RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 222 - Testo della Trasmissione di domenica 10 agosto 2003

 

Sommario

 

 

 

Il PAPA E LA SANTA SEDE:

 

Ridare la speranza ai poveri dell’Europa: così, il Papa all’Angelus a Castel Gandolfo, durante il quale ha invitato i fedeli a pregare affinché la pioggia doni refrigerio alla terra assetata.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 

Nella Liberia, sconvolta dalla guerra civile, sfida contro il tempo per sventare la catastrofe umanitaria. Intervista con Massimo Alberizzi, inviato del Corriere della Sera.

 

Il dramma dei bambini-soldato, triste realtà delle guerre dimenticate del Sud del mondo. Ne parliamo con Carlotta Sami di Save The Children.

 

Una riflessione sul binomio “giovani e migrazioni” alla luce del recente Meeting di Loreto dei padri Scalabriniani. Ai nostri microfoni, il giovane religioso Silvio Vallecoccia.

 

Nella notte di San Lorenzo, tra sogni ed emozioni, guardando il cielo stellato. Intervista con padre Sabino Maffeo della Specola Vaticana.

 

Il piacere della lettura protagonista in Friuli con la manifestazione “Libri e autori a Grado”. Con noi, il promotore dell’evento, Paolo Scandaletti.

 

CHIESA E SOCIETA’:

 

Il ministro degli Esteri israeliano ribadisce che il governo ebraico proseguirà la costruzione della barriera divisoria tra Stato d’Israele e Cisgioradania

 

 A Cordoba, annullato il progetto di esproprio di un terreno antistante il monastero di Sant’Anna e San Gioacchino

 

Annunciati per fine agosto i colloqui multilaterali sul programma nucleare nordcoreano

 

In un videomessaggio alla tv Arabiya, l’appello della resistenza irachena fedele a Saddam

 

 Per l’agenzia indonesiana Antara, l’attentato di Giakarta porta la firma della rete terroristica Jemaah Islamiya.

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 agosto 2003

 

OCCORE RIDARE SPERANZA AI POVERI DELL’EUROPA: COSI’, IL PAPA

 ALL’ANGELUS A CASTEL GANDOLFO, DURANTE IL QUALE HA INVITATO I FEDELI

A PREGARE AFFINCHE’ LA PIOGGIA DIA REFRIGERIO ALLA TERRA ASSETATA

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

         Ridare speranza ai poveri dell’Europa: all’Angelus domenicale, nel cortile del Palazzo pontificio di Castel Gandolfo, Giovanni Paolo II ha esortato i credenti del Vecchio Continente a promuovere la cultura della solidarietà. Circondato dall’affetto dei fedeli, dopo la recita dell’Angelus, il Papa si è soffermato sull’emergenza incendi, che sta mettendo a dura prova tante aree dell’Europa ed ha invitato i fedeli a pregare affinché la terra assetata trovi il refrigerio della pioggia. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Servire il Vangelo della speranza: all’Angelus, il Papa ha indicato la missione della Chiesa in Europa, ricordando come questa venga svolta “accompagnando l’annuncio della speranza con iniziative concrete di carità”. Nel corso del secoli, ha detto, il “compito dell’evangelizzazione è stato confortato da un’efficace azione di promozione umana”. Ponendosi al servizio della carità, ha aggiunto, la Chiesa “ha alimentato ed alimenta la cultura della solidarietà, cooperando a ridare vita ai valori universali dell’umana convivenza”. Un messaggio particolarmente attuale per i fedeli del Vecchio Continente:

 

Occorre anche oggi “ridare speranza ai poveri”, perché accogliendoli e servendoli è Cristo stesso che si accoglie e si serve. Le sfide che in questo ambito interpellano i credenti in Europa sono molte. Povere sono oggi tante categorie di persone, tra le quali i disoccupati, i malati, gli anziani soli o abbandonati, i senza tetto, i giovani emarginati, gli immigrati e i profughi.

 

Ma “servizio di amore”, ha proseguito è anche “riproporre con fedeltà la verità del matrimonio e della famiglia”, educando i giovani, i fidanzati e le famiglie stesse “a vivere e diffondere il Vangelo della vita, lottando contro la cultura della morte”. Una profonda riflessione, che Giovanni Paolo II ha corredato con una viva esortazione:

 

Solo grazie all’apporto di tutti è possibile costruire in Europa e nel mondo una “città degna dell’uomo" e un ordine internazionale più giusto e solidale.

