RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 228 - Testo della
Trasmissione di sabato 16 agosto 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Allarme di Legambiente in Italia per l’aumento del doping
e l’uso di sostanze illegali nello sport.
La Libia rinnega il terrorismo e gli Stati Uniti
non si opporranno alla revoca delle sanzioni imposte al Paese africano.
L’area orientale degli Stati Uniti ed la provincia
canadese dell’Ontario stanno tornando alla normalità dopo il colossale blackout
di giovedì scorso.
Nicanor Duarte Frutos è da ieri il 46.mo
presidente del Paraguay.
16 agosto 2003
PROFONDO DOLORE DEL PAPA PER L’UCCISIONE
DI DUE
MISSIONARI COMBONIANI IN UGANDA
Il Papa esprime il suo sentito
cordoglio per il “tragico assassinio” dei due missionari, padre Mario Mantovani
e fratel Godfrey Kiryowa, uccisi nel nordest dell’Uganda. In un telegramma – a
firma del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano – indirizzato al nunzio
apostolico in Uganda, mons. Christophe Pierre, il Pontefice si dice “profondamente
rattristato” per la drammatica notizia e offre ferventi preghiere per le anime
dei due missionari, mentre invia le sue sincere condoglianze ai fedeli della
diocesi ugandese di Kotido, in particolare ai familiari e agli amici delle vittime.
Affidando i fedeli colpiti da
questo grande dolore alla protezione di Maria Assunta in Cielo, il Santo Padre
prega perché possano trovare consolazione e affinché tutti siano confermati
nella loro testimonianza per l’amore e la riconciliazione sulle forze dell’odio
e della violenza. Come segno di rinnovata forza e pace, il Papa impartisce
infine la sua Benedizione Apostolica.
La Chiesa ugandese piange,
dunque, i suoi due missionari uccisi. Due figure diverse, a partire dai dati
anagrafici, eppure animate da un medesimo impegno, dallo stesso spirito
evangelico di servizio ai più deboli. Il servizio di Giulio Albanese:
**********
I due missionari comboniani sono stati uccisi da guerrieri
karimojong nel Nordest dell’Uganda. La notizia è stata riferita ieri da un portavoce
della congregazione religiosa a Kampala precisando che le vittime sono fratel
Godfrey Kiryowa, 29 anni, di nazionalità ugandese, e padre Mario Mantovani, di
84 anni, originario di Orzinuovi (provincia di Brescia), in Uganda dal 1957. Il
primo è stato freddato con tre colpi d’arma da fuoco mentre era alla guida
della sua macchina, mentre il suo confratello italiano è stato ucciso
successivamente.
Il fatto è avvenuto alle 10.30
ora locale di giovedì in località Lobel, una quarantina di chilometri a nord
della missione cattolica di Kanawat (oltre 100 chilometri a nord della città di
Moroto). Il veicolo si è trovato nel bel mezzo di una razzia di bestiame che
una banda di guerrieri dodoth stava compiendo ai danni di altrettanti
guerrieri jie. Ambedue i gruppi appartengono all’etnia nomade karimojong
che popola la regione del Karamoja, nel Nordest dell’ex protettorato britannico.
Assieme a fratel Kiryowa e a padre Mantovani viaggiava un giovane locale che è
riuscito miracolosamente a fuggire.
Uno degli aggressori di padre Mario Mantovani, forse
quello che lo ha freddato, è già da ieri nelle mani della polizia. Intanto, è
giunta notizia che il missionario comboniano sarà sepolto in una tomba affianco
alla chiesa di Kanawat, nella diocesi di Cotido, nella remota regione nel
Nordest dell’Uganda, il Karamoja, al termine della cerimonia esequiale in corso
di svolgimento mentre parliamo.
Sono numerosissimi i fedeli che da ieri sera vegliano le
salme di fratel Godfried Kiriowa e di padre Mantovani, 84 anni. Il feretro di
fratel Kiriowa verrà invece trasferito nelle prossime ore a Kassala, nella sua
parrocchia d’origine, appartenente alla diocesi di Kassanaluero nell’Uganda
centromeridionale, dove si celebreranno forse domani i suoi funerali alla
presenza dei familiari.
