RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 225 - Testo della
Trasmissione di mercoledì 13 agosto 2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
I due
attentati kamikaze, avvenuti ieri in Israele ed in Cisgiordania rischiano di
compromettere il processo di pace in Medio Oriente.
Sempre più tesa la situazione in Iraq, dove oggi è
morto su una mina un altro soldato americano.
In Liberia proseguono i combattimenti nonostante
le dimissioni e la successiva partenza dal Paese del presidente Taylor.
IL CASTIGO E LA MISERICORDIA DEL SIGNORE PER I
FIGLI RIBELLI:
LA
CATECHESI DEL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE,
STAMANE,
NEL PALAZZO APOSTOLICO DI CASTEL GANDOLFO
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Sevizio di Roberta Gisotti -
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Dal Cantico di Tobia quest’oggi il
richiamo ai fedeli a purificare i loro cuori, l’ardente appello ai peccatori
perché si convertano e operino la giustizia. Giovanni Paolo II ha sottolineato
quindi :
“E’ questa la via da imboccare per ritrovare l’amore divino che dà
serenità e speranza”.
Tobia -
protagonista insieme al vecchio padre Tobi dell’intero Libro biblico che porta
il suo nome - ripete spesso lungo tutto il cantico questa convinzione: ‘il
Signore castiga e usa misericordia … castiga per le vostre ingiustizie ma usa
misericordia a tutti’. Il Santo Padre ha spiegato che “Dio ricorre al castigo
come mezzo per richiamare sulla retta via i peccatori sordi ad altri richiami.”
Tuttavia “l’ultima parola del Dio giusto resta … quella dell’amore e del perdono”,
per “riabbracciare i figli ribelli che tornano a lui con cuore pentito.”
Seguendo l’iter del Cantico il
Papa ha aggiunto che “la stessa storia di Gerusalemme è una parabola che
insegna a tutti la scelta da compiere”:
“Dio ha castigato la città perché
non poteva rimanere indifferente di fronte al male perpetrato dai suoi figli”.
Ma di fronte alla conversione di
molti in figli giusti e fedeli la misericordia divina si manifesterà con la
ricostruzione del Tempio. Sion si configura allora, ha indicato il Santo Padre:
“Come luogo spirituale verso cui
deve convergere non solo il ritorno degli ebrei ma anche il pellegrinaggio dei
popoli che cercano Dio”.
“Gli Israeliti, dunque, e tutti i
popoli sono in cammino insieme verso un’unica meta di fede e di verità.” Così
anche Sant’Agostino nelle “Confessioni” - ha ricordato Giovanni Paolo II - si
rivolge con ardore “verso questa Gerusalemme, libera e gloriosa, segno della
Chiesa nella meta ultima della sua speranza, prefigurata dalla Pasqua di
Cristo.”
Dopo la catechesi tanti i saluti,
rivolti come al solito dal Papa, in molte lingue, ai numerosi pellegrini, circa
1500, raccolti nel cortile del Palazzo apostolico. In particolare Giovanni
Paolo II ha ricordato in polacco la sua visita quasi un anno fa, il 17 agosto,
al Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, dove visse e morì a soli 33
anni, nell’ottobre del ’38, la grande mistica Suor Faustina Kowalska,
canonizzata durante il Giubileo del 2000. “Mi reco colà continuamente nel
pensiero – ha detto il Papa – e affido a Gesù misericordioso le sorti della
Chiesa e del mondo”
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SIATE MESSAGGERI DI UNA CULTURA
DI PACE E DI UN’AUTENTICA
SOLIDARIETA’
UMANA: COSI’, IL PAPA NEL MESSAGGIO AI PARTECIPANTI
ALLA
GIORNATA DELLA GIOVENTU’ DELL’ASIA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
I giovani siano “costruttori
di una nuova civilizzazione dell’amore, contraddistinta dalla libertà e dalla
pace”: è l’esortazione rivolta da Giovanni Paolo II ai giovani, riuniti in
questi giorni a Bangalore, in India, per la Terza Giornata della Gioventù
dell’Asia. In un messaggio indirizzato ai partecipanti all’incontro - a firma
del cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano - il Pontefice invita i
giovani ad essere pronti ad “assumersi le proprie responsabilità quali veri
attori e collaboratori della missione della Chiesa” e ad essere “messaggeri di
una cultura di pace duratura” così come di “un’autentica solidarietà umana”.
Soffermandosi, quindi, sull’attualità dell’Enciclica Pacem in Terris di
Giovanni XXIII, il Papa incoraggia i ragazzi, riuniti a Bangalore, a “cercare
nel cuore della Chiesa le risorse spirituali necessarie a costruire una società
nel segno dell’autentica pace”, del rispetto per la verità, nell’impegno non
egoistico per il bene comune, specie dei poveri e dei più deboli.
In numerose occasioni, si
legge nel messaggio, il Santo Padre ha promosso un rinnovato impulso nella vita
cristiana. Ora, prosegue, “con grande speranza rivolge questa sfida ai giovani
dell’Asia”, fiducioso che potranno essere latori “della speranza di Cristo e
della pace”, così necessaria al “mondo sfigurato” di oggi.
Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale
dell’arcidiocesi di Besançon, in Francia, presentata dall’arcivescovo mons.