 

Il Papa ha quindi invocato Maria e Santa Benedetta della Croce, compatrona d’Europa, ad aiutare la Chiesa ad essere nel continente europeo “testimone di quella carità operosa”, che è sintesi felice di “un autentico servizio al Vangelo della Speranza”. Dopo l’Angelus, il Papa ha rivolto un pensiero speciale alle popolazioni di quei Paesi d’Europa, specie il Portogallo, afflitti in questi giorni da vasti incendi, che stanno provocando morti e danni ingenti all’ambiente:

 

Si tratta di una preoccupante emergenza che, alimentata da persistente siccità nonché da responsabilità umane, mette a repentaglio il patrimonio ambientale, bene prezioso per l'intera umanità.

 

Quindi, ha invitato i fedeli a unirsi in preghiera per le vittime di questa calamità, esortando tutti ad elevare fervide suppliche al Signore, affinché “doni alla terra assetata il refrigerio della pioggia”.

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OGGI IN PRIMO PIANO

10 agosto 2003

 

IN LIBERIA, PAESE MARTORIATATO DALLA GUERRA CIVILE, IL DRAMMA DELLA

FAME SI AGGIUNGE ALLE SOFFERENZE PATITE DALLA POPOLAZIONE STREMATA

-Intervista con Massimo Alberizzi -

 

E’ la fame ora la principale minaccia per la popolazione civile della Liberia. Il contingente nigeriano della forza di pace ha preso posizione a Monrovia, ma i ribelli del Lurd - i ‘Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia’ - non vogliono sbloccare il porto della capitale e permettere lo sbarco di aiuti alimentari. Domani, potrebbe essere una giornata cruciale per il futuro del Paese in ragione delle annunciate dimissioni del presidente liberiano, Charles Taylor. E’ un annuncio credibile oppure è possibile che il presidente imponga nuove condizioni per il suo esilio? Elena Biggiogero lo ha chiesto all’inviato speciale a Monrovia per “Il Corriere della Sera”, Massimo Alberizzi:

 

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R. - Ognuno pone delle condizioni, quindi tutti ci aspettiamo che in realtà sia una falsa partenza, nel senso che le dimissioni probabilmente le darà, ma il vero problema è che, presumibilmente, non lascerà il Paese, soprattutto perché non sa bene dove andare. Tra le possibili destinazioni si parla di Libia, Burkina Faso, Nigeria ma in realtà, oramai, nessuno vuole avere a che fare con Taylor, perché politicamente è un uomo pericoloso. Gli americani sono in ottimi rapporti con il Burkina Faso e direi ora anche con la Libia di Gheddafi. Quindi, la scelta di accoglierlo come ospite sarebbe assolutamente impensabile, in questo momento, da parte di questi due Paesi. I ribelli, intanto, sostengono che le annunciate dimissioni di Taylor ed il trasferimento del potere al vicepresidente non cambiano molto la situazione perché il vicepresidente appartiene al gruppo di Taylor, anche se di un’altra tribù. Anche il capo del secondo gruppo di ribelli, il Model, ha dichiarato di voler continuare a combattere.

 

D. - L’Onu ha invocato l’apertura di processi per i responsabili di atroci crimini commessi contro la popolazione civile in Liberia. Qual è oggi la situazione umanitaria in questo Paese?

 

R. - La situazione umanitaria è drammatica perché il porto è chiuso ed è in mano ai ribelli del Lurd. Non c’è più niente qui, non c’è un’agricoltura che potrebbe in qualche modo soddisfare le richieste della popolazione ed ogni genere alimentare arriva da fuori. La gente per strada dice “ho fame”, fa segno di mangiare con la mano o si tocca la pancia ed il fatto che tutti sembrino ‘giocare’ con la fame e la mancanza di cibo secondo me dimostra che la popolazione è veramente atterrita. Gli Stati Uniti, da due mesi, discutono su come aiutare questo Paese e poi decidono di mandare 7 marine... E’ inoltre una cosa inimmaginabile che non possano arrivare gli aiuti umanitari. C’è una nave dell’Onu del World Food Program che non può scaricare gli aiuti. I miliziani controllano anche l’altro porto, quello di Buchanan, dove c’è un’altra nave che è sospetta di avere a bordo mercenari, munizioni e armi dirette alle forze fedeli a Taylor. La situazione della Liberia è veramente drammatica ma la responsabilità ricade su tutti e non solo su una delle parti. Anche sulle organizzazioni internazionali, ad esclusione dell’Onu, perché ha sempre lanciato appelli per l’intervento di una forza di pace nel Paese.

