RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 221 - Testo della
Trasmissione di sabato 9 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
Lutto alla Radio Vaticana, per la morte del padre Pierre Jacquet
Le piogge torrenziali distruggono le abitazioni di un migliaio di persone in Papua Nuova Guinea
In Liberia, dove proseguono i combattimenti, la
popolazione continua a non ricevere aiuti umanitari
In Medio Oriente la tregua appare sempre più
fragile: gli estremisti di Hamas minacciano di tornare a colpire Israele con
attacchi terroristici
Le autorità del Myanmar hanno smentito che il
premio nobel per la pace, San Suu Kyi, sarà liberata in occasione dei prossimi
incontri bilaterali tra funzionari birmani e thailandesi.
9 agosto 2003
SEGUIRE L’ESEMPIO DI SAN FRANCESCO PER ACCOGLIERE
IL REDENTORE:
COSI’,
STAMANI, IL PAPA AI PARTECIPANTI AL TERZO CONVEGNO INTERNAZIONALE
“GIOVANI
VERSO ASSISI”, RICEVUTI IN UDIENZA A CASTEL GANDOLFO
-
Servizio di Alessandro Gisotti -
Seguendo
l’esempio di San Francesco, imparerete a “guardare con fede al volto del
Crocifisso e a vedervi riflesse le sofferenze dell’uomo”. E’ la riflessione
offerta oggi dal Papa ai 700 ragazzi, partecipanti al terzo Convegno
Internazionale “Giovani verso Assisi”, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo.
Al festoso incontro di stamani ha preso parte anche padre Joachim Giermek,
ministro generale dei Frati Minori Conventuali. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
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“Contemplate il volto di Cristo, il volto del morente e il
volto del Risorto”: Giovanni Paolo II ha esortato i giovani a seguire l’esempio
di San Francesco, che, dalla contemplazione del volto di Cristo crocifisso,
“trasse l’esperienza di quella profonda comunione con Gesù che lo spinse, verso
la conclusione della sua esistenza terrena, ad immedesimarsi talmente con Lui,
da portarne impressi nel proprio corpo i segni della Passione”. Durante questi
“giorni di riflessione e di fraternità”, ha affermato, avete “l’opportunità di
riscoprire il fascino dei luoghi che ancora oggi testimoniano il passaggio del
Poverello d’Assisi. Il Santo Padre ha invitato, così, i giovani ad approfondire
il contenuto della preghiera di San Francesco davanti al Crocifisso di San
Damiano e specialmente a soffermarsi sull’attualità dell’invocazione: “Illumina
il cuore mio”. Contemplando il volto di Cristo, ha avvertito, diventerete
capaci di accogliere quanti soffrono a causa della malattia, della violenza,
dell’odio e dell’ingiustizia”:
“Come Francesco incontrò Cristo nella solidarietà e nel
servizio ai poveri e ai lebbrosi, così anche voi, seguendone fedelmente
l’esempio, in ogni sofferente ed emarginato sarete in grado di accogliere il
Redentore e servirlo con generosa dedizione”.
La Croce di San Damiano, che vi accompagna anche oggi, ha
proseguito, “ravvivi in voi la luce che illumina il cuore” e guidi il vostro
pellegrinaggio sino a Colonia dove si terrà la Giornata mondiale della Gioventù
nel 2005. Sempre pronti, seguendo l’esempio di Francesco e l’esperienza di
Chiara d’Assisi, “ad annunciare e testimoniare il Vangelo”.
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NOMINE
INVIATI SPECIALI PER CELEBRAZIONI AD ANAGNI E STOCCOLMA.
ASSENSO
PER ELEZIONE VESCOVILE DELLA CHIESA COPTA IN EGITTO.
PROVVISTA
IN VENEZUELA E RINUNCIA IN SURINAME
Il
Santo Padre ha affidato al cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano,
l’incarico di Legato pontificio per la solenne celebrazione del 700.mo
anniversario della morte di Papa Bonifacio VIII. Il sacro rito avrà luogo nella
cattedrale di Anagni il 12 ottobre prossimo.
Chiamata la “Città dei Papi”, perché legata in vari modi
ad una decina di Pontefici, Anagni, antico centro del Lazio meridionale, diede
i natali al futuro Bonifacio VIII, Benedetto Caetani, nel 1235. Eletto Papa il
24 dicembre 1294, dopo la celebre rinuncia di Celestino V al pontificato,
Bonifacio VIII viene ricordato come un uomo dal carattere impetuoso ma anche
come un grande Pontefice, anche perché fu lui, il 22 febbraio 1300, ad indire
il primo Giubileo della Storia. Si deve inoltre a Bonifacio VIII, nel 1303, la
fondazione dello “Studium Urbis”,
ossia dell’Università di Roma.
