RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 223 - Testo della
Trasmissione di lunedì 11 agosto
2003
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Criminalità proveniente dal Benin verso la
Nigeria: Abuja blocca la frontiera.
Ucciso in Uganda il catechista cattolico
sequestrato dai ribelli all’inizio del mese.
In Liberia
le previste dimissioni del presidente, Charles Taylor, possono costituire una
svolta decisiva per il futuro del Paese africano.
L’attacco di ieri degli Hezbollah libanesi contro
la Galilea riapre, in Medio Oriente, nuovi fronti di tensione.
In Chapas i leader del partito zapatista si sono
dichiarati disponibili a favorire la strada delle riforme.
11 agosto 2003
LA STRAORDINARIA
ATTUALITA’ DELLA FIGURA E DELL’OPERA DI SANTA CHIARA,
SOTTOLINEATA DAL PAPA NEL MESSAGGIO ALLE
CLARISSE PER IL 750.MO
ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELLA SANTA D’ASSISI
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Santa
Chiara è un esempio di “pedagogia della santità”, che, alimentandosi di
incessante preghiera, spalanca il cuore allo Spirito del Signore, “trasformando
tutta la persona”, secondo le esigenze del Vangelo. Così, Giovanni Paolo II
evidenzia, in un messaggio all’Ordine delle Clarisse, la straordinaria forza
della figura della santa d’Assisi, discepola di San Francesco, a 750 anni dalla
morte. Un esempio di grande attualità per il nostro tempo, che oggi viene
tenuto vivo e diffuso nel mondo da circa novecento monasteri, sparsi nei cinque
continenti. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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La Regola di Santa Chiara, nonostante il volgere dei secoli,
“conserva intatto il suo fascino spirituale e la sua ricchezza teologica”. Nel
tracciare la straordinaria eredità della santa d’Assisi, il Papa sottolinea
come la “perfetta consonanza di valori umani e cristiani, la sapiente armonia
di ardore contemplativo e di rigore evangelico” siano per le Clarisse del terzo
millennio una “via maestra da seguire, senza accomodamenti o concessioni allo
spirito del mondo”. E si sofferma sul carisma tipico dell’Ordine,
caratterizzato come “chiamata a vivere secondo la perfezione” del Vangelo
riferendosi a Cristo come “unico e vero programma di vita”. Una sfida per gli
uomini del nostro tempo, avverte, giacché rappresenta una “proposta alternativa
all’insoddisfazione e alla superficialità del mondo contemporaneo”. Questo,
infatti, sembra spesso “aver smarrito la propria identità, perché non avverte
più di essere stato generato dall’Amore di Dio e di essere da Lui atteso nella
comunione senza fine”.
Il Papa ricorda come Santa
Chiara, esempio di “pedagogia della santità”, si lasciò attrarre dalla nuova
forma di vita evangelica iniziata da san Francesco, approdando nel piccolo
monastero di san Damiano. La santa d’Assisi, afferma, “percepiva la sua
vocazione come una chiamata a vivere seguendo l’esempio di Maria” che
accompagnò il suo cammino vocazionale sino al termine della sua vita. D’altro
canto, solo la “scelta esclusiva di Cristo crocifisso”, rileva, “spiega la decisione
con cui santa Chiara s’inoltrò nella via dell’altissima povertà”.
Seguire il Figlio di Dio, prosegue, significava per lei “inabissarsi con Cristo
nell’esperienza di un’umiltà e di una povertà radicali”, che coinvolgevano ogni
aspetto della vita umana, fino allo spogliamento della Croce. Una scelta di povertà,
che è “esigenza di fedeltà al Vangelo”.
Quindi, il Pontefice volge il pensiero alla “dimensione
contemplativa claustrale” che contraddistingueva la vita della comunità raccolta
in San Damiano. I quarant’anni vissuti da Chiara all’interno del piccolo
monastero, “non restrinsero gli orizzonti del suo cuore, ma dilatarono la sua
fede nella presenza di Dio, operante la salvezza nella storia”. Proprio la
Santa assisiate, aggiunge, grazie ad una “matura esperienza contemplativa del
Mistero trinitario” mostrò particolare comprensione per il “valore dell’unità
nella fraternità”. Un punto, su cui sofferma, rimarcando come l’autentica
contemplazione “non chiude nell’individualismo, ma realizza la verità
dell’essere uno nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”. Convinta che
“l’amore scambievole edifica la comunità e provoca una crescita nella
vocazione”, Chiara non solo impostò la vita fraterna “sui valori del reciproco
servizio, della partecipazione e della condivisione”, ma si preoccupò anche che
la comunità fosse saldamente edificata “sull’unità della scambievole carità e
della pace”.
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Una grande
avventura cristiana, dunque, quella di Santa Chiara d’Assisi, che rimane ancora
oggi di straordinaria attualità. Sulla figura della discepola di San Francesco
e la vita delle Clarisse, all’alba del terzo millennio, il servizio di Paolo
Ondarza:
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(musica)
Una vita di povertà, interamente consegnata nelle mani di
Dio. Questa l’esperienza terrena di Chiara d’Assisi che la Chiesa ricorda oggi
11 agosto. Quest’anno la memoria della santa assume una rilevanza particolare,
vista la ricorrenza dei 750 anni dalla sua morte. Varie le iniziative in
programma nella città di san Francesco e nei vari conventi di clarisse sparsi
per il mondo. Sul calendario di eventi proposto ad Assisi sentiamo suor Chiara Damiana Tiberio, del
protomonastero di santa Chiara in Assisi.