 

D. - Quindi non si prevede un intervento più concreto, più forte da parte del contingente americano in questo momento?

 

R. - In realtà il contingente americano sono sette persone e gli altri duecento sono dentro l’ambasciata; quindi ci sono questi sette marine, che dovrebbero arrivare a venti, nei prossimi giorni, i quali non hanno nessuna intenzione di mettersi a combattere. Ma le domanda che bisogna porsi è: cosa farà la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e ci sarà un incontro con i ribelli? L’altro giorno è arrivato un aereo carico di armi che è stato bloccato, perché tentava di approvvigionarsi non di cibo ma, purtroppo, di armamenti e di mercenari e questo, ovviamente, i ribelli non lo vogliono.

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LA DRAMMATICA REALTA’ DEI BAMBINI-SOLDATO, UNA TRAGEDIA CHE COINVOLGE

MIGLIAIA DI MINORI NELLE TANTE GUERRE DIMENTICATE DEL SUD DEL MONDO

- Con noi, Carlotta Sami -

 

Le immagini della guerra civile in Liberia hanno riproposto all’opinione pubblica mondiale, in tutta la sua tragicità, l’aberrante realtà dei bambini-soldato. Una piaga, purtroppo, molto diffusa in quei Paesi dell’Africa e dell’Asia, dove guerre, spesso dimenticate, seminano morte e distruzione. Secondo l’Unicef - nell’ultimo decennio - oltre 2 milioni di bambini sono stati uccisi durante conflitti armati; oltre 6 milioni sono rimasti invalidi o gravemente feriti. Sul coinvolgimento dei bambini nelle guerre, Alessandro Gisotti ha intervistato Carlotta Sami, portavoce in Italia di Save The Children:

 

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R. - L’entità del fenomeno è molto ampia in tutto il mondo. In questo momento si parla particolarmente della Liberia, ma purtroppo è una piaga che abbraccia moltissimi Paesi, 35 esattamente. Si stima che siano più di 300 mila i bambini che prendono parte ai combattimenti in questi Paesi. Generalmente, hanno un’età che va dai 15 ai 17 anni ma molto spesso sono coinvolti anche bambini più piccoli, bambini di 7, 8 anni. In questo momento in Liberia le stime ci dicono che il 70 per cento delle persone, che prendono parte ai combattimenti, sono minori.

 

D. - Una volta terminata una guerra, inizia la fase più difficile: la reintegrazione  dei bambini-soldato nella società civile. Quali sono gli ostacoli più ardui da superare?

 

R. - Gli ostacoli sono molti, perché i bambini, che vengono coinvolti nei combattimenti, subiscono degli abusi fisici e psicologici molto pesanti. I bambini coinvolti non sono soltanto bambini di sesso maschile, ma molto più frequentemente sono ragazzine che vengono sia coinvolte nei combattimenti, ma che subiscono anche violenze e abusi sessuali. I problemi, quindi, riguardano in particolare il recupero psicologico di questi bambini, perché molto spesso vengono obbligati ad assumere droghe. C’è poi la questione dei ricongiungimenti con le famiglie di origine che, divengono sempre più difficili. Quindi, gli interventi che riguardano la reintegrazione devono svolgersi su tanti livelli differenti e chiaramente devono anche coinvolgere i governi locali.

 

D. -Il protocollo addizionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, che proibisce l’impiego dei minori di 18 anni nei conflitti, è entrato in vigore nel febbraio dell’anno scorso. Che cosa è stato fatto da allora per dare attuazione a questo fondamentale documento?

 

R. - Mentre la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia pone il limite di 16 anni all’arruolamento dei minori, questo protocollo ha innalzato il limite ai 18 ed è stato firmato da 94 Stati ma, in realtà, è stato ratificato soltanto da 14 Paesi. La Coalizione che viene chiamata “Stop all’uso dei bambini- soldato”, richiama i Governi - in particolare del nord del mondo - ad un impegno sempre più forte per l’applicazione di questo Protocollo opzionale. E’ necessario che vi sia un controllo e una collaborazione forte da parte delle autorità governative per far sì che nei Paesi in cui questi conflitti hanno luogo non vi sia arruolamento dei bambini. Ancora poco è stato fatto, c’è, perciò, bisogno di un impegno decisamente più forte da parte di tutti i Governi che hanno firmato e ratificato il Protocollo opzionale.

 

D. - Il fenomeno dei bambini-soldato si lega a quello del traffico illegale delle armi, specie leggere, più facilmente maneggiabili dai ragazzi. Che cosa si sta facendo su questo fronte?

