RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno XLVII  n. 220 - Testo della Trasmissione di venerdì 8  agosto 2003

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

 

Insieme al Papa una ventina di studiosi polacchi a Castel Gandolfo, per il 12.mo seminario su “Scienza, religione e storia”. Con noi, l’arcivescovo di Lublino, mons. Jòzef Zycinski.

 

La Santa Sede ribadisce con forza il suo no alla clonazione umana. Intervista con il vescovo Elio Sgreccia.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 

La “Comunità Impegno Servizio Volontariato”, nata a Torino, operativa con i suoi progetti di promozione umana in Africa e in America Latina. La testimonianza di Simona Guida, volontaria in Senegal.

 

Permane su gran parte dell’Europa l’ondata di calura eccezionale. I meteorologi non offrono previsioni rassicuranti, mentre la gente cerca riparo dal sole cocente. Ai nostri microfoni, i professori Giampiero Maracchi e Antonio Gasbarrini.

 

CHIESA E SOCIETA’:

 

Il Rwanda chiede all’ Onu il trasferimento nel Paese del tribunale internazionale per i crimini del 1994.

 

Ricordati in Kenya i cinque anni dalla strage dell’ambasciata americana. Commemorazione con l’arcivescovo di Nairobi.

Nella Repubblica Democratica del Congo, la popolazione continua a soffrire a causa della guerra civile. Drammatico appello del parroco di Fataki, nell’Ituri, per salvare una trentina di orfani in tenera età.

 

Giovani in missione nella riviera romagnola. Iniziativa delle parrocchie di Riccione e Cattolica.

 

Morto in un incidente stradale nello Stato di New York il carmelitano padre Redento Valabek, valido e stimato collaboratore della nostra emittente.

 

24 ORE NEL MONDO:

 

In seguito a gravi episodi di violenza, avvenuti oggi presso Tulkarem, il movimento islamico palestinese, Hamas, ha minacciato la rottura della tregua nei Territori.

 

Condannato a morte uno degli autori dell’attentato di Bali che lo scorso ottobre provocò 200 morti.

 

Il presidente della Liberia, Charles Taylor, ha annunciato, ieri, che lascerà il Paese.

 

 

                                                                                        

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

8 agosto 2003

 

 

CON L’INTERVENTO DEL PAPA NELLA RESIDENZA PONTIFICIA DI CASTEL GANDOLFO,

IL 12.MO SEMINARIO SU “SCIENZA, RELIGIONE, STORIA”. 

CON NOI, MONS. JOZEF ZYCINSKI

- A cura di padre Giuseppe Polak e Paolo Salvo -

 

 

Il rapporto tra la Chiesa e la scienza è particolarmente importante nell’epoca attuale, caratterizzata da grandi trasformazioni culturali. Lo ha sottolineato Giovanni Paolo II, salutando ieri sera una ventina di studiosi polacchi, intervenuti dal 5 agosto su invito e con la partecipazione del Papa, nel Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, ad un seminario di tre giorni sul tema “Tempo e infinità”. Una iniziativa voluta da Giovanni Paolo II e giunta alla 12.ma edizione nell’ambito del ciclo: “Scienza, religione, storia”.Questa mattina, nella cappella privata della sua residenza estiva, il Pontefice ha celebrato la Santa Messa in suffragio degli studiosi scomparsi che avevano partecipato ai precedenti seminari.

 

“Nella cultura contemporanea – ha osservato il Papa salutando i suoi connazionali – non possono mancare le domande fondamentali sul senso e sulla verità, sulla bellezza e sulla sofferenza , sull’infinità e sulla contingenza”. Il Santo Padre si è detto grato al gruppo di studiosi polacchi per aver potuto trattare questi argomenti in una prospettiva che vede “complementari le nuove scoperte della scienza e la riflessione filosofica classica”.

 

“Affinché i testimoni contemporanei della verità non si sentano soli, abbiamo bisogno – ha aggiunto – di una grande solidarietà di spirito  nella cerchia di tutti coloro che svolgono il servizio del pensiero. Alla Chiesa – ha detto ancora Giovanni Paolo II – non possono essere indifferenti le conquiste della scienza, che è sorta e si è sviluppata nell’ambito delle influenze culturali della cristianità”. E ha pure ricordato che “la verità e la libertà sono inseparabilmente unite nella grande opera di edificazione della cultura al servizio del pieno sviluppo della persona umana”.

 

Parlando del binomio verità e libertà, non poteva mancare un richiamo alle parole di Cristo “La verità vi farà liberi”. “Vogliamo costruire – ha detto al riguardo – una cultura evangelica, libera dalle illusioni e utopie che hanno portato tante sofferenze nel secolo passato”. Il pensiero del Papa è andato quindi agli accademici defunti, sicuro che nella luce del Signore “vedono già più chiaramente le verità che noi dobbiamo scoprire nella penombra di ricerche e discussioni”.