Lucien Daloz, che compirà 73 anni il prossimo 9 ottobre, in conformità alla
norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”. Il Santo Padre ha
quindi nominato arcivescovo metropolita di Besançon il presule 61enne mons. André
Lacrampe, finora vescovo di Ajaccio, in Corsica.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
In
Prima Pagina l’udienza generale a Castel Gandolfo con la catechesi del Papa su alcuni
passi del capitolo 13 del Cantico di Tobia. Medio Oriente: ancora difficile il
cammino della “road-map”: per gli Usa il dialogo non s’interrompe, ma l’Ap deve
agire. Spari contro autobus israeliano a Ramallah; le milizie israeliane
distruggono la casa di un kamikaze; per Sharon, Abu Mazen non ha rispettato gli
impegni. Repubblica Democratica del Congo: attaccato villaggio nell’Ituri:
decine le vittime; ore di attesa per la liberazione degli orfani di Fataki.
Liberia: la partenza di Taylor non placa gli scontri armati. Sudan: Bashir
abolisce la censura di stampa; le forze
politiche del Sud contestano Khartoum.
Nelle
pagine vaticane, un articolo dedicato a San Massimiliano Kolbe
nell’anniversario della morte.
Nelle pagine estere, sul fronte
del terrorismo, l’allarme per un “attacco catastrofico” in Australia; gli Usa
dichiarano che alcuni membri di spicco di Al Qaeda sono rifugiati in Iran. In
Iraq, l’Onu è al lavoro per una nuova risoluzione sulla ricostruzione; ucciso
un soldato americano e feriti altri
sette. Cresce l’allarme caldo in Europa: decine di morti in Francia.
Nella pagina culturale, un
articolo sull’“Introduzione alle agiografie di San Francesco e santa Chiara
d’Assisi” e una riflessione sul rapporto del “Comitato per l’applicazione del
Codice di autoregolamentazione TV e Minori”.
Nelle pagine italiane, i temi
della politica, dell’inflazione, dell’allarme caldo e dell’immigrazione
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13 agosto 2003
IL FRONTE DEGLI INCENDI IMPEGNA L’EUROPA,
CON LO
STIMOLO DELLA PRESIDENZA ITALIANA
PER
ARGINARE IL PREOCCUPANTE FENOMENO
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Intervista con il ministro Gianni Alemanno -
La preoccupante emergenza degli incendi, lamentata anche
dal Papa all’Angelus di domenica scorsa, continua ad imperversare in varie
parti d’Europa, causando vittime e danni ingenti all’ambiente. Le fiamme sono
per giunta favorite dall’eccezionale ondata di caldo, che rende più difficile
l’opera di spegnimento, in cui sono impegnati vigili del fuoco e militari. Il
Paese più colpito dagli incendi è il Portogallo, dove le fiamme hanno provocato
purtroppo la morte di 15 persone e distrutto oltre 215 mila ettari di foreste,
una superficie paragonabile a quella del Lussemburgo. Il dilagare degli incendi
ha indotto il Portogallo a riorganizzare radicalmente la gestione dei suoi
boschi. Gli incendi divampano anche in Spagna, nei boschi della Catalogna, e in
Germania, tra i boschi del Brandeburgo e della Bassa Sassonia, favoriti anche
qui dalle alte temperature e dalla siccità. In Italia ieri sono stati 25 gli
interventi eseguiti da aerei ed
elicotteri della Protezione Civile su altrettanti incendi in tutto il Paese.
Con la presidenza del semestre europeo, l’Italia chiederà iniziative più
precise sul fronte degli incendi, come ci spiega il ministro delle Politiche
agricole e forestali, Gianni Alemanno, intervistato da Luca Collodi.
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R. – Ho appunto lanciato questo
appello alla Commissione che ha il potere di proposta e mi aspetto per
settembre una proposta di potenziamento di quel centro di reazione che già
esiste sul versante degli incendi, ma è più un ricettore di informazioni che
non una realtà di coordinamento operativo. Noi vorremmo che tutti i Paesi
membri dell’Unione mettano a disposizione i propri mezzi e facciano in modo da fare
una sorta di forza d’intervento rapido per contrastare in termini attuali la
realtà degli incendi. Quindi, ai primi di settembre contiamo di avere una
proposta della Commissione su cui lavorare.
D. – Ha già avuto al riguardo
risposte a livello europeo dai suoi colleghi?
R. – Abbiamo avuto delle risposte
dalla Commissione: sia il portavoce della Commissione sia lo stesso presidente
Prodi hanno detto che ritengono molto valida l’idea e che quindi ci daranno
delle risposte. Su questo, poi, si aprirà il dialogo con i colleghi dei
ministeri dell’agricoltura.
D. – Quindi, ministro Alemanno, si
può dire che si va verso una sorta di esercito contro gli incendi a livello
europeo, una sorta di Nato contro gli incendi?
R. – Io spero proprio di sì,
perché spesso succede che mentre scoppia l’emergenza in un Paese ci sono altri
Paesi che hanno mezzi inutilizzati; poi, ovviamente, quando è scoppiata
l’emergenza ci sono le richieste, ci sono gli interventi come hanno fatto ad
esempio i nostri pompieri in Francia, ma tutto questo arriva quando ormai
l’emergenza è andata molto oltre. Se invece mettessimo insieme queste realtà,
avremmo una forza in grado di intervenire in poche ore.
