RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno XLVII n. 219 - Testo della
Trasmissione di giovedì 7 agosto 2003
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In corso in Romania la nona
edizione dell’incontro nazionale dei Giovani cattolici.
I vescovi argentini
incontrano per la prima volta il neopresidente Kirchner.
Concluso il Sinodo della
Chiesa ucraina, nel segno della cooperazione con la vicina Polonia.
Inaugurato ieri il
cinquantaseiesimo Festival del film di Locarno.
Almeno
7 persone sono morte, stamani, a causa di un’esplosione avvenuta a Baghdad di
fronte all’ambasciata giordana.
Il presidente americano, George Bush, ha definito
“un problema” il muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania.
L’odierno discorso del presidente Taylor al
Parlamento potrebbe segnare una svolta per il futuro della Liberia.
7 agosto
2003
UN DONO PREZIOSO PER LA
CHIESA E PER LA NUOVA EUROPA:
COSI’ IL PAPA IN UN MESSAGGIO ALLE GUIDE E AGLI
SCOUT D’EUROPA,
RIUNITI IN POLONIA PER IL SESTO “EUROJAMBOREE”
- A cura di Paolo Salvo -
“Rispondete con generosità
all’appello di Cristo che vi invita a prendere il largo e a diventare suoi
testimoni, scoprendo la fiducia che egli ripone in voi per inventare un futuro
insieme con Lui”. E’ l’invito che Giovanni Paolo II rivolge, in un messaggio
reso noto oggi, agli 8 mila giovani d’una ventina di nazioni europee convenuti
in Polonia, dal 1° al 12 agosto, per il sesto raduno Eurojamboree dell’Unione internazionale delle Guide e degli Scout
d’Europa. Oggi, il pellegrinaggio delle guide e degli scout cattolici a
Czestochowa, per la celebrazione della Messa presieduta dal cardinale Jozef
Glemp davanti all’immagine della Madre di Dio, nel celebre santuario di Jasna
Gora, e il rinnovo dell’atto di affidamento alla Vergine.
“Itinerario privilegiato di
crescita spirituale, l’esperienza scoutistica
è un cammino di grande valore per permettere l’educazione integrale
della persona”. Così si esprime il Papa nel suo messaggio, in cui rivolge agli
scout “un cordiale saluto” e assicura la sua “profonda unione nella preghiera”.
Un’esperienza, quella degli scout, che “aiuta a superare la tentazione
dell’indifferenza e dell’egoismo – sottolinea il Santo Padre – per aprirsi al
prossimo e alla società”. Un’esperienza – aggiunge – che “può efficacemente
favorire l’accoglienza delle esigenze
della vocazione cristiana: essere ‘sale della terra e luce del mondo’”.
Il Papa invita quindi i giovani
esploratori ad “essere fedeli alla ricca tradizione del movimento scout,
impegnata nella formazione al dialogo, al senso della giustizia, alla lealtà,
alla fraternità nei rapporti sociali”. “Un tale stile di vita – osserva
Giovanni Paolo II – può essere il vostro originale contributo alla realizzazione
di una più grande e più autentica fraternità tra i popoli europei, un
contributo prezioso alla vita delle società nelle quali vivete”. In questo senso, il Papa considera guide e
scout “un dono prezioso non solo per la Chiesa, ma anche per la nuova Europa”,
quella “Europa dei popoli” alla cui costruzione sono chiamati a partecipare
“con tutto l’ardore della giovinezza”.
Proprio perché possano compiere
questa missione che la Chiesa affida loro, Giovanni Paolo II incoraggia gli
scout a coltivare “un’autentica vita di preghiera, alimentata dai sacramenti,
specialmente dall’Eucaristia e dalla Confessione”, per “trarre la necessaria
forza”. Così pure ricorda, di conseguenza, l’importanza della Santa Messa, come
“il centro e il culmine” di questo come di ogni altro incontro, e in
particolare di ogni settimana, celebrando “il Giorno del Signore”.
LITURGIA DI SUFFRAGIO, IERI POMERIGGIO IN SAN
PIETRO,
A 25 ANNI DALLA MORTE DI
PAOLO VI. LA GRANDE FIGURA DI PAPA MONTINI,
NEL RICORDO DEL CARDINALE
VIRGILIO NOE’ CHE HA PRESIEDUTO IL RITO
- Servizio di Roberta Gisotti -
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“La Chiesa perdeva un Pontefice
amato e santo… L’umanità era privata di una guida saggia”: la morte di Paolo VI
ricordata con parole commosse dal cardinale Virgilio Noè:
“Il cuore rivive volentieri quei
momenti di dolore e si edifica all’esempio che quella morte offre a tutti:
‘ecco come muore il giusto’”.