 

Per un’impressione su queste tre giornate, il responsabile del nostro Programma Polacco, padre Giuseppe Polak, ha sentito l’arcivescovo di Lublino, mons. Jòzef Zycinski, che ha partecipato al seminario.

 

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R. - Durante l’incontro finale tutti hanno espresso la loro solidarietà per il Papa nel suo sostegno per il dialogo interdisciplinare tra la scienza e la fede. Dialogo importante per questo tempo dove il problema della globalizzazione, della clonazione e delle nuove sfide bioetiche, portano problemi interessanti, non solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini che cercano cosa significhi la verità oggi.

 

D.  – Eccellenza, anche il Papa ha partecipato regolarmente ai vostri incontri?

 

R. – Sì, durante i 3 giorni il Papa ha partecipato non solo agli intereventi e alle conferenze, ma anche alle discussioni e, ieri sera, dopo 3 interventi, il Papa ha presentato la sua visione di cooperazione tra scienza e fede.

 

D. – Come ha trovato, lei, personalmente questo incontro?

 

R. – Ispirante, come sempre, e per noi che riconosciamo l’importanza di questo pontificato per il dialogo interdisciplinare, questo è un appoggio per lo sviluppo teoretico, dove la Chiesa si apre alle teorie dell’evoluzione nella cosmologia, nella biologia, e questo elimina la possibilità di interpretazione propagata per i fondamentalisti americani, per esempio.

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LA SANTA SEDE RIBADISCE CON FORZA IL SUO NO ALLA CLONAZIONE UMANA:

CON NOI, IL VESCOVO ELIO SGRECCIA, VICEPRESIDENTE

DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA

 

 

Con l’apertura dei lavori della 58.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, a settembre, tornerà in primo piano al Palazzo di Vetro il dibattito sulla clonazione umana. In tale occasione, saranno discusse le conclusioni raggiunte da un gruppo di lavoro incaricato di preparare una Convenzione internazionale sulla proibizione della clonazione umana. Si deciderà, dunque, se elaborare una bozza che proibisca solo la cosiddetta “clonazione riproduttiva”, oppure che metta al bando anche la cosiddetta “clonazione terapeutica”. Una distinzione, questa, che rappresenta un pericoloso equivoco da eliminare con fermezza, come spiega il vicepresidente della Pontificia Accademia della Vita, mons. Elio Sgreccia, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. – La prima precisazione che va fatta sul piano scientifico è che esiste una sola clonazione, che è sempre riproduttiva. E’ riproduttiva sia quando si riproduce un embrione per poi ucciderlo, sia quando lo si riproducesse per poi farlo nascere e camminare in mezzo agli altri. Quindi, c’è un equivoco in questa stessa duplicità di denominazione: in realtà, si tratta sempre di riprodurre un individuo umano e, per quanto riguarda quella che è stata chiamata ‘terapeutica’, si tratta di una forma ancor più grave, nel senso che si produce un embrione con la tecnica della clonazione, quindi a partire da cellule riproduttive umane, con l’intenzione poi di sopprimerlo. Questa è la prima precisazione che va fatta su questo punto, per ottenere un divieto totale.

 

D. – Cosa raccomanda la Santa Sede ai governi di quei Paesi occidentali dove più avanti si è spinta la ricerca scientifica sul tema della clonazione?

 

R. – La Santa Sede richiama da tempo la possibilità di sviluppare in senso terapeutico l’utilizzazione delle cosiddette ‘cellule staminali adulte’: ci sono delle cellule staminali che si possono prelevare, senza danno per nessuno, dall’organismo adulto o dal sangue del cordone ombelicale, in grande quantità, per potere essere poi elaborate, moltiplicate ed utilizzate per le terapie. Quelle stesse terapie che si ipotizza possano essere fatte attraverso l’utilizzazione delle cellule embrionali di embrioni clonati, si possono raggiungere con le cellule staminali adulte. Quelle stesse malattie – tipo Parkinson, Alzheimer – sono ormai in modo documentato aggredibili attraverso l’uso di queste cellule staminali prelevate dall’organismo adulto o dal sangue fetale. L’utilizzazione della cosiddetta clonazione terapeutica, perciò, oltre che essere delittuosa diventa anche inutile. Oltre tutto che queste cellule staminali provenienti da embrioni clonati possano essere così miracolose come si ventila, non è stato provato, mentre sull’utilizzazione delle cellule staminali adulte è stato provato ormai da centinaia di articoli scientifici che portano i primi risultati. Non si capisce, allora, perché si voglia perseguire questa strada soppressiva dell’individuo umano embrione per raggiungere scopi terapeutici, sopprimendolo e strumentalizzandolo in questa maniera. La raccomandazione è di arrestare questa forma di soppressione e di utilizzazione degli embrioni umani, arrestare anche il congelamento degli embrioni, arrestare questa forma di strumentalizzazione dell’essere umano, della sua utilizzazione come se fosse un oggetto, perché sono imprevedibili le conseguenze. Per questo, è giusto che se ne interessi la più alta sede giuridica del mondo, quella delle Nazioni Unite.