R. – Il nostro raccoglierci proprio come Clarisse attorno
a Santa Chiara nel 750.mo anniversario della sua morte è un evento di grazia
che ci invita a riconfrontarci con la bellezza e la radicalità del suo carisma
di povertà, di fraternità e di contemplazione e quindi questa ricorrenza è un
ritornare alle sorgenti della nostra vocazione e anche un protenderci al
compimento di essa.
D. – Suor Chiara Damiana, quale l’eredità lasciata da
Chiara d’Assisi?
R. – Chiara muore stringendo tra le mani e baciando più
volte la regola approvata da Papa Innocenzo IV il 9 agosto 1253, poco prima
della sua morte. In essa è racchiuso il segreto della sua vita consacrata; è il
tesoro da consegnare alle sue figlie e anche alla Chiesa, cioè la professione
della santissima povertà. E proprio su questa scelta radicale di povertà Chiara
ci trasmette la sua eredità, ricordandoci che il Signore è veramente l’unico e
il sommo bene e che lui solo basta a riempire il cuore umano, a ridargli
armonia, a ridonargli la pace. E per questo penso sia una donna attuale: parla
eloquentemente alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra società che
rischia la superficialità, l’apparenza, la perdita anche di identità.
D. – Che cosa vuol dire essere Clarissa oggi, nel 2003?
R. – Ripercorrere con fedeltà amorosa e creativa il solco
tracciato da Santa Chiara, divenendo capaci di trasmettere ancora la freschezza
della sequela del Signore in povertà ed umiltà, e accettare anche di essere un
mite segno di contraddizione perché la nostra vita povera, obbediente e casta,
separata dal mondo sarà sempre provocatoria per le coscienze e la mentalità
corrente.
D. – Suor Chiara Damiana, un’ultima domanda. Come ha
sentito la vocazione a seguire Dio sull’esempio di Chiara d’Assisi?
R. – Ciò che ha segnato una svolta interiore decisiva per
me è stato l’incontro con le Clarisse della comunità in cui ormai vivo. Ecco,
lì ebbi la percezione profonda che queste donne consacrate potevano vivere in
monastero unicamente perché il Signore Gesù era il tutto della loro vita. Ecco,
il Signore è tutto; sì, Dio è proprio tutto e chiede tutto. E anche a me, per
un gesto di grande misericordia e grazia, veniva concesso – come dice Santa
Chiara – di potere amare con tutta me stessa Colui che per amor mio tutto si è
donato.
(musica)
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OGGI
SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“La Chiesa è impegnata a costruire in Europa e nel
mondo una città degna dell’uomo” è il titolo che apre la Prima Pagina in
riferimento all’Angelus Domini di domenica nel quale il Papa ha ricordato che
la missione della Chiesa nel Vecchio Continente è alimentare la cultura della
solidarietà e servire il Vangelo della speranza. Al termine dell’Angelus il
Santo Padre ha anche pregato per le vittime
degli incendi che hanno colpito l’Europa ed elevato una supplica al
Signore perché “doni alla terra il refrigerio della pioggia” In basso il
richiamo del Messaggio di Giovanni Paolo II per il 750° della morte di Santa
Chiara d’Assisi. A seguire, nella Repubblica Democratica del Congo saccheggiato
il seminario di Fataki: uccise diverse persone. L’allarme del Pam per la
condizione degli sfollati nell’Ituri.
Nelle vaticane, una pagina con articoli dedicati a
Santa Chiara d’Assisi.
Nelle pagine estere, il presidente della Liberia Taylor ha
annunciato le dimissioni e l’esilio. In Medio Oriente, gli Hezbollah attaccano
una postazione israeliana; Colloqui al Cairo tra il presidente egiziano
Mubarak, il principe ereditario saudita Abdallah Ben Abdel Aziz e l’assistente
del segretario di Stato Usa William Burns; in Iraq sale l’intensità degli atti
di guerriglia con nuovi scontri a Bassora. Sul fronte del terrorismo, allarme
in Gran Bretagna dove gli agenti di Polizia sono stati autorizzati a “sparare
per uccidere” anche contro persone sospette.
Nella pagina culturale, un articolo sulla figura del
viandante nella cultura nipponica. In una pagina monografica Fernando Salsano
propone una “Lectura Dantis” sul IV trattato del Convivio.
Nelle pagine italiane, i temi della giustizia, del
pubblico impiego e dell’emergenza incendi.
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11 agosto 2003
LA CATASTROFE UMANITARIA DELLA LIBERIA NECESSITA DI
RISPOSTE IMMEDIATE
DA
PARTE DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. QUESTO L’APPELLO
LANCIATO
DALLA CROCE ROSSA PER IL PAESE AFRICANO, DOVE IL PROTRARSI
DELLA
GUERRA CIVILE IMPEDISCE L’ARRIVO DEGLI AIUTI UMANITARI
-
Intervista con Mario Giro -
Fin
dall’inizio degli anni ’80 la storia della Liberia è stata caratterizzata da un
susseguirsi di attentati che hanno portato a massicce detenzioni ed esecuzioni.