Un ritratto ricco di
suggestioni, che ha ripercorso i tratti salienti di questa grande personalità,
e che trova mirabile sintesi nelle parole del padre gesuita Giacomo Martina,
storico della Chiesa, che il cardinale Noè ha riproposto in questo 25.mo anniversario
dalla scomparsa di Giovanni Battista Montini.
“Paolo VI ha davanti alla storia
il merito di aver condotto in parte il Concilio, nello stesso spirito espresso
da Giovanni XXIII, di averne avviate le prime numerose applicazioni e insieme
l’altro merito, forse più arduo, di avere evitato irreparabili scismi, con una
paziente opera di persuasione e di attesa, frenando intemperanze e rinunziando
a decisioni drastiche e controproducenti”.
“Servo
della Parola”, “non si è mai sottratto all’annunzio di essa” – ha aggiunto il
porporato – “confessava con umiltà di ‘avvertire il peso schiacciante fra il
messaggio che annunciava e la capacità
di esporlo e anche di viverlo’”.
Significativo il pensiero di
Paolo VI rivelato fin dall’inizio del suo pontificato:
“‘…la Chiesa guarda al mondo con
profonda comprensione, con sincera ammirazione, e con schietto proposito non di
conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di
salvarlo.’”
Infine, il cardinale Noè ha
rievocato il bilancio che Papa Montini fece del suo ministero petrino, nella
solennità di San Pietro, “la grande festa della fede”, il 29 giugno di
quell’anno in cui concluse il suo itinerario terreno il 6 agosto del 1978:
“‘Ecco l’intento instancabile,
vigile, assillante che ci ha mossi in questi 15 anni di pontificato: Ho
conservato la fede (2 Cor.4,7)! Possiamo dire oggi, con umile e ferma coscienza,
di non aver mai tradito ‘il Santo vero’”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
La
prima pagina si apre con la notizia del sanguinoso attentato contro
l'Ambasciata di Giordania a Baghdad.
Nelle
vaticane, il Messaggio del Papa alle Guide e Scout d'Europa riuniti per il
sesto jamboree europeo.
Un
articolo di Gianfranco Grieco sul LX di ordinazione sacerdotale e sul XXV
di episcopato di mons. Luigi Diligenza, arcivescovo emerito di Capua.
Un
articolo di Graziella Merlatti su un volume di mons. Giulio Venturini, ricco
"vademecum" per orientarsi nel cammino ecumenico.
Nelle
pagine estere, Medio Oriente: le autorità israeliane scarcerano 339 detenuti
palestinesi.
Per
la rubrica dell'Atlante geopolitico, un articolo di Pierluigi Natalia dal
titolo "Africa: l'Ue sollecitata a compiti di pacificazione.
Nella
pagina culturale, un articolo di Claudio Toscani in ricordo dello scrittore
livornese Carlo Coccioli, morto il 5 agosto, all'età di 82 anni.
Nelle
pagine italiane, in primo piano il tema del lavoro.
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7 agosto
2003
ANCORA ALLA LUCE DEL
CONVEGNO DI LORETO SULLE MIGRAZIONI
UNA RIFLESSIONE CON IL VESCOVO AMEDEO GRAB,
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA
- Servizio di Giovanni Peduto -
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La migrazione è un fattore permanente della storia
umana, come è stato molto ben evidenziato al VI Meeting internazionale promosso
dai missionari scalabriniani a Loreto. E’ importante capirne il significato e
non illudersi, come a volte capita anche in politica, pensando che si tratti di
un fenomeno provvisorio che verrà poi regolato da opportuni provvedimenti
giuridici. In realtà – è stato affermato al Meeting - la migrazione si
intensificherà nei prossimi decenni e toccherà tutta l’Europa, anche se certi
movimenti sono meno rilevanti di quanto si fosse pensato 15 anni fa. Dopo la
caduta del muro di Berlino nell’89, infatti, si pensò che milioni e milioni di
ex cittadini della Russia sovietica sarebbero arrivati nei nostri Paesi, ma
questo non si è verificato. Nella misura in cui si riuscirà, attraverso
l’entrata di diversi Paesi nell’Unione Europea, a stabilire un certo livello se
non omogeneo, almeno proporzionato alle economie nazionali, si può pensare che
questo flusso si allenterà.
Ma come vedere il problema migratorio dal punto di vista
della Chiesa? Lo abbiamo chiesto al vescovo di Coira in Svizzera, mons. Amedeo
Grab, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, che era a
Loreto:
R. - Per la Chiesa la dimensione
essenziale è quella della dignità umana, quella del rispetto di tutte le
esigenze legate a questa dignità, fra le quali il Santo Padre sempre ricorda
che la libertà religiosa è una componente essenziale e che senza di essa non ci
può essere nessun’altra libertà. Quindi la Chiesa, che ha il compito di organizzare
la pastorale in modo da integrarvi quanti giungono da altri Paesi, ha anche il
dovere di mantenere vivo il colloquio tra appartenenti a diverse religioni.
