RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 221 - Testo della Trasmissione di sabato 9 agosto 2003

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Sull’esempio di San Francesco, imparate a vedere il volto del Crocifisso nelle sofferenze dell’uomo. E’ l’invito del Papa a 700 ragazzi riuniti nel Convegno internazionale “Giovani verso Assisi”

 

L’impegno concreto e amorevole della Chiesa per i più poveri, attraverso i progetti della Fondazione “Populorum Progressio”: ce ne parla mons. Francisco Azcona.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Si celebra oggi la Giornata internazionale degli indigeni, per rilanciare i diritti e i valori di quei popoli. Intervista con Luciano Ardesi

 

Con la rappresentazione della Semiramide, si è aperta ieri sera a Pesaro la 24.ma edizione del “Rossini Opera Festival”.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Lutto alla Radio Vaticana, per la morte del padre Pierre Jacquet

 

Le piogge torrenziali distruggono le abitazioni di un migliaio di persone in Papua Nuova Guinea

 

L’Unione Europea auspica un compromesso tra governo e ribelli in Sudan per la pace nel Paese africano, provato da un conflitto ventennale

 

Convocata in autunno dall’arcivescovo di Canterbury una riunione straordinaria di vescovi per discutere sull’omosessualità nella Comunione anglicana

 

Il procuratore capo del Tribunale internazionale per i crimini in Rwanda, Carla Del Ponte, chiede all’Onu di poter completare le indagini sul genocidio del 1994

 

24 ORE NEL MONDO:

In Liberia, dove proseguono i combattimenti, la popolazione continua a non ricevere aiuti umanitari

 

In Medio Oriente la tregua appare sempre più fragile: gli estremisti di Hamas minacciano di tornare a colpire Israele con attacchi terroristici

 

Le autorità del Myanmar hanno smentito che il premio nobel per la pace, San Suu Kyi, sarà liberata in occasione dei prossimi incontri bilaterali tra funzionari birmani e thailandesi.

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 agosto 2003

 

SEGUIRE L’ESEMPIO DI SAN FRANCESCO PER ACCOGLIERE IL REDENTORE:

COSI’, STAMANI, IL PAPA AI PARTECIPANTI AL TERZO CONVEGNO INTERNAZIONALE

“GIOVANI VERSO ASSISI”, RICEVUTI IN UDIENZA A CASTEL GANDOLFO

- Servizio di Alessandro Gisotti -

 

 

Seguendo l’esempio di San Francesco, imparerete a “guardare con fede al volto del Crocifisso e a vedervi riflesse le sofferenze dell’uomo”. E’ la riflessione offerta oggi dal Papa ai 700 ragazzi, partecipanti al terzo Convegno Internazionale “Giovani verso Assisi”, ricevuti in udienza a Castel Gandolfo. Al festoso incontro di stamani ha preso parte anche padre Joachim Giermek, ministro generale dei Frati Minori Conventuali. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Contemplate il volto di Cristo, il volto del morente e il volto del Risorto”: Giovanni Paolo II ha esortato i giovani a seguire l’esempio di San Francesco, che, dalla contemplazione del volto di Cristo crocifisso, “trasse l’esperienza di quella profonda comunione con Gesù che lo spinse, verso la conclusione della sua esistenza terrena, ad immedesimarsi talmente con Lui, da portarne impressi nel proprio corpo i segni della Passione”. Durante questi “giorni di riflessione e di fraternità”, ha affermato, avete “l’opportunità di riscoprire il fascino dei luoghi che ancora oggi testimoniano il passaggio del Poverello d’Assisi. Il Santo Padre ha invitato, così, i giovani ad approfondire il contenuto della preghiera di San Francesco davanti al Crocifisso di San Damiano e specialmente a soffermarsi sull’attualità dell’invocazione: “Illumina il cuore mio”. Contemplando il volto di Cristo, ha avvertito, diventerete capaci di accogliere quanti soffrono a causa della malattia, della violenza, dell’odio e dell’ingiustizia”:

 

“Come Francesco incontrò Cristo nella solidarietà e nel servizio ai poveri e ai lebbrosi, così anche voi, seguendone fedelmente l’esempio, in ogni sofferente ed emarginato sarete in grado di accogliere il Redentore e servirlo con generosa dedizione”.

 

La Croce di San Damiano, che vi accompagna anche oggi, ha proseguito, “ravvivi in voi la luce che illumina il cuore” e guidi il vostro pellegrinaggio sino a Colonia dove si terrà la Giornata mondiale della Gioventù nel 2005. Sempre pronti, seguendo l’esempio di Francesco e l’esperienza di Chiara d’Assisi, “ad annunciare e testimoniare il Vangelo”.

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NOMINE INVIATI SPECIALI PER CELEBRAZIONI AD ANAGNI E STOCCOLMA.