Ma la situazione è precipitata nel 1989 quando nel Paese ha avuto inizio una
guerra civile che, nonostante alcune brevi interruzioni, semina ancora oggi
morte e distruzione. Nel Paese africano, dove la sicurezza non è per il momento
garantita neanche dal recente ingresso a Monrovia della forza internazionale di
pace dell’Ecowas, il futuro della stremata popolazione locale sembra legato
alla sorte del presidente Taylor: i ribelli, infatti, chiedono che il capo di
Stato liberiano, le cui dimissioni sono previste oggi, lasci il Paese al più
presto. Sulla situazione umanitaria della Liberia ci parla Mario Giro, uno dei
promotori dell’incontro organizzato, a Roma, nella sede della Comunità di
Sant’Egidio, con lo scopo di promuovere la pace nel Paese africano.
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R. – La situazione liberiana è molto complessa perché la
guerra è cominciata, in realtà, 13 anni fa e l’instabilità del Paese nel 1980.
Quindi, è una questione molto complicata. Diciamo che quest’ultima fase di
guerra tra i ribelli del Lurd, del Model e il presidente Taylor è la
conseguenza delle guerre precedenti. La Liberia non ha più, sostanzialmente, un
vero e proprio Stato; dal 1990 è un Paese in cui molti gruppi armati si sono
rivoltati alle istituzioni o tra di loro: è una cosa molto complicata;
risultato di tutto questo è che nel 1997 uno dei più forti, Taylor, è diventato
presidente pur con delle elezioni ma poi anche a causa del fatto di essere
stato incriminato alla Corte penale speciale per la Sierra Leone per i suoi
trascorsi sostegni ai ribelli sierraleonesi, oggi deve lasciare il potere ma
nemmeno i ribelli attuali prenderanno il potere al suo posto. La comunità
internazionale vuole imporre una soluzione ‘civile’ nel senso che chi dirigerà
il Paese – speriamo presto – sarà scelto tra società civile, eminenti liberiani
e politici liberiani che non hanno partecipato alle fasi di guerra di questi
ultimi anni. Però, la Liberia è l’esempio di un Paese che entra nella tormenta,
diventa preda dei signori della guerra, le responsabilità qui ci sono tutte
anche da parte di chi ha preso le armi; ovviamente, sono responsabilità a
cerchi concentrici e che è diventato l’esempio di un Paese, di un quasi-Stato,
di uno Stato che non ha più strutture, in preda ai signori della guerra che è
un termine – tra l’altro – che è stato coniato proprio per la Liberia.
D. – La Croce Rossa Internazionale ha lanciato un appello
per un intervento umanitario rapido per tutto il Paese della Liberia in quanto
a questo punto poi sono i civili a fare le spese di questa situazione ...
R. – Sì. Sono morti tantissimi civili: circa 250 mila, in
questi 13 anni, nell’ultima fase moltissimi. L’accerchiamento ed il
bombardamento di Monrovia, ovviamente, si scarica innanzitutto sui civili, sono
i civili che pagano, i bambini, le donne, i più deboli ... Bisognava
interrompere subito. Noi eravamo preoccupati, come Comunità di Sant’Egidio, che
si facesse presto; per questo abbiamo cercato di spingere nel senso
dell’accordo di Accra – perché è ad Accra che si svolgono i colloqui di pace –
il movimento di guerriglia. Credo che quello che dice la Croce Rossa è molto
giusto, nel senso che adesso che siamo in un momento forse di svolta, in cui è
possibile – per esempio – per gli umanitari incominciare a pensare
concretamente alla possibilità di raggiungere i civili, all’accesso alle vittime,
adesso che si è smesso di combattere almeno con i mezzi pesanti. Speriamo che
questo duri; il presidente dovrebbe dimettersi, il Parlamento liberiano ha
accettato le sue dimissioni ed ha eletto a presidente il vice presidente.
Quindi, spero che questo sia il momento di coincidenza positiva in cui
finalmente gli umanitari possano entrare in forze, innanzitutto la Croce Rossa
Internazionale, per soccorrere i civili. Ricordo solo che ci sono decine di
migliaia di persone, tutte nello stadio di Monrovia, accerchiate, senza acqua,
luce, gas, medicine, cibo ... niente.
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IL “PROGETTO AXE’” A SALVADOR DE
BAHIA,
INIZIO
DI UNA NUOVA VITA PER I BAMBINI DI STRADA
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Intervista con Cesare de Florio La Rocca -
Da 13 anni l’avvocato fiorentino Cesare de Florio La Rocca
si dedica ai bambini di strada nella città brasiliana di Salvador de Bahia.
Bambini perduti che attraverso la bellezza dell’arte e la pazienza degli
operatori del Progetto Axé sono tornati alla vita. Bambini che non hanno mai
conosciuto il piacere, come quello di tagliare stoffe, provare uno strumento
musicale, danzare e che di fronte a queste manifestazioni tornano a desiderare
e a sognare ciò che gli hanno rubato e
tolto. Il servizio di Benedetta Capelli.