D. – Eccellenza, le Chiese
europee, o meglio gli agenti pastorali sono preparati, e fino a che punto, all’accoglienza di questi
flussi migratori e all’opportuna assistenza pastorale?
R. – Da decenni, almeno dalla
seconda guerra mondiale in poi, la Santa Sede ha emanato vari documenti circa
la pastorale dei migranti, adattandoli alle necessità risultanti dalle
evoluzioni inerenti alle stesse migrazioni. Attualmente il discorso che si fa è
quello della comunione della diversità nella quale nessuno è perdente e nella
quale nessuno cerca di assimilare forzatamente chi arriva da più o meno lontano.
La pluriculturalità è un dato di fatto in diversi Paesi e deve diventare anche
un principio attivo dell’incremento della convivenza umana e questo vale anche
per gli ambienti della Chiesa. Ritengo che in molti Paesi si sia fatto uno
sforzo notevolissimo per una vera accoglienza ed una vera condivisione e direi
questo in modo particolare pensando alla Chiesa italiana. Le diocesi di fronte
all’afflusso anche di migranti illegali hanno sempre difeso la dignità della
persona e sempre promosso una presa di coscienza della popolazione che
preservasse dal ritenere un vero pericolo l’arrivo di migranti da altri Paesi.
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LA PACE DEVE PREVALERE: APPELLO CONGIUNTO DEI
VESCOVI CATTOLICI
E ANGLICANI DEL SUDAN IN FAVORE DEI NEGOZIATI TRA
NORD
E SUD DEL PAESE AFRICANO, SCONVOLTO DA UNA GUERRA
CIVILE
CHE HA SEMINATO MORTE E DISTRUZIONE
- Con noi, mons. Cesare Mazzolari -
Dopo le speranze di pacificazione, alimentate dagli
Accordi del Machakos - siglati nel luglio dell’anno scorso - in Sudan sembrano
tornare ad inasprirsi le tensioni tra Nord e Sud del Paese. Sconvolto da una
guerra civile ventennale, il popolo del Sudan affronta questo difficile
frangente con la paura che le armi possano tornare ad affliggere una terra già
così provata. Proprio in questi giorni, cogliendo la drammaticità del momento,
i vescovi cattolici e anglicani si sono riuniti in Uganda per esprimere
congiuntamente il proprio sostegno agli accordi di pace e per chiedere
sicurezza e rispetto dei diritti umani per il popolo del Sudan. Per una
testimonianza sulla crisi sudanese, Alessandro Gisotti ha raggiunto
telefonicamente mons. Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, nel sud del Sudan.
Il presule si trova in questi giorni a Kampala, capitale ugandese, per
l’assemblea plenaria dei vescovi cattolici sudanesi:
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R. – Purtroppo, è vero che gli
accordi del Machakos danno segni chiari di un rinvio indefinito da parte di
Khartoum su quando potrebbero riaprirsi i discorsi di pace. La nostra
sensazione è che invece ci sia una preparazione militare per la guerra santa,
per la Jiahd, di armi ed anche di personale militare al Nord, a cui, in questo
momento, sta corrispondendo una grande campagna di arruolamenti di soldati nel
Sud. In questo momento, purtroppo, a Rumbek si sono radunati i più grandi capi
del movimento Spla per preparare la difesa ad un eventuale attacco
militare.
D. – Come sta vivendo la
popolazione del Sudan, questo momento difficile, dalle sue parole purtroppo
tragico, se davvero si avverasse questo assembra-mento di forze militari?
R. – Molti dei nostri sudanesi, che erano al Nord
per ragioni di sicurezza e per sopravvivere, stanno ritornando nel Sud con
l’illusione di trovare la pace e la riabilitazione, mentre invece non esiste né
la pace, né cibo, né scuole o acqua potabile. Quindi, è uno scoraggiamento
assoluto, specialmente per i giovani che speravano di trovare un ambiente più
accogliente. A livello sociale, il loro arrivo è disastroso ed è causa di una
crisi sociale perché non si trovano più a casa loro, come pensavano di trovarsi
ritornando al Sud. Quanto poi alla situazione di guerra, non è ancora
pronunciata, però c’è già una penetrazione da parte dei musulmani nel Sud, con
lo scopo di convincere la popolazione ad allearsi con loro, a restare uniti e non
pensare più alla autodeterminazione.
D. – Eccellenza, in Liberia tra
mille difficoltà sta muovendo i primi passi una forza di pace multinazionale.
Cosa può fare la Comunità internazionale per il Sudan?