ASSENSO PER ELEZIONE VESCOVILE DELLA CHIESA COPTA IN EGITTO.

PROVVISTA IN VENEZUELA E RINUNCIA IN SURINAME

 

Il Santo Padre ha affidato al cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, l’incarico di Legato pontificio per la solenne celebrazione del 700.mo anniversario della morte di Papa Bonifacio VIII. Il sacro rito avrà luogo nella cattedrale di Anagni il 12 ottobre prossimo.

 

Chiamata la “Città dei Papi”, perché legata in vari modi ad una decina di Pontefici, Anagni, antico centro del Lazio meridionale, diede i natali al futuro Bonifacio VIII, Benedetto Caetani, nel 1235. Eletto Papa il 24 dicembre 1294, dopo la celebre rinuncia di Celestino V al pontificato, Bonifacio VIII viene ricordato come un uomo dal carattere impetuoso ma anche come un grande Pontefice, anche perché fu lui, il 22 febbraio 1300, ad indire il primo Giubileo della Storia. Si deve inoltre a Bonifacio VIII, nel 1303, la fondazione dello “Studium Urbis”, ossia dell’Università di Roma.

 

Il Papa ha pure nominato il cardinale Cormac Murphy O’Connor, arcivescovo di Westminster, suo Inviato speciale alle celebrazioni per il 50.mo anniversario della fondazione della diocesi di Stoccolma, che avranno luogo il prossimo 12 ottobre.

 

In Egitto, il Pontefice ha dato il suo assenso ad una elezione vescovile canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Copta, riunitosi a Maadi lo scorso 5 agosto: si tratta del reverendo mons. Youssef Aboul-Kheir, parroco a Gergia, alla sede vescovile di Sohag dei Copti cattolici. Il nuovo presule egiziano, che compirà 60 anni il prossimo 23 settembre, subentra al vescovo francescano mons. Marcos Hakim, che si è dimesso dal governo pastorale della stessa eparchia.

 

In Venezuela, il Santo Padre ha nominato vescovo di Maturìn, il sacerdote 52enne Enrique Pérez Lavado, del clero dell’arcidiocesi di Maracaibo, finora professore e direttore spirituale del Seminario maggiore, oltre che parroco nella stessa Maracaibo.

 

Nel Suriname, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Paramaribo, presentata dal vescovo mons. Aloysius Zichem, di 70 anni, in conformità alla norma canonica relativa ad “infermità o altra grave causa”.

 

 

LA FONDAZIONE POPULORUM PROGRESSIO HA APPROVATO 221 PROGETTI

PER UN IMPORTO DI 1.843.250 DOLLARI

- Intervista con mons. Francisco Azcona -

 

 

Un gesto d’amore solidale della Chiesa verso i più emarginati e bisognosi, quali le comunità contadine del Sud America. Questo lo spirito che da sempre anima la Fondazione Populorum Progressio - istituita da Giovanni Paolo II nel 1992, nell’ambito del Consiglio Pontificio Cor Unum – la cui riunione annuale si è svolta dall’8 al 12 luglio scorsi nell’arcidiocesi di Guadalajara in Messico. Nel corso di questi dodici anni sono stati finanziati oltre duemila progetti per circa 17 milioni di dollari. Il servizio è di Dorotea Gambardella.

 

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259 progetti esaminati, di cui 221 approvati per promuovere lo sviluppo integrale delle popolazioni dell’America Latina. Questo l’esito della riunione annuale del Consiglio di amministrazione della Fondazione autonoma Populorum Progressio, creata nell’ambito del Pontificio Consiglio Cor Unum. Progetti che per oltre il 36 per cento investiranno il settore dell’imprenditoria, per il 25 per cento le infrastrutture, ma riguarderanno anche la costruzione di scuole, case e centri sanitari e il campo dell’istruzione e della formazione professionale. Per uno stanziamento complessivo di oltre un milione e ottocentomila dollari, che quest’anno saranno destinati in particolare alla Colombia, alla Bolivia, al Messico e al Perú. Ma quali sono le finalità della Fondazione? Ci risponde mons. Francisco Azcona, sottosegretario di Cor Unum:

 

R. – Il Papa ha istituito questa Fondazione il 13 febbraio 1992; era l’anno nel quale si è celebrato il quinto centenario dell’inizio dell’evangelizzazione del continente americano, ed era anche l’anno nel quale si è riunita la IV assemblea generale dell’episcopato latinoamericano. Il Papa aveva posto come finalità promuovere lo sviluppo integrale delle comunità campesinos più povere dell’America Latina sotto tutti gli aspetti, cioè la salute, l’acqua potabile, le infrastrutture comunitarie, produzione, educazione nella fede ... tanti aspetti quali possono essere quelli di una comunità indigena che ha bisogno di aiuto. La Fondazione Populorum Progressio è un atto d’amore del Papa, di sensibilità per le sofferenze di queste persone. In America Latina ci sono ancora tante persone povere, e il Papa vuole essere presente.