 

R. - Anche su questo fronte si sta facendo poco, perché le armi leggere hanno favorito moltissimo il coinvolgimento dei bambini nei conflitti. Queste armi sono facilmente manovrabili e possono essere usate dai bambini chiaramente con enormi rischi per loro. Comunque, le legislazioni a livello nazionale e anche a livello europeo sono ancora poco restrittive. Tutti sappiamo che queste armi vengono per lo più prodotte nel Nord del mondo e, poi, vendute in maniera, spesso illegale ai Paesi nei quali si sviluppano questi conflitti. Sono conflitti che, spesso, soprattutto in Africa e in Asia, sono piccoli e dimenticati e vengono alimentati proprio dal traffico illegale di armi.

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UNA RIFLESSIONE SUL BINOMIO GIOVANI E MIGRAZIONI ALLA LUCE DEL

 RECENTE MEETING DI LORETO, PROMOSSO DAI PADRI SCALABRINIANI

- Servizio di Giovanni Peduto -

 

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Una settimana fa, si concludeva a Loreto il Meeting internazionale sulle migrazioni, promosso dai padri scalabriniani, il cui carisma è quello della pastorale dei migranti. Fra le tematiche trattate quella dei migranti giovani. E’ con noi Silvio Vallecoccia, romano, anni 28, che si prepara a diventare sacerdote tra le file degli Scalabriniani:

 

D. – Come si presenta il problema?

 

R. – Quella dei ‘Giovani’ è una categoria un po’ particolare dell’emigrazione. Vengono chiamati giovani migranti anche coloro che non lo sono, per esempio figli di migranti nati in uno Stato dove non si sentono in patria, oppure sono coloro che emigrano alla ricerca di lavoro per l’assistenza, per mantenere la propria famiglia nel Paese di origine. Quindi, lo spettro della situazione da analizzare, per quanto riguarda il rapporto giovani ed emigrazione, è molto ampio, va da una emigrazione lavorativa a delle persone che non sono mai state migranti, ma si sentono migranti. Attualmente il flusso migratorio a livello mondiale si orienta intorno a 170 milioni di persone. Di questi 170, 100 milioni si muovono all’interno del proprio Continente, mentre 70 milioni fanno una emigrazione extra-continentale. Di solito, di questa percentuale, la gran parte sono giovani in quanto non tutti se la sentono di affrontare un viaggio. Non abbiamo considerato in questo numero i rifugiati. Qui stiamo parlando di persone, che per motivi di lavoro o per altri motivi, decidono di partire, di andare in un altro posto e di solito chi parte? Partono le persone più forti, più abili. C’è un investimento, un progetto dietro, ci sono delle persone che aspettano qualcosa da questi ragazzi. Ci sono ragazzi di 20 anni che mantengono i genitori nella loro patria.

 

D. – Per quanto ti risulta, qual è l’attenzione della Chiesa verso i giovani migranti e cosa si potrebbe fare di più?

 

R. – Secondo me, attualmente, la Chiesa ha una visione pastoralmente ‘statica’ del problema, della questione giovanile. Anche durante le giornate mondiali della gioventù e durante altri eventi giovanili, si ha sempre l’impressione di avere a che fare con dei giovani che siano locali, che siano autoctoni, che non abbiano problemi di comunicazione, non abbiano problemi di lingua, non abbiano problemi di adattamento, non abbiano questioni che riguardano la loro identità. La grossa novità credo che sia qui, nel senso che dovremmo cercare insieme di volgerci alla scoperta, al mistero, a quello che si sta realizzando già in questi giovani che si incontrano, perché di norma capita che quando un gruppo di giovani emigra in un posto c’è subito il primo entusiasmo. C’è un certo interesse soprattutto della gioventù locale verso questi nuovi giovani “chi sono, chi non sono”, si creano anche delle famiglie ‘miste’, ma poi, nel momento in cui il giovane è costretto a rivedere il suo progetto migratorio, nel senso che chi emigra, emigra molte volte per forza e pensa di farlo solo per 2-3 anni, poi deve rivedere il suo progetto migratorio, perché si comincia a stabilizzare, instaura dei rapporti, instaura dei legami, affettivi, di amicizia, legami che vanno anche nel vissuto della fede. Sta nascendo una nuova identità di fede: in questo momento nasce un po’ di senso di ripulsa. Il giovane migrante tende a chiudersi in se stesso, perché ha paura della nuova identità che deve abbracciare. Il giovane locale sta bene con se stesso, perché dirsi le stesse cose e capirsi va sempre bene, ma nel momento in cui bisogna fare lo sforzo di capire l’altro, di cercare di comprendere come l’altro vive la sua realtà, allora lì inizia l’avventura della scoperta, il fascino di venirsi incontro, di capirsi nel linguaggio, di capirsi nell’espressione, di capirsi nei gesti.