R. – Penso che la cosa migliore
sia convincere di nuovo i partecipanti agli Igad talks del Machakos a
ritornare al tavolo della discussione diplomatica e politica. E’ l’unica via
che ci può dare speranza, il ritorno alla discussione del Machakos per il Nord
e il Sud del Sudan, con l’assistenza e la consulenza della Norvegia,
dell’Italia, dell’Inghilterra, e gli Stati Uniti. Un processo che abbia la
forza di portare pace al Nord e Sud, assieme, senza violenza, ma con
determinazione.
D. – Cosa stanno facendo la
Chiesa ed i vescovi del Sudan per favorire la via della pacificazione?
R. – Tutti i vescovi del Sudan
della Comunione anglicana e i vescovi cattolici, si sono trovati a Kampala dal
27 luglio al 2 agosto per discutere principalmente di pace, affinché continui
il discorso diplomatico del Machakos. Deve prevalere la pace a tutti i costi.
La guerra non è un’opzione. Noi chiediamo la pace a livello politico e
diplomatico e la Chiesa farà di tutto per partecipare, per condurre il popolo
alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. In due decreti approvati si
indica che la Chiesa ad alta voce vuole difendere il popolo del Sudan, chiedere
alla Comunità internazionale a Nord e Sud di pacificarsi. Da oggi al 16 di
agosto, i 12 vescovi cattolici del Sudan si radunano per la loro assemblea
plenaria, ed uno dei grandi intenti sarà di discutere anche tra di noi come
nelle nostre zone possiamo creare l’ambiente di pace e suggerire ai governi,
soprattutto a quello del Sudan, dell’Uganda e dei Paesi limitrofi, come
continuare il discorso di pace nel Paese.
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I BAMBINI DI BIELORUSSIA E UCRAINA OSPITI IN ITALIA,
PER GUARIRE DA CHERNOBYL E RICOMINCIARE A VIVERE
Sono più di 30mila i bambini della Bielorussia e
dell’Ucraina che in dieci anni, ogni estate, sono stati ospitati da oltre 280
centri di accoglienza e da moltissime famiglie italiane. L’obiettivo è
permettere a questi ragazzini, detti figli di Chernobyl, di decontaminarsi
dalle radiazioni di una catastrofe nucleare ormai dimenticata, ma che ha segnato
per sempre la loro vita tanto da essere spesso soggetti a malformazioni e tumori.
Il servizio è di Dorotea Gambardella.
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(musica)
Quattromilatrecento: tanti sono i bambini
provenienti dall’Ucraina e dalla Bielorussia, che ogni estate in Italia vengono
ospitati da famiglie e istituzioni. Piccoli che la notte della tragedia nucleare
di Chernobyl non erano neppure nati, ma che portano nel loro sangue tassi di
radioattività tre volte più alti rispetto ai coetanei di qualsiasi altro paese
e che spesso, per questo motivo, sono spesso a rischio di malformazioni, leucemie,
cancri. Ragazzini, per la maggior parte orfani, che sono riusciti a ridurre la
possibilità di contrarre malattie mortali grazie alle numerosissime famiglie
che ogni anno si occupano di loro. E per cento di questi bambini, l’ospitalità
estiva si è trasformata in adozione. È il caso dei coniugi Mosca di Roma, che
dal 1996 al 2000 hanno accolto Sasha, oggi 15enne, decidendo poi di adottarla.
Sentiamo la testimonianza di Lucia Mosca.
R. – La ragazza che accoglievo adesso sta sempre in
Italia, l’ho adottata perché io non ho figli, ma quando abbiamo cominciato non
avevamo nessuna intenzione di adottare nessuno. Poi si è creato un feeling
talmente forte, come una figlia, che abbiamo deciso di farla rimanere.
L’esperienza è stata sicuramente positiva, ma non è stata neanche semplice
all’inizio, perché i bambini arrivano in famiglie che non conoscono, quindi
abbiamo cominciato un po’ a gesti a comprenderci, poi pian piano si è creato
questo rapporto, cercando di conoscerci, di comprenderci. Ogni volta che andava
via era un problema dal punto di vista affettivo, perché c’era tutta
l’emotività dovuta al distacco, però poi non sapevamo che sarebbe tornata. Lei
contava i giorni per il ritorno.
D. – Non crede che l’essere
sballottati tra due realtà tanto diverse possa destabilizzare l’equilibrio di
questi bambini?