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(musica)
Ritornare alla vita attraverso l’arte: con questa semplice
formula, Cesare de Florio La Rocca ha guarito 12 mila bambini che attraverso il
canto, il ballo e i libri riacquistano il desiderio di vivere. Progetto Axé è
nato il 1° giugno 1990, ma perché e come è nato? A raccontarlo, il suo
fondatore:
R. – Axé è una parola della lingua africana yourouba che
significa “energia positiva, che permette che tutte le cose esistano. Ne avevo
parlato con un grande educatore, che era Paolo Fresi. Discusse molto questo mio
progetto che ancora non aveva un nome e quando cominciò a realizzarsi, ad
incarnarsi in una situazione culturale di afro-brasiliano come è quella di
Salvador, capitale dello Stato di Bahia, ha preso il nome di Axé, e che era
diretto soprattutto ai bambini ed ai giovani più esclusi tra gli esclusi. Direi
che ho dato al Progetto il nome di Axé per rispetto alla cultura e alla
religiosità afro-brasiliana, ma soprattutto per mettere in evidenza che il
bambino è l’Axé, ossia l’energia più preziosa di una nazione.
D. – Concretamente, come operate?
R. – Axé opera attraverso l’educatore di strada.
L’educatore di strada non va a caccia di bambini ma va là dove c’è un
agglomerato di bambini e di bambine che hanno fatto della strada il loro habitat.
Noi vogliamo perdere pedagogicamente il tempo sulla strada perché il bambino
decida, e quando decide di lasciare la strada è una decisione permanente. Una
volta deciso questo, l’Axé agisce come un progetto dai grandi ritorni: il
ritorno a casa, il ritorno a scuola, il ritorno alla comunità di origine.
Quando si parla di bambini di strada si dice: “Ma come, il bambino di strada ha
famiglia?”, perché anche noi siamo stati per lunghi anni vittime di un mito:
sappiamo che il bambino di strada ha una famiglia perché ha un referente
familiare che può essere la mamma, il fratello più vecchio, la madrina o anche
un vicino. Ecco, è con questo riferimento familiare che noi dobbiamo stabilire
un’alleanza che ha per oggetto un progetto di vita del bambino. E poi, la cosa
fondamentale che l’Axé ha scoperto è che è impossibile educare oggi senza
l’arte; è impossibile credere che questi bambini fossero in strada: oggi sono
re e regine, sembrano principesse e principi africani sul palco.
D. – C’è un’esperienza che più di ogni altra l’ha colpita
e la spinge a continuare su questa strada?
R. – Pedro aveva 12 anni quando è stato abbordato per la
prima volta per strada dagli educatori, aveva una storia terribile di abbandono
e di sfruttamento sessuale. Era sicuro che non avrebbe potuto avere un altro
sbocco nella vita a meno che essere un prostituto. Il giorno in cui il nostro
gruppo di ballerini si presentò in strada, questo bambino rimase incantato e
cominciò a muoversi d’accordo con i movimenti della danza dei nostri ragazzi.
Poi si avvicinò, poi chiese informazioni sulla scuola di danza dell’Axé e come
avrebbe potuto entrare. Il ragazzino era talmente affascinato dalla danza che
in sei mesi è riuscito a ritornare a casa, a ritornare a scuola – certo, con
l’appoggio degli educatori – e oggi è il primo ballerino della compagnia di
danza dell’Axé. Ma non si chiama Pedro, come ho detto io ...
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IL
“ROSSINI OPERA FESTIVAL” DI PESARO, TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO:
CON
NOI, IL SOVRINTENDENTE GIANFRANCO MARIOTTI
-
Servizio di Luca Pellegrini -
Ieri sera nell’ambito del “Rossini Opera Festival” ha
debuttato a Pesaro l’opera Le Comte Ory, di Gioacchino Rossini. Un’opera
con un nuovo allestimento per mano del regista spagnolo Lluis Pasqual e che ha
ricevuto moltissimi applausi, qualche contestazione e che ha visto la divisione
della critica, però tutte le repliche sono completamente esaurite. Una storia
che si svolge in un anno indefinito - comunque tra la fine dell’ottocento e i
primi del novecento - e che riflette l’humus boccaccesco originario della
vicenda, il tutto trasposto dal regista con furba intelligenza e qualche
provocazione. Molto bravi gli interpreti. Il servizio di Luca Pellegrini.
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Sono stati interpreti straordinari, quelli di Pesaro: Juan
Diego Flórez e Stefania Bonfadelli, musicalità adamantina, colori e colorature
perfette, controllo tecnico, presenza scenica di rara eleganza, recitativi
finalmente declamati come si deve, per loro un trionfo assoluto. Insieme a
tutti gli altri interpreti di questa bella serata: Bruno Praticò, Marie-Ange
Todorovitch, Alastair Miles, Marina De Liso. Un secondo spagnolo è stato
fautore del successo: il direttore d’orchestra Jesús López Cobos, che ha
guidato con competenza e rigore la buona orchestra del Teatro Comunale di
Bologna. Equilibrio e giusto compromesso tra chiari e scuri, tra volumi ed
intimi accenti. Ottimo, come sempre, il Coro da Camera di Praga diretto da
Lubomír Mátl, presenza storica della manifestazione rossiniana.