Il Papa ha pure nominato il cardinale Cormac Murphy
O’Connor, arcivescovo di Westminster, suo Inviato speciale alle celebrazioni
per il 50.mo anniversario della fondazione della diocesi di Stoccolma, che
avranno luogo il prossimo 12 ottobre.
In Egitto, il Pontefice ha dato il suo assenso ad una
elezione vescovile canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa
Copta, riunitosi a Maadi lo scorso 5 agosto: si tratta del reverendo mons.
Youssef Aboul-Kheir, parroco a Gergia, alla sede vescovile di Sohag dei Copti
cattolici. Il nuovo presule egiziano, che compirà 60 anni il prossimo 23
settembre, subentra al vescovo francescano mons. Marcos Hakim, che si è dimesso
dal governo pastorale della stessa eparchia.
In Venezuela, il Santo Padre ha nominato vescovo di
Maturìn, il sacerdote 52enne Enrique Pérez Lavado, del clero dell’arcidiocesi
di Maracaibo, finora professore e direttore spirituale del Seminario maggiore,
oltre che parroco nella stessa Maracaibo.
Nel Suriname, il Papa ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Paramaribo, presentata dal vescovo mons. Aloysius
Zichem, di 70 anni, in conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o
altra grave causa”.
LA FONDAZIONE POPULORUM PROGRESSIO HA APPROVATO
221 PROGETTI
PER UN
IMPORTO DI 1.843.250 DOLLARI
- Intervista con mons. Francisco
Azcona -
Un
gesto d’amore solidale della Chiesa verso i più emarginati e bisognosi, quali
le comunità contadine del Sud America. Questo lo spirito che da sempre anima la
Fondazione Populorum Progressio - istituita da Giovanni Paolo II nel
1992, nell’ambito del Consiglio Pontificio Cor Unum – la cui riunione annuale
si è svolta dall’8 al 12 luglio scorsi nell’arcidiocesi di Guadalajara in
Messico. Nel corso di questi dodici anni sono stati finanziati oltre duemila
progetti per circa 17 milioni di dollari. Il servizio è di Dorotea Gambardella.
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259 progetti esaminati, di cui 221 approvati per
promuovere lo sviluppo integrale delle popolazioni dell’America Latina. Questo
l’esito della riunione annuale del Consiglio di amministrazione della
Fondazione autonoma Populorum Progressio, creata nell’ambito del
Pontificio Consiglio Cor Unum. Progetti che per oltre il 36 per cento investiranno
il settore dell’imprenditoria, per il 25 per cento le infrastrutture, ma
riguarderanno anche la costruzione di scuole, case e centri sanitari e il campo
dell’istruzione e della formazione professionale. Per uno stanziamento
complessivo di oltre un milione e ottocentomila dollari, che quest’anno saranno
destinati in particolare alla Colombia, alla Bolivia, al Messico e al Perú. Ma
quali sono le finalità della Fondazione? Ci risponde mons. Francisco Azcona, sottosegretario
di Cor Unum:
R. – Il Papa ha istituito questa Fondazione il 13 febbraio
1992; era l’anno nel quale si è celebrato il quinto centenario dell’inizio
dell’evangelizzazione del continente americano, ed era anche l’anno nel quale
si è riunita la IV assemblea generale dell’episcopato latinoamericano. Il Papa
aveva posto come finalità promuovere lo sviluppo integrale delle comunità campesinos
più povere dell’America Latina sotto tutti gli aspetti, cioè la salute, l’acqua
potabile, le infrastrutture comunitarie, produzione, educazione nella fede ...
tanti aspetti quali possono essere quelli di una comunità indigena che ha
bisogno di aiuto. La Fondazione Populorum Progressio è un atto d’amore
del Papa, di sensibilità per le sofferenze di queste persone. In America Latina
ci sono ancora tante persone povere, e il Papa vuole essere presente.
D. – In particolare, com’è strutturata la Fondazione Populorum
Progressio?
R. – Questa Fondazione è nata nell’ambito del Pontificio
Consiglio Cor Unum, che è il dicastero creato dal Papa per la carità
all’America Latina; si tratta di una fondazione che ha un’organizzazione
speciale: ha un consiglio d’amministra-zione locale, e questa è una cosa
interessante per quanto riguarda l’aspetto pratico, ne fanno parte infatti sei
vescovi dell’America Latina insieme al rappresentante di Cor Unum – che
in questo caso sono io – che approvano tutti i progetti che vengono presentati.
Questa operazione non avviene materialmente a Roma, dove ha sede il Pontificio
Consiglio, ma direttamente in America Latina e ogni anno si organizza un
incontro con gli stessi vescovi latinoamericani, nell’ambito del quale si
approvano i progetti secondo le possibilità che ci sono.