R. – No, l’esperienza che ho
fatto è assolutamente il contrario. I ragazzi che stanno negli istituti non
hanno stimoli e soprattutto non hanno prospettive, oltre al fatto che non hanno
quell’affetto che può dargli una famiglia o delle persone che gli vogliono
bene. Per cui, tutto questo loro lo ottengono anche se devono andare avanti e
indietro, cioè, quando loro stanno qui hanno una famiglia alle spalle ecc,
quando stanno lì, loro sanno che la famiglia c’è sempre, che la famiglia gli
telefona, che la famiglia è vicino a loro e comunque che torneranno e quindi
questo è, per loro, un incentivo a fare anche meglio a scuola, quando stanno
lì, ad essere più vivi e soprattutto ad avere una prospettiva per il futuro che
può essere un aiuto. Poi sono stati fatti degli studi anche dai bielorussi
stessi, che stabiliscono che i ragazzini che vengono nelle famiglie,
acquisiscono quei modelli positivi che poi possono riproporre anche nella loro
vita futura. Modelli positivi riguardanti la creazione di una famiglia, mentre
invece, normalmente, questi ragazzi ripeterebbero i modelli negativi,
purtroppo, delle famiglie di origine, perché la maggioranza dei ragazzini che
sono negli istituti, non sono tutti orfani, in molti casi sono situazione
disastrate, per cui le famiglie di origine non si possono occupare di loro.
Quindi è sicuramente positivo anche se c’è il problema del distacco, ma è un
distacco, non un abbandono.
(musica)
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7 agosto
2003
LA CROCE DELLE GIORNATE MONDIALI DELLA GIOVENTÚ E
L’ICONA DELLA MADRE DI DIO SONO ARRIVATE IN ROMANIA. DAL 6 AL 10 AGOSTO, A
ORADEA,
SI SVOLGE LA NONA EDIZIONE DELL’INCONTRO NAZIONALE
DEI GIOVANI CATTOLICI
- A cura di p. Anton Lucaci e Massimo Donaddio -
ORADEA. = “I giovani sono il sole o la tempesta di
domani”. Con questo motto fortemente suggestivo, ispirato dagli scritti del
beato don Luigi Orione, si sta svolgendo a Oradea, nella parte occidentale
della Romania, l’Incontro nazionale dei Giovani cattolici. Partecipano
all’evento circa 2.300 giovani, di tradizione sia romano-cattolica che
greco-cattolica, di diverse lingue, romena, ungherese e tedesca. Si tratta
della nona edizione di questi raduni, che si svolgono ogni due anni a livello
nazionale. Nel messaggio di accoglienza inviato a tutte le diocesi di Romania,
il vescovo Virgil Bercea, dell’eparchia greco-cattolica di Oradea, ha invitato
i giovani a questa esperienza comunitaria, quasi un seme gettato nella terra
per portare molto frutto per il bene della Chiesa e della società romena. Ieri,
giornata di apertura ufficiale della manifestazione, i giovani hanno accolto
all’ingresso della città la Croce pellegrina delle Giornate mondiali della
gioventù e l’Icona della Madre di Dio, potate dall’Ungheria da un gruppo di
scout francesi. La Croce e l’Icona hanno percorso le strade della città fino
alla chiesa di Santa Maria e al convento dei francescani, dove sono state
accolte dal vescovo e dai sacerdoti, così come da numerosi fedeli. “Sul monte
Tabor Gesù ha preparato i discepoli a sostenere lo scandalo della croce, così
oggi la sua croce è in mezzo a noi per confermare la fede nella nostra
trasfigurazione insieme al Signore, vincitore del peccato e della morte”, ha
affermato il vescovo Bercea, invitando i giovani ad avvicinarsi a Gesù in croce
per dirgli tutte le loro ansie, i loro dolori, le loro gioie”. Mons. Bercea ha
poi esortato i fedeli ad avere fiducia nei giovani, che sono “i germogli che
fioriranno sul legno della Croce”. Il programma della manifestazione, che si
chiuderà domenica, è ricco di appuntamenti: catechesi, Messe in rito latino e
bizantino, meditazioni, tavole rotonde su temi spirituali, liturgici,
culturali, recite del Rosario, adorazioni eucaristiche. Il tutto si svolge nel
campus universitario della città. “Non le leggi cambieranno le mentalità, non
le leggi diffonderanno la solidarietà e la civiltà dell’amore, ma il Vangelo di
Cristo accolto e vissuto nella ferialità”, concludeva la sua esortazione il
vescovo di Oradea.
I VESCOVI ARGENTINI
INCONTRANO PER LA PRIMA VOLTA IL NEOPRESIDENTE KIRCHNER. PER I MILITARI
COMPROMESSI CON L’ ULTIMA DITTATURA, L’EPISCOPATO CHIEDE
DI EVITARE GLI ESTREMI
DELL’IMPUNITÁ E DELLA VENDETTA
BUENOS
AIRES. = Il presidente argentino Nestor Kirchner ha incontrato per la prima
volta dal suo insediamento i rappresentanti dell’episcopato del Paese
sudamericano. Nel corso dei colloqui i vescovi sono intervenuti sul delicato
tema relativo alla possibile estradizione, richiesta dal giudice spagnolo
Baltazar Garzón, di alcune decine di militari, accusati di avere compiuto
pesanti violazioni dei diritti umani nel periodo dell’ultima dittatura. La
posizione della Chiesa argentina sulla questione sottolinea l’auspicio che si
possano evitare gli estremi dell'impunità e della vendetta nella valutazione
dei reati commessi. (M.D.)