Da notare che a fianco di queste grandi produzioni il Festival sta coltivando il suo
futuro canoro: dall’Accademia rossiniana escono ogni anno validi cantanti che immediatamente sono posti a
confronto con le ardue note del pesarese: così al palafestival si allestisce il
famoso Viaggio a Reims, sedici disciplinatissimi e preparati giovani, un
allestimento di poche cose e grandi idee di Emilio Sagi e Christopher Franklin
sul podio, direttore paterno e di grande acume, pronto ad aiutare nel difficile
viaggio tra colorature impossibili.
Tra passato e presente, già si guarda al futuro, nelle
parole del sovrintendente del Festival, Gianfranco Mariotti:
R. – In futuro, abbiamo intenzione di proseguire nella
nostra ricerca sul linguaggio teatrale moderno, sulla restituzione ad un
pubblico di oggi un repertorio nato per un pubblico diverso. Noi siamo convinti
e continueremo su questa strada, che il futuro dell’opera stia nel recupero
della triade costitutiva dell’opera: musica-gesto-parola, quindi pari dignità
del libretto della vicenda drammaturgica con gli altri elementi. Noi abbiamo un
vantaggio: siamo un festival e per noi le partiture sono blindate, nessuno può
violentarle sia da un punto di vista musicologico che esecutivo. Quindi,
andiamo a questi appuntamenti con un apparato musicale-artistico inattacabile;
poi, le regie naturalmente sono soggette al giudizio del pubblico, innescano
discussioni come è dovere di un festival vivo. Questa è la strada su cui
proseguiremo la nostra ricerca. Per l’anno prossimo abbiamo in cantiere due
produzioni grandi: “Elisabetta, regina d’Inghilterra” che, tra l’altro avrà la
nuova edizione critica della Fondazione Rossini in una produzione di Matilda di
Chabran; e riproporremo il “Tancredi”, la nostra produzione del 1999, riallestito
in uno spazio diverso. Assieme a questo la consueta ricerca sul mondo delle
farse: sono autori coevi di Rossini, anche qui avremo due nuove produzioni
nell’ambito del Festival giovane. Tutto questo, ripeto, ha come stella polare
una ricerca sistematica di nuovi linguaggi riconoscibili da un pubblico teatrale
moderno, mentre i conti con il rigore noi li abbiamo fatti una volta e definitivamente
quando siamo nati, quando abbiamo incardinato il nostro lavoro a quello scientifico
della Fondazione Rossini.
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11 agosto 2003
GRANDE ATTESA IN KENYA PER I COLLOQUI DI PACE FRA I
RAPPRESENTANTI
DEL
GOVERNO DEL SUDAN E I RIBELLI DELL’ ESERCITO DI LIBERAZIONE POPOLARE.
MA
GLI ESITI DEL CONFRONTO SONO ANCORA MOLTO INCERTI
NAIROBI. = Dovrebbero entrare
oggi, in Kenya, nella fase finale i colloqui di pace per il Sudan tra i
rappresentanti del governo di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione
popolare del Sudan. Secondo molti osservatori e analisti, questa fase negoziale
che dovrebbe essere decisiva, dal momento che i mediatori, compresi gli Stati
Uniti e l’Unione Europea, si aspettano un accordo definitivo al massimo entro
la fine di agosto. Purtroppo un passo di questa portata potrebbe non giungere
ancora, a causa delle divergenze emerse nell’ultima tornata negoziale svoltasi
a luglio. Il mese scorso, infatti, prima di lasciare il tavolo del negoziato,
il Sudan aveva fatto sapere che senza una nuova bozza di accordo non sarebbe
tornato a trattare con i ribelli. I negoziati si erano arenati lo scorso 12 luglio,
quando il governo del presidente Omar el-Beshir aveva accusato i mediatori
dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo di appoggiare le posizioni
dell’Esercito di liberazione popolare nella bozza di accordo presentata alle
parti. I colloqui di pace sudanesi, che proprio un anno fa avevano fatto
segnare un primo importante accordo per il cessate-il-fuoco, continuano a
bloccarsi su due questioni-chiave: il controllo delle ricche aree petrolifere
del sud e la distribuzione dei relativi proventi. Nonostante gli sforzi dei
mediatori internazionali, su questi due punti permangono profonde divergenze
tra governo e ribelli. (M.D.)