 

D. – In particolare, com’è strutturata la Fondazione Populorum Progressio?

 

R. – Questa Fondazione è nata nell’ambito del Pontificio Consiglio Cor Unum, che è il dicastero creato dal Papa per la carità all’America Latina; si tratta di una fondazione che ha un’organizzazione speciale: ha un consiglio d’amministra-zione locale, e questa è una cosa interessante per quanto riguarda l’aspetto pratico, ne fanno parte infatti sei vescovi dell’America Latina insieme al rappresentante di Cor Unum – che in questo caso sono io – che approvano tutti i progetti che vengono presentati. Questa operazione non avviene materialmente a Roma, dove ha sede il Pontificio Consiglio, ma direttamente in America Latina e ogni anno si organizza un incontro con gli stessi vescovi latinoamericani, nell’ambito del quale si approvano i progetti secondo le possibilità che ci sono.

 

D. – Larga parte del finanziamento di quest’anno proviene dal contributo dei cattolici italiani, mediante il Comitato della Conferenza episcopale italiana per gli Interventi caritativi a favore del Terzo Mondo. Sentiamo in proposito ancora mons. Azcona:

 

R. – Il Papa, al momento dell’istituzione della fondazione, ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché si facesse ogni sforzo possibile e si manifestasse tutta la solidarietà in favore dei campesinos latinoamericani. Quest’anno, sono stati i cattolici italiani, attraverso il loro Comitato di intervento nel Terzo Mondo, ad aiutare maggiormente ed hanno sostenuto con grande impegno l’appello del Papa per la sua fondazione.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

“Seguite fedelmente l’esempio di Francesco che incontrò Cristo nella solidarietà e nel servizio ai poveri e a i lebbrosi” è il titolo che apre la prima Pagina in riferimento all’udienza del Papa ai partecipanti al III Meeting Internazionale “Giovani verso Assisi”.

A seguire: la situazione in Iraq con il ferimento di nove soldati statunitensi in attacchi a Mossul e a Tikrit; torna a salire la tensione in Medio Oriente dopo un nuovo raid israeliano; la denuncia della Croce Rossa internazionale per l’insuffi-ciente impegno delle organizzazioni umanitarie in Liberia.

 

Nelle vaticane, una pagina dedicata alla spiritualità del Beato Comboni.

 

Nelle pagine estere, sul fronte del terrorismo, pakistano incriminato per fiancheggiamento di “Al Qaeda”; in Indonesia si temono nuovi attacchi; per il ministro della Difesa, dietro la strage di Jakarta ci sarebbe la mano della Jemaah.

 

Nella pagina culturale, la mostra di Antonietta Raphael nel complesso delle chiese rupestri a Matera.

 

Nelle pagine italiane, i temi dell’economia e dell’emergenza incendi.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 agosto 2003

 

I DIRITTI DIMENTICATI DELLE POPOLAZIONI INDIGENE:

 OGGI E’ LA GIORNATA INTERNAZIONALE PER RICORDARLI

- Intervista con Luciano Ardesi -

 

 

Un giornata per celebrare “l’esistenza, la diversità e le conquiste delle popolazioni indigene del mondo”, come ricorda il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, in un messaggio che rende omaggio “a coloro i quali, senza rinunciare alla propria identità, si muovono tra le tradizioni dei loro antenati e il vasto mondo moderno in rapido cambiamento”. Molta strada è stata dunque percorsa per il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene a livello internazionale. Sono passati 21 anni da quando si riunì per la prima volta all’Onu - rammenta Kofi Annan - il Gruppo di lavoro sulle popolazioni indigene il 9 agosto del 1982.

 

Di questo itinerario difficoltoso e sofferto sono state protagoniste alcune associazioni e movimenti che hanno sostenuto questa causa, come La Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli. Roberta Gisotti ha chiesto al segretario Luciano Ardesi a che punto siamo di questo cammino?

 

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R. – Qui siamo ancora in alto mare perché la principale richiesta almeno nelle sedi internazionali, è quella di un’adozione di una Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli indigeni se ne discute da molti anni, c’è una bozza che è in discussione alle Nazioni Unite ma purtroppo gli Stati che ospitano queste popolazioni si oppongono alla sua adozione, temono in qualche modo questi popoli abbiano troppi diritti quando la loro situazione è esattamente l’opposto cioè manca, ancora oggi, purtroppo un riconoscimento anche dei diritti elementari di queste popolazioni come ad esempio il diritto a restare sulle proprie terre, il diritto a poter utilizzare la propria lingua e in ogni caso sviluppare la propria  cultura e infine il controllo sulle risorse naturali del territorio che storicamente li ha accolti.