 

D. – Tu, cosa vuoi fare per loro, per questi giovani migranti, per questo mondo complesso e variegato dell’emigrazione?

 

R. – Vorrei che accadesse quello che Scalabrini diceva, che ‘per ogni straniero, per ogni migrante, è patria la terra che gli dà il pane’. Vorrei che la gente sentisse patria il posto dove si trova. Vorrei condividere con loro questo cammino, perché sono convinto di una cosa, che attraverso questi giovani che emigrano, c’è il piano di Dio che si va rivelando. Questo volto che non riusciamo a comprendere è il volto misterioso di Dio che si va delineando nella storia e si va svelando, si va manifestando, ed è un volto che ha le caratteristiche dell’amore, perché le espressioni dell’amore possono essere le più varie, le più belle e stando a contatto con questi ragazzi ne scopro di belle e di varie.

 

D. – Quindi tu vuoi essere il loro buon samaritano?

 

R. – Voglio essere il loro compagno di viaggio e magari trovare il vero buon samaritano che è Gesù, che si rivela nel volto di ognuno.

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NELLA NOTTE DI SAN LORENZO, TRA SOGNI ED EMOZIONI,

 GUARDANDO IL CIELO STELLATO

- Con noi, padre Sabino Maffeo -

 

         Uno spettacolo completamente gratuito eppure eccezionale come solo la natura può offrire. Stanotte, la notte di San Lorenzo, saranno in tanti e senza distinzioni d’età ad alzare gli occhi al cielo per rimirare le stelle cadenti. Un fenomeno astrale capace di destare emozione e stupore. Un evento, che, nel corso dei secoli, ha ispirato poeti e scrittori e che, anche quest’anno, non mancherà di suscitare nuove sensazioni tra i fortunati spettatori. Tuttavia, la luce lunare, particolarmente intensa in questi giorni, non permetterà una visione ottimale del fenomeno siderale, come spiega il padre gesuita Sabino Maffeo, vicedirettore della Specola Vaticana, al microfono di Luca Collodi:

 

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R. – Quest’anno, purtroppo, molti saranno delusi perché intanto c’è la luce della luna, la luna è quasi piena e questo disturberà moltissimo, perché le stelle cadenti si vedono bene nei luoghi oscuri, quando è veramente buio; in città si vedono ancora meno, meno ancora quando c’è la luna!

 

D. – Padre Maffeo, che cosa sono le stelle cadenti? Sono delle piccole meteore?

 

R. – Sì, le stelle cadenti sono frammenti di comete che le comete hanno distribuito lungo la loro orbita. Ora, Schiaparelli, grande astronomo dell’Osservatorio di Milano, nel 1870, scoprì che le stelle cadenti non sono altro che i rimasugli di una grande cometa che apparve nel 1862, il cui nucleo si era completamente sgretolato e perciò tutti i frammenti di questo nucleo che si era distrutto erano distribuiti lungo la sua orbita. Ora, l’orbita di questa cometa incrocia l’orbita della terra. Allora, che cosa succede? Che la terra attraversa questo sciame di frammenti di roccia, che sono il nucleo distrutto della cometa, e questi frammenti, sotto l’attrazione della gravità terrestre, ricadono sopra. Cadono a grande velocità e quando arrivano nell’atmosfera si bruciano. Se ci fosse un pezzo più grande che non fa a tempo a consumarsi tutto, arriverebbe a terra e allora non sarebbe una meteora, sarebbe un meteorite.

 

D. – C’è un orario dove si può tentare di vedere qualcosa in maniera più precisa?

 

R. – In genere, si dice che queste meteore, queste stelle cadenti si vedono meglio dopo la mezzanotte, guardando in direzione della costellazione di Perseo. Si chiamano di fatto le Perseidi, perché si vedono sparse in tutte le direzioni del cielo ma se uno segue le tracce vede che tutte quante hanno origine in un punto che sta nella costellazione di Perseo.

 

D. – La notte di San Lorenzo è in qualche modo legata ad una tradizione cristiana: le nostre nonne ci parlavano delle stelle cadenti come delle lacrime di San Lorenzo ...

 

R. – Quello diciamo che è un caso: il fatto che la terra si trovi in quel punto della sua orbita in cui incrocia l’altra e che capita proprio il giorno in cui, fin dal quarto secolo, si venerava il santo martire, San Lorenzo. Questa coincidenza ha fatto sì che si chiamino, queste stelle cadenti, ‘lacrime di San Lorenzo’, lacrime perché San Lorenzo fu martirizzato, fu praticamente bruciato vivo sopra una graticola: fu condannato a morte dall’imperatore Valeriano per il fatto che non voleva assolutamente consegnare il denaro che era destinato ai poveri, denaro della Chiesa che lui – essendo diacono – conservava e distribuiva ai poveri.