D. – Per restare in tema: si dice
che per combattere gli incendi ci sono pochi fondi ma soprattutto pochi uomini
e pochi mezzi. Lei condivide questa critica?
R. – Sì; che ci sia una difficoltà
da questo punto di vista che spesso però raggiunge fatti paradossali: ho
sottolineato come il corpo forestale dello Stato oggi sia in una condizione difficile,
non solo e non tanto per carenza di denaro – perché quest’anno abbiamo
stanziato più denaro che in qualsiasi altro anno di questo dopoguerra – quanto
perché il corpo forestale dello Stato è stato oggetto per molti anni di questa
intenzione di regionalizzazione, di smembramento, che lo ha sostanzialmente
paralizzato dal punto di vista istituzionale. Soltanto adesso stiamo arrivando
ad una riforma che ribadirà il ruolo del corpo forestale e quindi permetterà a
questa realtà molto importante, centrale della lotta contro gli incendi non
soltanto di avere le risorse, ma anche di avere le basi solide per poterlo
utilizzare.
D. – Ministro Alemanno, cosa c’è,
cosa si nasconde dietro agli incendi? Molti parlano di criminalità organizzata
e di piccoli approfittatori ...
R. – Bè, il dato dominante –
purtroppo – è quello del piccolo profitto. Spesso si tratta di pastori che
vogliono allargare l’area del pascolo oppure di agricoltori che fanno le
pratiche agricole troppo sbrigative che poi diventano focolai d’incendi. Ci
sono anche interessi speculativi, soprattutto nelle aree di pregio, e proprio
per fare questo c’è il vincolo di inedificabilità assoluta per tutte le aree
che vengono colpite da incendio, per cui ogni sindaco deve catalogare queste
aree e fare in modo che in quelle aree non si possa più edificare. Io credo
che, alla fine, ci sia un mix di non consapevolezza di quello che si fa: si
pensa che appiccare un incendio sia un piccolo reato, invece è un grande
attentato contro la natura, contro l’ambiente, contro il creato e di fronte a
questa situazione bisogna veramente mobilitare le coscienze: chi vuole
commettere scientemente questo reato deve conoscerne la gravità mentre chi
inconsapevolmente crea il fuoco dev’essere chiamato ad una maggiore attenzione.
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LA DIFFICILE TRANSIZIONE DELLA LIBERIA VERSO LA DEMOCRAZIA,
TRA
EMERGENZA UMANITARIA E SPERANZE DI PACE
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
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Tornare a sperare nonostante le mille difficoltà di un processo
di pacificazione, che, già nella sua fase iniziale, si presenta irto
d’ostacoli. Nella Liberia, che cerca la pace, è ora quanto mai pressante
l’emergenza umanitaria. La fame, le malattie infettive sono nemici insidiosi
per la popolazione stremata. Che, tuttavia, vuole credere in un futuro
migliore, dopo la violenza che ha seminato odio e distruzione nel Paese
africano. Per una testimonianza sulle speranze, i sentimenti che animano i
liberiani in questo momento di svolta nella loro storia recente, abbiamo
raggiunto telefonicamente a Monrovia, capitale della Liberia, Alberto
Giudiceandrea, chirurgo dell’organizzazione umanitaria Medici Senza
Frontiere:
R. – C’è moltissima speranza. La gente vuole credere in un
futuro migliore di pace. Per loro la fine dei problemi ci sarebbe se
sbarcassero gli americani. Io sono sul lungo mare di Monrovia e vedo la
portaerei americana di fronte a me. Se sbarcassero i marines per loro, questo,
significherebbe la fine dei problemi.
D. – In che condizioni versano gli ospedali? E’ possibile
operare?
R. – Noi qui nell’ospedale di Msf operiamo. C’è una sala
operatoria che funziona bene. Cerchiamo di non amputare gli arti, cerchiamo
piuttosto di salvare gli arti, cosa in tempo di guerra molto difficile. Come
medicina riusciamo ad offrire una buona qualità.
D. – Al di fuori di Monrovia, dove
vi trovate, avete notizie sulla situazione nel resto del Paese?
R. – Qui non abbiamo nessuna
informazione. Qui non si sa niente. Nella parte tenuta dai ribelli sapevamo che
c’erano quattro o cinque campi di sfollati. Sappiamo che due sono stati chiusi
con forza dai ribelli. Non sappiamo dove sia finita la popolazione. Non abbiamo
nessuna informazione sul loro accesso ai medicinali.
D. – Stanno giungendo gli aiuti
necessari a combattere la carestia?
R. – Gli alimenti sono al porto,
ma sono in mano ai ribelli. Il problema è nella distribuzione. Le tonnellate di
riso ci sono, non è che non ci siano, ma c’è un problema di distribuzione
creato dai ribelli. Il Lurd ha promesso per giovedì di aprire il porto,
l’accesso al porto. E’ più un problema politico al momento che non di presenza
di alimenti.
D. – Dopo la violenza della
guerra, quali sono ora i rischi più insidiosi per la sopravvivenza della
popolazione liberiana così provata?