LA COOPERAZIONE CON LA
CHIESA POLACCA E IL SUPERAMENTO DEGLI ATTRITI STORICI FRA I DUE POPOLI AL
CENTRO DEL SINODO DELLA CHIESA UCRAINA
APPENA CONCLUSO A LEOPOLI
LEOPOLI. = Con l’obiettivo principale di promuovere
iniziative di cooperazione con la Chiesa polacca per favorire il superamento
dei residui attriti storici tra il popolo ucraino e quello polacco si è svolto
in questi giorni il Sinodo della Chiesa cattolica ucraina di rito orientale.
Nel corso dell’assemblea, che si è tenuta a Sambir, vicino a Leopoli, al
confine con la Polonia, i presuli hanno deciso di promuovere scambi religiosi e
culturali tra i giovani delle due nazioni e di organizzare corsi nelle università
e nei seminari dei due Paesi per promuovere una migliore comprensione reciproca
tra le tradizioni orientale e occidentale nella Chiesa. L’iniziativa si rende
necessaria, secondo i vescovi, a causa di importanti motivazioni storiche. Il
territorio di confine tra la Polonia e l’Ucraina, infatti, è stato conteso per
secoli tra i due Paesi, passando ripetutamente dall’uno all’altro, con il
risultato che tuttora sono in ambedue presenti forti minoranze delle due etnie,
la cui convivenza è stata spesso difficile. (M.D.)
INIZIERANNO IN
AUTUNNO I CORSI ALL’ UNIVERSITÁ “MAR ELIAS” DI IBILLIN,
IL PRIMO ATENEO CATTOLICO ARABO IN ISRAELE
IBILLIN. = Conto alla rovescia per l’inizio delle lezioni della “Mar
Elias”, la prima università cattolica araba in Israele. L’ateneo sorge ad
Ibillin, fra Haifa e Nazareth, in Galilea, ed è intitolato al profeta Elia.
L’università, che vuole rispondere ai bisogni di studi superiori dei cristiani,
ma anche dei musulmani e dei drusi in Israele, ha ricevuto l’adeguato
riconoscimento dal ministero dell’educazione ed è accreditata come filiale
dell'Università di Indianapolis, negli Stati Uniti. Verranno attivati corsi di
scienze informatiche, di comunicazione, di chimica e biologia. Il corpo
insegnante iniziale conta 7 professori ordinari e 64 aggiunti. (M.D.)
INAUGURATO IERI SERA,
CON LA PROIEZIONE DI “SPETTACOLO DI VARIETÁ”,
IL CINQUANTASEISIMO FESTIVAL DEL FILM DI LOCARNO.
UN’EDIZIONE NEL SEGNO DEL MUSICAL E DEL JAZZ
- A cura di Nicola Falcinella -
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LOCARNO. = Piazza Grande gremita, ieri sera a
Locarno, per l’inaugurazione del 56.mo Festival del Film: una pellicola di 50
anni fa, “Spettacolo di varietà” di Vincent Minelli con Fred Astaire, ha
richiamato il pubblico delle grandi occasioni. Apertura nel segno del musical e
della musica per questa edizione – la terza – diretta da Irene Mignardi. Musica
protagonista anche nell’importante retrospettiva su cinema e jazz, aperta
quest’oggi da “Halleluja”, capolavoro di King Widor datato 1929, il primo con
un cast di persone di colore. Ha invece un passato da musicista il regista
belga Tom Barman, il cui “Anyway The Wind Blows” sarà presentato in piazza
questa sera. L’azione si svolge nella città di Anversa, dove si incontrano otto
persone che desiderano cambiare vita, sulle note di un’energica colonna sonora.
Apprezzato, ieri sera, “Spettacolo di varietà”, per quanti non l’avevano mai
visto o non lo vedevano da anni, per la freschezza dei suoi numeri musicali.
Protagonisti, un maturo Fred Astaire e un allora emergente Fitz Sharif. Un film
classico, un po’ il canto del cigno del musical anni ’30 e ’40, basato sulla
vicenda semplice e sempre attuale di un ballerino che deve salvare uno
spettacolo. Oggi si apre il concorso con il film inglese “16 Years of Alcohol”,
nuova storia di un’adolescenza violenta segnata da un padre alcolista. Segue il
curioso film svizzero “Au Sud des Nuages”, con un gruppo di anziani allevatori
che lascia le Alpi per trovarsi in Cina, terra molto diversa ma alla fine meno
di quanto si aspettassero.