D. – Larga parte del finanziamento di quest’anno proviene
dal contributo dei cattolici italiani, mediante il Comitato della Conferenza
episcopale italiana per gli Interventi caritativi a favore del Terzo Mondo.
Sentiamo in proposito ancora mons. Azcona:
R. – Il Papa, al momento dell’istituzione della
fondazione, ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché si
facesse ogni sforzo possibile e si manifestasse tutta la solidarietà in favore
dei campesinos latinoamericani. Quest’anno, sono stati i cattolici
italiani, attraverso il loro Comitato di intervento nel Terzo Mondo, ad aiutare
maggiormente ed hanno sostenuto con grande impegno l’appello del Papa per la
sua fondazione.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
“Seguite
fedelmente l’esempio di Francesco che incontrò Cristo nella solidarietà e nel
servizio ai poveri e a i lebbrosi” è il titolo che apre la prima Pagina in
riferimento all’udienza del Papa ai partecipanti al III Meeting Internazionale
“Giovani verso Assisi”.
A
seguire: la situazione in Iraq con il ferimento di nove soldati statunitensi in
attacchi a Mossul e a Tikrit; torna a salire la tensione in Medio Oriente dopo
un nuovo raid israeliano; la denuncia della Croce Rossa internazionale per
l’insuffi-ciente impegno delle organizzazioni umanitarie in Liberia.
Nelle
vaticane, una pagina dedicata alla spiritualità del Beato Comboni.
Nelle pagine estere, sul fronte
del terrorismo, pakistano incriminato per fiancheggiamento di “Al Qaeda”; in
Indonesia si temono nuovi attacchi; per il ministro della Difesa, dietro la
strage di Jakarta ci sarebbe la mano della Jemaah.
Nella pagina culturale, la mostra
di Antonietta Raphael nel complesso delle chiese rupestri a Matera.
Nelle pagine italiane, i temi
dell’economia e dell’emergenza incendi.
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9 agosto 2003
I DIRITTI DIMENTICATI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE:
OGGI E’ LA GIORNATA
INTERNAZIONALE PER RICORDARLI
- Intervista con Luciano Ardesi -
Un giornata per celebrare “l’esistenza, la diversità e le
conquiste delle popolazioni indigene del mondo”, come ricorda il segretario
generale dell’Onu, Kofi Annan, in un messaggio che rende omaggio “a coloro i
quali, senza rinunciare alla propria identità, si muovono tra le tradizioni dei
loro antenati e il vasto mondo moderno in rapido cambiamento”. Molta strada è
stata dunque percorsa per il riconoscimento dei diritti delle popolazioni
indigene a livello internazionale. Sono passati 21 anni da quando si riunì per
la prima volta all’Onu - rammenta Kofi Annan - il Gruppo di lavoro sulle popolazioni
indigene il 9 agosto del 1982.
Di questo itinerario difficoltoso e sofferto sono state
protagoniste alcune associazioni e movimenti che hanno sostenuto questa causa,
come La Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli. Roberta
Gisotti ha chiesto al segretario Luciano Ardesi a che punto siamo di questo
cammino?
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R. – Qui siamo ancora in alto mare perché la principale richiesta almeno
nelle sedi internazionali, è quella di un’adozione di una Dichiarazione
Universale dei diritti dei popoli indigeni se ne discute da molti anni, c’è una
bozza che è in discussione alle Nazioni Unite ma purtroppo gli Stati che
ospitano queste popolazioni si oppongono alla sua adozione, temono in qualche
modo questi popoli abbiano troppi diritti quando la loro situazione è
esattamente l’opposto cioè manca, ancora oggi, purtroppo un riconoscimento
anche dei diritti elementari di queste popolazioni come ad esempio il diritto a
restare sulle proprie terre, il diritto a poter utilizzare la propria lingua e
in ogni caso sviluppare la propria
cultura e infine il controllo sulle risorse naturali del territorio che
storicamente li ha accolti.
D. – Lo stesso Kofi Annan dichiara infatti, che le
popolazioni indigene affrontano minacce alla loro stessa vita e assistono alla
distruzione delle loro credenze, culture, lingue e modi di vivere; ecco ci sono
delle situazioni più gravi da denunciare?
R. – Possiamo dire che ogni continente ha delle situazioni
difficili, gli aborigeni dell’Australia sono in un certo senso, ancora in
riserve nelle quali però non riescono completamente né la loro cultura né il
controllo sulle proprie risorse naturali. Nel sud continente Indiano abbiamo
diversi popoli tribali che sono stati spostati, sono stati costretti
all’esilio, a grandi opere come dighe o la creazione di poli di sviluppo che
hanno obbligato queste popolazioni a emigrare e poi, in America Latina appunto
il problema del riconoscimento del controllo sul territorio strategico come ad
esempio la foresta Amazzonica, sappiamo che molte popolazioni sono state o
stanno per essere allontanate dal loro ambiente naturale e questo provocherebbe
senza altro l’estinzione sia fisica e soprattutto culturale di queste
popolazioni.