Domenica scorsa, nella predica durante la Santa Messa a
Kanawat, padre Mantovani aveva detto alla sua gente che, in Karamoja, “ormai la
terra è stanca di bere sangue”, facendo riferimento alle continue razzie di
bestiame tra clan rivali. Il Karamoja è una regione tormentata da queste
razzie, e il fenomeno si è acuito con un fiorente commercio clandestino di armi
leggere e munizioni.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
**********
=======ooo=======
16 agosto 2003
LA LIBIA PAGA PER LA STRAGE DI LOCKERBIE:
UNA
VIA D’USCITA DALL’ISOLAMENTO E UN PASSO PER LO SVILUPPO
-
Intervista con Sergio Romano -
Torniamo a parlare del caso Lockerbie, giunto
finalmente a conclusione dopo 15 anni. La Libia, come precedentemente detto, si
è assunta le sue responsabilità, accettando tutte le condizioni necessarie a
far smettere le sanzioni economiche in atto da 11 anni. Ma a Tripoli è stata
offerta una facile via d’uscita dalla vicenda, o sarà comunque alto il prezzo
che pagherà a Stati Uniti e Gran Bretagna? Elena Biggioggero lo ha chiesto
all’espero di politica internazionale Sergio Romano:
**********
R. – No, il prezzo è piuttosto alto: la Libia lo paga
perché a questo punto è con le spalle al muro, non è più nella condizione di
mantenere la sua linea estremamente rigida, ha bisogno di allacciare rapporti
economici con l’Europa, tra l’altro ha programmi di sviluppo estremamente
impegnativi che non possono essere realizzati in situazione di embargo ...
insomma, la Libia paga. Intendiamoci, la responsabilità che la Libia accetta è
per così dire una ‘responsabilità obiettiva’: Gheddafi continua a negare di
avere dato istruzioni affinché questo attentato terroristico fosse compiuto, ma
dal punto di vista pratico è un’ammissione di responsabilità.
D. – Che significato ha l’accettazione della
responsabilità dell’attentato di Lockerbie da parte della Libia rispetto al
futuro politico del Paese, un Paese che sta gradualmente avvicinandosi
all’Occidente?
R. – Anzitutto, non bisogna dimenticare che la Libia è
sempre stata, sotto Gheddafi, un regime secolare, un regime laico in cui spazio
per fondamentalismi ismaici non ce n’è mai stato molto. Gheddafi rappresentava
un interlocutore pressoché ideale all’interno di un contesto islamico in cui il
fondamentalismo invece era ed è particolarmente presente. Soltanto che aveva
dato altre prove di intraprendenza politica, per così dire, finanziando
movimenti terroristici un po’ dappertutto nel mondo. Oggi, evidentemente, si
sente isolato, ha capito che la presenza degli Stati Uniti nella regione sta
diventando estremamente significativa, vuole l’appoggio di quei Paesi europei
con cui da tempo ha comunque dei rapporti abbastanza positivi – l’Italia, ad
esempio, è certamente uno di questi – e allora paga. Paga per uscire
dall’isolamento e paga perché credo che questo gli garantisca quanto meno la
prospettiva di uno sviluppo economico che la Libia può raggiungere, può cercare
di raggiungere. Adesso è inutile, naturalmente, avventurarsi troppo nelle
previsioni, ma la Libia potrebbe rappresentare – pur essendo un Paese piccolo,
demograficamente, un modello di sviluppo per un mondo islamico in cui di
sviluppo ce n’è stato molto poco.
D. – E proprio riguardo all’immagine di Gheddafi: questa
vicenda rilancerà la sua immagine come possibile leader dell’Unione africana?
R. – Anzitutto, bisogna essere certi che la vicenda
Lockerbie vada definitivamente in porto: una piccola ombra esiste ancora. La
Francia ha minacciato di usare il diritto di veto in Consiglio di Sicurezza perché
chiede, esige che una soluzione altrettanto favorevole venga trovata su un
incidente terroristico analogo: l’abbattimento di un aereo francese sul Ciad,
parecchi anni fa. Ma è probabile che una soluzione, alla fine, si trovi. A me
sembra che le prospettive ci siano e siano positive. La Libia presenta delle
caratteristiche molto interessanti; naturalmente, in particolare per noi: noi
siamo molto interessati allo sviluppo della Libia, non abbiamo mai cessato di
essere il maggiore cliente della Libia e abbiamo naturalmente interesse ad
inserirci nei piani di sviluppo della Libia, a mano a mano che questi
diventeranno sempre più efficaci, sempre più operanti.