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7 agosto
2003
- A cura
di Amedeo Lomonaco -
L’esplosione
di una bomba, avvenuta questa mattina a Baghdad, davanti all’ambasciata
giordana, ha causato la morte di almeno 7 persone. Nel delineare le possibili
cause di questo attentato alla sede diplomatica, che è stata successivamente
saccheggiata, è da rimarcare che in Giordania hanno trovato rifugio numerosi
familiari del deposto presidente iracheno Saddam Hussein, tra i quali due sue
figlie. Un’altra esplosione è avvenuta,
la scorsa notte, nei pressi della prefettura di Khalidiya, città ad Ovest di
Baghdad. A questi gravi episodi di violenza bisogna aggiungere, purtroppo, anche
la morte di due soldati americani, uccisi ieri sera durante un attacco avvenuto
nel quartiere Al Rachid di Baghdad. Lo hanno riferito oggi fonti dell’esercito
americano. Sul fronte politico, intanto, Hoshyar
Zebari, del Partito democratico del Kurdistan, ha affermato che il
nuovo esecutivo transitorio iracheno ha deciso la creazione di 25
ministeri: tra i 6 dicasteri in più rispetto al governo di Saddam Hussein,
dovrebbero nascere quelli per l’Ambiente e per l’Energia elettrica.
Gli episodi di violenza continuano ad essere
drammaticamente in primo piano anche in Afghanistan dove sei soldati afghani e
un autista dell’organiz-zazione umanitaria americana ‘Mercy Corps’ sono stati
uccisi, oggi, nella provincia meridionale di Helmand, vicino al confine con il
Pakistan.
In
Indonesia Amrozi, uno degli imputati per l’attentato di Bali che lo scorso 12 ottobre
ha provocato la morte di 202 persone, è stato condannato a morte. Il verdetto è
arrivato due giorni dopo la drammatica esplosione che ha devastato l’hotel
‘Marriot’ di Giakarta, causando almeno 10 morti e 150 feriti. Sul significato
di questa sentenza, il servizio di Stefano Leszczynski:
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È una
condanna a morte già annunciata, che rischia di provocare una altrettanto annunciata
spirale di violenza. Dopo l’attentato di martedì all’hotel Marriot di Giakarta,
infatti, la Jemaah Islamiya aveva promesso nuovi atti terroristici, in caso di
pena capitale per gli autori della strage di Bali. Ma il governo indonesiano
non vuole sentir parlare di paura. “Non ci faremo intimidire dalle minacce”,
aveva dichiarato il ministro degli Esteri prima che i giudici pronunciassero la
sentenza. Ed i procuratori dello Stato hanno confermato la linea dura, andando
a colpire i vertici dell’organizza-zione legata ad Al Qaida: è di questa
mattina, infatti, la notizia dell’in-criminazione di Abu Bakar Baashir, leader
del movimento, accusato di avere organizzato diversi attentati contro chiese ed
un fallito golpe ai danni della presidente Megawati Sukarnoputri. Proseguono,
intanto, le indagini per la strage del Marriot: dalla polizia australiana, che
sta collaborando con gli investigatori, è giunto l’invito a tenere sotto
controllo le scuole islamiche, da cui sarebbero pronti ad uscire futuri
kamikaze. L’unica notizia positiva è il ridimensionamento del bilancio delle
vittime: i morti sono 10, e non 14 o 17 come affermato in precedenza dalla
Croce Rossa.
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In Medio Oriente il controverso
muro tra lo Stato ebraico e la Cisgiordania divide anche il panorama politico
internazionale. Alla ferma volontà del premier israeliano, Ariel Sharon, di
assicurare al proprio popolo una efficace barriera di sicurezza, si contrappone,
infatti, la netta posizione del presidente americano, George Bush, contrario al
muro. “La barriera è un problema – ha dichiarato ieri il capo della Casa Bianca
dal suo ranch di Crawford, in Texas – ma se israeliani e palestinesi rispettano
gli impegni previsti dall’itinerario di pace della “Road Map”, si potrà
realizzare un autentico clima di fiducia e di sicurezza”. Continua intanto a
far discutere il rilascio dei detenuti palestinesi, definito un “inganno” dal
presidente palestinese, Yasser Arafat. Per i particolari il servizio di
Graziano Motta:
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336 prigionieri palestinesi ieri
sono stati rimessi in libertà dagli israeliani, accolti con gioia da parenti ed
amici, in alcuni casi anche con manifestazioni nazionaliste, ma 3 detenuti sono
rimasti in carcere in attesa che l’Alta Corte si pronunci sull’opposizione di
familiari degli israeliani vittime del terrorismo. Per l’autorità palestinese è
stata una presa in giro, una farsa, per l’esiguo numero dei rilasciati rispetto
ai circa 6 mila di cui continua a chiedere l’immediata scarcerazione. Il
governo Sharon ha reagito sottolineando che la liberazione dei prigionieri non
figura come tappa obbligatoria della ‘Road Map’, ma è un gesto di
Israele volto a ristabilire fiducia nelle relazioni reciproche. Il presidente
Bush, intanto, è tornato a definire un problema, per il processo di pace, la
costruzione della barriera di sicurezza, ovvero del muro di separazione dei
territori, precisando che in proposito sono in corso discussioni con Israele.
