RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 223 - Testo della Trasmissione di lunedì 11  agosto 2003

 

Sommario

                                                                                    

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La vita contemplativa, testimonianza di valori umani e cristiani per il mondo d’oggi, orfano dell’Amore di Dio. Così il Papa, nel Messaggio alle Clarisse per i 750 anni dalla morte di Santa Chiara d’Assisi. Con noi, suor Chiara Damiana Tiberio.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

La catastrofe umanitaria della Liberia esige risposte immediate dalla comunità internazionale. E’ l’appello della Croce Rossa per la popolazione del Paese africano martoriata dalla guerra civile. Intervista con Mario Giro.

 

Una iniziativa umanitaria per i bambini di strada nello Stato brasiliano di Bahia. L’esperienza dell’avvocato Cesare de Florio La Rocca.

 

Il “Rossini Opera Festival” di Pesaro, tra passato, presente e futuro. Ai nostri microfoni, il sovrintendente Gianfranco Mariotti.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Riprendono in Sudan i colloqui di pace fra il governo di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione popolare.

 

Nella Repubblica Democratica del Congo saccheggiato da una banda armata il Seminario minore i Fataki. Trucidati numerosi civili che si erano rifugiati nell’Istituto per sfuggire alle vessazioni dei miliziani di etnia Lendu.

 

Criminalità proveniente dal Benin verso la Nigeria: Abuja blocca la frontiera.

 

Ucciso in Uganda il catechista cattolico sequestrato dai ribelli all’inizio del mese.

 

I missionari Saveriani festeggiano 53 anni di attività in Sierra Leone. Una presenza significativa in questa fase di ricostruzione dopo dieci anni di guerra civile.

 

24 ORE NEL MONDO:

 In Liberia le previste dimissioni del presidente, Charles Taylor, possono costituire una svolta decisiva per il futuro del Paese africano.

 

L’attacco di ieri degli Hezbollah libanesi contro la Galilea riapre, in Medio Oriente, nuovi fronti di tensione.

 

In Chapas i leader del partito zapatista si sono dichiarati disponibili a favorire la strada delle riforme.

 
 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

11 agosto 2003

 

 

LA STRAORDINARIA ATTUALITA’ DELLA FIGURA E DELL’OPERA DI SANTA CHIARA,

 SOTTOLINEATA DAL PAPA NEL MESSAGGIO ALLE CLARISSE PER IL 750.MO

 ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELLA SANTA D’ASSISI

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

Santa Chiara è un esempio di “pedagogia della santità”, che, alimentandosi di incessante preghiera, spalanca il cuore allo Spirito del Signore, “trasformando tutta la persona”, secondo le esigenze del Vangelo. Così, Giovanni Paolo II evidenzia, in un messaggio all’Ordine delle Clarisse, la straordinaria forza della figura della santa d’Assisi, discepola di San Francesco, a 750 anni dalla morte. Un esempio di grande attualità per il nostro tempo, che oggi viene tenuto vivo e diffuso nel mondo da circa novecento monasteri, sparsi nei cinque continenti. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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 La Regola di Santa Chiara, nonostante il volgere dei secoli, “conserva intatto il suo fascino spirituale e la sua ricchezza teologica”. Nel tracciare la straordinaria eredità della santa d’Assisi, il Papa sottolinea come la “perfetta consonanza di valori umani e cristiani, la sapiente armonia di ardore contemplativo e di rigore evangelico” siano per le Clarisse del terzo millennio una “via maestra da seguire, senza accomodamenti o concessioni allo spirito del mondo”. E si sofferma sul carisma tipico dell’Ordine, caratterizzato come “chiamata a vivere secondo la perfezione” del Vangelo riferendosi a Cristo come “unico e vero programma di vita”. Una sfida per gli uomini del nostro tempo, avverte, giacché rappresenta una “proposta alternativa all’insoddisfazione e alla superficialità del mondo contemporaneo”. Questo, infatti, sembra spesso “aver smarrito la propria identità, perché non avverte più di essere stato generato dall’Amore di Dio e di essere da Lui atteso nella comunione senza fine”.

 

Il Papa ricorda come Santa Chiara, esempio di “pedagogia della santità”, si lasciò attrarre dalla nuova forma di vita evangelica iniziata da san Francesco, approdando nel piccolo monastero di san Damiano. La santa d’Assisi, afferma, “percepiva la sua vocazione come una chiamata a vivere seguendo l’esempio di Maria” che accompagnò il suo cammino vocazionale sino al termine della sua vita. D’altro canto, solo la “scelta esclusiva di Cristo crocifisso”, rileva, “spiega la decisione con cui santa Chiara s’inoltrò nella via dell’altissima povertà”. Seguire il Figlio di Dio, prosegue, significava per lei “inabissarsi con Cristo nell’esperienza di un’umiltà e di una povertà radicali”, che coinvolgevano ogni aspetto della vita umana, fino allo spogliamento della Croce. Una scelta di povertà, che è “esigenza di fedeltà al Vangelo”.