**********
A UNA
DIFFICILE PACE
-
Intervista con mons. Laurent Monsengwo -
Un anno dopo la firma degli accordi di Pretoria sul ritiro
delle truppe straniere dalla Repubblica Democratica del Congo e sulla
transizione politica, il Paese non conosce ancora la pace. I timori espressi da
numerose Ong nella primavera scorsa si sono verificati. Gravi combattimenti
sono ripresi nell’Ituri, nella regione di Bunia, dove soltanto l’intervento di
una forza internazionale, la Monuc, li ha fermati, limitandosi però a
pacificare la zona urbana. Centinaia i morti, moltissime le persone fuggite
nella foresta. Intanto, mentre l’Unione europea ha deciso lo stanziamento di 4
milioni di euro per affrontare l’emergenza alimentare causata dalla guerra
civile, la situazione nell’ex Zaire è sempre drammatica, come testimonia, al
microfono di Jean Charles Putzolu, mons. Laurent Monsengwo, arcivescovo di
Kisangani.
**********
R. – DE TOUTE MANIERE, DEPUIS QU’ON A DECIDE ...
Da
quando si è deciso di sostituire “l’Africa dei colonnelli” con “l’Africa dei
signori della guerra” ci si deve aspettare che certe cose accadono. Ora si
tratta di fare in modo che gli accordi di Pretoria siano rispettati lealmente.
Ciò che accade nella RDC lo si deve ad una più generale situazione di
smantellamento delle strutture di stabilità dell’Africa dopo la guerra fredda.
I signori della guerra pongono un problema morale che la geopolitica mondiale
sembra non prendere in considerazione.
D. – Secondo lei è una situazione temporanea, di
passaggio?
R. – ÇA PEUT
DURER. NOUS AVONS ACTUELLEMENT ...
Può durare. Attualmente al potere si installano persone
che hanno le mani sporche di sangue, bisogna quindi aspettarsi che i signori
della guerra continuino ad esserlo anche quando sono al governo. L’Africa
conoscerà un momento di instabilità e spero che la Chiesa la aiuti a stabilizzarsi.
D. – La Chiesa ha già pagato un caro prezzo in questa
situazione …
R. – C’EST ÇA LE MALHEUR ET ÇA N’A PAS L’AIR D’ETRE
CASUEL ...
E’
questo il dramma e non sembra essere un caso perché è la Chiesa che è al
servizio del popolo, è la Chiesa che può avere il peso morale per aiutare le
popolazioni e per difendere certe verità trascendenti. E per questo è presa di
mira. Cercando di essere obiettivi, si ha l’impressione che si vogliano
distruggere la Chiesa e le sue infrastrutture affinché non sia più in grado di
rimanere al servizio della popolazione, come sta facendo ora, con molta
devozione. Non staremo zitti, ma non abbiamo più i mezzi di azione che ci
permettono di aiutare la gente, e questo è ancora peggio.
D. – Lei rifiuta quindi di stare in silenzio … si sente
minacciato ?
R. – J’AI TOUJOURS
ETE DANS LE RISQUE D’ATTACQUE ...
Sono sempre stato un possibile obiettivo di un attacco e
quindi non me ne preoccupo più.
D. – Secondo
lei, è utile la presenza della Monuc, la forza multinazionale dell’Onu
attualmente in RDC ?
R. – NON PAS
SEULEMENT UTILE, ELLE EST INDISPENSABLE ET NECESSAIRE. ...
Non soltanto è utile, è indispensabile e necessaria, ma
occorre dare alla Monuc gli strumenti per agire, più uomini, occorre aumentare
le sue possibilità militari ed economiche affinché possa essere dissuasiva. E’ complicato, ma se questo
fosse accaduto sin dall’inizio, prima ancora che la popolazione fuggisse nella
foresta, si sarebbe potuto fare qualcosa. Ciò che servirebbe adesso è che altri
paesi inviassero uomini, e non soltanto paesi del terzo mondo.
D. – Crede possibile un’uscita
più o meno rapida da questa situazione? Quando si assiste al riesplodere delle
crisi si ha l’impressione che non si risolverà mai …
R. – LES DECISIONS
QU’ON A PRISES ET LE REGIME POLITIQUE ADOPTE ...
I risultati dei negoziati di Pretoria hanno portato ad una
costituzione consensuale, sicuramente da perfezionare, ma che già da adesso è
un riferimento per tutti. Se sarà seguita da tutti, il paese potrebbe essere in
grado poco a poco di rimettersi in moto. Ma occorre tanta buona volontà e
umiltà da parte delle varie componenti del paese. Con questa costituzione, se
rispettata da tutti, si potrà andare verso uno stato di diritto, ma bisogna
anche dire che le ragioni della guerra in Congo non sono soltanto interne, e
questo è un problema che rimane.