 

D. – Eccellenza, lo sottolineava: sulla produzione di cellule staminali adulte, la Santa Sede non è contraria, ma a condizioni ben precise. Quali?

 

R. – Le condizioni sono che, come in ogni terapia, sia già stata fatta una sperimentazione sull’animale; che non ci sia danno per chi dona queste cellule, non ci sia danno per chi le riceve e che ci sia una speranza di conseguire l’effetto.

 

D. – Secondo lei, c’è sufficiente consapevolezza della gravità, delle questioni profonde che solleva il tema della clonazione umana nei governi e nell’opinione pubblica?

 

R. – Purtroppo, credo di no. Si propone all’opinione pubblica una sorta di scelta: usare gli embrioni per poter guarire tutte le malattie oppure lasciar morire la gente di queste malattie. Questo è un falso dilemma che disorienta la gente, perché si tratta non solo di un delitto – l’utilizzazione di un essere umano per farne una medicina per altri eventuali esseri umani – ma si tratta anche di una cosa del tutto inutile, oltre che assurda. Si può raggiungere lo stesso scopo attraverso altre vie. Quindi, ci vuole una grandissima informazione, soprattutto dare il senso dei valori in gioco. Se si stabilisce il principio che per guarire una malattia si può uccidere un altro individuo umano, questo principio che riduce l’essere umano a mezzo, strumento, farmaco, diventa di una delittuosità che non è stata raggiunta, direi, nemmeno dalle forme più crudeli cui abbiamo assistito nel secolo scorso nei campi di concentramento.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Apre la prima pagina la situazione in Iraq: militari Usa uccidono civili nel mercato di Tikrit. Si sottolinea che viene a riproporsi, anche dopo l'attacco all'Ambasciata giordana a Baghdad, il costante problema della sicurezza.

 

Nelle vaticane, nel discorso ai partecipanti al XII Seminario su "Scienza, Religione, Storia", il Papa ha richiamato il valore della responsabilità cristiana per il futuro della cultura.

Due pagine dedicate all'intervento del cardinale Alfonso Lopez Trujillo sul tema "Clonazione: scomparsa della genitorialità e negazione della famiglia".

 

Nelle pagine estere, Repubblica Democratica del Congo: nell'Ituri ore drammatiche per trentuno bambini di un orfanotrofio.

Arabia Saudita: sventato un attentato dinamitardo nella provincia di Qassim.

 

Nella pagina culturale, un contributo di Marco Testi dal titolo "Per un'estetica che superi le mode": tradotto in italiano, dopo 74 anni dall'edizione francese, il "Processo all'arte" di Stanislas Fumet.

 

Nelle pagine italiane, in rilievo i temi dell'economia e della giustizia.

 

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

8 agosto 2003

 

 

PERMANE SU GRAN PARTE DELL’EUROPA L’ONDATA DI CALURA ECCEZIONALE:

GLI ESPERTI DI METEOROLOGIA NON OFFRONO RISPOSTE RASSICURANTI

MENTRE LA GENTE CERCA RIPARO DAL SOLE COCENTE

-  A cura di Roberta Gisotti ed Eliana Astorri -

 

 

Caldo torrido, afa soffocante, siccità diffusa: persiste in Italia, sul Mediterraneo e su gran parte d’Europa la ‘cappa’ di aria bollente, che fa boccheggiare perfino i villeggianti in riva al mare e nelle località alpine. Si contano intanto già decine e decine di vittime per le alte temperature e per le fiamme che hanno devastato migliaia e migliaia di ettari di boschi e aree di pascolo. Fortemente preoccupati gli ambientalisti per i danni provocati dagli incendi e per i rischi di inquinamento atmosferico, mentre è emergenza nel settore agricolo. Stato di allerta sociale in Italia, Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Serbia e Montenegro. Un’estate che rimarrà negli annali di meteorologia per le alte temperature, la scarsità di piogge e le violente e repentine alluvioni. Eliana Astorri ha intervistato il prof. Giampiero Maracchi, direttore dell’Istituto di Biometeorologia del Centro nazionale ricerche (Cnr) di Firenze.