R. – La situazione è molto
migliorata dal punto di vista della sicurezza, perché si spara ancora, ma non
più tanto. La gente cammina per la strada. Tre settimane fa, le strade erano
deserte e adesso la gente è per la strada, ha ripreso il commercio. C’è una
ripresa della vita normale. L’emergenza alimentare è sempre fortissima. Per
quanto riguarda l’emergenza medica sono state riaperte le cliniche, è stato
riaperto il centro per combattere il colera. Quindi, la situazione sanitaria in
Monrovia sta migliorando, è sotto controllo.
Se, dunque, almeno a Monrovia le
condizioni - sotto il profilo della sicurezza - sembrano in progressivo
miglioramento, sono tante ancora le sfide da affrontare per rimettere in piedi
un Paese semidistrutto. Ce lo conferma Antonella Notari, portavoce del comitato
internazionale della Croce Rossa, organizzazione umanitaria in prima linea a
sostegno della popolazione liberiana:
R. – La Liberia ha conosciuto 12 anni di guerra civile.
Non ci sono più strutture funzionanti in tutto il Paese, né per i trasporti, né
per altri bisogni elementari. Speriamo che ci sia un cessate-il-fuoco e che
dunque il lavoro possa cominciare.
D. – In questa fase, quanto è alto
il rischio di propagazione di malattie infettive?
R. – E’ molto alto. E’ soprattutto
molto alto per le popolazioni più vulnerabili: i bambini, le persone anziane, i
malati … Noi ci siamo preoccupati moltissimo per gli sfollati che si trovano in
varie parti del Paese, sovresposti a rischi molto alti di infezioni, di
malattie …
D. – La forza multinazionale di
pace sta facendo abbastanza per garantire la sicurezza necessaria per il lavoro
delle organizzazioni umanitarie?
R. – Forse è ancora un po’ presto
per giudicare il lavoro della forza multinazionale. Però vorrei insistere
soprattutto sul fatto che la responsabilità per l’azione umanitaria, per
l’accesso alle popolazioni, per la sicurezza del personale umanitario è prima
di tutto una responsabilità dei partiti liberiani che agiscono sul terreno.
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LA COREA DEL NORD CHIEDE GARANZIE AGLI STATI UNITI
PER LA
RINUNCIA ALLE ARMI NUCLEARI
-
Intervista con padre Bernardo Cervellera -
La Corea del Nord è pronta a
rinunciare al suo programma di sviluppo di armi nucleari solo a patto che gli
Stati Uniti si impegnino a non attaccare il Paese e a non interferire nelle sue
relazioni economiche internazionali. Lo ha dichiarato oggi il ministero degli
esteri di Pyongyang. Intanto la diplomazia internazionale è al
lavoro per preparare i negoziati a sei che si terranno a Pechino alla fine del
mese. E dopo gli incontri di Mosca tra i rappresentanti di Cina, Russia e Corea
del Sud, si tiene oggi e domani a Washington il vertice tra Seul, Stati Uniti e
Giappone. Ma cosa si sta negoziando in pratica? Andrea Sarubbi lo ha chiesto a
padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News.
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R. – Quello che si sta negoziando è il blocco delle
attività nucleari e l’accettazione del trattato di non proliferazione delle
armi nucleari. Si teme che la Nord Corea, un po’ per la crisi economica in cui
versa, un po’ per la fame in cui sono i suoi abitanti e un po’ per la follia
della politica di Kim Yong Il, possa magari vendere armi nucleari ad altri
Stati, oppure anche scegliere di usare le armi nucleari contro gli Stati vicini
per far sentire il suo potere, per tenere in mano il potere. Dall’altra parte
c’è la possibilità di offrire aiuti economici per migliorare l’economia.
D. – C’è il rischio che dividendo
così la negoziazione in due blocchi – est da una parte, ovest dall’altra – ci
siano poi due approcci diversi, che poi si scontrano verso la Corea del Nord?
R. – Ci sono senz’altro due
accenti diversi. Gli Stati Uniti sono molto duri e pretendono l’assoluta
obbedienza della Nord Corea al Trattato di non proliferazione. Nello stesso
tempo sono quelli che hanno da perdere meno dalla bellicosità della Nord Corea.
Mentre la Russia e la Cina, in qualche modo anche il Giappone e la Corea del
Sud, hanno da temere molto perché sono o confinanti o vicini di casa. Quindi,
qualunque azione nucleare o qualunque uso del nucleare da parte della Nord
Corea avrebbe degli effetti devastanti sui loro territori. Nello stesso tempo
penso che un altro accento sia il cercare di vedere di dissolvere questa
eredità derivata dai blocchi tra est ed ovest del passato, dissolverla in un
modo indolore, quindi cercando di aiutare in qualche modo, sempre di più, la
Nord Corea ad un passaggio e ad una transizione più delicata. Questa penso sia
la posizione della Russia e della Cina. Nello stesso tempo trovo ci sia un
altro aspetto: cioè il rapporto tra Stati Uniti e Corea del Nord è un rapporto
che valorizza molto il potere degli Stati Uniti in questa area continentale.
Naturalmente Russia e Cina cercano di dire la loro per contenere in qualche
modo questa influenza così grande degli Stati Uniti.