 

Quindi, il Pontefice volge il pensiero alla “dimensione contemplativa claustrale” che contraddistingueva la vita della comunità raccolta in San Damiano. I quarant’anni vissuti da Chiara all’interno del piccolo monastero, “non restrinsero gli orizzonti del suo cuore, ma dilatarono la sua fede nella presenza di Dio, operante la salvezza nella storia”. Proprio la Santa assisiate, aggiunge, grazie ad una “matura esperienza contemplativa del Mistero trinitario” mostrò particolare comprensione per il “valore dell’unità nella fraternità”. Un punto, su cui sofferma, rimarcando come l’autentica contemplazione “non chiude nell’individualismo, ma realizza la verità dell’essere uno nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”. Convinta che “l’amore scambievole edifica la comunità e provoca una crescita nella vocazione”, Chiara non solo impostò la vita fraterna “sui valori del reciproco servizio, della partecipazione e della condivisione”, ma si preoccupò anche che la comunità fosse saldamente edificata “sull’unità della scambievole carità e della pace”.

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Una grande avventura cristiana, dunque, quella di Santa Chiara d’Assisi, che rimane ancora oggi di straordinaria attualità. Sulla figura della discepola di San Francesco e la vita delle Clarisse, all’alba del terzo millennio, il servizio di Paolo Ondarza:

 

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Una vita di povertà, interamente consegnata nelle mani di Dio. Questa l’esperienza terrena di Chiara d’Assisi che la Chiesa ricorda oggi 11 agosto. Quest’anno la memoria della santa assume una rilevanza particolare, vista la ricorrenza dei 750 anni dalla sua morte. Varie le iniziative in programma nella città di san Francesco e nei vari conventi di clarisse sparsi per il mondo. Sul calendario di eventi proposto ad Assisi  sentiamo suor Chiara Damiana Tiberio, del protomonastero di santa Chiara in Assisi.

 

R. – Il nostro raccoglierci proprio come Clarisse attorno a Santa Chiara nel 750.mo anniversario della sua morte è un evento di grazia che ci invita a riconfrontarci con la bellezza e la radicalità del suo carisma di povertà, di fraternità e di contemplazione e quindi questa ricorrenza è un ritornare alle sorgenti della nostra vocazione e anche un protenderci al compimento di essa.

 

D. – Suor Chiara Damiana, quale l’eredità lasciata da Chiara d’Assisi?

 

R. – Chiara muore stringendo tra le mani e baciando più volte la regola approvata da Papa Innocenzo IV il 9 agosto 1253, poco prima della sua morte. In essa è racchiuso il segreto della sua vita consacrata; è il tesoro da consegnare alle sue figlie e anche alla Chiesa, cioè la professione della santissima povertà. E proprio su questa scelta radicale di povertà Chiara ci trasmette la sua eredità, ricordandoci che il Signore è veramente l’unico e il sommo bene e che lui solo basta a riempire il cuore umano, a ridargli armonia, a ridonargli la pace. E per questo penso sia una donna attuale: parla eloquentemente alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra società che rischia la superficialità, l’apparenza, la perdita anche di identità.

 

D. – Che cosa vuol dire essere Clarissa oggi, nel 2003?

 

R. – Ripercorrere con fedeltà amorosa e creativa il solco tracciato da Santa Chiara, divenendo capaci di trasmettere ancora la freschezza della sequela del Signore in povertà ed umiltà, e accettare anche di essere un mite segno di contraddizione perché la nostra vita povera, obbediente e casta, separata dal mondo sarà sempre provocatoria per le coscienze e la mentalità corrente.

 

D. – Suor Chiara Damiana, un’ultima domanda. Come ha sentito la vocazione a seguire Dio sull’esempio di Chiara d’Assisi?

 

R. – Ciò che ha segnato una svolta interiore decisiva per me è stato l’incontro con le Clarisse della comunità in cui ormai vivo. Ecco, lì ebbi la percezione profonda che queste donne consacrate potevano vivere in monastero unicamente perché il Signore Gesù era il tutto della loro vita. Ecco, il Signore è tutto; sì, Dio è proprio tutto e chiede tutto. E anche a me, per un gesto di grande misericordia e grazia, veniva concesso – come dice Santa Chiara – di potere amare con tutta me stessa Colui che per amor mio tutto si è donato.

 

(musica)

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

“La Chiesa è impegnata a costruire in Europa e nel mondo una città degna dell’uomo” è il titolo che apre la Prima Pagina in riferimento all’Angelus Domini di domenica nel quale il Papa ha ricordato che la missione della Chiesa nel Vecchio Continente è alimentare la cultura della solidarietà e servire il Vangelo della speranza. Al termine dell’Angelus il Santo Padre ha anche pregato per le vittime  degli incendi che hanno colpito l’Europa ed elevato una supplica al Signore perché “doni alla terra il refrigerio della pioggia” In basso il richiamo del Messaggio di Giovanni Paolo II per il 750° della morte di Santa Chiara d’Assisi. A seguire, nella Repubblica Democratica del Congo saccheggiato il seminario di Fataki: uccise diverse persone. L’allarme del Pam per la condizione degli sfollati nell’Ituri.

 

Nelle vaticane, una pagina con articoli dedicati a Santa Chiara d’Assisi.