 

D. – Lo stesso Kofi Annan dichiara infatti, che le popolazioni indigene affrontano minacce alla loro stessa vita e assistono alla distruzione delle loro credenze, culture, lingue e modi di vivere; ecco ci sono delle situazioni più gravi da denunciare?

 

R. – Possiamo dire che ogni continente ha delle situazioni difficili, gli aborigeni dell’Australia sono in un certo senso, ancora in riserve nelle quali però non riescono completamente né la loro cultura né il controllo sulle proprie risorse naturali. Nel sud continente Indiano abbiamo diversi popoli tribali che sono stati spostati, sono stati costretti all’esilio, a grandi opere come dighe o la creazione di poli di sviluppo che hanno obbligato queste popolazioni a emigrare e poi, in America Latina appunto il problema del riconoscimento del controllo sul territorio strategico come ad esempio la foresta Amazzonica, sappiamo che molte popolazioni sono state o stanno per essere allontanate dal loro ambiente naturale e questo provocherebbe senza altro l’estinzione sia fisica e soprattutto culturale di queste popolazioni.

 

D. – Possiamo dire che difendere e tutelare i diritti delle popolazioni indigene, in qualche modo significa difendere e tutelare una ricchezza culturale ed etnica che è di tutti anche magari contrastare degli interessi economici che vanno appunto contro diritti umani?

 

R. – Proteggere le popolazioni indigene, sviluppare la loro cultura non significa fermarsi in qualche modo al passato, no il problema è di una grande e straordinaria modernità in un mondo che si è globalizzato che si va globalizzando sempre di più essere in grado di conservare la diversità come in questo caso della cultura e delle tradizioni di queste popolazioni è una sfida che sappiamo è universale siamo tutti in qualche modo minacciati nella nostra identità, identità molteplice, certo le popolazioni indigene ci ricordano quanto questo problema possa essere drammatico portare fino alle estreme conseguenze quello della scomparsa non solo culturale ma anche fisica di questa diversità, ecco perché trovo che la giornata internazionale per le popolazioni indigene sia, in questo senso, di portata universale.

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CON LA RAPPRESENTAZIONE DELLA SEMIRAMIDE,

SI È APERTO IERI SERA A PESARO LA XXIV EDIZIONE DEL “ROSSINI OPERA FESTIVAL”

- Servizio di Luca Pellegrini -

 

 

Sono state 4 ore e mezzo di musica ad inaugurare, ieri sera il “Rossini Opera Festival”, infatti tanto dura l’opera Semiramide del maestro pesarese Gioacchino Rossini, un’opera che come per il Rossini del 1823, sospeso tra il passato -  l’Italia che stava per lasciare definitivamente -  e il futuro - la Francia che lo avrebbe accolto con riverenza - da un lato guarda al neoclassicismo restaurativo e dall’altro al trionfo della forma drammatica romantica. A seguirla per noi c’era don Luca Pellegrini.

 

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Lavoro-mostra che strizza l’occhio ai miti di Edipo e di Amleto, Semiramide è l’archetipo dell’Opera rossiniana. Una sorta di infuocata summa entro cui la coloritura diviene iperbolica ed invade, non soltanto le arie e i brani di insieme, ma i recitativi, i declamati, insomma, ogni più piccolo e recondito rigo di musica. Mentre a Pesaro, viene allestita in uno spazio enorme e con vivaci sorprese per tutti a cominciare dalla regia dello svizzero Dieter Kaegi al suo debutto al Festival, accolta da vistosi dissensi finali e che approderà il prossimo anno al Teatro Regio di Torino.

 

Toccata forse dalle provocazioni di Salisburgo, sul palcoscenico questa Semiramide non si aggira più tra i palazzi di Babilonia, non veste più pepli e fastose piume, ed i suoi guerrieri non portano elmi e corazze. Dimenticare insomma la Mesopotamia antica ed entrare subito in uno spazio molto diverso e futuribile. La stanza dei Bottoni del dottor Stranamore, il folle politico di Stanley Kubrick con un gran tavolo circolare, pannelli, carte geografiche, monitor, computer, costumi anni ’60, i magi diventati grandi saggi di un pianeta lontano, ricordare ad esempio il kripton di Superman o lo Star Trek attuale; il coro trasformato nei rappresentanti Onu divisi tra l’omaggiare la superba regina o giocare al casinò. Hostess a servire drink, guardie del corpo con auricolare e soldati che strizzano l’occhio alle divise di Saddam. Scena fissa e noiosa di William Orlandi, un laser verde per delimitare la tomba di Nino e Daniela Barcellona, mezzo soprano nel ruolo del guerriero Arsace, infagottata in una brutta divisa prima e in una candida giacca e cravatta poi.