D. – E’ una grande opera di
mediazione quella che sta portando avanti Seul in questo momento, ma come la
sta svolgendo?
R. – La sta svolgendo a due
diversi livelli. Da una parte, cercando di coinvolgere la Cina e la Russia,
soprattutto la Cina che ha avuto sempre un rapporto privilegiato con la Nord
Corea. Dall’altra parte, aiutando la base popolare nord coreana attraverso
aiuti economici molto forti e attraverso anche un ritorno ad un rapporto tra le
famiglie del nord e le famiglie del sud. Quindi, creando una unità di base che
può servire anche ad addolcire in qualche modo le tensioni politiche al
vertice.
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13 agosto 2003
CARITAS INTERNATIONALIS LANCIA UN APPELLO PER
L’ INVIO DI NUOVI AIUTI
A
FAVORE DELLA COREA DEL NORD. I FINANZIAMENTI AI PROGETTI DI ASSISTENZA
ALLA
POPOLAZIONE SI ERANO RIDOTTI IN SEGUITO AL RIAVVIO
DEL
PROGRAMMA NUCLEARE DI PYONGYANG
HONG KONG. = La Caritas Internationalis ha
lanciato un nuovo appello per l’invio di aiuti a favore della Corea del Nord.
Le tensioni provocate dal riavvio del programma nucleare del governo di
Pyongyang hanno infatti provocato una drastica riduzione dei finanziamenti ai
progetti di assistenza a favore della popolazione, dove la situazione
alimentare e sanitaria è ancora drammatica. Già nel giugno scorso la Caritas di
Hong Hong, cui è stata affidata la gestione degli aiuti, e la Caritas coreana,
la maggiore finanziatrice del programma di assistenza alla Corea del Nord,
avevano lanciato un allarme. La direttrice della cooperazione di Caritas Hong
Kong, Kathi Zellweger, ha spiegato all’agenzia Ucan che l’organizzazione ha
sinora ricevuto solo il 30 per cento dei 2 milioni e 670mila dollari chiesti
quest’anno per finanziare gli aiuti umanitari alla popolazione nord-coreana. Se
non arrivano, ha avvertito, “a farne le spese saranno soprattutto i più
vulnerabili, come i bambini negli orfanotrofi, i malati e le donne in
gravidanza”. La Caritas gestisce progetti di assistenza umanitaria in Nord
Corea dal 1995, quando forti alluvioni colpirono il Paese causando una carestia
che ha messo in ginocchio l'economia locale e causato più di due milioni di
morti. I settori su cui punta sono: aiuti e sicurezza alimentare, agricoltura,
sanità, educazione, formazione. In particolare, buona parte dei fondi è
destinata a colmare i bisogni primari di alimentazione della popolazione. Altri
servono per l’acquisto di materiali e strumentazioni agricole, medicinali ed
equipaggiamenti sanitari per gli ospedali. Altri, infine, sono destinati a
miglioramenti strutturali per asili, orfanotrofi e scuole. (M.D.)
“LA CONDIZIONE DI VITA DEI POPOLI
AUTOCTONI DEL BRASILE RESTA PREOCCUPANTE
E NON
SI VEDONO ANCORA SEGNALI DI CAMBIAMENTO”. LO AFFERMA
IL
CONSIGLIO INDIGENISTA MISSIONARIO DEL PAESE SUDAMERICANO
AL
TERMINE DELLA QUINDICESIMA ASSEMBLEA GENERALE
LUZIÂNIA. = In Brasile lo scenario complessivo delle
condizioni di vita dei popoli autoctoni resta preoccupante. Ad affermarlo è il
Consiglio indigenista missionario (Cimi), che da 30 anni accompagna la lotta
per la sopravvivenza dei popoli
autoctoni del Paese sudamericano e che ha concluso lunedì la sua 15ma Assemblea
generale a Luziânia, nello Stato di Goiás. Il Consiglio ha sottolineato come
“abbiano provocato tra i partecipanti profonda indignazione i 18 omicidi di
leader indigeni perpetrati dall’inizio del 2003 e l’assenza totale di segnali
che dimostrino cambiamenti sostanziali nei confronti dell’antica popolazione
del Brasile, come prometteva il ‘Compromesso con i popoli indigeni’ contenuto
nel programma di governo del presidente Lula”. Inoltre, ha aggiunto il Cimi, i
settori anti-indigeni in diversi Stati si sono rafforzati, mentre comunità più
piccole e isolate sono a rischio di sterminio nel Mato Grosso do Sul, a
Rondônia, in Acre e Amazonas. Si segnala anche un peggioramento delle
condizioni sanitarie in numerose terre autoctone e prosegue senza sosta l’esodo
di numerosi indios privi di qualsiasi tipo di assistenza verso i centri urbani.