**********
LA STORIA DELL’AGONISMO SPORTIVO
NEL MONDO CLASSICO IN SCENA A ROMA,
PRESSO IL COLOSSEO, CON LA MOSTRA “NIKE. IL GIOCO E LA
VITTORIA”
Dopo il
successo della mostra “Sangue e Arena”
del 2001, la maestosa cornice del Colosseo a Roma accoglie un’altra suggestiva
esposizione: “Nike. Il gioco e la vittoria”. Oltre 90 opere, tra statue,
vasi, rilievi, mosaici e attrezzi ginnici, ripercorrono la storia dell’agonismo
sportivo nel mondo classico. Divisa in quattro sezioni, la rassegna, che
rimarrà aperta al pubblico fino al 7 gennaio 2004, è stata scelta per inaugurare il semestre della
Presidenza italiana dell’Unio-ne Europea, nonché per promuovere ed evidenziare
i modelli formativi dell’arte e dello sport. Il servizio è di Barbara Castelli.
**********
(musica)
Un lungo e suggestivo viaggio, in
cui l’arte abbraccia i testi classici, per rivivere l’autentico “spirito della
gara”, il cui fine ultimo non è partecipare o guadagnare ma vincere.
Grazie alla mostra “Nike. Il gioco e la vittoria” sembrano così rivivere al Colosseo, a Roma, le
gesta di atleti e sportivi di un tempo ormai trascorso, quando i premi per il
vincitore non erano oro e denari, ma una corona d’alloro e gloria e fama
imperiture, talmente grandi da attraversare i secoli e giungere pressoché
intatte fino ai nostri giorni.
Filo conduttore
dell’esposizione è il diverso valore che i Greci e i Romani davano allo sport e
al successo, dalle Olimpiadi ai giochi dei gladiatori, dall’agonismo, come
parte della formazione e della realizzazione dell’individuo, a spettacolo di
massa.
Lungo
l’esposizione, che si apre con la splendida Nike di Napoli, si dipana, quindi,
il racconto del gioco, dalle origini greche, raffinate e
intrise di filosofia, fino all’idea romana cruda e violenta del gioco. Quattro
le sezioni in cui è articolata la mostra: i giochi in Grecia, la vittoria, la gloria dell’atleta e
del guerriero e i giochi a Roma, tutte accompagnate da splendidi pezzi
provenienti dai maggiori musei italiani. Fondamentale la figura della Nike,
infine, la divinità greca della vittoria, la figura femminile alata che porgeva
all’atleta la corona o la benda, rappresentando il fuggevole attimo della
conquista del primato. Ma come è cambiato l’agonismo sportivo attraverso i
secoli? Abbiamo girato la domanda a Eugenio Polito, ricercatore di archeologia
classica all’Università di Cassino.
R. – L’agonismo sportivo ha conosciuto un’eclisse
attraverso il Medio Evo ed i primi secoli dell’età moderna, pur esistendo
alcune forme che si possono qualificare come sport anche in questo periodo, ed
è rinato in maniera quasi un po’ forzata attraverso il pensiero di alcuni
teorici come il celebre de Coubertin. La distanza però è notevole, perché lo
sport teorizzato da de Coubertin è uno sport fine a se stesso, è uno sport in
cui non conta la vittoria ma la partecipazione: questo è un aspetto che invece
non esiste nell’antichità. Lo sport è competizione, lo sport punta alla
vittoria: il secondo posto non conta. Se si vulo,e c’è più vicinanza con lo
sport professionistico odierno, ma non bisogna dimenticare che nell’antichità
lo sport praticato professionalmente e lo sport invece praticato dai cittadini
come parte della propria formazione, sono due forme di sport che vanno di pari
passo per tutta l’antichità.
D. – Può illustrare alcune della prestigiose opere che
costellano la mostra?
R. – Le highlights della mostra sono senz’altro il
‘pugile delle terme’, che è uno splendido bronzo di un pugile seduto; il ‘discobolo
lancellotti’, che è la copia più celebre del ‘discobolo’ attribuito a Mirone;
ma si segnalano anche cosiddetti ‘corridori di Ercolano’ e fra le opere non di
scultura io ricorderei almeno i grandi corredi come quello del guerriero di
Lanuvio, che è un corredo che comprende una superba armatura ma anche elementi
che fanno riferimento al mondo sportivo, come ad esempio lo strigile e il disco
per il lancio.