D. – Possiamo dire che difendere e tutelare i diritti
delle popolazioni indigene, in qualche modo significa difendere e tutelare una
ricchezza culturale ed etnica che è di tutti anche magari contrastare degli
interessi economici che vanno appunto contro diritti umani?
R. – Proteggere le popolazioni indigene, sviluppare la
loro cultura non significa fermarsi in qualche modo al passato, no il problema
è di una grande e straordinaria modernità in un mondo che si è globalizzato che
si va globalizzando sempre di più essere in grado di conservare la diversità
come in questo caso della cultura e delle tradizioni di queste popolazioni è
una sfida che sappiamo è universale siamo tutti in qualche modo minacciati
nella nostra identità, identità molteplice, certo le popolazioni indigene ci
ricordano quanto questo problema possa essere drammatico portare fino alle
estreme conseguenze quello della scomparsa non solo culturale ma anche fisica
di questa diversità, ecco perché trovo che la giornata internazionale per le
popolazioni indigene sia, in questo senso, di portata universale.
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CON LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SEMIRAMIDE,
SI È
APERTO IERI SERA A PESARO LA XXIV EDIZIONE DEL “ROSSINI OPERA FESTIVAL”
-
Servizio di Luca Pellegrini -
Sono state 4 ore e mezzo di musica ad inaugurare, ieri
sera il “Rossini Opera Festival”, infatti tanto dura l’opera Semiramide del
maestro pesarese Gioacchino Rossini, un’opera che come per il Rossini del 1823,
sospeso tra il passato - l’Italia che
stava per lasciare definitivamente - e
il futuro - la Francia che lo avrebbe accolto con riverenza - da un lato guarda
al neoclassicismo restaurativo e dall’altro al trionfo della forma drammatica
romantica. A seguirla per noi c’era don Luca Pellegrini.
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Lavoro-mostra
che strizza l’occhio ai miti di Edipo e di Amleto, Semiramide è l’archetipo dell’Opera
rossiniana. Una sorta di infuocata summa entro cui la coloritura diviene
iperbolica ed invade, non soltanto le arie e i brani di insieme, ma i recitativi,
i declamati, insomma, ogni più piccolo e recondito rigo di musica. Mentre a
Pesaro, viene allestita in uno spazio enorme e con vivaci sorprese per tutti a
cominciare dalla regia dello svizzero Dieter Kaegi al suo debutto al Festival,
accolta da vistosi dissensi finali e che approderà il prossimo anno al Teatro
Regio di Torino.
Toccata
forse dalle provocazioni di Salisburgo, sul palcoscenico questa Semiramide non
si aggira più tra i palazzi di Babilonia, non veste più pepli e fastose piume,
ed i suoi guerrieri non portano elmi e corazze. Dimenticare insomma la
Mesopotamia antica ed entrare subito in uno spazio molto diverso e futuribile.
La stanza dei Bottoni del dottor Stranamore, il folle politico di Stanley
Kubrick con un gran tavolo circolare, pannelli, carte geografiche, monitor,
computer, costumi anni ’60, i magi diventati grandi saggi di un pianeta
lontano, ricordare ad esempio il kripton di Superman o lo Star Trek attuale; il
coro trasformato nei rappresentanti Onu divisi tra l’omaggiare la superba
regina o giocare al casinò. Hostess a servire drink, guardie del corpo con
auricolare e soldati che strizzano l’occhio alle divise di Saddam. Scena fissa
e noiosa di William Orlandi, un laser verde per delimitare la tomba di Nino e
Daniela Barcellona, mezzo soprano nel ruolo del guerriero Arsace, infagottata
in una brutta divisa prima e in una candida giacca e cravatta poi.
Ma al
trionfo di applausi per le sue inappuntabili qualità di belcantista, che ha
condiviso con Darina Takova, protagonista, e Ildar Abdrazakov, Assur, modellato
di pari passo sul fascino indimenticabile di Peter Sellers, nel già citato film
di Kubrick. Carlo Rizzi, dal suo podio alla guida dell’orchestra sinfonica de
Galicia, deve essere più volte rimasto sbigottito per le immagini che gli si
dipanavano dinanzi e intimorito, quasi che dovesse non osare una sfumatura, un colore,
un tempo vivace, un’interpretazione e una parola sulle poche attendibili
variazioni dei cantanti. Questa sera al Festival ritorna la più rassicurante
edizione della farsa in un atto ‘Adina’ con la regia di Moni Ovadia, mentre
domani sera si attende un nuovo allestimento de ‘Le comte Ory’ che si vocifera,
non mancherà anch’esso di sorprese.