SACCHEGGIATO DA UNA BANDA ARMATA IL SEMINARIO
MINORE DI FATAKI,
NELLA
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. TRUCIDATI NUMEROSI CIVILI
CHE SI ERANO RIFUGIATI NELL’ISTITUTO PER
SFUGGIRE ALLE VESSAZIONI
DEI
MILIZIANI DI ETNIA LENDU. 250 SOLDATI BENGALESI INVIATI
DALLE
NAZIONI UNITE SONO GIUNTI NELLA REGIONE
FATAKI. = Un numero imprecisato
di civili è stato trucidato nell’Est della Repubblica democratica del Congo da
una banda armata che ha razziato, venerdì scorso, il seminario minore di
Fataki, 80 chilometri a nord di Bunia. Lo hanno riferito ieri fonti
dell’agenzia missionaria Misna nella tormentata regione congolese dell’Ituri, le
quali indicano che tra le vittime figurerebbe anche il padre del parroco di
Fataki, don Protect Dhena. Al momento, stando alle stesse fonti, non si placano
le preoccupazioni per il coinvolgimento di altre persone in azioni criminose
perpetrabili nel prossimo futuro. Gli autori degli efferati crimini sarebbero
miliziani lendu i quali da tempo compiono vessazioni nei confronti della
popolazione civile. La settimana scorsa, ad esempio, avevano assalito
l'orfanotrofio. Il villaggio di Fataki, di cui è originario anche Thomas
Lubanga, leader dell’Unione dei patrioti congolesi, la milizia a componente
etnica Hema corresponsabile delle stragi di Bunia del maggio scorso, si trova
in una zona abitata in maggioranza dagli Hema dell’Ituri settentrionale, contro
cui si scagliano gli attacchi dei rivali Lendu. L’intera zona continua infatti
ad essere segnata dagli scontri tra queste due formazioni avversarie che si
contendono a spese dei civili un territorio particolarmente ricco di risorse
minerarie. Intanto sono arrivati a Bunia altri duecento cinquanta soldati del
Bangladesh che avranno il compito di rinforzare il contingente uruguayano delle
Nazioni Unite, dispiegato nel capoluogo dell’Ituri. I militari bengalesi già
presenti a Bunia sono attualmente 730 ed entro il 1 settembre prossimo dovranno
raggiungere le 1200 unità. Tra poco meno di un mese, infatti, scade il mandato
della forza internazionale di pace “Artemis”, inviata dall’Unione Europea sotto
l’impulso dell’Onu e guidata dalla Francia. Il nuovo contingente opererà insieme a quello uruguaiano e a
quello pakistano per cercare di garantire la sicurezza in tutto l'Ituri. (M.D.)
LA NIGERIA BLOCCA LA FRONTIERA CON IL VICINO BENIN. IL
GOVERNO DI ABUJA
SI
DICE PREOCCUPATO PER L’AUMENTO DELLA CRIMINALITÁ
PROVENIENTE
DAL PAESE CONFINANTE
ABUJA. = Il governo nigeriano
chiude la propria frontiera con il vicino Benin. La misura, decisa attraverso
un decreto governativo con effetto immediato, è stata presa in seguito
all’incessante violenza malavitosa nella zona occidentale del Paese a ridosso
del confine. Da tempo ormai l'esecutivo di Abuja aveva espresso la propria
preoccupazione per l’aumento del crimine proveniente dal Paese confinante,
e soprattutto per rapine, contrabbando e
traffico di esseri umani. In un comunicato, il Ministero degli esteri
sottolinea che la Nigeria è stata costretta a questa drastica decisione a causa
degli scarsi risultati ottenuti dal Benin nella lotta contro l’illegalità. Il
problema della malavita che opera a cavallo della frontiera tra i due Paesi,
era stato al centro di un vertice tenuto l’11 luglio scorso tra il presidente
nigeriano Olusegun Obasanjo e il suo omologo del Benin, Mathieu Kerekou.
Secondo le informazioni diffuse da Abuja le frontiere saranno riaperte soltanto
quando il governo si riterrà soddisfatto delle iniziative anti-crimine prese
dalla controparte. Il governo del Benin ha confermato l’effettiva chiusura
della frontiera, ma non ha nascosto la propria sorpresa per l’iniziativa.
(M.D.)
UCCISO IN UGANDA IL CATECHISTA CATTOLICO
DELLA MISSIONE DI KITGUM,
SEQUESTRATO
DAI RIBELLI DEL SEDICENTE ESERCITO DI LIBERAZIONE DEL SIGNORE.
NUMEROSI
VILLAGGI RAZZIATI NEL CORSO DELL’ ULTIMO FINE SETTIMANA
KITGUM. = Francis Tolit, il
catechista cattolico della missione di Kitgum, nell’arcidiocesi di Gulu,
sequestrato all’inizio del mese dai ribelli del sedicente Esercito di
resistenza del signore, è stato ucciso. Lo ha riferito all’agenzia missionaria
Misna il parroco di Kitgum, padre Josef Gerner, precisando che la vittima era
stata sequestrata assieme a una ventina di civili, nella località di Lelamur.
Anche altri due catechisti sono al momento nelle mani dei ribelli. “Questi
episodi – afferma padre Gerner – avvengono quotidianamente e rivelano lo stato
d’insicurezza in cui versa la popolazione civile”. Solo nel fine settimana,
infatti, attorno a Kitgum, sono stati saccheggiati numerosi villaggi con un
bilancio ancora imprecisato di sequestri. Sabato, invece, un convoglio con a
bordo alcuni civili è caduto in un’imboscata in località Adyeda, nei pressi di
Bobi, 20 chilometri a sud di Gulu. Le cinque persone che viaggiavano a bordo
del veicolo sarebbero rimaste ferite. I ribelli, agli ordini di Joseph Kony,
infestano anche i distretti di Gulu, Lira e Pader. Inoltre, alcune unità
dell’Esercito di resistenza del signore sono state segnalate più a sud, verso i
territori delle etnie teso e kumam. (M.D.)