 

Ma al trionfo di applausi per le sue inappuntabili qualità di belcantista, che ha condiviso con Darina Takova, protagonista, e Ildar Abdrazakov, Assur, modellato di pari passo sul fascino indimenticabile di Peter Sellers, nel già citato film di Kubrick. Carlo Rizzi, dal suo podio alla guida dell’orchestra sinfonica de Galicia, deve essere più volte rimasto sbigottito per le immagini che gli si dipanavano dinanzi e intimorito, quasi che dovesse non osare una sfumatura, un colore, un tempo vivace, un’interpretazione e una parola sulle poche attendibili variazioni dei cantanti. Questa sera al Festival ritorna la più rassicurante edizione della farsa in un atto ‘Adina’ con la regia di Moni Ovadia, mentre domani sera si attende un nuovo allestimento de ‘Le comte Ory’ che si vocifera, non mancherà anch’esso di sorprese.

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CHIESA E SOCIETA’

9 agosto 2003

 

SI È SPENTO A ROMA, ALL’ ETÁ DI OTTANT’ ANNI,

IL GESUITA BELGA PADRE PIERRE JACQUET. VOCE STORICA DELLA NOSTRA EMITTENTE, COMMENTAVA IL VANGELO DELLA DOMENICA IN LINGUA FRANCESE.

I FUNERALI SARANNO CELEBRATI LUNEDÍ MATTINA

PRESSO LA CASA GENERALIZIA DEI GESUITI

- A cura di padre Pierre Gérard -

 

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ROMA. = Si è spenta una voce familiare agli ascoltatori della Radio Vaticana. Il gesuita belga padre Pierre Jacquet ci ha lasciati questa mattina, 9 agosto 2003. Da un anno il suo stato di salute si era andato progressivamente deteriorando. Un primo attacco, nell’agosto del 2002, aveva provocato la paralisi del braccio e della mano sinistra. L’ultimo attacco aveva colpito la gamba sinistra, l’11 luglio, vigilia del 50º anniversario della sua ordinazione sacerdotale, che voleva celebrare qui a Roma con i tanti amici che aveva. Il padre Jacquet, che aveva 80 anni, ha infatti trascorso a Roma quasi tutta la sua vita da gesuita. Era nato vicino a Charleroi, in Belgio, il 1º febbraio 1923. Entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù nel 1940, giungeva a Roma alcuni anni più tardi per compiere i suoi studi di teologia all’Università Gregoriana. Ed è nella chiesa di sant’Ignazio che venne ordinato sacerdote l’11 luglio 1953: 50 anni di presenza a Roma, in cui è stato successivamente ministro della Casa generalizia della Compagnia, poi della Casa degli Scrittori, la comunità dei gesuiti che lavorano alla Radio Vaticana. Dal 1991, era di nuovo alla Curia generalizia per svolgervi compiti di traduzione, rendendo al contempo molteplici servizi alla sua comunità sia per la liturgia che sotto forma di informazioni pratiche. Padre Jacquet era infatti una vera enciclopedia vivente.  La sua collaborazione alla Radio Vaticana è durata più di 30 anni. Ogni sabato, lo si poteva ascoltare mentre commentava con la sua bella voce il Vangelo della domenica, riflessioni particolarmente apprezzate. Ogni mattina veniva a trovarci e tutto il personale della Radio approfittava sia delle sue conoscenze che delle sue relazioni. Con il padre Jacquet non è un collaboratore che perdiamo, ma un amico carissimo. I suoi funerali saranno celebrati lunedì mattina, alle 10, nella Cappella della Casa Generalizia della Compagnia di Gesù.

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LE PIOGGE TORRENZIALI DISTRUGGONO LE CASE DI UN MIGLIAIO DI PERSONE IN PAPUA NUOVA GUINEA. LE COMUNICAZIONE INTERROTTE

COMPLICANO L’INVIO DEI SOCCORSI

 

NUOVA IRLANDA. = Piogge torrenziali e smottamenti hanno distrutto le case di non meno di mille persone lungo la costa occidentale della Nuova Irlanda, un’isola tropicale della Papua Nuova Guinea, a circa 900 chilometri a nordest della capitale Port Moresby. Secondo i media locali, ripresi da quelli neozelandesi, le forti precipitazioni cadute ininterrottamente dallo scorso 1 agosto e il conseguente mare di fango che si è abbattuto sui villaggi hanno costretto tutte le famiglie della zona ad abbandonare la costa e a spingersi verso l’interno dell’isola, nella giungla, alla ricerca di cibo e riparo. La zona colpita dal nubifragio risulterebbe al momento irraggiungibile via terra a causa dei gravi danni subiti dalle vie di comunicazione. L’elicottero, fanno sapere le autorità locali impegnate nel ristabilire i contatti con la parte occidentale dell’isola, è al momento l’unico modo per portare aiuto e cibo agli sfollati. (M.D.)