 

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R. - Diciamo più che altro quello che è già successo a partire dall’inizio di maggio. Osserviamo un fenomeno che si è già parzialmente verificato anche negli altri anni, cioè una sorta di estensione dell’area dell’alta pressione, che generalmente è sul Sahara, verso Nord, verso il Mediterraneo. Questo si va a saldare con le alte pressioni che arrivano più tardi, cioè agli inizi di luglio sull’Atlantico centrale e determina tutta una situazione di blocco che poi dà luogo a temperature molto alte e mancanza di pioggia. Allo stesso tempo, cosa sta succedendo, sempre per lo stesso fenomeno, invece, la zona del Monsone africano, che arriva a Sud del Sahara, si è intensificata e quindi piove più del normale nella fascia che va dalla Mauritania fino al Ciad, passando per il Mali e per il Niger.

 

D. – Lei parla di blocco. Che cosa significa? Che non possono entrare le perturbazioni che arrivano dall’America, ad esempio?

 

 

 

 

R. – Non possono entrare, come giustamente dice lei, le perturbazioni che normalmente arrivano dall’Atlantico, quindi quelle che arrivano dal Canada e attraverso l’Atlantico, che sono quelle che portano la pioggia sull’Europa, fin sul Mediterraneo. Bisogna anche dire che questa è una situazione abbastanza estrema ed ovviamente non è detto che tutti gli anni si ripeta, anzi, vorrei sottolineare che l’anno scorso abbiamo avuto l’opposto esatto, per tutta l’estate, a partire dalla metà di luglio fino addirittura a fine novembre, che ha determinato una fine di luglio ed agosto con temperature molte basse e precipitazioni continue su tutta l’Europa, ma anche sull’Italia. Questi sono i due estremi di una distribuzione statistica di una climatologia che si sta modificando.

 

Uno degli aspetti che preoccupa la gente è la ripercussione che questo caldo così intenso e prolungato può avere sul nostro fisico. Chiediamo consiglio al prof. Antonio Gasbarrini, associato di Medicina Interna presso l’Università Cattolica Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

 

D. - Professor Gasbarrini, tutti si lamentano e non sopportano questo caldo. Cosa succede nel nostro corpo quando per lungo tempo si è sottoposti a temperature a cui non siamo abituati?

 

R. – Innanzitutto dobbiamo tener presente che cambia la circolazione, cioè il sangue del nostro organismo si sposta in periferia, si sposta sulla cute, questo per permettere un migliore scambio con l’esterno, in particolare per permettere una buona sudorazione che è il meccanismo che il nostro organismo mette in pratica per tenere costante la temperatura corporea. Quindi, fondamentalmente il meccanismo è quello di cambiare la circolazione. Che cosa bisogna tener presente? Che se questo avviene normalmente, ed ovviamente più aumenta la temperatura più l’organismo ha bisogno di sudare per abbassare e tenere costante la temperatura attorno ai 37 gradi, questo si paga in qualche maniera con uno scotto, con lo scotto che è quello della perdita di liquidi, per cui diciamo che una delle prime cose che bisogna tener presente è che questo grande caldo determina sudorazione, la sudorazione determina la cosiddetta disidratazione, perdita dei liquidi, e il primo suggerimento è quello di essere molto idratati, e quindi quello di bere molto quando la temperatura è così alta fuori.

 

D. – Per quanto riguarda i cibi?

 

R. – Sicuramente bisogna evitare i cibi particolarmente grassi, perché sono cibi che richiedono una digestione lunga e laboriosa e la digestione richiama sangue. Se abbiamo detto che nel periodo estivo il sangue sta soprattutto in periferia, sulla cute, richiamandolo a livello dell’apparato digerente, diciamo che è un processo che per l’organismo non è ben accetto e la digestione è molto più faticosa che nel periodo invernale. Per cui, evitare cibi particolarmente grassi, evitare condimenti pesanti, prediligere invece frutta e verdura fresca che diciamo sono facili a digerire e contengono tanta di quell’acqua di cui, come ho detto prima, abbiamo bisogno.

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UNA MANO SEMPRE TESA VERSO CHI HA BISOGNO.

E’ QUANTO SI PREFIGGE LA COMUNITA’ IMPEGNO SERVIZIO VOLONTARIATO,

DA ANNI OPERATIVA CON I SUOI PROGETTI

IN AFRICA E AMERICA LATINA

- Intervista con Simona Guida -

 

Realizzare programmi di promozione umana; selezionare e formare gruppi di volontari e studiare le cause delle ingiustizie in atto a livello nazionale e internazionale. Questi sono solo alcuni degli obiettivi che si prefigge la Cisv, “Comunità Impegno Servizio Volontariato”. Nato nel 1961, per rispondere alle esigenze dei quartieri a rischio di Torino, questo organismo ha allargato sempre più il proprio spettro di azione, tendendo le braccia anche verso le popolazioni dell’Africa e dell’America Latina. Per capire come opera in concreto la “Comunità Impegno Servizio Volontariato”, Barbara Castelli ha raggiunto telefonicamente in Senegal Simona Guida, volontaria Cisv.