 

Nelle pagine estere, il presidente della Liberia Taylor ha annunciato le dimissioni e l’esilio. In Medio Oriente, gli Hezbollah attaccano una postazione israeliana; Colloqui al Cairo tra il presidente egiziano Mubarak, il principe ereditario saudita Abdallah Ben Abdel Aziz e l’assistente del segretario di Stato Usa William Burns; in Iraq sale l’intensità degli atti di guerriglia con nuovi scontri a Bassora. Sul fronte del terrorismo, allarme in Gran Bretagna dove gli agenti di Polizia sono stati autorizzati a “sparare per uccidere” anche contro persone sospette.

 

Nella pagina culturale, un articolo sulla figura del viandante nella cultura nipponica. In una pagina monografica Fernando Salsano propone una “Lectura Dantis” sul IV trattato del Convivio.

 

Nelle pagine italiane, i temi della giustizia, del pubblico impiego e dell’emergenza incendi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

11 agosto 2003

 

 

LA CATASTROFE UMANITARIA DELLA LIBERIA NECESSITA DI RISPOSTE IMMEDIATE

DA PARTE DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. QUESTO L’APPELLO

LANCIATO DALLA CROCE ROSSA PER IL PAESE AFRICANO, DOVE IL PROTRARSI

DELLA GUERRA CIVILE IMPEDISCE L’ARRIVO DEGLI AIUTI UMANITARI

- Intervista con Mario Giro -

 

Fin dall’inizio degli anni ’80 la storia della Liberia è stata caratterizzata da un susseguirsi di attentati che hanno portato a massicce detenzioni ed esecuzioni. Ma la situazione è precipitata nel 1989 quando nel Paese ha avuto inizio una guerra civile che, nonostante alcune brevi interruzioni, semina ancora oggi morte e distruzione. Nel Paese africano, dove la sicurezza non è per il momento garantita neanche dal recente ingresso a Monrovia della forza internazionale di pace dell’Ecowas, il futuro della stremata popolazione locale sembra legato alla sorte del presidente Taylor: i ribelli, infatti, chiedono che il capo di Stato liberiano, le cui dimissioni sono previste oggi, lasci il Paese al più presto. Sulla situazione umanitaria della Liberia ci parla Mario Giro, uno dei promotori dell’incontro organizzato, a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio, con lo scopo di promuovere la pace nel Paese africano.

 

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R. – La situazione liberiana è molto complessa perché la guerra è cominciata, in realtà, 13 anni fa e l’instabilità del Paese nel 1980. Quindi, è una questione molto complicata. Diciamo che quest’ultima fase di guerra tra i ribelli del Lurd, del Model e il presidente Taylor è la conseguenza delle guerre precedenti. La Liberia non ha più, sostanzialmente, un vero e proprio Stato; dal 1990 è un Paese in cui molti gruppi armati si sono rivoltati alle istituzioni o tra di loro: è una cosa molto complicata; risultato di tutto questo è che nel 1997 uno dei più forti, Taylor, è diventato presidente pur con delle elezioni ma poi anche a causa del fatto di essere stato incriminato alla Corte penale speciale per la Sierra Leone per i suoi trascorsi sostegni ai ribelli sierraleonesi, oggi deve lasciare il potere ma nemmeno i ribelli attuali prenderanno il potere al suo posto. La comunità internazionale vuole imporre una soluzione ‘civile’ nel senso che chi dirigerà il Paese – speriamo presto – sarà scelto tra società civile, eminenti liberiani e politici liberiani che non hanno partecipato alle fasi di guerra di questi ultimi anni. Però, la Liberia è l’esempio di un Paese che entra nella tormenta, diventa preda dei signori della guerra, le responsabilità qui ci sono tutte anche da parte di chi ha preso le armi; ovviamente, sono responsabilità a cerchi concentrici e che è diventato l’esempio di un Paese, di un quasi-Stato, di uno Stato che non ha più strutture, in preda ai signori della guerra che è un termine – tra l’altro – che è stato coniato proprio per la Liberia.

 

D. – La Croce Rossa Internazionale ha lanciato un appello per un intervento umanitario rapido per tutto il Paese della Liberia in quanto a questo punto poi sono i civili a fare le spese di questa situazione ...

 

R. – Sì. Sono morti tantissimi civili: circa 250 mila, in questi 13 anni, nell’ultima fase moltissimi. L’accerchiamento ed il bombardamento di Monrovia, ovviamente, si scarica innanzitutto sui civili, sono i civili che pagano, i bambini, le donne, i più deboli ... Bisognava interrompere subito. Noi eravamo preoccupati, come Comunità di Sant’Egidio, che si facesse presto; per questo abbiamo cercato di spingere nel senso dell’accordo di Accra – perché è ad Accra che si svolgono i colloqui di pace – il movimento di guerriglia. Credo che quello che dice la Croce Rossa è molto giusto, nel senso che adesso che siamo in un momento forse di svolta, in cui è possibile – per esempio – per gli umanitari incominciare a pensare concretamente alla possibilità di raggiungere i civili, all’accesso alle vittime, adesso che si è smesso di combattere almeno con i mezzi pesanti. Speriamo che questo duri; il presidente dovrebbe dimettersi, il Parlamento liberiano ha accettato le sue dimissioni ed ha eletto a presidente il vice presidente. Quindi, spero che questo sia il momento di coincidenza positiva in cui finalmente gli umanitari possano entrare in forze, innanzitutto la Croce Rossa Internazionale, per soccorrere i civili. Ricordo solo che ci sono decine di migliaia di persone, tutte nello stadio di Monrovia, accerchiate, senza acqua, luce, gas, medicine, cibo ... niente.