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9 agosto 2003
SI È SPENTO A ROMA, ALL’
ETÁ DI OTTANT’ ANNI,
IL GESUITA BELGA PADRE PIERRE JACQUET. VOCE STORICA
DELLA NOSTRA EMITTENTE, COMMENTAVA IL VANGELO DELLA DOMENICA IN LINGUA
FRANCESE.
I FUNERALI SARANNO CELEBRATI LUNEDÍ MATTINA
PRESSO LA CASA GENERALIZIA DEI GESUITI
- A cura di padre Pierre Gérard -
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ROMA. = Si è spenta una voce familiare agli
ascoltatori della Radio Vaticana. Il gesuita belga padre Pierre Jacquet ci ha
lasciati questa mattina, 9 agosto 2003. Da un anno il suo stato di salute si
era andato progressivamente deteriorando. Un primo attacco, nell’agosto del
2002, aveva provocato la paralisi del braccio e della mano sinistra. L’ultimo
attacco aveva colpito la gamba sinistra, l’11 luglio, vigilia del 50º
anniversario della sua ordinazione sacerdotale, che voleva celebrare qui a Roma
con i tanti amici che aveva. Il padre Jacquet, che aveva 80 anni, ha infatti
trascorso a Roma quasi tutta la sua vita da gesuita. Era nato vicino a
Charleroi, in Belgio, il 1º febbraio 1923. Entrato nel noviziato della
Compagnia di Gesù nel 1940, giungeva a Roma alcuni anni più tardi per compiere
i suoi studi di teologia all’Università Gregoriana. Ed è nella chiesa di
sant’Ignazio che venne ordinato sacerdote l’11 luglio 1953: 50 anni di presenza
a Roma, in cui è stato successivamente ministro della Casa generalizia della
Compagnia, poi della Casa degli Scrittori, la comunità dei gesuiti che lavorano
alla Radio Vaticana. Dal 1991, era di nuovo alla Curia generalizia per
svolgervi compiti di traduzione, rendendo al contempo molteplici servizi alla
sua comunità sia per la liturgia che sotto forma di informazioni pratiche.
Padre Jacquet era infatti una vera enciclopedia vivente. La sua collaborazione alla Radio Vaticana è
durata più di 30 anni. Ogni sabato, lo si poteva ascoltare mentre commentava
con la sua bella voce il Vangelo della domenica, riflessioni particolarmente
apprezzate. Ogni mattina veniva a trovarci e tutto il personale della Radio
approfittava sia delle sue conoscenze che delle sue relazioni. Con il padre
Jacquet non è un collaboratore che perdiamo, ma un amico carissimo. I suoi
funerali saranno celebrati lunedì mattina, alle 10, nella Cappella della Casa
Generalizia della Compagnia di Gesù.
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LE PIOGGE TORRENZIALI
DISTRUGGONO LE CASE DI UN MIGLIAIO DI PERSONE IN PAPUA NUOVA GUINEA. LE
COMUNICAZIONE INTERROTTE
COMPLICANO L’INVIO DEI SOCCORSI
NUOVA IRLANDA. = Piogge torrenziali e smottamenti
hanno distrutto le case di non meno di mille persone lungo la costa occidentale
della Nuova Irlanda, un’isola tropicale della Papua Nuova Guinea, a circa 900
chilometri a nordest della capitale Port Moresby. Secondo i media locali,
ripresi da quelli neozelandesi, le forti precipitazioni cadute
ininterrottamente dallo scorso 1 agosto e il conseguente mare di fango che si è
abbattuto sui villaggi hanno costretto tutte le famiglie della zona ad
abbandonare la costa e a spingersi verso l’interno dell’isola, nella giungla,
alla ricerca di cibo e riparo. La zona colpita dal nubifragio risulterebbe al
momento irraggiungibile via terra a causa dei gravi danni subiti dalle vie di comunicazione.
L’elicottero, fanno sapere le autorità locali impegnate nel ristabilire i
contatti con la parte occidentale dell’isola, è al momento l’unico modo per portare
aiuto e cibo agli sfollati. (M.D.)