**********
=======ooo=======
16 agosto 2003
PER LA PRIMA VOLTA SARA’ UN CITTA’
ARABA AD OSPITARE LA PROSSIMA RIUNIONE
DEL
FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E DELLA BANCA MONDIALE,
PREVISTA
A PARTIRE DAL 18 SETTEMBRE NELL’EMIRATO DI DUBAI
DUBAI.
= L'Emirato arabo di Dubai ha iniziato i preparativi per accogliere l'evento
dell'anno: il prossimo settembre sarà la prima città araba ad ospitare la
riunione annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Vi
parteciperanno i rappresentanti di 184 Stati membri delle due organizzazioni,
fra i quali è anche Israele. Per l'occasione è previsto l'arrivo di 14 mila
visitatori. La riunione inizierà il 18 settembre e si protrarrà per 10 giorni.
3 mila operatori dell'informazione che hanno già annunciato la loro presenza.
L'evento verrà gestito da un team di 5 mila persone addette. La somma investita
per realizzare l’intero progetto è di circa un miliardo di dirham, circa 300
milioni di dollari, finanziati anche dagli altri governi federati degli
Emirati. Dubai è la ventesima città dal 1946 ad ospitare la riunione della
Banca Mondiale e del Fondo monetario Internazionale accogliendo (R.G.)
PAUROSO AUMENTO IN ITALIA DEL DOPING, CHE MUOVE NEL
MONDO UN GIRO D’AFFARI DI 4 MILIARDI DI EURO L’ANNO.
TRA LE
SOSTANZE INCRIMINATE L’EPO,
DIVENUTO
IL SECONDO FARMACO PIU’ VENDUTO NEL GLOBO PER L’USO ILLEGALE
CHE SE
NE FA NELLO SPORT. DIETRO IL FENOMENO LE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI
ROMA. = Si tratta di “un mercato che in Italia cresce del
30 per cento annuo e che movimenta nel mondo circa 4 miliardi di euro”. Questi
i numeri sulla diffusione dell’ormone eritropoieico, l’Epo, al centro del fenomeno
doping. A rilanciare l’allarme sul colossale giro d’affari è Enrico Fontana
responsabile del settore legalità di Legambiente. In base a dati del Coni – ha ricordato Fontana - la diffusione di
Epo “è tale da averne fatto il secondo farmaco più diffuso nel globo. E poi c’è
il Gh, l’ormone somatotropo o della crescita”. Fontana osserva come in Italia le vendite di questi
dopanti siano in aumento “del 25 per cento all’anno”. “Nel 1999 - spiega -
la spesa si aggirava attorno ai 160
miliardi di lire. Ma ad averne bisogno
per curarsi sono, stando ai registri nazionali, non più di 3 mila ragazzini
affetti da nanismo. Tutto il resto va in doping. E molto spesso dietro il doping
c’è la mano della criminalità”. Un’inchiesta di tre anni fa del ministero della
Sanità - spiega Legambiente in una nota - parlava di un giro d’affari pari a
510 miliardi di lire nel nostro Paese per Epo e Gh. Ad oggi il mercato
complessivo dei farmaci con valenza dopante, sommando il legale e l’illecito,
arriva a toccare i 650 milioni di euro. “Eccolo il mercato del doping -
aggiunge Fontana - un mercato amplissimo che troppo spesso si incrocia con la
rete delle organizzazioni criminali”. Ad oggi sono 40 - secondo stime di
Legambiente - le Procure che hanno aperto indagini sul doping e le cifre
parlano di un giro d’affari di circa 330 milioni di euro. (R.G.)
CRESCE LA PRESENZA CATTOLICA IN
MONGOLIA, GRAZIE ALL’IMPEGNO
DEI
MISSIONARI DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA, CHE DA UNA DECINA DI ANNI
OPERANO
CON ATTIVITA’ RELIGIOSE E DI SOSTEGNO SOCIALE
NELLA
PREFETTURA APOSTOLICA DI ULAANBAATAR
ULAANBAATAR.
= Corsi di inglese, arte, attività manuali: sono alcune delle aree di impegno
dei missionari in Mongolia, che stanno assistendo ad una rapida crescita della
Chiesa cattolica in un Paese povero e in maggioranza di religione animista. A
undici anni dall’arrivo dei primi missionari della Congregazione del Cuore
Immacolato di Maria, cui è stata affidata la Missione sui iuris di
Ulanbator elevata l’anno scorso a Prefettura apostolica di Ulaanbaatar, i
cattolici i sono oggi quasi 200. La crescita è costante anche se il numero non
dice quanto sia radicata la loro presenza sul territorio. Tra i missionari
Cicm, cui appartiene il prefetto apostolico di Ulaanbaatar, mons. Wenceslao
Padilla, figura anche un religioso congolese, Felicien Kadiebue, una presenza
singolare in pieno continente asiatico.