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IL “PROGETTO AXE’” A SALVADOR DE BAHIA,

INIZIO DI UNA NUOVA VITA PER I BAMBINI DI STRADA

- Intervista con Cesare de Florio La Rocca -

 

Da 13 anni l’avvocato fiorentino Cesare de Florio La Rocca si dedica ai bambini di strada nella città brasiliana di Salvador de Bahia. Bambini perduti che attraverso la bellezza dell’arte e la pazienza degli operatori del Progetto Axé sono tornati alla vita. Bambini che non hanno mai conosciuto il piacere, come quello di tagliare stoffe, provare uno strumento musicale, danzare e che di fronte a queste manifestazioni tornano a desiderare e a  sognare ciò che gli hanno rubato e tolto. Il servizio di Benedetta Capelli.

 

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(musica)

 

Ritornare alla vita attraverso l’arte: con questa semplice formula, Cesare de Florio La Rocca ha guarito 12 mila bambini che attraverso il canto, il ballo e i libri riacquistano il desiderio di vivere. Progetto Axé è nato il 1° giugno 1990, ma perché e come è nato? A raccontarlo, il suo fondatore:

 

R. – Axé è una parola della lingua africana yourouba che significa “energia positiva, che permette che tutte le cose esistano. Ne avevo parlato con un grande educatore, che era Paolo Fresi. Discusse molto questo mio progetto che ancora non aveva un nome e quando cominciò a realizzarsi, ad incarnarsi in una situazione culturale di afro-brasiliano come è quella di Salvador, capitale dello Stato di Bahia, ha preso il nome di Axé, e che era diretto soprattutto ai bambini ed ai giovani più esclusi tra gli esclusi. Direi che ho dato al Progetto il nome di Axé per rispetto alla cultura e alla religiosità afro-brasiliana, ma soprattutto per mettere in evidenza che il bambino è l’Axé, ossia l’energia più preziosa di una nazione.

 

D. – Concretamente, come operate?

 

R. – Axé opera attraverso l’educatore di strada. L’educatore di strada non va a caccia di bambini ma va là dove c’è un agglomerato di bambini e di bambine che hanno fatto della strada il loro habitat. Noi vogliamo perdere pedagogicamente il tempo sulla strada perché il bambino decida, e quando decide di lasciare la strada è una decisione permanente. Una volta deciso questo, l’Axé agisce come un progetto dai grandi ritorni: il ritorno a casa, il ritorno a scuola, il ritorno alla comunità di origine. Quando si parla di bambini di strada si dice: “Ma come, il bambino di strada ha famiglia?”, perché anche noi siamo stati per lunghi anni vittime di un mito: sappiamo che il bambino di strada ha una famiglia perché ha un referente familiare che può essere la mamma, il fratello più vecchio, la madrina o anche un vicino. Ecco, è con questo riferimento familiare che noi dobbiamo stabilire un’alleanza che ha per oggetto un progetto di vita del bambino. E poi, la cosa fondamentale che l’Axé ha scoperto è che è impossibile educare oggi senza l’arte; è impossibile credere che questi bambini fossero in strada: oggi sono re e regine, sembrano principesse e principi africani sul palco.

 

D. – C’è un’esperienza che più di ogni altra l’ha colpita e la spinge a continuare su questa strada?

 

R. – Pedro aveva 12 anni quando è stato abbordato per la prima volta per strada dagli educatori, aveva una storia terribile di abbandono e di sfruttamento sessuale. Era sicuro che non avrebbe potuto avere un altro sbocco nella vita a meno che essere un prostituto. Il giorno in cui il nostro gruppo di ballerini si presentò in strada, questo bambino rimase incantato e cominciò a muoversi d’accordo con i movimenti della danza dei nostri ragazzi. Poi si avvicinò, poi chiese informazioni sulla scuola di danza dell’Axé e come avrebbe potuto entrare. Il ragazzino era talmente affascinato dalla danza che in sei mesi è riuscito a ritornare a casa, a ritornare a scuola – certo, con l’appoggio degli educatori – e oggi è il primo ballerino della compagnia di danza dell’Axé. Ma non si chiama Pedro, come ho detto io ...

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IL “ROSSINI OPERA FESTIVAL” DI PESARO, TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO:

CON NOI, IL SOVRINTENDENTE GIANFRANCO MARIOTTI

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

Ieri sera nell’ambito del “Rossini Opera Festival” ha debuttato a Pesaro l’opera Le Comte Ory, di Gioacchino Rossini. Un’opera con un nuovo allestimento per mano del regista spagnolo Lluis Pasqual e che ha ricevuto moltissimi applausi, qualche contestazione e che ha visto la divisione della critica, però tutte le repliche sono completamente esaurite. Una storia che si svolge in un anno indefinito - comunque tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento - e che riflette l’humus boccaccesco originario della vicenda, il tutto trasposto dal regista con furba intelligenza e qualche provocazione. Molto bravi gli interpreti. Il servizio di Luca Pellegrini.  