 

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R. - Io lavoro per metà del tempo per l’ufficio ‘progetti’ e per l’altra metà per il settore ‘educazione alla mondialità’. Per il settore ‘progetti’ seguo un progetto di sviluppo locale. E’ un progetto che ha due ambiti principali: uno è il settore di micro finanza, per cui abbiamo appoggiato la popolazione perché creasse un’istituzione di micro finanza per fare crediti necessari alla gente; l’altro settore, invece, è il vero e proprio fondo di sviluppo locale, che finanzierà le infrastrutture ad utilizzo comunitario e poi altre attività di sostegno alle organizzazioni di base. Per il settore ‘educazione alla mondialità’, invece, mi occupo di seguire il turismo responsabile. A Louga, per esempio, abbiamo creato un coordinamento con l’associazione del quartiere e il Festival del folklore e delle percussioni di Louga.

 

D. - Qual è la realtà che ha trovato in Senegal?

 

R. - La mia prima esperienza è stata in Mali, nel nord del Mali, con il Cisv, dove c’è una situazione di precarietà profonda. Arrivando qui in Senegal, invece, ho trovato le strade asfaltate. Ho trovato sicuramente più ricchezza ma nei villaggi manca ancora davvero molto. La situazione igienica, soprattutto nei centri urbani e non tanto nei villaggi, è sicuramente problematica. Le infrastrutture ospedaliere sono assolutamente terribili e ci sono pochissimi centri sanitari di base.

 

D. - Cosa lascerà questa esperienza a Simona Guida?

 

R. - Lascerà sicuramente una gran voglia di ritornare e poi mi lascerà tanti volti, tante lettere… Ho migliorato le mie competenze lavorative, ma sicuramente ho ricevuto tanto dal punto di vista umano.

 

 

 

 

D. - Se dovesse convincere un giovane occidentale che ha tanto a tendere la mano ad un altro che, invece, ha poco, cosa direbbe?

 

R. - Penso che per quanto si possa cercare di spiegare, nessuna parola può essere tanto efficace del poter conoscere e vedere di persona.

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CHIESA E SOCIETA’

8 agosto 2003

 

 

LE AUTORITÁ DEL RWANDA CHIEDONO ALL’ONU DI TRASFERIRE NEL PAESE IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE PER I CRIMINI DEL 1994, ATTUALMENTE INSEDIATO IN TANZANIA.

KIGALI PROPONE ANCHE UN MAGGIORE COINVOLGIMENTO

DELLA MAGISTRATURA RUANDESE NEI PROCESSI

 

KIGALI. = Il Rwanda ha invitato ieri il Consiglio di sicurezza dell’Onu a prendere in considerazione un trasferimento del tribunale penale internazionale per i crimini commessi durante il genocidio del 1994, dall’attuale sede di Arusha, in Tanzania. “Abbiamo chiesto alle Nazioni Unite di trasferire la Corte più vicino ai ruandesi, in modo che i processi divengano più significativi per i cittadini e soprattutto per le vittime” ha dichiarato alla agenzia Reuters il procuratore generale del Rwanda Gerald Gahima. Nel 1995, a pochi mesi dai massacri che provocarono la morte di circa 800 mila tutsi e hutu in cento giorni, l’Onu creò un apposito tribunale per individuare e punire i responsabili del genocidio. Le autorità di Kigali non chiedono solo il trasferimento della Corte, ma anche di valutare se non sia giunto il momento per modificare il mandato del tribunale. Le autorità ruandesi propongono un’eventuale revisione sul modello della Corte speciale per i crimini della guerra civile in Sierra Leone, considerata il modello più avanzato di giurisdizione internazionale in materia. Quest’ultimo è un  tribunale nato dall’accordo tra le autorità di Freetown e le Nazioni Unite e prevede il coinvolgimento della magistratura locale. Kigali, in altre parole, vorrebbe essere coinvolta nel lavoro di ricostruzione di responsabilità del genocidio e avere la possibilità di effettuare direttamente i processi attraverso appositi collegi giudicanti locali. Il mandato del tribunale internazionale scadrà nel 2008, quando i procedimenti ancora eventualmente pendenti verranno trasferiti al sistema giudiziario del Rwanda. In questi stessi giorni, fra l’altro, il Consiglio di sicurezza deve valutare se rinnovare o no il mandato al procuratore generale Carla Del Ponte, che guida anche la procura dell’altro Tribunale speciale dell’Onu, quello sui crimini nell’ex Jugoslavia. (M.D.)