 

 

L’UNIONE EUROPEA AUSPICA CHE SI RAGGIUNGA UN COMPROMESSO

FRA GOVERNO SUDANESE E RIBELLI PER LA PACE NEL PAESE AFRICANO,

DURAMENTE PROVATO DA UN CONFLITTO VENTENNALE

 

BRUXELLES. = L’Unione Europea ha espresso ieri, per mezzo della presidenza di turno italiana, l’auspicio che si raggiunga un compromesso definitivo per porre fine al ventennale conflitto in Sudan tra il governo di Khartoum e i ribelli dell’ Esercito di liberazione popolare. In una nota diffusa da Bruxelles, l’Unione accoglie favorevolmente la ripresa dei colloqui tra le due parti, prevista per domani in Kenya, e ritiene che sia giunto il momento per risolvere le questioni rimaste in sospeso. I Quindici sostengono lo sforzo dei mediatori dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad, che comprende anche Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Uganda e Somalia), da mesi impegnata a promuovere le trattative tra governo e ribellione. Serve però una svolta decisiva: occorre – si legge nel documento – “pervenire a un accordo globale per porre fine al conflitto e alle sofferenze della popolazione civile in Sudan”. Le due parti sono invitate a “operare attivamente con l’Autorità intergovernativa al fine di trovare una soluzione fondata sul rigoroso rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani. Le autorità di Khartoum hanno accettato alla fine di luglio di riprendere le discussioni a Nakuru, nel nord del Kenya, dopo una fase di stallo che aveva lasciato temere un nuovo stop alle trattative diplomatiche. Proprio giovedì scorso monsignor Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek (Sud Sudan), aveva lanciato, attraverso la nostra emittente, un pressante appello: “Non mi stancherò mai di ripeterlo: la pace deve vincere a tutti i costi. La guerra non è un’opzione. Noi chiediamo la pace a livello politico e diplomatico e la Chiesa farà di tutto, come espressione qualificata della società civile, per partecipare, per condurre il popolo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace”. (M.D.)

 

 

CONVOCATA IN AUTUNNO DALL’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY ROWAN WILLIAMS

UNA RIUNIONE STRAORDINARIA DI VESCOVI PER DISCUTERE SULL’OMOSESSUALITÁ NELLA COMUNIONE ANGLICANA. “LE ESIGENZE DI QUANTI SONO GRAVEMENTE PERPLESSI DI FRONTE ALLE ULTIME SCELTE COMPIUTE

VANNO PRESE IN CONSIDERAZIONE”,

HA AFFERMATO IL PRIMATE DELLA CHIESA D’INGHILTERRA

 

LONDRA. = Il primate della chiesa d'Inghilterra, l'arcivescovo di Canterbury Rowam Williams, ha convocato per il prossimo autunno una riunione straordinaria di vescovi per discutere sul tema dell’omosessualità all’interno della Chiesa anglicana. Il problema è diventato particolarmente scottante dopo che nei giorni scorsi l'assemblea  americana dei vescovi episcopaliani, che aderiscono alla comunione anglicana, aveva deciso la nomina a vescovo del New Hampshire del reverendo Gene Robinson, dichiaratamente convivente con un altro uomo. Nelle settimane scorse anche in Gran Bretagna si era registrato un duro scontro all'interno della Chiesa d'Inghilterra sulla nomina di un religioso gay a vescovo di Reading: numerosi ecclesiastici avevano duramente criticato l’ipotesi, che poi si risolse in un nulla di fatto. Per questi motivi, nei giorni scorsi l'arcivescovo di Canterbury aveva invitato la sua Chiesa alla prudenza e  aveva previsto per essa giorni difficili, affermando che questa scelta avrebbe potuto avere un significativo impatto sugli 80 milioni di persone che aderiscono in tutto il mondo alla Comunione anglicana. “È necessario assicurare che le esigenze di quanti sono gravemente perplessi per gli sviluppi del caso, vengano ascoltate, capite e le loro preoccupazioni prese in considerazione”, ha affermato il primate della Chiesa d'Inghilterra. (M.D.)