L’organismo ha rilanciato infine la richiesta di revoca del decreto 4.412 del
2002 sulla presenza dei militari e della polizia federale nei territori
indigeni, un provvedimento che, come sottolineato più volte anche dalla
Conferenza episcopale brasiliana, rappresenterebbe una minaccia per l’integrità
delle terre e della stessa vita dei popoli autoctoni. Una militarizzazione che
nasconderebbe, secondo il Cimi, la volontà di invasione delle terre indigene,
lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dei cercatori d’oro o dei
trafficanti di legname e la distruzione della cultura degli indios. In uno
scenario ancora contrassegnato da gravi violazioni dei diritti umani contro le
comunità native, la nota più positiva per queste popolazioni rimane quella
emersa da uno studio dell’Istituto brasiliano di statistica, effettuato sulla
base dell’ultimo censimento nazionale. A dispetto delle più funeste previsioni,
la popolazione indigena brasiliana è passata da 294 mila individui, nel 1991,
agli attuali 701mila. Non a caso, i missionari li chiamano “i popoli risorti”.
(M.D.)
“MIGLIAIA DI DONNE E BAMBINI DELLA COSTA
D’AVORIO VIVONO IN CONDIZIONI
DI
ESTREMA PRECARIETÁ”. UN RAPPORTO
DELL’UNICEF FA IL PUNTO
SULLE
CONSEGUENZE PER LE FASCE PIÚ DEBOLI DELLA PROFONDA CRISI POLITICA
ED
ECONOMICA CHE COINVOLGE IL PAESE AFRICANO DOPO IL RECENTE CONFLITTO
ABIDJAN. = Sono migliaia le donne e i bambini che, in
seguito alla guerra che ha sconvolto la Costa d’Avorio nei mesi scorsi, vivono
in condizioni di estrema precarietà: senza cure mediche, senza acqua potabile e
senza la possibilità per i più piccoli di andare a scuola e riprendere così una
vita normale. Lo denuncia l’Unicef, l’organismo per l’infanzia delle Nazioni
Unite, che ha presentato ieri ad Abidjan un rapporto stilato al termine di una
serie di missioni di intervento svolte in varie zone del Paese africano. Il
documento, intitolato “L’intervento umanitario dell’Unicef in Costa d’Avorio”,
fa il punto sull’impatto che la crisi politico istituzionale del Paese,
iniziata con la sollevazione armata contro il governo del presidente Laurent
Gbagbo e conclusasi con i colloqui di pace di Marcoussis, ha avuto sulle donne
e i bambini, le fasce più deboli della popolazione. Il primo, e più visibile,
effetto della guerra ivoriana è stato l’imponente flusso di sfollati, centinaia
di migliaia di persone, che per alcuni mesi hanno lasciato le zone centro
settentrionali del Paese, occupate dalla ribellione, per raggiungere il sud
ancora sotto controllo governativo. Nel nord del Paese le strutture sanitarie
hanno subito danni anche gravi: i normali circuiti di rifornimento dei
medicinali sono stati interrotti dai combattimenti e in alcune zone le
strutture sanitarie sono state danneggiate e depredate durante saccheggi. Una
situazione che ha lasciato 1milione e 300mila bambini senza la prevista
vaccinazione anti-poliomelite. Per quanto riguarda poi l’acqua potabile,
l’Unicef sottolinea nel suo studio che la guerra ha aggravato i problemi di
approvvigionamento idrico in molte zone del Paese. La presenza di campi di
accoglienza per gli sfollati con la conseguente sovrappopolazione di alcune
aree ha portato infatti ad un uso intensivo dell’acqua mettendo così a rischio
le riserve. Sul piano educativo, infine, sono, secondo l’Unicef, almeno un
milione i bambini che sono stati privati della scolarizzazione primaria, per
non parlare poi dei minori utilizzati come bambini soldato durante il
conflitto. In conclusione il rapporto ricorda che un milione, tra bambini e
donne, vivono ancora come sfollati in varie città del Paese. (M.D.)
DOMENICA
PROSSIMA RICORRE IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI RAOUL FOLLEREAU,
LO SCRITTORE CHE DEDICÓ LA SUA VITA AI LEBBROSI E AI
POVERI DEL SUD
DEL MONDO. UN CONVEGNO E UN PREMIO PER RICORDARLO E
CONTINUARNE L’OPERA
ROMA. = Il 17 agosto prossimo
ricorre il centenario della nascita di Raoul Follereau, lo scrittore e
giornalista che dedicò tutta la sua vita a combattere contro la lebbra, la
povertà e in favore dei popoli oppressi e sfruttati della terra. Era nato a
Nevers, in Francia, da una famiglia di industriali. Seguendo per interesse
personale e come giornalista le orme di Charles de Foucauld incontrò ad Adzopè,
in Costa d’Avorio, un villaggio di lebbrosi. Questo incontro cambiò la sua
vita. Dopo la seconda guerra mondiale diede vita all’Ordine della Carità, che
diverrà in seguito la “Fondazione Raoul Follereau”. Nel 1953, con i soldi
raccolti grazie alle conferenze che teneva inaugurò ad Adzopè la “città dei
lebbrosi”, con laboratori, radio, cinema e tante piccole case al limitare della
foresta. I primi malati uscivano così dall’emarginazione in cui erano tenuti da
secoli. Viaggiò in continuazione in tutto il mondo per raccogliere fondi per curare
i malati di lebbra. Rendendosi conto che questa malattia non sarebbe mai stata
vinta fino a quando milioni di persone sarebbero stati colpiti dalla povertà,
dallo sfruttamento e dalla guerra, denunciò, attraverso numerosi articoli e
pubblicazioni, l’indifferenza, l’egoismo, l’ingiustizia dei Paesi ricchi verso
quelli più poveri del mondo. Scrisse a molti capi di Stato e istituì nel 1954
la Giornata mondiale dei malati di lebbra, celebrata tuttora in 150 Paesi.