 

 

IL KENYA RICORDA I CINQUE ANNI DALLA STRAGE

DELL’AMBASCIATA AMERICANA A NAIROBI. COMMEMORAZIONE

NELLA CAPITALE CON L’ARCIVESCOVO NDINGI MWANA NZEKI

 

NAIROBI. = La popolazione del Kenya ha ricordato ieri il quinto anniversario dell’attacco terroristico all’ambasciata americana a Nairobi, avvenuto appunto il 7 agosto del 1998 ad opera di un organizzazione collegata con Al Qaeda, la rete di Osama Bin Laden. La disastrosa esplosione provocò 250 morti e più di 5 mila feriti. Anche l’arcivescovo, mons. Raphael Ndingi Mwana Nzeki, ha commemorato il drammatico evento al Memorial Park di Nairobi, invitando tutte le nazioni ad uno sforzo comune contro il terrorismo, nemico di ogni popolo. Mons. Ndingi ha inoltre affermato che la punizione dei terroristi non deve avere conseguenze sulle loro famiglie e non può in alcun modo essere presentata come una forma di vendetta. L’arcivescovo ha concluso il proprio intervento invitando tutti i fedeli del Kenya a pregare per la conversione dei terroristi stessi. (M.D.)

 

 

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, SCONVOLTA DALLA GUERRA CIVILE,

LA POPOLAZIONE CONTINUA A SOFFRIRE. IL PARROCO DI FATAKI

LANCIA UN APPELLO ALLA FORZA MULTINAZIONALE DELL’ONU

 

FATAKI. = Un disperato appello per salvare una trentina di orfani in tenera età, costretti a stare nascosti insieme ad alcune suore in una struttura religiosa di Fataki, in Ituri, nel nord-est della Repubblica democratica del Congo, a causa dei continui attacchi delle milizie tribali. A lanciarlo è don Protect Dhena, parroco di Fataki, circa 80 chilometri a nord di Bunia, che ha fatto pervenire oggi il suo messaggio alla agenzia missionaria Misna. “Quattro giorni fa – ha riferito don Dhena - le milizie Lendu hanno assaltato l’orfanotrofio: due suore, insieme a quattro infermiere, hanno preso tutti i 31 bambini e sono fuggite. Ora si trovano barricati nel convento delle suore del Carmelo, dove ormai non c’è più cibo. I bimbi sono molto piccoli: il più grande ha solo 3 anni”. Il parroco di Fataki ha chiesto aiuto alla forza multinazionale inviata dall’Onu a Bunia, ma senza esito poiché la strada da Bunia a Ituri sarebbe ancora troppo pericolosa. Il parroco si trova asserragliato nel “Piccolo seminario” di Fataki insieme ad altri tre sacerdoti. L’ultimo attacco dei miliziani Lendu risale alla notte tra sabato e domenica scorsi. Uomini armati hanno tentato un’incursione anche nel seminario ma la struttura dell’edificio - chiuso ai quattro lati con un cortile interno – ha garantito la salvezza dei sacerdoti e degli sfollati che hanno trovato riparo in questa struttura religiosa. Secondo le testimonianze raccolte dalla Misna, i combattenti hanno saccheggiato e devastato anche una parte dell’ospedale locale. Al momento non si hanno notizie di un gruppo di ammalati, che si trovavano nell’ala del presidio ospedaliero presa d’assalto dalle bande armate. Il villaggio di Fataki è stato teatro di un massacro intorno al 20 luglio scorso, quando un’ottantina di persone sono state uccise dai miliziani Lendu. Fataki si trova in una zona abitata in maggioranza dagli Hema del nord Ituri, contro cui si scagliano gli attacchi dei rivali Lendu. Tutta la zona, nonostante la presenza della forza multinazionale guidata dai francesi, intervenuti a rinforzare il contingente di caschi blu dell’Onu, continua ad essere segnata dagli scontri tra queste due formazioni avversarie che si contendono a spese dei civili un territorio particolarmente ricco di risorse minerarie. (M.D.)

 

 

GIOVANI DA TUTTA L’ITALIA PER DUE SETTIMANE IN MISSIONE SULLA RIVIERA

ROMAGNOLA. UN’ INIZIATIVA DELLE COMUNITÁ PARROCCHIALI

DI RICCIONE E CATTOLICA, CON PREZIOSE COLLABORAZIONI

 IN ALTRE DIOCESI DEL PAESE

 