L’UNIONE EUROPEA AUSPICA CHE SI RAGGIUNGA UN
COMPROMESSO
FRA GOVERNO SUDANESE E RIBELLI PER LA PACE NEL PAESE
AFRICANO,
DURAMENTE PROVATO DA UN CONFLITTO VENTENNALE
BRUXELLES. = L’Unione Europea ha espresso ieri, per
mezzo della presidenza di turno italiana, l’auspicio che si raggiunga un
compromesso definitivo per porre fine al ventennale conflitto in Sudan tra il
governo di Khartoum e i ribelli dell’ Esercito di liberazione popolare. In una
nota diffusa da Bruxelles, l’Unione accoglie favorevolmente la ripresa dei
colloqui tra le due parti, prevista per domani in Kenya, e ritiene che sia
giunto il momento per risolvere le questioni rimaste in sospeso. I Quindici
sostengono lo sforzo dei mediatori dell’Autorità intergovernativa per lo
sviluppo (Igad, che comprende anche Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Uganda e
Somalia), da mesi impegnata a promuovere le trattative tra governo e
ribellione. Serve però una svolta decisiva: occorre – si legge nel documento –
“pervenire a un accordo globale per porre fine al conflitto e alle sofferenze
della popolazione civile in Sudan”. Le due parti sono invitate a “operare
attivamente con l’Autorità intergovernativa al fine di trovare una soluzione
fondata sul rigoroso rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani. Le
autorità di Khartoum hanno accettato alla fine di luglio di riprendere le
discussioni a Nakuru, nel nord del Kenya, dopo una fase di stallo che aveva
lasciato temere un nuovo stop alle trattative diplomatiche. Proprio giovedì
scorso monsignor Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek (Sud Sudan), aveva
lanciato, attraverso la nostra emittente, un pressante appello: “Non mi
stancherò mai di ripeterlo: la pace deve vincere a tutti i costi. La guerra non
è un’opzione. Noi chiediamo la pace a livello politico e diplomatico e la
Chiesa farà di tutto, come espressione qualificata della società civile, per
partecipare, per condurre il popolo alla riconciliazione, alla giustizia e alla
pace”. (M.D.)
CONVOCATA IN AUTUNNO DALL’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY
ROWAN WILLIAMS
UNA RIUNIONE STRAORDINARIA DI VESCOVI PER DISCUTERE
SULL’OMOSESSUALITÁ NELLA COMUNIONE ANGLICANA. “LE ESIGENZE DI QUANTI SONO
GRAVEMENTE PERPLESSI DI FRONTE ALLE ULTIME SCELTE COMPIUTE
VANNO PRESE IN CONSIDERAZIONE”,
HA AFFERMATO IL PRIMATE DELLA CHIESA D’INGHILTERRA
LONDRA. = Il primate della chiesa d'Inghilterra,
l'arcivescovo di Canterbury Rowam Williams, ha convocato per il prossimo
autunno una riunione straordinaria di vescovi per discutere sul tema
dell’omosessualità all’interno della Chiesa anglicana. Il problema è diventato
particolarmente scottante dopo che nei giorni scorsi l'assemblea americana dei vescovi episcopaliani, che
aderiscono alla comunione anglicana, aveva deciso la nomina a vescovo del New
Hampshire del reverendo Gene Robinson, dichiaratamente convivente con un altro
uomo. Nelle settimane scorse anche in Gran Bretagna si era registrato un duro
scontro all'interno della Chiesa d'Inghilterra sulla nomina di un religioso gay
a vescovo di Reading: numerosi ecclesiastici avevano duramente criticato
l’ipotesi, che poi si risolse in un nulla di fatto. Per questi motivi, nei
giorni scorsi l'arcivescovo di Canterbury aveva invitato la sua Chiesa alla
prudenza e aveva previsto per essa
giorni difficili, affermando che questa scelta avrebbe potuto avere un
significativo impatto sugli 80 milioni di persone che aderiscono in tutto il
mondo alla Comunione anglicana. “È necessario assicurare che le esigenze di
quanti sono gravemente perplessi per gli sviluppi del caso, vengano ascoltate,
capite e le loro preoccupazioni prese in considerazione”, ha affermato il
primate della Chiesa d'Inghilterra. (M.D.)