“Noi - spiega il religioso africano – cerchiamo di sostenere le persone
in cui vediamo dei talenti, dando loro l’opportunità di frequentare corsi di
pittura, musica, canto, ricamo. Si tratta comunque di attività al di fuori di
quelle pastorali, che svolgiamo regolarmente attraverso il catechismo o la
visita alle famiglie”. Molto richiesto è anche l’insegnamento dell’inglese,
“perché i più giovani desiderano proprio impararlo”. (L.Z.)
IN ORBITA PER LA PRIMA VOLTA UN SATELLITE CANADESE
PER STUDIARE
LA FASCIA DI OZONO E LE POSSIBILI RELAZIONI CON
I CAMBIAMENTI CLIMATICI
TORONTO.
= Un satellite scientifico canadese è in orbita nell'atmosfera terrestre per
studiare lo stato della fascia di ozono e prevedere i futuri cambiamenti
climatici. Il satellite Scisat, realizzato dall'Agenzia spaziale canadese e lanciato in orbita dalla Nasa,
opera ad un'altezza di 650 chilometri dal suolo, per raccogliere informazioni
sulla composizione dell'ozono nelle parti superiori dell'atmosfera. La missione
di Scisat permetterà anche di valutare l'impatto dei gas contenenti
clorofluorocarburi (Cfc) sull'assottigliamento della fascia di ozono e
l'eventuale relazione con i mutamenti climatici. Scisat è il primo piccolo
satellite di costruzione canadese lanciato negli ultimi trent'anni: la missione
ha un costo di 43 milioni di dollari e durerà al massimo due anni. Lo strato di
ozono protegge la terra dai raggi ultravioletti: al di sopra della zona artica
del Canada la pellicola di ozono si è ridotta fino al 45 per cento; sulla
calotta antartica si è assottigliata fino al 70 per cento. (R.G.)
DAL 28 SETTEMBRE AL 6 GENNAIO GRANDE MOSTRA A
PARMA SU
“IL
MEDIOEVO EUROPEO DI JACQUES LE GOFF”, OMAGGIO ALLO STORICO FRANCESE
E ALLA
SUA VISIONE DI UN’ EUROPA UNITA, NATA
DALL’INCONTRO
DI
DIVERSE COMPONENTI ETNICHE,
FUSE INSIEME
SOTTO IL SEGNO DEL CRISTIANESIMO
PARMA.
= Parma rende omaggio ad uno dei più grandi storici del Novecento, il medievalista
francese Jacques Le Goff con la mostra, “Il Medioevo europeo di Jacques Le
Goff”. L’esposizione verrà allestita dal 28 settembre al 6 gennaio nei Voltoni
del Guazzatoio del Palazzo della Pilotta, parte integrante della Galleria
Nazionale. Simbolo della mostra è una colomba proveniente dal Museo diocesano
di Fidenza, a sottolineare come l'Europa pensata e auspicata dallo storico
debba essere collocata sotto il segno della pace. Scelti dallo studioso giungono
a Parma dai più famosi Musei europei cinquanta pezzi: capolavori artistici e
oggetti della vita quotidiana, manoscritti, sigilli, miniature, arazzi chiamati
ad illustrare il Medioevo europeo che Le Goff ha descritto nelle sue
rievocazioni storiche. I pezzi saranno il filo conduttore per un percorso
articolato che vuole illustrare un'idea di Europa unita, ma diversa per caratteristiche
e consuetudini: a predominare sarà
l'Occidente cristiano, ma non mancano opere che richiamano il mondo
arabo e quello ebraico. La diversità delle culture verrà evocata
dall'accostamento di oggetti islandesi, slavi, irlandesi, vichinghi. E' in
questo modo realizzata la visione storiografica di Le Goff: quella di un
Medioevo dalla lunga durata e di un'identità europea nata grazie alla
combinazione di diverse componenti etniche e culturali fuse insieme sotto il
segno del Cristianesimo. (R.G.)
