2017-10-16 12:28:00

A Raqqa ultime resistenze dell'Is. Il rischio di dimenticare la Siria


di Adriana Masotti

Si torna a parlare della Siria e del conflitto che ormai da 6 anni insanguina il Paese. A richiamare l’attenzione dei media è l’offensiva su Raqqa che, iniziata nel giugno scorso, sembra giunta ora alla fase finale. Nella città dal 2015 capitale del 'califfato', si sta combattendo ''la battaglia più dura'', ha dichiarato Jihan Sheikh Ahmed, portavoce delle Forze democratiche siriane, alleanza curdo-araba sostenuta dagli Usa nella lotta all'Is, il sedicente Stato Islamico.

L’offensiva mira a ''mettere fine alla presenza dell’Is il che significa, ha detto ancora il portavoce, che i jiadhisti “hanno la possibilità di scegliere se arrendersi o morire''. Secondo alcune fonti, insieme ai locali, anche un certo numero di 'foreign fighters', avrebbero già lasciato la città. In base all'accordo raggiunto nelle ultime ore con il Consiglio Civile di Raqqa, infatti, non solo i civili e i combattenti siriani possono lasciare la città, ma anche gli stranieri. In un primo tempo questo sembrava escluso per timore che, una volta fuori da Raqqa e dalla Siria, i 'foreign fighters' potessero colpire nel resto del mondo, e in particolare in Europa. A Raqqa ne sarebbero rimasti circa 250, 300 decisi a resistere fino alla fine.

Quasi 1500 invece le persone che si calcola siano ancora intrappolate nella città, rinchiuse nell'ospedale nazionale e nello stadio, circondate dalle forze curdo arabe. Oltre 3000 i civili che stanno raggiungendo le aree riconquistate all'Is.

Molti sperano che la cacciata degli uomini del sedicente Stato islamico da Raqqa porti alla fine definitiva dell'Is e alla libertà della Siria. "Sicuramente, non alla libertà della Siria, commenta ai nostri microfoni Marina Calculli, docente di politica del Medioriente all'Università di Leiden in Olanda - nel senso che la Siria rimane ancora un Paese diviso, controllato da diversi gruppi in diverse aree del Paese. Per cui, parlare di liberazione della Siria mi sembra inopportuno. Per quanto riguarda invece l’Is, è chiaro che la liberazione di Raqqa rappresenta un successo di politica internazionale, per gli Stati Uniti in particolare, per le milizie curde che attraverso il loro impegno nella campagna di liberazione di Raqqa cercano di aumentare il loro pacchetto con cui negoziare un futuro politico, e rappresenta anche un successo per il regime, che in fondo così riesce in qualche modo a rimettere le mani su Raqqa".

Un progetto islamista-radicale, quello dell'Is di cui è difficile prevedere una fine, afferma la Calculli, "soprattutto perché l’Is in questi anni ha capitalizzato enormemente sulle popolazioni abbandonate dalle altre forme di potere, soprattutto dal potere di Bashar al Assad in Siria o dal potere di Baghdad in Iraq: popolazioni oppresse, neglette, che hanno accolto l’Is in cambio di sicurezza e protezione non solo dal punto di vista della sicurezza fisica ma anche di quella sociale. Questa situazione rimane, e dunque l’Is, se scomparso apparentemente da Mosul prima e da Raqqa adesso, probabilmente, è possibile che possa riarticolarsi in nuove forme. E la sfida fondamentale del futuro prossimo per la Siria, ma anche per molte altre zone del Medio Oriente, conclude Marina Calculli, è quella di creare ordini politici sostenibili in cui si possa veramente ricreare un patto sociale, in cui i soggetti siano finalmente cittadini e non soltanto soggetti alla mercé di chiunque arrivi con un po’ di armi e un progetto statuale".

Ascolta e scarica il podcast con l'intervista integrale a Marina Calculli

Se in questi giorni si torna a guardare a Raqqa, sono tuttavia molti i focolai di guerra ancora sparsi sul territorio siriano, teatro di scontri anche tra forze governative e milizie ausiliarie filo-iraniane, tra esercito turco e miliziani curdi, e anche a Damasco si continua a morire: secondo l'agenzia governativa Sana, nella capitale due persone sono state uccise e nove ferite da due obici di mortaio sparati da forze ribelli e caduti su un quartiere della città. E anche dove è tornata la tranquillità i problemi non mancano.

"Le bombe sono cessate, ma l'emergenza e' la stessa", scrive in una lettera il vicario apostolico di Aleppo, monsignor Georges Abou Khazen, descrivendo la situazione nella citta' siriana, dove per i cristiani "ogni aiuto puo' fare la differenza tra partire e rimanere". La richiesta del presule è quella di continuare a sostenere il progetto "Goccia di latte" che da quasi tre anni, ogni mese, assicura latte in polvere a 2850 bambini al di sotto dei 10 anni, appartenenti a 1500 famiglie cristiane. Un progetto promosso da Acs: la fondazione pontificia che in questi giorni sta lanciando una nuova campagna per garantire il latte ai bambini anche nel 2018. Con la svalutazione della lira siriana, scrive ancora il vicario apostolico, tanti generi alimentari sono divenuti beni di lusso, incluso il latte in polvere il cui costo è di 3 mila lire siriane a confezione. Una cifra enorme se si pensa che uno stipendio medio mensile si aggira intorno alle 30 mila lire siriane.

Un'emergenza umanitaria in Siria che produce immigrazione verso l'Europa e che si preferisce dimenticare, sottolinea ancora Marina Canculli, mal sposandosi con le tesi di chi, in politica e non solo, non ama sovrapporre l'immagine dell'immigrato a quella di chi è costretto a fuggire dalla propria terra, preferendo dipingere chi arriva come una presenza disturbante e portatrice di mali e perciò da respingere.








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