2017-12-11 18:05:00

Bassetti: per Francesco e la Cei, imperativo non abbandonare mai il malato


Alessandro Gisotti- Città del Vaticano

Preservare gli ospedali cattolici dal “rischio dell’aziendalismo”. E’ il richiamo di Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato, pubblicato oggi. Il Pontefice torna dunque a sottolineare la centralità della persona rispetto all’interesse economico, specie quando in gioco c’è la salute. Su questo ammonimento del Papa e il recente messaggio pontificio all’Accademia per la Vita, ha risposto in esclusiva ai nostri microfoni il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, presidente della Conferenza Episcopale Italiana:

D. - Nel messaggio per la Giornata mondiale del malato, Papa Francesco ha messo in guarda dal “rischio dell’aziendalismo” che rende un interesse economico anche la cura del malato. Qual è la sua riflessione al riguardo?

R. - Risponderei con le parole che qualche giorno fa lo stesso Santo Padre ha rivolto all’Accademia per la Vita, quando ha sottolineato che “l’accompagnamento responsabile della vita umana, dal suo concepimento e per tutto il suo corso sino alla fine naturale è lavoro di discernimento e intelligenza d’amore per uomini e donne liberi e appassionati, e per pastori non mercenari”. Il rischio dell’aziendalismo lo superi quando sai mantenere davanti agli occhi e al cuore il volto della persona sofferente. Non è un caso che il Papa abbia fatto esplicito riferimento alla parabola evangelica del Buon Samaritano, ricordando come per la Chiesa sia un “imperativo categorico quello di non abbandonare mai il malato”. Il Samaritano vede e si lascia coinvolgere nel profondo, mettendo in campo tutte le sue risorse per venire incontro a quell’uomo ferito. Cosa ben diversa dal voltarsi dall’altra parte del sacerdote e del levita…

D.- L’intervento all’Accademia per la Vita, da Lei citato, ha fatto titolare a qualcuno in maniera semplicistica “svolta del Papa sul fine vita”. Lei come ha letto questo documento di Francesco?

R.- Le parole di Papa Francesco si collocano nel solco della sollecitudine della Chiesa nei confronti dell’uomo, sollecitudine che è sempre stata caratterizzata dal contribuire a rendere più umana possibile la condizione del vivente che muore o del morente che vive. Non è sempre facile stabilire a priori un confine netto che distingua il confine tra accanimento terapeutico ed eutanasia. Per questo diventa necessario stabilire a chi spetti prendere decisioni in quei drammatici frangenti, tenendo insieme la volontà del paziente e il rispetto della coscienza e della competenza del medico. Il cuore di questo discernimento riguarda, dunque, la speciale relazione tra malato e medico e la giusta proporzionalità delle cure, che non può e non deve mai dar luogo a quella cultura dello scarto denunciata con forza dal Santo Padre.

D.- Come Cei, quali sono i punti più rilevanti che ha più a cuore quando si parla di temi così delicati come appunto l’eutanasia, il fine vita e il testamento biologico?

R. - Il morire è il luogo nel quale l’essere umano è a contatto con i limiti della propria esistenza: sperimenta la fragilità e il bisogno di affidarsi all’altro, compreso quell’Altro per eccellenza che è il Signore stesso. Questa situazione richiede prossimità di cura e di affetti; fa emergere l’importanza delle cure palliative con cui migliorare la qualità di vita dei pazienti inguaribili, rendendo più “sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia” e assicurando “al paziente un adeguato accompagnamento umano” (Evangelium vitae 65). Nel contempo, porta a rifiutare terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del paziente e alle sue prospettive di miglioramento. Con questo non si tratta certo di rinunciare a quei gesti essenziali come sono il nutrire, l’idratare, il curare l’igiene della persona. Come Cei ci sta a cuore anche che venga riconosciuta – oltre alla possibilità di obiezione di coscienza del singolo medico – quella che riguarda le nostre strutture sanitarie.








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