Conobbe tre pontefici e animò la campagna “Il costo di un giorno di guerra per
la pace”, alla quale aderirono quasi 4 milioni di giovani in 150 Paesi. Morì a
Parigi il 6 dicembre del 1977. Nella frase “Il mondo ha fame di grano e di
tenerezza” si può ben riassumere lo spirito di Follereau, che fece del primato
dell’amore la fonte di ispirazione di tutta la sua attività a favore dei
poveri, dei malati, degli emarginati. Oggi, in vari Paesi del mondo, 22
associazioni si ispirano alla sua figura e ne continuano l’opera. In Italia, in
particolare, dal 1961 lavora l’Aifo, Associazione italiana amici di Raoul
Follereau, che dal 1986 assegna un premio per segnalare esperienze di uomini e
donne che hanno trasformato ideali e valori in azioni concrete. Tra i premiati
figurano dom Helder Camara, l’Abbè Pierre, padre Renato Kizito Sesana. Per
celebrare il centenario della nascita di Follereau l’Aifo ha organizzato un
convegno che si terrà il 25 e il 26 ottobre a Rocca di Papa (Roma), nel corso
del quale verrà assegnato il premio “Raoul Follereau – speciale centenario”.
Verranno anche pubblicati alcuni volumi per celebrare questo nobile servitore
dei poveri. (M.D.)
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13 agosto 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
I due attentati di ieri,
avvenuti in Israele ed in Cisgiordania e rivendicati dall’organizzazione
fondamentalista di Hamas, rischiano di compromettere la fragile tregua tra
israeliani e palestinesi proclamata lo scorso 29 giugno. I gravi episodi di
violenza, che hanno causato ieri 4 morti e 12 feriti, hanno inferto, infatti,
un duro colpo agli sforzi internazionali di riavviare il dialogo tra le parti.
Il premier israeliano, Ariel Sharon, ha intanto riunito, stamani, i
responsabili della sicurezza dello Stato ebraico, dove in seguito a
segnalazioni di nuovi possibili attentati sono stati rafforzati i posti di
blocco all’ingresso delle città. Ma la situazione resta tesa in tutta la
regione. Le artiglierie antiaeree degli Hezbollah, secondo quanto riferisce la
loro rete televisiva, Al-Manar, hanno nuovamente aperto il fuoco, questa
mattina, contro caccia israeliani che hanno violato lo spazio aereo del Libano.
Sul complesso scenario del Medio Oriente ci riferisce Graziano Motta:
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Dopo gli attentati di ieri a Rosh
Ha'ayin ed Ariel, a
Nord di Ramallah, due guerriglieri hanno attaccato un autobus israeliano.
Inseguiti da soldati sono riusciti a fuggire. Sette palestinesi sono stati
arrestati da israeliani nelle zone di Nablus e di Jenin: cinque arruolati per
compiere attentati suicidi e due mandanti. Le posizioni delle parti: Sharon
sostiene che senza lo smantellamento di quadri e infrastrutture terroristiche
da parte dell’autorità palestinese non potranno esserci progressi nel processo
di pace; Abu Mazen addossa la responsabilità della crisi ad Israele e sostiene
che le organizzazioni palestinesi, che hanno compiuto gli attentati, sono
interessate a rispettare la tregua; gli Stati Uniti premono perché l’autorità
palestinese agisca immediatamente per porre fine al terrorismo e sostengono che
il processo di pace deve continuare. Così si è espresso il portavoce della Casa
Bianca e il segretario di Stato Powell, il cui assistente, William Burns, è
nella regione. Ieri ha incontrato Sharon a Gerusalemme, oggi dovrebbe
incontrare ad Amman Abu Mazen.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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In Iraq
gli attacchi contro le truppe americane continuano ad essere drammaticamente in
primo piano. Ieri un soldato statunitense è rimasto ucciso ed altri due
militari sono stati feriti a Ramadi, circa 100 chilometri ad Ovest di Baghdad,
quando tre bombe sincronizzate sono esplose sotto il loro mezzo. Oggi un
soldato americano è morto in un incidente stradale a Nord-Est di Mossul ed
altri due suoi commilitoni, insieme al traduttore iracheno, sono rimasti feriti.