 

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Sono stati interpreti straordinari, quelli di Pesaro: Juan Diego Flórez e Stefania Bonfadelli, musicalità adamantina, colori e colorature perfette, controllo tecnico, presenza scenica di rara eleganza, recitativi finalmente declamati come si deve, per loro un trionfo assoluto. Insieme a tutti gli altri interpreti di questa bella serata: Bruno Praticò, Marie-Ange Todorovitch, Alastair Miles, Marina De Liso. Un secondo spagnolo è stato fautore del successo: il direttore d’orchestra Jesús López Cobos, che ha guidato con competenza e rigore la buona orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Equilibrio e giusto compromesso tra chiari e scuri, tra volumi ed intimi accenti. Ottimo, come sempre, il Coro da Camera di Praga diretto da Lubomír Mátl, presenza storica della manifestazione rossiniana.

 

Da notare che a fianco di queste grandi  produzioni il Festival sta coltivando il suo futuro canoro: dall’Accademia rossiniana escono ogni anno validi  cantanti che immediatamente sono posti a confronto con le ardue note del pesarese: così al palafestival si allestisce il famoso Viaggio a Reims, sedici disciplinatissimi e preparati giovani, un allestimento di poche cose e grandi idee di Emilio Sagi e Christopher Franklin sul podio, direttore paterno e di grande acume, pronto ad aiutare nel difficile viaggio tra colorature impossibili.

 

Tra passato e presente, già si guarda al futuro, nelle parole del sovrintendente del Festival, Gianfranco Mariotti:

 

R. – In futuro, abbiamo intenzione di proseguire nella nostra ricerca sul linguaggio teatrale moderno, sulla restituzione ad un pubblico di oggi un repertorio nato per un pubblico diverso. Noi siamo convinti e continueremo su questa strada, che il futuro dell’opera stia nel recupero della triade costitutiva dell’opera: musica-gesto-parola, quindi pari dignità del libretto della vicenda drammaturgica con gli altri elementi. Noi abbiamo un vantaggio: siamo un festival e per noi le partiture sono blindate, nessuno può violentarle sia da un punto di vista musicologico che esecutivo. Quindi, andiamo a questi appuntamenti con un apparato musicale-artistico inattacabile; poi, le regie naturalmente sono soggette al giudizio del pubblico, innescano discussioni come è dovere di un festival vivo. Questa è la strada su cui proseguiremo la nostra ricerca. Per l’anno prossimo abbiamo in cantiere due produzioni grandi: “Elisabetta, regina d’Inghilterra” che, tra l’altro avrà la nuova edizione critica della Fondazione Rossini in una produzione di Matilda di Chabran; e riproporremo il “Tancredi”, la nostra produzione del 1999, riallestito in uno spazio diverso. Assieme a questo la consueta ricerca sul mondo delle farse: sono autori coevi di Rossini, anche qui avremo due nuove produzioni nell’ambito del Festival giovane. Tutto questo, ripeto, ha come stella polare una ricerca sistematica di nuovi linguaggi riconoscibili da un pubblico teatrale moderno, mentre i conti con il rigore noi li abbiamo fatti una volta e definitivamente quando siamo nati, quando abbiamo incardinato il nostro lavoro a quello scientifico della Fondazione Rossini.

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CHIESA E SOCIETA’

11 agosto 2003

 

 

GRANDE ATTESA IN KENYA PER I COLLOQUI DI PACE FRA I RAPPRESENTANTI

DEL GOVERNO DEL SUDAN E I RIBELLI DELL’ ESERCITO DI LIBERAZIONE POPOLARE.

MA GLI ESITI DEL CONFRONTO SONO ANCORA MOLTO INCERTI

 

NAIROBI. = Dovrebbero entrare oggi, in Kenya, nella fase finale i colloqui di pace per il Sudan tra i rappresentanti del governo di Khartoum e i ribelli dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan. Secondo molti osservatori e analisti, questa fase negoziale che dovrebbe essere decisiva, dal momento che i mediatori, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, si aspettano un accordo definitivo al massimo entro la fine di agosto. Purtroppo un passo di questa portata potrebbe non giungere ancora, a causa delle divergenze emerse nell’ultima tornata negoziale svoltasi a luglio. Il mese scorso, infatti, prima di lasciare il tavolo del negoziato, il Sudan aveva fatto sapere che senza una nuova bozza di accordo non sarebbe tornato a trattare con i ribelli. I negoziati si erano arenati lo scorso 12 luglio, quando il governo del presidente Omar el-Beshir aveva accusato i mediatori dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo di appoggiare le posizioni dell’Esercito di liberazione popolare nella bozza di accordo presentata alle parti. I colloqui di pace sudanesi, che proprio un anno fa avevano fatto segnare un primo importante accordo per il cessate-il-fuoco, continuano a bloccarsi su due questioni-chiave: il controllo delle ricche aree petrolifere del sud e la distribuzione dei relativi proventi. Nonostante gli sforzi dei mediatori internazionali, su questi due punti permangono profonde divergenze tra governo e ribelli. (M.D.)