RICCIONE. = Lungo la riviera adriatica italiana, tra Riccione e Cattolica, giovani provenienti da tutta l'Italia avvicineranno i loro coetanei per annunciare Gesù Cristo. L'iniziativa è denominata "Evangelizzazione di strada" ed occuperà le giornate dall'8 al 17 di agosto. Sono state le stesse comunità parrocchiali di Riccione e di Cattolica a promuovere quest’opera pastorale che non ha precedenti sulla Riviera adriatica, data la vastità del territorio in cui essa si svolgerà, il numero degli evangelizzatori e la varietà delle proposte. Sono previsti, infatti, incontri di catechesi, celebrazioni liturgiche ed eucaristiche, confessioni, veglie notturne, spettacoli ed animazioni in strada e in spiaggia. L’iniziativa è nata dall’esigenza delle comunità parrocchiali romagnole di accogliere i giovani turisti attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e di dare un segno di presenza viva dei cristiani sul territorio nel periodo estivo. Di notevole interesse è poi la partecipazione allargata alla missione. Ad essa collaboreranno infatti non solamente i giovani romagnoli, che hanno seguito per mesi un apposito corso di preparazione, bensì anche giovani della diocesi di Verona, anch’essi adeguatamente formati all’evangelizzazione di strada, nonché giovani della diocesi di Firenze, della comunità “Beatitudini” di padre Pierre Aguila, della comunità “Nuovi Orizzonti” di Chiara Amirante, e di “Jeunesse Lumière” di padre Daniel Ange dalla Francia. La missione non sarà parrocchiale in senso stretto, bensì mirerà a lanciare un messaggio verso tutti quei giovani che gravitano nel territorio, anche se provengono da città e nazioni diverse. (M.D.)

 

 

 

MORTO IN UN INCIDENTE STRADALE IL CARMELITANO PADRE REDENTO VALABEK, PER 15 ANNI VALIDO E STIMATO COLLABORATORE DELLA NOSTRA EMITTENTE. I FUNERALI SI SVOLGERANNO DOMANI A MIDDLETOWN, NELLO STATO DI NEW YORK

 

CITTÁ DEL VATICANO. = Un incidente stradale avvenuto il 5 agosto nella città di Middletown, nello Stato americano di New York, è purtroppo costato la vita a padre Redento Maria Valabek, sacerdote carmelitano di 69 anni, conosciuto per le sue grandi doti umane e virtù cristiane, da 15 anni prezioso e stimato collaboratore anche della nostra emittente. Padre Valabek era penitenziere nella Patriarcale Basilica Vaticana, docente a Roma in diverse universitarie pontificie ed ex postulatore generale. Era una voce familiare del nostro programma inglese, per il quale curava trasmissioni di carattere catechetico su questioni di fede. I funerali avranno luogo domani alle ore 11, presso il Santuario nazionale della Madonna del Carmine a Middletown. (M.D.)

 

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

8 agosto 2003

 

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

 

In Medio Oriente il percorso di pace della “Road map” sta attraversando una fase critica. Due palestinesi ed un soldato israeliano sono rimasti uccisi, oggi, durante un’incursione israeliana nel campo profughi di Askar, nei pressi di Tulkarem. In seguito a questo grave episodio di violenza, l’organizzazione fodamentalista, Hamas, ha minacciato di rompere la tregua proclamata lo scorso 29 giugno. Un’altra grave minaccia per il dialogo israelo-palestinese è costituita dalla costruzione del muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania. Affrontando questo delicato tema in un incontro con la stampa estera di Washington il segretario di Stato americano, Collin Powell, ha affermato, ieri, che l’amministrazione statunitense sta considerando l’eventualità di detrarre il costo per la costruzione della barriera dalle garanzie bancarie promesse ad Israele.

 

A cento giorni dalla fine delle “operazioni belliche” in Iraq, il Paese arabo continua, purtroppo, ad essere macchiato da sanguinosi episodi di violenza. Questa mattina due iracheni, che stavano vendendo armi nel mercato di Tikrit, città natale del deposto presidente Saddam Hussein e roccaforte dei sostenitori del vecchio regime, sono stati uccisi dai soldati americani. Sempre oggi tre militari statunitensi sono rimasti feriti in un agguato vicino a al-Amariya, 60 chilometri ad Ovest di Baghdad. La lunga catena di attentati e attacchi ha fatto registrare, ieri, la giornata con il più alto bilancio di vittime: l’esplosione dell’autobomba avvenuta davanti alla sede diplomatica giordana, costata la vita ad almeno 17 persone, e l’uccisione, a Baghdad, di due soldati americani testimoniano la difficile situazione del dopoguerra nel Golfo Persico. Ce lo conferma Paolo Mastrolilli:

 

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L’autobomba esplosa davanti alla rappresentanza di Amman ha ricordato scene viste in passato a Beirut. I fedelissimi di Saddam rimproverano alla Giordania di aver collaborato con gli Stati Uniti durante la guerra e di aver dato asilo alle due figlie del rais. Poco prima dell’attentato, la guerriglia era tornata a prendere di mira i soldati americani a Baghdad uccidendo due uomini durante uno scontro. Il generale comandante dei reparti che operano a nord della capitale ha detto che ormai Saddam è braccato. Commentando le ultime violenze, il segretario di Stato Powell ha detto che forse a questo punto gli americani devono cambiare tattica, dando più spazio alle truppe straniere e alle forze di polizia che gli iracheni stanno ricostituendo per garantire la sicurezza.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Nelle Isole Salomone sono morti i sei missionari anglicani presi in ostaggio dai ribelli guidati da Harold Keke. Lo ha detto oggi il diplomatico australiano, Nick Warner, che guida la forza di pace multinazionale inviata nel Paese del Pacifico meridionale,  teatro di sanguinosi scontri interetnici dal 1998.