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IL PIACERE DELLA LETTURA PROTAGONISTA IN FRIULI

CON LA MANIFESTAZIONE CULTURALE “LIBRI E AUTORI A GRADO”

- Con noi, Paolo Scandaletti -

 

 

Predrag Matvejevic, Carlo Castellaneta, Gian Antonio Stella: sono soltanto alcuni degli scrittori presenti quest’anno a “Libri e autori a Grado”. La manifestazione, promossa dal Comune con il sostegno della Banca Antonveneta, come è ormai di consuetudine da dodici anni, allieta le serate dei vacanzieri della nota località friulana per tutta l’estate (fino al 31 agosto). Tante le novità dell’edizione 2003. Tra esse, la proiezione della nuova serie tv “La Squadra” e  della pellicola “Vestito per uccidere” di Bryan De Palma. Il servizio di Dorotea Gambardella:

 

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(musica)

 

Libri e autori a Grado. Un’iniziativa che nella rinomata cittadina friulana si ripete da ben 12 anni. Scrittori italiani e stranieri per tutta l’estate si raccontano e parlano dei loro libri in un clima colloquiale, dialogando con il pubblico che ogni sera accorre numeroso. Ma qual è il segreto di tanto successo? Ci risponde Paolo Scandaletti, organizzatore della manifestazione …

 

R. - E’ una spiaggia di tradizioni asburgica, con un pubblico di livello medio-alto, dunque persone che hanno una qualche abitudine con la lettura. Secondo, è una spiaggia dove non c’è rumore e allora si vede molta gente che legge. Terzo, abbiamo una rassegna di autori di qualità alta con poche propensioni populistiche, o di appeal semplice. La formula dell’incontro con l’autore è il coinvolgimento del pubblico dei lettori. Credo che questo, tutto insieme, spieghi il successo e la durata della manifestazione.

 

D. – Letture impegnative e vacanze, quindi voglia di divertimento e di spensieratezza. Non le sembra un accostamento un po’ azzardato?

 

R. – No. Credo che la giornata si possa spendere con un mare blu invitante, il sole, la nuotata, un buon pranzo ed un buon libro che ci sta benissimo in una vacanza di questo tipo.

 

D. – Purtroppo però in Italia gli indici di lettura sono bassi. Secondo lei perché?

 

R. – Perché la scuola non ci abitua a leggere. Coinvolge ancora poco lo studente. Tradizionalmente la pedagogia didattica era ‘tu ascolta che ti insegno’. Un po’ alla volta si fa vivo e matura un circuito di andata e ritorno coinvolgente. Credo che la prima ragione sia questa. La seconda, che l’immagine complessiva dei leader sociali è quella dell’apparire più che dell’essere. Quindi il conto lo paga anche il libro.

 

(musica)

 

Ma l’evento non prevede solo presentazioni di libri. Tra le novità di quest’anno, infatti, anche le proiezioni di varie pellicole. In anteprima la nuova serie tv ‘La squadra’, ad esempio, o ‘Vestito per uccidere’ di Bryan De Palma a testimonianza che Grado si propone come strumento di diffusione e di cultura in senso ampio. Sentiamo ancora Scandaletti …

 

R. – Mi consenta di citare, proprio in chiave di cultura, lo storico inglese McSmith, che ha fatto il pienone di ragazzi venuti dalle Università del Nord-Est, perché insegna storia e quindi anche per le loro tesi poteva essere utile. Il giorno 18 avremo Predrag Matvejevic, uno dei dissidenti del mondo jugoslavo, fuggito a Parigi, che adesso insegna a Roma a La Sapienza. Presenta il libro ‘L’altra Venezia’, però il discorso che si farà, sono sicuro, lo orienteremo in termini di cultura, di civiltà, come l’Europa che si sta allargando e possa ulteriormente allargarsi.