 

 

SACCHEGGIATO DA UNA BANDA ARMATA IL SEMINARIO MINORE DI FATAKI,

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. TRUCIDATI NUMEROSI CIVILI

 CHE SI ERANO RIFUGIATI NELL’ISTITUTO PER SFUGGIRE ALLE VESSAZIONI

DEI MILIZIANI DI ETNIA LENDU. 250 SOLDATI BENGALESI INVIATI

DALLE NAZIONI UNITE SONO GIUNTI NELLA REGIONE

 

FATAKI. = Un numero imprecisato di civili è stato trucidato nell’Est della Repubblica democratica del Congo da una banda armata che ha razziato, venerdì scorso, il seminario minore di Fataki, 80 chilometri a nord di Bunia. Lo hanno riferito ieri fonti dell’agenzia missionaria Misna nella tormentata regione congolese dell’Ituri, le quali indicano che tra le vittime figurerebbe anche il padre del parroco di Fataki, don Protect Dhena. Al momento, stando alle stesse fonti, non si placano le preoccupazioni per il coinvolgimento di altre persone in azioni criminose perpetrabili nel prossimo futuro. Gli autori degli efferati crimini sarebbero miliziani lendu i quali da tempo compiono vessazioni nei confronti della popolazione civile. La settimana scorsa, ad esempio, avevano assalito l'orfanotrofio. Il villaggio di Fataki, di cui è originario anche Thomas Lubanga, leader dell’Unione dei patrioti congolesi, la milizia a componente etnica Hema corresponsabile delle stragi di Bunia del maggio scorso, si trova in una zona abitata in maggioranza dagli Hema dell’Ituri settentrionale, contro cui si scagliano gli attacchi dei rivali Lendu. L’intera zona continua infatti ad essere segnata dagli scontri tra queste due formazioni avversarie che si contendono a spese dei civili un territorio particolarmente ricco di risorse minerarie. Intanto sono arrivati a Bunia altri duecento cinquanta soldati del Bangladesh che avranno il compito di rinforzare il contingente uruguayano delle Nazioni Unite, dispiegato nel capoluogo dell’Ituri. I militari bengalesi già presenti a Bunia sono attualmente 730 ed entro il 1 settembre prossimo dovranno raggiungere le 1200 unità. Tra poco meno di un mese, infatti, scade il mandato della forza internazionale di pace “Artemis”, inviata dall’Unione Europea sotto l’impulso dell’Onu e guidata dalla Francia. Il nuovo contingente  opererà insieme a quello uruguaiano e a quello pakistano per cercare di garantire la sicurezza in tutto l'Ituri. (M.D.)

 

 

LA NIGERIA BLOCCA LA FRONTIERA CON IL VICINO BENIN. IL GOVERNO DI ABUJA

SI DICE PREOCCUPATO PER L’AUMENTO DELLA CRIMINALITÁ

PROVENIENTE DAL PAESE CONFINANTE

 

ABUJA. = Il governo nigeriano chiude la propria frontiera con il vicino Benin. La misura, decisa attraverso un decreto governativo con effetto immediato, è stata presa in seguito all’incessante violenza malavitosa nella zona occidentale del Paese a ridosso del confine. Da tempo ormai l'esecutivo di Abuja aveva espresso la propria preoccupazione per l’aumento del crimine proveniente dal Paese confinante, e  soprattutto per rapine, contrabbando e traffico di esseri umani. In un comunicato, il Ministero degli esteri sottolinea che la Nigeria è stata costretta a questa drastica decisione a causa degli scarsi risultati ottenuti dal Benin nella lotta contro l’illegalità. Il problema della malavita che opera a cavallo della frontiera tra i due Paesi, era stato al centro di un vertice tenuto l’11 luglio scorso tra il presidente nigeriano Olusegun Obasanjo e il suo omologo del Benin, Mathieu Kerekou. Secondo le informazioni diffuse da Abuja le frontiere saranno riaperte soltanto quando il governo si riterrà soddisfatto delle iniziative anti-crimine prese dalla controparte. Il governo del Benin ha confermato l’effettiva chiusura della frontiera, ma non ha nascosto la propria sorpresa per l’iniziativa. (M.D.)

 

 

UCCISO IN UGANDA IL CATECHISTA CATTOLICO DELLA MISSIONE DI KITGUM,

SEQUESTRATO DAI RIBELLI DEL SEDICENTE ESERCITO DI LIBERAZIONE DEL SIGNORE.

NUMEROSI VILLAGGI RAZZIATI NEL CORSO DELL’ ULTIMO FINE SETTIMANA

 

KITGUM. = Francis Tolit, il catechista cattolico della missione di Kitgum, nell’arcidiocesi di Gulu, sequestrato all’inizio del mese dai ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore, è stato ucciso. Lo ha riferito all’agenzia missionaria Misna il parroco di Kitgum, padre Josef Gerner, precisando che la vittima era stata sequestrata assieme a una ventina di civili, nella località di Lelamur. Anche altri due catechisti sono al momento nelle mani dei ribelli. “Questi episodi – afferma padre Gerner – avvengono quotidianamente e rivelano lo stato d’insicurezza in cui versa la popolazione civile”. Solo nel fine settimana, infatti, attorno a Kitgum, sono stati saccheggiati numerosi villaggi con un bilancio ancora imprecisato di sequestri. Sabato, invece, un convoglio con a bordo alcuni civili è caduto in un’imboscata in località Adyeda, nei pressi di Bobi, 20 chilometri a sud di Gulu. Le cinque persone che viaggiavano a bordo del veicolo sarebbero rimaste ferite. I ribelli, agli ordini di Joseph Kony, infestano anche i distretti di Gulu, Lira e Pader. Inoltre, alcune unità dell’Esercito di resistenza del signore sono state segnalate più a sud, verso i territori delle etnie teso e kumam. (M.D.)

