein, ha invitato le parti ad essere flessibili per raggiungere un accordo; mentre il ministro del Ghana per gli Affari Esteri, Addo Akufo-Addo, ha dichiarato che le rivendicazioni dei guerriglieri non possono essere onorate, aggiungendo che “hanno già ottenuto a sufficienza”. In Liberia, intanto, è giunto un secondo contingente della forza di pace inviata dalle Nazioni dell’Africa occidentale. I 110 soldati nigeriani, salutati con entusiasmo dalla folla, provvederanno a mantenere la sicurezza tra le strade di Monrovia. Proprio nella capitale ieri sono stati distribuiti i primi aiuti umanitari tra la popolazione. (B.C.)

 

 

IL NEPAL VERSO LA PACE.

RIPRESI OGGI A NEPALGUNJ I COLLOQUI TRA GOVERNO E RIBELLI MAOISTI

 

NEPALGUNJ. = Il Nepal forse ad una svolta. Il governo di Kathmandu e i ribelli maoisti hanno ripreso oggi i colloqui per porre termine a una rivolta che dura da sette anni e ha provocato migliaia di morti. L’incontro si svolge a Nepalgunj, a 500 chilometri dalla capitale, in un’area in larga misura controllata dai ribelli. Il mese scorso i maoisti hanno accettato di prendere nuovamente posto al tavolo delle trattative dopo la scarcerazione dei loro leader. Dopo il cessate il fuoco siglato in gennaio, altri due incontri si sono svolti tra le parti, ma senza alcun esito concreto. In questa occasione, invece, si respira ottimismo da entrambe le parti. I maoisti, in particolare, auspicano la formazione di un governo provvisorio che prepari una bozza di costituzione. Quest’ultima dovrebbe ridurre e definire le prerogative del re. (B.C.)

 

 

LA CAPPELLA SISTINA SI TRASFERISCE A RIMINI CON LA MOSTRA

“LA SISTINA E MICHELANGELO. STORIA E FORTUNA DI UN CAPOLAVORO”

 

RIMINI. = “La Sistina e Michelangelo. Storia e fortuna di un capolavoro”. E’ il titolo che accompagnerà, dal 24 agosto al 16 novembre, la singolare mostra promossa dal Meeting per l'amicizia tra i popoli di Rimini ed i Musei Vaticani. L’esposizione, che si propone l’obiettivo di offrire una visione della cappella Sistina, capolavoro di Michelangelo, come nessuno l’ha mai potuta ammirare, verrà riproposta a Savona, presso il Palazzo del Commissario, dal 30 novembre al 12 aprile. Il progetto espositivo, articolato in cinque sezioni e coadiuvato da un apparato multimediale, intende così mettere a disposizione del grande pubblico, alla luce dei nuovi studi che hanno accompagnato il restauro, il messaggio che questo spettacolare edificio ha significato nella storia religiosa, culturale e artistica del Rinascimento italiano e dei secoli successivi. (B.C.)

 

 

NUOVE VITTIME IN IRAQ PER IL FUOCO DELLA RESISTENZA ARMATA.

ANCORA IN FIAMME L’OLEODOTTO DI KIRKUK

 

BAGHDAD. = La resistenza armata in Iraq ha centrato un nuovo bersaglio. Un soldato danese inquadrato nella Forza di stabilizzazione operante nel Paese è stato ucciso nella notte nel corso di uno scontro a fuoco. Nell’imboscata anche due iracheni hanno perso la vita. La coalizione britannico-statunitense, intanto, ha rimesso in libertà 200 detenuti iracheni incarcerati nel Centro di detenzione di Um Qasr, nei pressi della frontiera con il Kuwait. Tra questi, c’erano anche alcuni prigionieri di guerra. E’ ancora in fiamme, intanto, l’oleodotto che porta il petrolio iracheno dai giacimenti di Kirkuk, nel nord del Paese, al porto turco di Ceyhan. Secondo quanto hanno riferito fonti militari, l’incendio doloso ha causato diversi danni. 

 

 

IL CAMMINO DI PACE IN MEDIO ORIENTE ANCORA IN DIFFICOLTA’.

FINITO IN MANETTE IERI UN ESPONENTE DELLA JIHAD ISLAMICA

 

 

GERUSALEMME. = Resta ancora teso il clima in Medio Oriente. Un esponente della Jihad islamica, Attaf Saib Arraf Nazal, è stato catturato nella notte da un’unità militare nella città cisgiordana di Kalkilya; mentre 15 attivisti palestinesi, ricercati da Israele e incarcerati a Gerico dall’Autorità nazionale palestinese, hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la loro detenzione. Ad acuire la tensione, le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz. Il presidente palestinese, Yasser Arafat, ha detto, è “tornato a dare il via libera agli attentati”. Scettiche le reazioni di Hamas e della Jihad islamica all’annuncio di Israele sul ritiro dell’esercito da 4 città della Cisgiordania. (B.C.)

 

 

RIESPLODE LA VIOLENZA IN IRAN:

6 MORTI E 150 FERITI NEGLI SCONTRI SCOPIATI NELLA CITTA’ DI SAMIRON

PER MOTIVI DI ASETTO AMMINISTRATIVO

 

 

TEHERAN. = 6 morti e circa 150 feriti: è il bilancio, ancora provvisorio, degli scontri avvenuti negli ultimi 3 giorni nella città di Samirom, nell’Iran centrale, durante una protesta per la ridefinizione dell’assetto amministrativo. Gli incidenti hanno visto protagonisti gli abitanti del vicino villaggio di Vardasht, che protestavano contro la decisione di far rientrare lo stesso villaggio nel territorio amministrativo di un’altra città, Dahagan, anzichè in quello di Samirom. Una fonte del governatorato di Isfahan, capoluogo della regione, ha detto che ai manifestanti è stato promesso che la decisione sul riordino amministrativo del territorio sarà revocata e grazie a questo i disordini sono cessati. (B.C.)

 

 

ARRESTATO IN MESSICO IL POTENTE BOSS DEL NARCOTRAFFICO,

 ARMANDO VALENCIA CORNEJO

 

 

CITTA’ DEL MESSICO. = E’ finito in manette oggi a Guadalajara il messicano Armando Valencia Cornejo, indicato negli Stati Uniti come il boss del narcotraffico che introduce nel Paese dal 50 al 60% della droga consumata nel mercato locale. Lo ha reso noto il procuratore generale della Repubblica, Rafael Macedo de la Concha, precisando che, insieme con lui, sono stati arrestati anche 7 dei suoi principali collaboratori. Valencia Cornejo, per il quale la giustizia Usa ha disposto un mandato di cattura internazionale, ritenendolo responsabile dell’introduzione e dello spaccio di cocaina, eroina e marijuana, soprattutto a New York, Chicago e in California, è da anni il capo del cartello ‘dei Valencia’. Questo gruppo opera in combutta con i narcotrafficanti colombiani ed ha la stessa rilevanza degli altri due grandi cartelli messicani, quelli guidati da Carrillo Puente e dai fratelli Arellano Felix. (B.C.)

 

 

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