=======ooo=======
16 agosto 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Dopo 15 anni la Libia ha ammesso le proprie responsabilità
sulla strage di Lockerbie, costata nel 1988 la vita a 270 persone, in una
lettera alle Nazioni Unite nella quale afferma di rinunciare al terrorismo e si
impegna a cooperare con gli Stati Uniti nell’inchiesta sull’attentato. Dopo la
consegna della lettera, la Casa Bianca ha fatto sapere che gli Stati Uniti non
si opporranno alla revoca delle sanzioni imposte, nel 1992, dall’Onu alla
Libia. Il servizio di Andrea Sarubbi:
**********
Non è ancora riconciliazione, ma ci manca poco. Un taglio
al passato – la Libia ammette le proprie responsabilità e conferma il
risarcimento di 10 milioni di dollari per ognuna delle 270 vittime – ed un
impegno per il futuro: quello di rinnegare il terrorismo, collaborando con
eventuali nuove inchieste. Per la Gran Bretagna, nei cui cieli avvenne
l’attentato, tutto ciò basta a voltare pagina: Londra presenterà nei prossimi
giorni una risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, chiedendo la revoca
delle sanzioni. Ma i tempi di un ritorno alla normalità potrebbero essere più
lunghi del previsto, perché gli Stati Uniti non si accontentano: chiedono a
Tripoli garanzie sulla politica contro le armi di distruzioni di massa e sul
rispetto dei diritti umani. Finché non le avranno, manterranno il proprio
embargo e non cancelleranno la Libia dalla lista dei Paesi che sostengono il
terrorismo. Due passi indispensabili anche perché, fino ad allora, il governo
di Gheddafi non pagherà che una parte del risarcimento alle famiglie delle vittime.
**********
Stava preparando un attentato contro il Forum della cooperazione
economica tra Paesi asiatici e del Pacifico, in programma per ottobre a Bangkok, a cui parteciperà anche il
presidente degli Stati Uniti, George Bush. Si tratta del capo terrorista indonesiano
Hambali, arrestato in Thailandia la scorsa settimana. I piani dell’uomo sono
stati confermati dal primo ministro thailandese, Shinawatra. Il capo della
Jemaah Islamica è accusato anche di aver organizzato gli attentati
anti-americani a Bali e all’hotel Marriot di Giakarta.
Sta tornando alla normalità la
situazione di diverse zone centrorientali degli Stati Uniti
e della provincia canadese dell’Ontario che, giovedì
scorso, sono state colpite dal più grande blackout della
storia. Il presidente americano, George Bush, ha escluso la matrice
terroristica ma le cause che hanno determinato l’interruzione di corrente non
sono ancora state individuate.
Passiamo al Medio Oriente dove,
dopo giorni drammatici, si intravedono timidi spiragli di pace. Ieri Israele ha
liberato altri 76 prigionieri palestinesi, ed in serata si sono incontrati il
ministro della difesa israeliano, Shaul Mofaz,
e quello della sicurezza palestinese, Mohammed
Dahlan. Dal vertice sono emersi segnali positivi, come ci conferma Graziano
Motta:
**********
Oltre che ritirarsi dalle città di Gerico e di Kalkiria,
la settimana ventura, e poi, tra una decina di giorni, da quelle di Ramallah e
di Tulkarem, i soldati israeliani alleggeriranno parecchie restrizioni alla
circolazione delle persone. L’accordo è però sottoposto a due condizioni: che
non si verifichino attentati e che i palestinesi presentino un piano di
controllo dei loro attivisti ricercati per impedire che compiano atti di
terrorismo. Non si sa ancora quale sarà la sorte riservata ad Arafat, con il
ritorno sotto controllo palestinese di Ramallah dove la sua residenza è
attualmente circondata da militari israeliani. Secondo voci non confermate, il
rais potrà recarsi a visitare la tomba di sua sorella, morta di recente. L’incontro
Mofaz-Dahlan, voluto dagli Stati per salvare il processo di pace compromesso
dagli ultimi attentati terroristici in Israele, non ha soddisfatto i movimenti
integralisti islamici: ieri a Gaza alcune migliaia di militanti di Hamas hanno
sfilato per chiedere la liberazione di tutti i loro prigionieri ed hanno
attaccato con armi automatiche due postazioni di soldati.
Per la Radio Vaticana, Graziano Motta.
**********
Quella
di ieri in Iraq è stata un’altra giornata all’insegna della tensione. Convogli
militari americani hanno subito due attacchi in aree ad Ovest di Baghdad, e
secondo testimoni ci sarebbero alcuni feriti. Sempre ieri, più di mille fedeli
si sono radunati in preghiera a Sadr City, popoloso quartiere sciita della capitale,
dove mercoledì scorso militari statunitensi avevano ucciso un bambino e ferito
quattro iracheni. Nel corso della manifestazione di protesta sono stati scanditi
slogan anti-americani.