 

 

CARLA DEL PONTE, PROCURATORE CAPO DEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE

PER I CRIMINI IN RWANDA, CHIEDE ALL’ ONU DI POTER COMPLETARE LE INDAGINI

SUL GENOCIDIO DEL 1994 MENTRE SI DIFFONDONO VOCI

SU UNA SUA POSSIBILE SOSTITUZIONE

 

NEW YORK. = Il procuratore capo del Tribunale internazionale per i crimini in Rwanda Carla Del Ponte ha chiesto ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu di mantenere l’attuale incarico, in scadenza a metà settembre, per portare a termine le indagini sui responsabili del genocidio del 1994. Di diverso avviso il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, che propone invece di sostituire la Del Ponte, la quale guida anche la procura del Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, affermando che l’impegno è eccessivo per una sola persona. Il magistrato elvetico, a capo delle due procure dal 1999, nel corso della seduta con i Quindici, ha accusato il governo rwandese di volerla estromettere perché non si indaghi sulle eventuali responsabilità dell’Esercito patriottico rwandese, braccio armato del Fronte patriottico rwandese attualmente al governo, nella morte di 30mila hutu al termine dei massacri avvenuti nel 1994. Carla Del Ponte intenderebbe, invece, proseguire l’inchiesta presso la corte di Arusha, in Tanzania, attuale sede del Tribunale per il Rwanda. Il governo rwandese, da parte sua, ha accusato il giudice svizzero di attuare una “giustizia di seconda classe” e trascorrere molto più tempo all’Aja. La volontà del segretario Kofi Annan dovrebbe trovare d’accordo il Consiglio di sicurezza, anche perché Stati Uniti e Gran Bretagna hanno apertamente appoggiato la causa rwandese, paventando il rischio di una destabilizzazione del governo guidato da Paul Kagame. Alcuni osservatori, però, vedono nella vicenda il rischio di un’eccessiva pressione politica, con il possibile esito di un indebolimento dell’autonomia e dell’imparzialità del Tribunale di Arusha. (M.D.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

9 agosto 2003

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

In Liberia l’Ecomil, la forza di interposizione inviata dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), non è ancora riuscita ad arrestare la drammatica catena di violenze e dunque a consentire il necessario arrivo degli aiuti umanitari alle stremate popolazioni del Paese. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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I soldati nigeriani dell’avanguardia dell’Ecomil, ai quali sono impegnati a fornire appoggio logistico unità della marina da guerra statunitense, che incrociano al largo delle coste liberiane, hanno avviato i pattugliamenti nella capitale Monrovia, una città ormai ridotta allo stremo, senza luce, senza acqua, senza cibo. La situazione resta poi drammatica all’interno del Paese da dove fonti religiose segnalano ancora attività militari, sia da parte delle forze governative, sia da parte delle milizie dell’altra formazione ribelle, il Model, il movimento per la democrazia in Liberia. Intanto, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha fatto sapere che i responsabili delle violazioni dei diritti umani in Liberia saranno portati davanti alla giustizia.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Secondo il rapporto dell’Alto Commissariato dell’Onu, presentato ieri a Ginevra, il conflitto in Liberia ha provocato, dal 1989, più di 250 mila morti, di cui la metà civili. Oltre un milione e 300 mila persone, inoltre, sono state costrette ad abbandonare le proprie case, mentre centinaia di migliaia di rifugiati hanno cercato riparo nei Paesi vicini.

 

In Iraq lo scenario postbellico continua ad essere esplosivo. La scorsa notte, una base militare americana è stata attaccata presso Falluja, 50 chilometri ad Ovest di Baghdad, ed oggi a Bassora la popolazione ha protestato per la mancanza di benzina nel Paese. Il cerchio intorno a Saddam Hussein sembra intanto stringersi sempre di più. Le forze statunitensi hanno arrestato, stamani, l’ex capo dei servizi di sicurezza del deposto presidente iracheno ed un presunto capo dei Fedayn dell’ex rais. Ma gli sforzi maggiori, da parte della comunità internazionale, sono dedicati ai progetti di sviluppo del Paese arabo. Gran Bretagna e Stati Uniti si dichiarano pronti a sostenere una nuova risoluzione delle Nazioni Unite che permetta un maggiore sostegno internazionale al processo di ricostruzione dell’Iraq. Proseguono, intanto, le indagini sull’attentato contro l’ambasciata giordana che giovedì scorso, a Baghdad, ha provocato 17 morti. Secondo l’ammini-strazione americana, che ha inviato una squadra di investigatori dell’Fbi, l’atto terroristico porta la firma di Al Qaeda.