 

 

I MISSIONARI SAVERIANI FESTEGGIANO 53 ANNI DI ATTIVITA’ IN SIERRA LEONE,

PRESENZA IMPORTANTE NELLA RICOSTRUZIONE DEL PAESE

DOPO 10 ANNI DI GUERRA CIVILE

 

MAKENI. = Festa di famiglia oggi per la comunità saveriana in Sierra Leone. L'istituto del Beato Conforti festeggia infatti il 53mo di presenza nel Paese dell'Africa occidentale. In questi anni sono stati oltre 130 i saveriani che hanno prestato servizio nell’ex protettorato britannico. I primi quattro, padre Camillo Olivani, padre Pietro Serafino Calza, padre Attilio Stefani e mons. Augusto Azzolini giunsero a Freetown l'8 luglio del 1950. Da allora molti avvenimenti hanno caratterizzato la presenza saveriana in Sierra Leone. Di particolare significato è stata la fondazione della diocesi di Makeni, guidata attualmente da mons. Giorgio Biguzzi, vescovo saveriano. “I figli del Conforti - ha detto mons. Biguzzi alla agenzia missionaria Misna - continuano ad essere solidali con le comunità cristiane locali e l'intera nazione, soprattutto in questo delicato periodo di ricostruzione del tessuto sociale, dopo 10 anni di guerra civile”. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

11 agosto 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

Per il futuro della Liberia sembra finalmente giunto il momento della svolta: in una cerimonia a Monrovia, alla presenza del presidente sudafricano, Thabo Mbeki, è infatti previsto oggi il trasferimento di potere dal presidente liberiano al suo vice, Moses Blah. Secondo fonti diplomatiche Taylor, che non ha ancora ufficialmente annunciato quando lascerà il Paese, potrebbe prossimamente partire con Mbeki per la Nigeria, che gli ha offerto asilo politico. Ieri, intanto, in un discorso alla radio di 15 minuti, il presidente liberiano aveva lanciato pesanti accuse contro gli Stati Uniti, come ci riferisce Giulio Albanese:

 

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Presentandosi come vittima di un complotto internazionale e promettendo che un giorno tornerà, Taylor ha accusato pesantemente gli Stati Uniti di aver addestrato e armato i ribelli.

 

“I HAVE DECIDED TO LEAVE BECAUSE …”

 

Rivolgendo ai liberiani un messaggio inusuale per un personaggio del suo calibro a tratti è apparso quasi commosso. “Non posso più vedervi soffrire ha detto. Vi dico che se Dio vorrà tornerò”. Taylor passerà le consegne al suo vice, Moses Blah, che si è detto sicuro al cento per cento di poter riportare la pace nel Paese africano, lacerato da 14 anni di guerra civile. Taylor ha detto che si tratta di una guerra americana e che i ribelli del Lurd, i liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia, sono degli ausiliari addestrati ed armati dagli Stati Uniti.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Ma la fame continua, purtroppo, a minacciare la popolazione civile della Liberia. Per studiare il modo con cui far pervenire in città medicinali e aiuti umanitari è in programma, oggi, un incontro tra la Croce Rossa e l’arcivescovo di Monrovia.

 

Si apre, intanto, un nuovo fronte di tensione in Medio Oriente. All’indomani dell’attacco degli Hezbollah contro la Galilea, nel quale è rimasto ucciso un giovane israeliano, lo Stato ebraico avverte la Siria delle possibili conseguenze di un’eventuale escalation di violenze. “La Siria è sicuramente il cordone ombelicale attraverso il quale gli Hezbollah si nutrono - ha detto il vice ministro della difesa israeliano, Zeev Boim, in una dichiarazione alla radio – e se gli episodi di violenza proseguiranno, ci sarà una chiara risposta militare da parte di Israele che potrebbe colpire obiettivi siriani”. Il ragazzo di 16 anni rimasto ucciso nell’attacco contro il villaggio di Shlomi è la prima vittima israeliana degli Hezbollah da quando lo Stato ebraico si è ritirato, nel maggio del 2000, dal Sud del Libano dopo 22 anni di occupazione. Sulle reazioni a questo grave episodio di violenza, ci riferisce Graziano Motta:

 

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Resta forte la tensione in Alta Galilea dopo il bombardamento dei guerriglieri Hezbollah di ieri, che nel villaggio di Shlomi ha provocato la morte di un giovane israeliano di 16 anni e il ferimento di cinque altre persone. Le autorità della regione hanno deciso che lo stato di allerta prosegua con un periodo ci coprifuoco serale e sospendendo la riapertura delle scuole. Il primo ministro, Ariel Sharon, al termine di intense consultazioni ha deciso di non puntare al momento sulla risposta militare, anche se in territorio libanese degli elicotteri hanno colpito le postazioni di artiglieria degli Hezbollah e aerei hanno sorvolato a bassa quota la capitale Beirut. A nome del governo, Israele ha chiesto agli Stati Uniti di trasmettere un messaggio alla Siria in cui si afferma che non accetterà una nuova escalation dei guerriglieri. Consultazioni si svolgono all’Onu. Il segretario generale Annan ha dichiarato che c’è stato una flagrante violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e ha rivolto un appello ai Paesi in grado di esercitare un’influenza sugli Hezbollah – Libano, Siria e Iran – perché sia posta fine alla tensione.   