 

In Indonesia si continua ad indagare sul sanguinoso attentato all’hotel Marriot di Giakarta, che martedì scorso ha causato 16 morti e circa 150 feriti. La polizia indonesiana ha identificato oggi il kamikaze che si è lanciato con un’autobomba contro l’albergo della capitale indonesiana: si tratta di Asmar Latin Sani, militante della Jemaah Islamyia. I magistrati indonesiani hanno intanto condannato a morte Amrozi Bin Nurhasyim, considerato uno dei responsabili dell’attentato di Bali, che l’ottobre scorso ha causato la morte di circa 200 persone. Sulle contrastanti reazioni alla sentenza, il servizio di Maurizio Pascucci:

 

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Non tutti se la sono sentita di sottoscrivere la logica della vendetta: questo è Brian Deagan, un magistrato australiano che ha perso il figlio nella strage:

 

“JUST THE THOUGHT THAT ...

Solo il pensiero che qualcuno, che il suo corpo sia violentemente trucidato da proiettili o altro, il tutto in nome di mio figlio, mi fa stare fisicamente male”.

 

Intanto, i parenti delle 26 vittime britanniche riunite in un gruppo chiamato “UK Bali Bombing Victims Group”, hanno criticato la sentenza sostenendo che la pena capitale eleverà Amrozi allo status di martire. Susanne Miller è la sorella di una delle vittime di Bali:

 

“WE WANTED LIFE JAILING ...

Volevamo la condanna a vita, gli hanno dato la condanna a morte; adesso siamo noi quelli che hanno ricevuto la condanna a vita, perché è qualcosa con cui dovremo vivere per il resto dei nostri giorni”.

 

Maurizio Pascucci per la Radio Vaticana.

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Sul delicato tema del programma nucleare nordcoreano, il 13 ed il 14 agosto si riuniranno, a Washington, diplomatici statunitensi, giapponesi e sudcoreani. L’incontro avverrà per coordinare la loro politica in vista dei colloqui a sei a cui parteciperanno, probabilmente all’inizio di settembre, anche Russia e Cina.

 

Nonostante la situazione della Liberia continui ad essere drammatica, il futuro del Paese sembra aver preso la strada della pace. Questa speranza è supportata dalla presenza, nel Paese, dei soldati nigeriani dell’Ecowas e dall’annuncio del presidente, Charles Taylor, di dimettersi lunedì prossimo. Ma le dimissioni di Taylor non sono purtroppo prive di ombre e perplessità. Il servizio di Giulio Albanese:

 

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Il fatto che Taylor si dimetta non significa affatto che faccia le valigie, avendo posto come condizione alla sua partenza la cancellazione dei capi di imputazione per i crimini di guerra e contro l’umanità da parte del Tribunale speciale per la Sierra Leone, supportato dalle Nazioni Unite, che lo accusa di aver sostenuto i ribelli del Ruf, il Fronte unito rivoluzionario, nel corso del conflitto del decennio 1991-2001. Intanto, da Washington il segretario di Stato Colin Powell ha detto chiaro e tondo che la decisione di Taylor di lasciare la Liberia non farà cadere le accuse nei suoi confronti. In soldoni, significa che il leader liberiano potrebbe davvero tornare nella foresta e fare il guerrigliero anziché andarsene in esilio in Nigeria. E questo preoccupa non poco tutti.

 

Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese.

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Sei soldati russi sono morti ed altri sette sono rimasti gravemente feriti, ieri pomeriggio, durante un’imboscata al veicolo blindato sul quale viaggiavano in Inguscezia, una regione di confine con la repubblica separatista della Cecenia. Sembra si tratti di un ennesimo attacco ad un reparto militare russo nell’area, da parte dei ribelli indipendentisti ceceni.

 

Dalla Cambogia arriva la conferma ufficiale della vittoria alle elezioni legislative del primo ministro Hum Ten, del Partito del popolo cambogiano. A fornire la notizia il Comitato Nazionale elettivo.

 

La leader del movimento democratico birmano, Aun San Suu Kyi, potrebbe essere liberata entro due settimane. Secondo fonti militari la giunta birmana potrebbe far coincidere la liberazione del Premio Nobel per la pace con la riunione tra i comitati di frontiera della regione prevista per il prossimo 22 agosto. Suu Kyi è in carcere dal 30 maggio scorso, quando venne arrestata durante i violenti scontri tra i sostenitori della Lega Nazionale per la Democrazia e la Giunta Militare del Nord.

 

 

 

 

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