CARLA DEL PONTE, PROCURATORE CAPO DEL TRIBUNALE
INTERNAZIONALE
PER I CRIMINI IN RWANDA, CHIEDE ALL’ ONU DI POTER COMPLETARE
LE INDAGINI
SUL GENOCIDIO DEL 1994 MENTRE SI DIFFONDONO VOCI
SU UNA SUA POSSIBILE SOSTITUZIONE
NEW YORK. = Il procuratore capo del Tribunale
internazionale per i crimini in Rwanda Carla Del Ponte ha chiesto ieri al
Consiglio di sicurezza dell’Onu di mantenere l’attuale incarico, in scadenza a
metà settembre, per portare a termine le indagini sui responsabili del
genocidio del 1994. Di diverso avviso il segretario generale dell’Onu Kofi
Annan, che propone invece di sostituire la Del Ponte, la quale guida anche la
procura del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, affermando che
l’impegno è eccessivo per una sola persona. Il magistrato elvetico, a capo
delle due procure dal 1999, nel corso della seduta con i Quindici, ha accusato
il governo rwandese di volerla estromettere perché non si indaghi sulle eventuali
responsabilità dell’Esercito patriottico rwandese, braccio armato del Fronte
patriottico rwandese attualmente al governo, nella morte di 30mila hutu al
termine dei massacri avvenuti nel 1994. Carla Del Ponte intenderebbe, invece,
proseguire l’inchiesta presso la corte di Arusha, in Tanzania, attuale sede del
Tribunale per il Rwanda. Il governo rwandese, da parte sua, ha accusato il
giudice svizzero di attuare una “giustizia di seconda classe” e trascorrere
molto più tempo all’Aja. La volontà del segretario Kofi Annan dovrebbe trovare
d’accordo il Consiglio di sicurezza, anche perché Stati Uniti e Gran Bretagna
hanno apertamente appoggiato la causa rwandese, paventando il rischio di una destabilizzazione
del governo guidato da Paul Kagame. Alcuni osservatori, però, vedono nella
vicenda il rischio di un’eccessiva pressione politica, con il possibile esito
di un indebolimento dell’autonomia e dell’imparzialità del Tribunale di Arusha.
(M.D.)
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9 agosto 2003
- A
cura di Amedeo Lomonaco -
In Liberia l’Ecomil, la forza di interposizione inviata
dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), non è
ancora riuscita ad arrestare la drammatica catena di violenze e dunque a consentire
il necessario arrivo degli aiuti umanitari alle stremate popolazioni del Paese.
Il servizio di Giulio Albanese:
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I soldati nigeriani dell’avanguardia dell’Ecomil, ai quali
sono impegnati a fornire appoggio logistico unità della marina da guerra
statunitense, che incrociano al largo delle coste liberiane, hanno avviato i
pattugliamenti nella capitale Monrovia, una città ormai ridotta allo stremo,
senza luce, senza acqua, senza cibo. La situazione resta poi drammatica
all’interno del Paese da dove fonti religiose segnalano ancora attività militari,
sia da parte delle forze governative, sia da parte delle milizie dell’altra
formazione ribelle, il Model, il movimento per la democrazia in Liberia. Intanto,
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha fatto sapere
che i responsabili delle violazioni dei diritti umani in Liberia saranno
portati davanti alla giustizia.
Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.
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Secondo
il rapporto dell’Alto Commissariato dell’Onu, presentato ieri a Ginevra, il
conflitto in Liberia ha provocato, dal 1989, più di 250 mila morti, di cui la
metà civili. Oltre un milione e 300 mila persone, inoltre, sono state costrette
ad abbandonare le proprie case, mentre centinaia di migliaia di rifugiati hanno
cercato riparo nei Paesi vicini.
In
Iraq lo scenario postbellico continua ad essere esplosivo. La scorsa notte, una
base militare americana è stata attaccata presso Falluja, 50 chilometri ad
Ovest di Baghdad, ed oggi a Bassora la popolazione ha protestato per la mancanza
di benzina nel Paese. Il cerchio intorno a Saddam Hussein sembra intanto
stringersi sempre di più. Le forze statunitensi hanno arrestato, stamani, l’ex
capo dei servizi di sicurezza del deposto presidente iracheno ed un presunto
capo dei Fedayn dell’ex rais. Ma gli sforzi maggiori, da parte della comunità
internazionale, sono dedicati ai progetti di sviluppo del Paese arabo. Gran
Bretagna e Stati Uniti si dichiarano pronti a sostenere una nuova risoluzione
delle Nazioni Unite che permetta un maggiore sostegno internazionale al
processo di ricostruzione dell’Iraq. Proseguono, intanto, le indagini
sull’attentato contro l’ambasciata giordana che giovedì scorso, a Baghdad, ha
provocato 17 morti. Secondo l’ammini-strazione americana, che ha inviato una
squadra di investigatori dell’Fbi, l’atto terroristico porta la firma di Al Qaeda.