L’Agenzia per lo sviluppo dell’Onu sta, da parte sua, cercando di raccogliere
18 milioni di dollari di aiuto per i palestinesi proprietari dei terreni
danneggiati dalla costruzione.
Per Radio Vaticana, Graziano
Motta.
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L’Ecuador è da ieri senza
governo. Dalla coalizione che sosteneva il presidente, Lucio Gutiérrez, sono
infatti usciti gli indios Pachakutik, determinanti nella sua vittoria
elettorale dello scorso gennaio. Al capo dello Stato, partito con un programma
di sinistra, rimproverano di avere abbracciato una politica economica
conservatrice e legata alle strategie degli organismi finanziari
internazionali. Il servizio di Maurizio Salvi:
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Le insanabili divergenze si sono
materializzate ieri quando i deputati del movimento indio Pachakutik hanno
votato contro una legge di riforma dello statuto dei lavoratori degli statali
proposta dal governo su invito del fondo monetario. Battuto in Parlamento,
Gutierrez ha chiesto ai ministri del Pachakutik, esteri, agricoltura e turismo
di dare le dimissioni. Ripetutamente i movimenti degli indios ecuadoriani
avevano chiesto al presidente di abbandonare una politica non condivisa dalla
maggioranza della popolazione e troppo vicina agli interessi del fondo
monetario internazionale. Il presidente della Confederazione delle nazionalità
indie dell’Ecuador, Leónidas Isa, ha sostenuto che il capo dello Stato si è allontanato
dai patti, ha disconosciuto le promesse fatte durante la campagna elettorale ed
ha emarginato gli indios dalle decisioni più importanti.
Maurizio Salvi, per la Radio
Vaticana.
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Potrebbe
essere una giornata decisiva, quella di oggi, per il futuro della Liberia. È
infatti il giorno del discorso al Parlamento del presidente Taylor, che già
lunedì potrebbe lasciare il Paese e rifugiarsi in Nigeria. Il presidente liberiano
chiede, in cambio, che vengano ritirate le accuse di crimini di guerra mosse contro
di lui dal Tribunale della Sierra Leone.
In
Burundi sono stati compiuti importanti passi in avanti per la pace nel corso
del negoziato di queste settimane tra l’esercito governativo e i ribelli delle
Forze di difesa della democrazia. Lo riferisce un comunicato diffuso ieri dopo
i colloqui condotti dal mediatore Jacob Zuma, vicepresidente del Sudafrica, al
tavolo del negoziato di Dar es Salaam, in Tanzania. Il comunicato precisa inoltre
che entro la metà di agosto dovrebbe svolgersi un summit con la partecipazione
dei leader della regione dei Grandi Laghi.
Il
parlamento della Costa d’Avorio ha approvato oggi una legge di amnistia per i
reati contro la sicurezza dello Stato compiuti prima della guerra civile esplosa
il 19 settembre 2002 con una sollevazione armata contro il governo del presidente
ivoriano, Laurent Gbagbo. Lo riferiscono fonti locali, precisando che il nuovo
provvedimento non garantisce l’immunità per le infrazioni economiche e le gravi
violazioni dei diritti dell’uomo o del diritto internazionale umanitario commesse
durante i nove mesi del conflitto.
Un’azione
di forza delle unità speciali antiterrorismo algerine potrebbe portare nelle
prossime ore alla liberazione dei 14 turisti europei rapiti nei mesi scorsi da
un gruppo fondamentalista islamico. Lo scrive oggi il principale quotidiano di
Algeri, ‘El Watan’, precisando che le autorità algerine hanno inviato truppe
scelte al confine con il Mali, dove sarebbero tenuti prigionieri i 14 turisti.
In Sudafrica, si è conclusa,
ieri, la conferenza nazionale sull’Aids a Durban. Nei 4 giorni di lavori, i partecipanti
hanno affrontato la questione della Nevirapina, un farmaco che riduce la possibilità di trasmissione dell’Aids dalla
madre ai figli. Le autorità sanitarie hanno, infatti, annunciato che il
nullaosta per usare il farmaco potrebbe essere ritirato se non saranno fornite
prove della sua efficacia.
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