I
MISSIONARI SAVERIANI FESTEGGIANO 53 ANNI
DI ATTIVITA’ IN SIERRA LEONE,
PRESENZA
IMPORTANTE NELLA RICOSTRUZIONE DEL PAESE
DOPO
10 ANNI DI GUERRA CIVILE
MAKENI. = Festa di famiglia oggi
per la comunità saveriana in Sierra Leone. L'istituto del Beato Conforti
festeggia infatti il 53mo di presenza nel Paese dell'Africa occidentale. In
questi anni sono stati oltre 130 i saveriani che hanno prestato servizio
nell’ex protettorato britannico. I primi quattro, padre Camillo Olivani, padre
Pietro Serafino Calza, padre Attilio Stefani e mons. Augusto Azzolini giunsero
a Freetown l'8 luglio del 1950. Da allora molti avvenimenti hanno
caratterizzato la presenza saveriana in Sierra Leone. Di particolare
significato è stata la fondazione della diocesi di Makeni, guidata attualmente
da mons. Giorgio Biguzzi, vescovo saveriano. “I figli del Conforti - ha detto
mons. Biguzzi alla agenzia missionaria Misna - continuano ad essere solidali
con le comunità cristiane locali e l'intera nazione, soprattutto in questo
delicato periodo di ricostruzione del tessuto sociale, dopo 10 anni di guerra
civile”. (M.D.)
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11 agosto 2003
- A cura di Amedeo Lomonaco -
Per il futuro della Liberia sembra finalmente
giunto il momento della svolta: in una cerimonia a Monrovia, alla presenza del
presidente sudafricano, Thabo Mbeki, è infatti previsto oggi il trasferimento
di potere dal presidente liberiano al suo vice, Moses Blah. Secondo fonti
diplomatiche Taylor, che non ha ancora ufficialmente annunciato quando lascerà
il Paese, potrebbe prossimamente partire con Mbeki per la Nigeria, che gli ha
offerto asilo politico. Ieri, intanto, in un discorso alla radio di 15 minuti,
il presidente liberiano aveva lanciato pesanti accuse contro gli Stati Uniti,
come ci riferisce Giulio Albanese:
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Presentandosi come vittima di un complotto internazionale
e promettendo che un giorno tornerà, Taylor ha accusato pesantemente gli Stati
Uniti di aver addestrato e armato i ribelli.
“I HAVE
DECIDED TO LEAVE BECAUSE …”
Rivolgendo ai liberiani un messaggio inusuale per un personaggio del suo
calibro a tratti è apparso quasi commosso. “Non posso più vedervi soffrire ha
detto. Vi dico che se Dio vorrà tornerò”. Taylor passerà le consegne al suo
vice, Moses Blah, che si è detto sicuro al cento per cento di poter riportare
la pace nel Paese africano, lacerato da 14 anni di guerra civile. Taylor ha
detto che si tratta di una guerra americana e che i ribelli del Lurd, i
liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia, sono degli ausiliari
addestrati ed armati dagli Stati Uniti.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Ma la
fame continua, purtroppo, a minacciare la popolazione civile della Liberia. Per
studiare il modo con cui far pervenire in città medicinali e aiuti umanitari è
in programma, oggi, un incontro tra la Croce Rossa e l’arcivescovo di Monrovia.
Si apre, intanto, un nuovo fronte di tensione in Medio
Oriente. All’indomani dell’attacco degli Hezbollah contro la Galilea, nel quale
è rimasto ucciso un giovane israeliano, lo Stato ebraico avverte la Siria delle
possibili conseguenze di un’eventuale escalation di violenze. “La Siria è
sicuramente il cordone ombelicale attraverso il quale gli Hezbollah si nutrono
- ha detto il vice ministro della difesa israeliano, Zeev Boim, in una
dichiarazione alla radio – e se gli episodi di violenza proseguiranno, ci sarà
una chiara risposta militare da parte di Israele che potrebbe colpire obiettivi
siriani”. Il ragazzo di 16 anni rimasto ucciso nell’attacco contro il villaggio
di Shlomi è la prima vittima israeliana degli Hezbollah da quando lo Stato
ebraico si è ritirato, nel maggio del 2000, dal Sud del Libano dopo 22 anni di
occupazione. Sulle reazioni a questo grave episodio di violenza, ci riferisce
Graziano Motta:
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Resta
forte la tensione in Alta Galilea dopo il bombardamento dei guerriglieri
Hezbollah di ieri, che nel villaggio di Shlomi ha provocato la morte di un
giovane israeliano di 16 anni e il ferimento di cinque altre persone. Le
autorità della regione hanno deciso che lo stato di allerta prosegua con un
periodo ci coprifuoco serale e sospendendo la riapertura delle scuole. Il primo
ministro, Ariel Sharon, al termine di intense consultazioni ha deciso di non
puntare al momento sulla risposta militare, anche se in territorio libanese
degli elicotteri hanno colpito le postazioni di artiglieria degli Hezbollah e
aerei hanno sorvolato a bassa quota la capitale Beirut. A nome del governo,
Israele ha chiesto agli Stati Uniti di trasmettere un messaggio alla Siria in
cui si afferma che non accetterà una nuova escalation dei guerriglieri.