In un attacco perpetrato, stamani, nell’area settentrionale di Baghdad un altro
militare statunitense è rimasto ucciso a causa dell’esplosione di una mina. In
seguito a questi gravi episodi di violenza sale a 63 il numero dei soldati
americani morti dal primo maggio scorso, quando il presidente, George Bush, ha
ufficialmente annunciato la fine della guerra nel Paese arabo. Il Comando
centrale americano ha intanto annunciato che i raid lanciati a Tikrit hanno
portato a nuovi importanti arresti. Ce lo conferma Paolo Mastrolilli:
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Ieri sono stati arrestati 14
membri della guerriglia, tra cui una guardia del corpo di Saddam e l’ex capo
della guardia repubblicana, che potrebbero avere informazioni anche sugli
spostamenti dell’ex rais. Il generale Riccardo Sanchez, comandante delle truppe
in Iraq, ha detto che i 148 mila soldati schierati faranno turni di almeno un
anno, mentre fonti private sostengono che l’occupazione costerà molto più della
guerra, forse fino a 600 miliardi di dollari. Il Pentagono ha rivelato anche i
risultati della sua inchiesta sugli spari contro l’Hotel Palestina, che durante
la guerra uccisero due giornalisti, dicendo che l’azione dei militari era
giustificata perché avevano notizie di intelligence sulla presenza di nemici sul
tetto. Sul fronte interno la minaccia del terrorismo è tornata ad attirare
l’attenzione, perché l’Fbi ha arrestato tre persone che volevano importare
lanciamissili a spalla negli Stati Uniti, capaci di colpire gli aerei
commerciali in fase di atterraggio e decollo. Secondo voci, smentite dal
governo americano, anche l’aereo presidenziale di Bush poteva essere uno degli
obiettivi.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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In Afghanistan un’esplosione ha
causato, oggi, nella provincia di Helmand, nel Sud del Paese, la morte di
almeno 17 persone, tra le quali sei bambini. Lo ha reso noto il governatore
della provincia, Ghulam Mahaiuddin, precisando che le vittime sono tutte afgane
e che l’esplosione, potrebbe essere avvenuta per errore. L’ordigno,
infatti, doveva essere probabilmente utilizzato durante un eventuale attacco
nella festa dell’indipendenza che si terrà nel capoluogo Lashkargak la prossima
settimana.
Un grave episodio di violenza
si è verificato, ieri, in Arabia Saudita quando un commando governativo e
alcuni militanti islamici, asserragliati in una vasta residenza di Riad, hanno
iniziato una sanguinosa sparatoria nella quale sono rimasti uccisi 4 poliziotti
ed un militante. Il ministro saudita degli interni, principe Nayef bin Abdul
Aziz, ha annunciato oggi che cinque dei militanti che ieri hanno impegnato
agenti della sicurezza e poliziotti nello scontro a fuoco avvenuto nel
quartiere di Souwidi, nella zona meridionale della capitale, sono stati
arrestati ma altri sette sono ancora a piede libero.
Libia, Stati Uniti e Gran
Bretagna hanno raggiunto un importante accordo per risolvere la lunga disputa
diplomatica sulle responsabilità dell’attentato contro l’aereo esploso nel 1988
sulla zona di Lokerbie, in Scozia, che ha causato la morte di 259 persone. In
cambio della cancellazione delle sanzioni imposte alla Libia nel 1992, il Paese
nord africano si assumerà la responsabilità dell’attentato e risarcirà le
famiglie delle vittime.
In Liberia le dimissioni del presidente liberiano, Charles
Taylor, e la sua successiva partenza per la Nigeria, dove trascorrerà l’esilio,
non sembrano arrestare la lunga catena di violenze che sta martoriando il Paese
africano. I sanguinosi scontri a fuoco, infatti, proseguono lungo la direttrice
che collega la capitale Monrovia con la seconda città del Paese, Buchanan. Il
servizio di Giulio Albanese:
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Da una parte le truppe
governative, dall’altra i ribelli del Model, il Movimento per la democrazia in Liberia,
il secondo gruppo ribelle attivo nel Paese. I combattimenti interessano un’area
che dista una settantina di chilometri dalla capitale. Il Model ha fatto sapere
attraverso un suo portavoce che si tratta di un’operazione di polizia, con
l’intento di liberare la strada da quelle che sono le postazioni dei
governativi e così creare dei corridoi umanitari che consentano la consegna di
aiuti a Buchanan e dintorni. Ma la sensazione è che il Model stia facendo di
tutto per aumentare il proprio peso politico con un’azione di forza militare,
tesa ad ottenere il controllo di alcune postazioni strategiche nella zona
aeroportuale, una teoria questa confermata anche da fonti diplomatiche. E i
governativi che, fino a qualche giorno fa, combattevano i ribelli strada per
strada a Buchanan si sarebbero davvero volatilizzati. Alcuni ritengono che
siano semplicemente fuggiti, altri temono invece che si siano nascosti nella
foresta in attesa di nuovi sviluppi.
Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese.
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Nella Repubblica democratica del
Congo non si interrompe il dramma degli scontri tra le diverse etnie del Paese.
I miliziani della comunità Lendu hanno compiuto, lo scorso fine settimana, una
nuova incursione contro alcuni villaggi della comunità Hema, nella regione
dell’Ituri, a 120 chilometri da Bunia. Sono almeno trenta i morti ed un
centinaio i feriti. I miliziani hanno inoltre bruciato decine di case e rubato
più di 2.500 capi di bestiame.
In Argentina è stato raggiunto, ieri, un importante
accordo alla Camera dei deputati per approvare l’annullamento dell’amnistia per
gli esponenti della dittatura militare al potere fra il 1976 al 1983. Una volta
che l’annullamento sarà approvato anche dal Senato, e accolto dalla Corte
Suprema, i tribunali di tutto il Paese potranno aprire numerose centinaia di
casi contro gli esponenti di spicco della dittatura ma anche contro ex militari
e agenti di polizia accusati di sequestro di persona, tortura e assassinio.
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