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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Il futuro dell’Iraq sembra dipendere non solo dai progetti di ricostruzione avanzati dall’amministrazione civile americana ma anche dalle relazioni politiche del governo provvisorio iracheno con gli altri Paesi arabi. Nei giorni scorsi i ministri degli esteri della Lega araba, riuniti al Cairo, avevano manifestato la loro disponibilità a trattare con l’esecutivo transitorio di Baghdad, pur sottolineando l’esigenza dell’istituzione di un “governo legittimo”. L’Iran, invece, non ha ancora deciso se riconoscere il governo provvisorio iracheno, ma intende comunque “avere buoni rapporti con i vicini”. Con l’obiettivo di rilanciare l’economia dell’Iraq, una delegazione irachena, guidata dal governatore di Ninive, Ghanem Sultan al Busso, si trova in questi giorni in Siria dove ha avuto una serie di incontri con rappresentanti dell’esecutivo di Damasco per esaminare le possibilità di sviluppo delle relazioni commerciali e turistiche tra i due Paesi. Sul terreno, intanto, non sembra interrompersi la drammatica ondata di violenza contro le truppe statunitensi: la scorsa notte un soldato americano è rimasto ucciso a causa dell’esplosione di una bomba avvenuta a Baquba, città a Nord-Est di Baghdad. Questa mattina, inoltre, un iracheno è rimasto ferito a causa dell’esplosione di due bombe avvenuta ad alcune decine di metri dalla ambasciata britannica di Baghdad. Secondo quanto riferisce la televisione araba Al Jazeera sempre oggi, nella capitale irachena, soldati americani hanno ucciso per errore due poliziotti iracheni, scambiati per guerriglieri di Saddam Hussein.

 

Per preparare il tavolo negoziale a sei sulla crisi aperta dalle ambizioni nucleari di Pyongyang i delegati di Russia, Corea del Nord e del Sud terranno un incontro martedì prossimo a Mosca. Lo ha dichiarato, ieri, il vice ministro degli esteri russo, Alexander Losyujov, attualmente in visita a Pechino con l’obiettivo di stabilire un coordinamento con la Cina, Paese cardine nella crisi, che parteciperà ai colloqui a sei. Per la sede dei colloqui, che si svolgeranno probabilmente nella seconda metà di agosto, la Cina ha proposto Pechino.

 

Uno spiraglio per la riconciliazione si registra in Chapas, regione messicana dove da anni la rivolta zapatista cerca di ottenere un riconoscimento dal governo centrale delle culture locali. Nel corso di un grande incontro i leader del partito zapatista si sono dichiarati disponibili a favorire la strada delle riforme. Una scelta approvata anche dalla Chiesa locale, come ci spiega Maurizio Salvi:

 

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Al termine della Messa domenicale a Città del Messico il cardinale Norberto Rivera ha giudicato positivamente il ritorno politico dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale. Dopo aver sostenuto che questa volta non si permetteranno interferenze esterne, il porporato ha chiesto agli zapatisti di evitare una guerra di comunicati per concentrarsi invece sulle soluzioni possibili per le richieste reali delle etnie in conflitto. Di fronte a migliaia di indios e di militanti venuti anche dall’Europa vari comandanti zapatisti si sono avvicendati alla tribuna durante il fine settimana per spiegare la nuova forma di autogoverno nei municipi autonomi del Chapas. Oltre ad annunciare la nascita di cinque centri operativi da cui dipendono altrettante giunte del buon governo, l’esercito zapatista ha ribadito la sua volontà di esercitare comunque nelle zone controllate un potere parallelo.

 

Maurizio Salvi, per la Radio Vaticana.

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Non sembra arrestarsi la scia di violenze in Colombia. Un camion pieno di tritolo è esploso ieri a San Martin, nel centro del Paese, provocando il ferimento di almeno 20 persone. Lo scoppio è avvenuto vicino ad una stazione di servizio alla periferia della città, che si trova a circa 300 chilometri da Bogotà. Secondo le autorità locali la responsabilità dell’attentato è da attribuire Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc).

 

Dopo le speranze di riconciliazione per il Sudan, alimentate dagli accordi del Machakos, del luglio dell’anno scorso, sono ripresi ieri in Kenya i colloqui per la pace tra governo di Khartoum e ribelli dell’Esercito popolare di Liberazione del Sudan. Intanto il Paese rischia sempre di tornare in preda alle tensioni tra Nord e Sud, che hanno già provocato una guerra civile ventennale. Proprio in questi giorni i vescovi cattolici e anglicani del Sudan si sono riuniti in Uganda per esprimere il proprio sostegno al processo di pace.

 

 

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