 

In Medio Oriente la tregua israelo-palestinese appare sempre più fragile. Gli estremisti dell’organizzazione fondamentalista di Hamas minacciano, infatti, di tornare a colpire lo Stato ebraico con azioni terroristiche. Per scongiurare questo rischio e salvare il piano di pace della “road map”, l’amministrazione palestinese chiede l’intervento di Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite. L’esercito israeliano ha intanto arrestato oggi, in Cisgiordania, quattro sospetti membri di Hamas. Secondo fonti della difesa, citate dalla radio israeliana, i quattro stavano preparando attacchi terroristici per vendicare le morti dei quattro palestinesi, uccisi ieri durante il raid degli israeliani nel campo profughi di Askar, presso Nablus. Per i particolari il servizio di Graziano Motta:

 

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Sono proseguiti fino a tarda sera gli scontri nel campo profughi di Askar, presso Nablus, teatro dell’incursione israeliana contro una cellula di Hamas in un edificio trasformato in un laboratorio di esplosivi ed il cui bilancio è stato di 5 morti, 4 fondamentalisti, un soldato e di parecchi feriti. Reciproche le accuse di violazione della tregua. Quelle palestinesi, in particolare, sono state rappresentate sia al quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Onu, con la richiesta che sia posta fine all’aggressione israeliana, sia ai Paesi arabi e alla Comunità internazionale, perché facciano cessare i crimini israeliani. Da parte loro i fondamentalisti di Hamas hanno minacciato di rompere la tregua. Ieri si è riscaldato anche il fronte settentrionale. Dopo 8 mesi i guerriglieri fondamentalisti libanesi Hezbollah hanno attaccato le postazioni degli israeliani alle pendici del monte Hebron. Questi hanno risposto impiegando aerei ed artiglierie e all’Onu hanno presentato una protesta ufficiale in cui accusano anche Siria e Libano.

 

Per Radio Vaticana, Graziano Motta.

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I colloqui multilaterali a sei sul delicato capitolo dei programmi nucleari della Corea del Nord inizieranno a Pechino nella seconda metà di agosto. Lo ha reso noto il vice ministro degli esteri cinese, Wang Yi, al suo ritorno da una visita a Pyongyang, specificando che la data è ancora oggetto di discussione fra i rappresentanti degli Stati che parteciperanno ai colloqui.

Nel Myanmar, l’ex Birmania, la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, non sarà, almeno per il momento, rimessa in libertà. Il generale, Picharnmet Muangmanee, ha smentito ieri l’annuncio della scarcerazione del premio nobel per la pace, prevista tra il 22 e il 24 agosto, in occasione degli incontri bilaterali in programma tra i funzionari tailandesi e birmani. Cresce, intanto, la critica della comunità internazionale nei confronti del regime militare di Rangoon. Il servizio di Maurizio Pascucci:

 

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Ciò che nel migliore dei casi si sarebbe rivelato un malinteso è coinciso con il 15.mo anniversario, ieri, delle rivolte per la democrazia del 1988, che vennero soffocate nel sangue. In Birmania la scadenza è stata celebrata sotto tono, con poche preghiere e le tradizionali offerte di cibo ai monaci buddisti. In Thailandia, invece, una trentina di dimostranti hanno tenuto una veglia silenziosa davanti all’edificio delle Nazioni Unite di Bangkok. Chiedevano l’intervento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, affinché i generali birmani liberassero Aung San Suu Kyi, agli arresti dal 30 maggio. La giunta militare birmana sostiene che la detenzione della leader della Lega democratica sia necessaria per scongiurare disordini nel Paese. La Thailandia, che confina con la Birmania, vorrebbe evitare soluzioni drastiche in questo Paese, per non rischiare il conseguente afflusso di profughi.

 

Maurizio Pascucci, per la Radio Vaticana.

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In Colombia sono cinque le vittime dell’autobomba esplosa, ieri, a Saravena, nel dipartimento di Arauca, nel Nord del Paese. Lo riferiscono fonti giornalistiche locali, che aggiungono anche nuovi dettagli sulla dinamica dell’attentato, attribuito dalla polizia alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Secondo il colonnello Luis Alcides Morales, comandante della polizia di Arauca, l’ordigno è esploso al passaggio di una pattuglia militare e aveva una carica di 50 chilogrammi.

 

A Cuba il dissenso fa sentire la propria voce. Eloy Gutierrez Menoyo, uno dei leader dell’opposizione moderata in esilio, ha annunciato l’intenzione di rientrare da Miami a L’Avana. Il 69 enne, ex comandante della Rivoluzione con alle spalle 22 anni di carcere durissimo nell’isola, era stato a fianco di Fidel Castro nella cacciata del dittatore Batista.

 

In Sudan, dopo le speranze di pacificazione, alimentate dagli Accordi del Machakos - siglati nel luglio dell’anno scorso - tornano ad inasprirsi le tensioni tra Nord e Sud del Paese, sconvolto da una guerra civile ventennale. Proprio in questi giorni i vescovi cattolici e anglicani si sono riuniti in Uganda per esprimere il proprio sostegno agli accordi di pace.

 

Il presidente americano, George W. Bush ha spezzato una lancia a favore della candidatura a governatore della California da parte dell’attore Arnold Schwarzenegger. “Sarebbe un buon governatore”, ha dichiarato il capo della Casa Bianca, approdato alla presidenza degli Stati Uniti dalla stessa carica, ma in Texas.

 

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