Più di
cento corpi sono stati estratti da una fossa comune situata nella Bosnia orientale.
Potrebbe trattarsi della più grande fossa comune scoperta nella regione. Lo
hanno riferito i medici legali che hanno partecipato ai lavori di recupero. La
fossa potrebbe contenere fino a 500 corpi di persone uccise a Srebrenica nel
1995 e a Zvornik all’inizio della guerra Balcanica nel 1992.
Si sono chiuse le liste per le elezioni
presidenziali in Cecenia. Sono 13 i candidati in lizza, come ha reso noto la
commissione elettorale di Gronzy. Gode dei favori del pronostico il capo
dell'amministrazione cecena, Akhmed Kadyrov.
Rilanciare
il Paraguay, afflitto da una forte crisi politica ed economica. Questo
l’impegno di Nicanor Duarte Frutos, che da ieri è ufficialmente il 46.mo
presidente del Paese sudamericano. Succede a Luis González Macchi. Sui contenuti
del suo discorso di insediamento, ci riferisce Maurizio Salvi:
**********
Con la difficoltà di dovere prendere le redini di uno dei
più corrotti Paesi latinoamericani, il
nuovo presidente ha pronunciato ad Asunción un discorso di forte rottura con il
passato, e lo ha fatto attaccando il fenomeno che a suo giudizio ha reso
impossibile una crescita equilibrata del Paraguay. “Il neoliberismo – ha detto
davanti ad una decina di capi di Stato latinoamericani – è stato un fallimento
perché ha costituito una tragedia per la dignità umana”. Con enfasi Duarte
Frutos ha proseguito sostenendo che l’essere umano è – a suo giudizio – più
importante del mercato. “Mi impegno ufficialmente – ha aggiunto – a combattere
la mafia ed il potere improduttivo ed a porre fine allo Stato che protegge
unicamente i ricchi e non il paraguayano lavoratore. Lo Stato che io voglio
costruire – ha proseguito – non sarà più il braccio burocratico di chi
controlla il potere, perché il mio sogno è di ripulire il nome della Repubblica
del Paraguay”. Al consenso di molti presidenti presenti si è aggiunto quello
dell’arcivescovo di Asunción, mons. Pastor Cuquejo Verga, che dopo aver raccomandato a Duarte Frutos le promesse
fatte ha criticato a sua volta la globalizzazione. “Nel mondo attuale – ha
detto – il Sermone delle Beatitudini funge da strumento di motivazione
indispensabile affinché il fenomeno della globalizzazione non si trasformi in
un elemento devastatore dei più poveri”.
Maurizio Salvi per la Radio Vaticana.
**********
I
soldati della forza di pace inviata in Liberia dalle Nazioni dell’Africa
occidentale hanno riaperto i ponti che collegano il centro di Monrovia ai
quartieri nord-occidentali, consentendo così alle decine di migliaia di
sfollati di iniziare a rientrare nelle proprie case. Ieri i ribelli hanno
lasciato le loro posizioni, tra cui il porto di Monrovia, sulla base degli
accordi che hanno portato all'allontanamento dal potere di Charles Taylor.
Intanto la prima nave con aiuti umanitari è arrivata ieri mattina nella capitale
liberiana e, nel giro di poche ore, è iniziata la distribuzione del cibo ai
civili.
Al
termine di una lunga malattia, l’ex
dittatore dell’Uganda, Idi Amin Dada, è morto nell’ospedale di Gedda, in Arabia Saudita, Paese dove si
trovava in esilio. E’
considerato uno dei più sanguinari dittatori africani: durante il suo regime,
dal 1971 al 1979, ha ucciso migliaia di oppositori, ha espropriato 70 mila asiatici
e sostenuto gli estremisti palestinesi.
Il Fronte Polisario, movimento
indipendentista dei sahrawi che rivendica l’indipendenza del Sahara occidentale
dal Marocco, ha dichiarato di avere rilasciato, oggi, altri 243 prigionieri di
guerra marocchini, consegnandoli alla Croce Rossa Internazionale che si
prenderà cura del loro rimpatrio. La liberazione dei cittadini marocchini
sarebbe stata resa possibile grazie alla mediazione personale del primo
ministro della Spagna, José Maria Aznar.
=======ooo=======