In
Medio Oriente la tregua israelo-palestinese appare sempre più fragile. Gli estremisti
dell’organizzazione fondamentalista di Hamas minacciano, infatti, di tornare a
colpire lo Stato ebraico con azioni terroristiche. Per scongiurare questo
rischio e salvare il piano di pace della “road map”, l’amministrazione
palestinese chiede l’intervento di Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni
Unite. L’esercito israeliano ha intanto arrestato oggi, in Cisgiordania,
quattro sospetti membri di Hamas. Secondo fonti della difesa, citate dalla
radio israeliana, i quattro stavano preparando attacchi terroristici per
vendicare le morti dei quattro palestinesi, uccisi ieri durante il raid degli
israeliani nel campo profughi di Askar, presso Nablus. Per i particolari il
servizio di Graziano Motta:
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Sono proseguiti
fino a tarda sera gli scontri nel campo profughi di Askar, presso Nablus,
teatro dell’incursione israeliana contro una cellula di Hamas in un edificio
trasformato in un laboratorio di esplosivi ed il cui bilancio è stato di 5
morti, 4 fondamentalisti, un soldato e di parecchi feriti. Reciproche le accuse
di violazione della tregua. Quelle palestinesi, in particolare, sono state
rappresentate sia al quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti,
Russia, Unione Europea e Onu, con la richiesta che sia posta fine
all’aggressione israeliana, sia ai Paesi arabi e alla Comunità internazionale,
perché facciano cessare i crimini israeliani. Da parte loro i fondamentalisti
di Hamas hanno minacciato di rompere la tregua. Ieri si è riscaldato anche il
fronte settentrionale. Dopo 8 mesi i guerriglieri fondamentalisti libanesi
Hezbollah hanno attaccato le postazioni degli israeliani alle pendici del monte
Hebron. Questi hanno risposto impiegando aerei ed artiglierie e all’Onu hanno
presentato una protesta ufficiale in cui accusano anche Siria e Libano.
Per Radio Vaticana, Graziano Motta.
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I colloqui multilaterali a sei sul delicato capitolo dei
programmi nucleari della Corea del Nord inizieranno a Pechino nella seconda
metà di agosto. Lo ha reso noto il vice ministro degli esteri cinese, Wang Yi,
al suo ritorno da una visita a Pyongyang, specificando che la data è ancora
oggetto di discussione fra i rappresentanti degli Stati che parteciperanno ai
colloqui.
Nel Myanmar, l’ex Birmania, la leader dell’opposizione, Aung
San Suu Kyi, non sarà, almeno per il momento, rimessa in libertà. Il generale,
Picharnmet Muangmanee, ha smentito ieri l’annuncio della scarcerazione del premio
nobel per la pace, prevista tra il 22 e il 24 agosto, in occasione degli incontri
bilaterali in programma tra i funzionari tailandesi e birmani. Cresce, intanto,
la critica della comunità internazionale nei confronti del regime militare di
Rangoon. Il servizio di Maurizio Pascucci:
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Ciò che nel migliore dei casi si sarebbe rivelato un
malinteso è coinciso con il 15.mo anniversario, ieri, delle rivolte per la
democrazia del 1988, che vennero soffocate nel sangue. In Birmania la scadenza
è stata celebrata sotto tono, con poche preghiere e le tradizionali offerte di
cibo ai monaci buddisti. In Thailandia, invece, una trentina di dimostranti
hanno tenuto una veglia silenziosa davanti all’edificio delle Nazioni Unite di
Bangkok. Chiedevano l’intervento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, affinché
i generali birmani liberassero Aung San Suu Kyi, agli arresti dal 30 maggio. La
giunta militare birmana sostiene che la detenzione della leader della Lega
democratica sia necessaria per scongiurare disordini nel Paese. La Thailandia,
che confina con la Birmania, vorrebbe evitare soluzioni drastiche in questo
Paese, per non rischiare il conseguente afflusso di profughi.
Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.
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In Colombia sono cinque le
vittime dell’autobomba esplosa, ieri, a Saravena, nel dipartimento di Arauca,
nel Nord del Paese. Lo riferiscono fonti giornalistiche locali, che aggiungono
anche nuovi dettagli sulla dinamica dell’attentato, attribuito dalla polizia
alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Secondo il colonnello
Luis Alcides Morales, comandante della polizia di Arauca, l’ordigno è esploso
al passaggio di una pattuglia militare e aveva una carica di 50 chilogrammi.
A Cuba il dissenso fa sentire
la propria voce. Eloy Gutierrez Menoyo, uno dei leader dell’opposizione
moderata in esilio, ha annunciato l’intenzione di rientrare da Miami a L’Avana.
Il 69 enne, ex comandante della Rivoluzione con alle spalle 22 anni di carcere
durissimo nell’isola, era stato a fianco di Fidel Castro nella cacciata del
dittatore Batista.
In Sudan, dopo le speranze di
pacificazione, alimentate dagli Accordi del Machakos - siglati nel luglio
dell’anno scorso - tornano ad inasprirsi le tensioni tra Nord e Sud del Paese,
sconvolto da una guerra civile ventennale. Proprio in questi giorni i vescovi
cattolici e anglicani si sono riuniti in Uganda per esprimere il proprio
sostegno agli accordi di pace.
Il presidente americano, George
W. Bush ha spezzato una lancia a favore della candidatura a governatore della
California da parte dell’attore Arnold Schwarzenegger. “Sarebbe un buon
governatore”, ha dichiarato il capo della Casa Bianca, approdato alla
presidenza degli Stati Uniti dalla stessa carica, ma in Texas.
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