 

D. – Quale messaggio vorrebbe emergesse da questa iniziativa?

 

R. – Fra i tanti libri, che si leggono d’estate, libri dei comici, libri dei fumetti, far spazio anche a qualche bel libro, sia esso un romanzo, sia esso un’opera di saggistica.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

10 agosto 2003

 

 

“ISRAELE CONTINUERÀ A COSTRUIRE IL MURO CHE SEPARA LO STATO EBRAICO DALLA CISGIORDANIA”. LO HA DICHIARATO IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SYLVAN SHALOM, AGGIUNGENDO CHE L’OBIETTIVO DELLA BARRIERA È DI FAVORIRE LA ROAD MAP

 

TEL AVIV. = Gli Hezbollah libanesi hanno sparato sulla Galilea per il terzo giorno consecutivo. E’ stata colpita la cittadina di Shlomi e almeno un israeliano è rimasto ucciso quando è stato colpito un centro commerciale. Ma la tregua, recentemente minacciata anche da un’incursione israeliana in un campo profughi presso Nablus, non sembra comunque essere a rischio. Il dirigente di Hamas, Abdulaziz Rantisi, ha dichiarato, infatti, che l’organizzazione terrà fede alla tregua di tre mesi anche se l’ala militare del movimento, le Brigate Ezzedine al Qassam, si dichiara intenzionata a vendicare l’azione militare compiuta dalle truppe israeliane a Nablus. Ma l’ostacolo più grave per il dialogo israelo-palestinese rimane il muro che divide non solo Israele dalla Cisgiordania ma anche la comunità internazionale. L’esecutivo di Tel Aviv continua, comunque, a sostenere questo progetto nonostante le pressioni americane. Questa posizione è stata ulteriormente ribadita nel corso dell’intervista concessa dal ministro degli esteri israeliano, Sylvan Shalom, alla radio dello Stato ebraico. Alle recenti dichiarazioni del presidente americano, George Bush, nelle quali il Capo della Casa Bianca ha sottolineato come il muro sarebbe stato più opportuno nel periodo in cui c’era un clima di terrore, il ministro israeliano ha risposto affermando che “la barriera sarà uno strumento efficace per impedire alle organizzazioni estremiste di condurre operazioni terroristiche”. Shalom ha poi sdrammatizzato i contrasti sulla costruzione del muro, definito un “problema” dall’amministrazione americana, che ha anche minacciato di ridurre le garanzie sui prestiti ad Israele. “Obiettivo della barriera - ha concluso - è di realizzare l’itinerario di pace indicato dalla ‘road map’ e non di pregiudicarlo come invece sostengono i palestinesi”.  (A.L.)

 

 

 

IL PROGETTO DI ESPROPRIO DI UNA PARTE ALL’APERTO DEL MONASTERO DI

 SANT’ANNA E DI SAN GIOACCHINO DI CORDOBA È STATO ANNULLATO

GRAZIE ALLA RACCOLTA DI NUMEROSE FIRME DI PROTESTA

 

CORDOBA. = Le proteste da tutta la Spagna e dall’America Latina hanno salvato dall’esproprio una parte all’aperto del monastero carmelitano di Sant’Anna e di San Gioacchino fondato nel 1589 da San Giovanni della Croce. Il Consiglio comunale di Cordoba ha, infatti, annunciato di aver ritirato il progetto di esproprio votato dai consiglieri di maggioranza del Partito socialista spagnolo (Psoe) e della Sinistra Unita comunista. Il progetto prevedeva l’esproprio di 200 metri quadrati di terreno per erigervi una terrazza da cui ammirare un sito archeologico romano. Il terreno è l’unico pezzo di terra che permette alle suore di clausura di passeggiarvi o di coltivarvi qualcosa. Santa Teresa di Gesù chiamò quella proprietà il “Palomarcito de la Virgen”. Contro l’esproprio sono state raccolte migliaia di firme. D’altro canto, i consiglieri comunali di Cordoba del Partito Popolare (Pp) si sono opposti fino all’ultimo convincendo, alla fine, i colleghi socialisti a bocciare il progetto. (A.M.)

 

 

SI SVOLGERANNO NELLA SECONDA METÀ DI AGOSTO I COLLOQUI MULTILATERALI

SUI PROGRAMMI NUCLEARI NORDCOREANI: E’ QUANTO ANNUNCIATO

DAL VICE-MINISTRO DEGLI ESTERI CINESE

 

PECHINO. = Si terranno nella seconda metà di agosto, a Pechino, i colloqui multilaterali ‘a sei’ (Nord e Sud Corea, Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti) sulla crisi nucleare della Corea del Nord. Lo ha dichiarato il vice-ministro degli esteri della Cina, Wang Yi, al rientro da una visita a Pyongyang. Secondo Wang Yi non è ancora stata fissata una data, attualmente oggetto di discussioni fra le delegazioni che parteciperanno alla trattativa. Secondo due agenzie di stampa giapponesi, che citano fonti governative di Tokyo, Wang Yi avrebbe proposto alle autorità di Pyongyang le date del 26 e 27 agosto. Il Giappone aveva indicato, la scorsa settimana, che il negoziato si sarebbe svolto tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Sembra che gli Stati Uniti preferiscano la prima opzione, che precede l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in programma all’inizio del mese prossimo a New York. Alcune fonti riportano che il regime di Pyongyang vorrebbe l’incontro multilaterale intorno al 9 settembre, in concomitanza con il 55.mo anniversario della nascita della Corea del Nord. (A.L.)