Consultazioni si svolgono all’Onu. Il segretario generale Annan ha dichiarato
che c’è stato una flagrante violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e
ha rivolto un appello ai Paesi in grado di esercitare un’influenza sugli
Hezbollah – Libano, Siria e Iran – perché sia posta fine alla tensione.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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Il futuro dell’Iraq sembra dipendere non solo dai
progetti di ricostruzione avanzati dall’amministrazione civile americana ma
anche dalle relazioni politiche del governo provvisorio iracheno con gli altri
Paesi arabi. Nei giorni scorsi i ministri degli esteri della Lega araba,
riuniti al Cairo, avevano manifestato la loro disponibilità a trattare con
l’esecutivo transitorio di Baghdad, pur sottolineando l’esigenza dell’istituzione
di un “governo legittimo”. L’Iran, invece, non ha ancora deciso se riconoscere
il governo provvisorio iracheno, ma intende comunque “avere buoni rapporti con
i vicini”. Con l’obiettivo di rilanciare l’economia dell’Iraq, una delegazione
irachena, guidata dal governatore di Ninive, Ghanem Sultan al Busso, si trova
in questi giorni in Siria dove ha avuto una serie di incontri con
rappresentanti dell’esecutivo di Damasco per esaminare le possibilità di
sviluppo delle relazioni commerciali e turistiche tra i due Paesi. Sul terreno,
intanto, non sembra interrompersi la drammatica ondata di violenza contro le
truppe statunitensi: la scorsa notte un soldato americano è rimasto ucciso a
causa dell’esplosione di una bomba avvenuta a Baquba, città a Nord-Est di Baghdad.
Questa mattina, inoltre, un iracheno è rimasto ferito a causa dell’esplosione
di due bombe avvenuta ad alcune decine di metri dalla ambasciata britannica di
Baghdad. Secondo quanto riferisce la televisione araba Al Jazeera sempre oggi,
nella capitale irachena, soldati americani hanno ucciso per errore due
poliziotti iracheni, scambiati per guerriglieri di Saddam Hussein.
Per preparare il tavolo negoziale a sei sulla crisi
aperta dalle ambizioni nucleari di Pyongyang i delegati di Russia, Corea del
Nord e del Sud terranno un incontro martedì prossimo a Mosca. Lo ha dichiarato,
ieri, il vice ministro degli esteri russo, Alexander Losyujov, attualmente in
visita a Pechino con l’obiettivo di stabilire un coordinamento con la Cina,
Paese cardine nella crisi, che parteciperà ai colloqui a sei. Per la sede dei
colloqui, che si svolgeranno probabilmente nella seconda metà di agosto, la
Cina ha proposto Pechino.
Uno spiraglio per la riconciliazione si registra in
Chapas, regione messicana dove da anni la rivolta zapatista cerca di ottenere
un riconoscimento dal governo centrale delle culture locali. Nel corso di un
grande incontro i leader del partito zapatista si sono dichiarati disponibili a
favorire la strada delle riforme. Una scelta approvata anche dalla Chiesa
locale, come ci spiega Maurizio Salvi:
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Al termine della Messa domenicale a Città del Messico il
cardinale Norberto Rivera ha giudicato positivamente il ritorno politico
dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale. Dopo aver sostenuto che
questa volta non si permetteranno interferenze esterne, il porporato ha chiesto
agli zapatisti di evitare una guerra di comunicati per concentrarsi invece
sulle soluzioni possibili per le richieste reali delle etnie in conflitto. Di
fronte a migliaia di indios e di militanti venuti anche dall’Europa vari
comandanti zapatisti si sono avvicendati alla tribuna durante il fine settimana
per spiegare la nuova forma di autogoverno nei municipi autonomi del Chapas.
Oltre ad annunciare la nascita di cinque centri operativi da cui dipendono
altrettante giunte del buon governo, l’esercito zapatista ha ribadito la sua
volontà di esercitare comunque nelle zone controllate un potere parallelo.
Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.
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Non sembra arrestarsi la scia di violenze in Colombia. Un
camion pieno di tritolo è esploso ieri a San Martin, nel centro del Paese,
provocando il ferimento di almeno 20 persone. Lo scoppio è avvenuto vicino ad
una stazione di servizio alla periferia della città, che si trova a circa 300
chilometri da Bogotà. Secondo le autorità locali la responsabilità
dell’attentato è da attribuire Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc).
Dopo le speranze di riconciliazione per il Sudan,
alimentate dagli accordi del Machakos, del luglio dell’anno scorso, sono ripresi
ieri in Kenya i colloqui per la pace tra governo di Khartoum e ribelli
dell’Esercito popolare di Liberazione del Sudan. Intanto il Paese rischia
sempre di tornare in preda alle tensioni tra Nord e Sud, che hanno già
provocato una guerra civile ventennale. Proprio in questi giorni i vescovi
cattolici e anglicani del Sudan si sono riuniti in Uganda per esprimere il
proprio sostegno al processo di pace.
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