 

 

IN UN VIDEO MESSAGGIO, TRASMESSO IERI DALLA RETE ARABA AL ARABIYA, CINQUE UOMINI DELLA RESISTENZA IRACHENA HANNO CONDANNATO IL RECENTE ATTENTATO ALL’AMBASCIATA GIORDANA DI BAGHDAD DEFINENDOLO UN ATTO DI SABOTAGGIO

 

DUBAI. = L’emittente televisiva, Al Arabiya, ha trasmesso ieri un videomessaggio nel quale cinque uomini mascherati, fedeli al deposto presidente iracheno Saddam Hussein, chiedono alla comunità internazionale di non inviare soldati in Iraq e sollecitano gli iracheni alla guerriglia contro le forze straniere di occupazione presenti nel Paese arabo. E’ interessante notare che i cinque abbiano condannato senza equivoci l’attentato all’Ambasciata giordana di Baghdad. “Si è trattato di un atto di sabotaggio perpetrato da spie o da traditori, i quali hanno voluto screditare la resistenza”, ha dichiarato uno di loro. Ma le costanti minacce di attacchi contro le truppe americane non sono, purtroppo, gli unici pericoli per le forze statunitensi presenti nel Golfo Persico. Oggi, infatti, il gran caldo ha causato la morte di un soldato americano che si trovava a Sud di Baghdad, in una zona dove la temperatura supera anche i 50 gradi. Sul fronte politico proseguono gli sforzi della comunità internazionale per guidare il Paese verso la democrazia. L’inviato dell’Onu per l'Iraq, Vieira de Mello, dopo un incontro con il ministro degli esteri egiziano, Ahmed Maher, ha dichiarato che “l’Onu ha già una squadra di specialisti per preparare elezioni libere, giuste e verosimilmente democratiche nel Paese entro il 2004”. L’amministrazione civile americana ha intanto offerto all’ex amministratore delegato di Montedison, Lino Cardarelli, il posto di superadvisor presso il ministero per l’Irrigazione e le risorse idriche in Iraq, secondo per rilevanza, solo al ministero del Petrolio. La scelta ha incontrato critiche da parte irachena, perché escluderebbe il Consiglio del governo transitorio iracheno dalle decisioni relative alla gestione delle risorse d’acqua e dal processo di privatizzazione delle fonti idriche del Paese. (A.L.)

 

 

SECONDO L’AGENZIA INDONESIANA ANTARA, IL RESPONSABILE DELL’ATTENTATO

CHE HA DEVASTATO L’HOTEL MARRIOT DI GIAKARTA ERA LEGATO

AL CAPO DELLA RETE TERRORISTICA JEMAAH ISLAMIYA.

 

GIAKARTA. = Il presunto kamikaze, Asmar Latin Sani, autore dell’attentato all’hotel Marriott di Giakarta aveva frequentato la scuola coranica estremista di Solo, nell’isola di Giava, diretta da Abu Bakar Bashir, considerato il leader spirituale della rete terroristica Jemaah Islamiyah, attiva nell’Asia meridionale e ritenuta collegata al gruppo terroristico Al Qaeda. Lo ha detto oggi l’agenzia ufficiale indonesiana Antara. Asmar Latin Sani, 28 anni, era a bordo del veicolo imbottito di esplosivo che è esploso martedì scorso davanti all’albergo di lusso di proprietà americana, causando 11 morti e 147 feriti. Secondo la polizia, Latin Sani, faceva parte del gruppo che ha organizzato e portato a termine l’attentato. Senza citare le fonti, l’agenzia Antara ha scritto oggi che Latin Sani si era diplomato alla scuola islamica di Ngruki a Solo il cui direttore, Bashir, è accusato dalla polizia di essere il capo della Jemaah. Il religioso ha sempre respinto questa accusa. Bashir è detenuto dalle autorità indonesiane con l’accusa di aver partecipato ad un presunto complotto per uccidere il presidente indonesiano, Megawati Sukarnoputri, quando era ancora vicepresidente. (A.L.)

 

 

 

 

 

 

 

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