2017-09-17 09:51:00

Bosnia: le donne vittime di stupro in guerra chiedono ancora giustizia


di Adriana Masotti

Un quarto di secolo dopo l'inizio del conflitto, oltre 20.000 donne sopravvissute alla violenza sessuale nella guerra della Bosnia ed Erzegovina, stanno ancora attendendo giustizia. A riaccendere i riflettori sul vergognoso dramma degli stupri utilizzati come arma di guerra, tra il 1992 e il 1995, è Amnesty International, che nei giorni scorsi ha diffuso il rapporto "Abbiamo bisogno di sostegno, non di pietà. L'ultima speranza di giustizia per le sopravvissute agli stupri di guerra", nel quale l'organizzazione per i diritti umani denuncia le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche di quei crimini e gli ingiustificabili ostacoli che le donne devono affrontare per ottenere il sostegno necessario e i risarcimenti legali cui hanno diritto.

 “Dal 2004, quando in Bosnia sono iniziati i processi per i crimini di guerra", afferma Paolo Pignocchi, vicepresidente di Amnesty International Italia, "solo l’1 per cento del totale dei casi di violenza sessuale durante il conflitto è arrivato in tribunale, solo 123 i procedimenti portati a termine. Questo è un allarme che lanciamo e lo lanciamo nell’anno in cui è possibile che il Tribunale internazionale chiuda i battenti e si aprano Corti penali locali, con tutte le conseguenze possibili”.

Queste donne non riescono a dimenticare ciò che è accaduto e noi, a nostra volta, non dovremmo dimenticarlo", dice Gauri van Gulik, vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa. Tra loro i livelli di disoccupazione e di povertà sono alti, solo 800 di esse possono accedere ad una pensione mensile o ad altri servizi fondamentali. Amnesty ha raccolto molte testimonianze come quella di Elma, condotta al quarto mese di gravidanza in uno dei cosiddetti “campi degli stupri”.

“Elma", riferisce Pignocchi,"ci racconta che gli stupratori erano ragazzi del posto, lei li conosceva, ne conosceva le voci. Avevano tutti il passamontagna e ogni volta che queste donne capitavano in questa tortura, questi ragazzi chiedevano se erano in grado di riconoscere qual era il loro carnefice. Elma a distanza di 25 anni è disoccupata, ha perso un bambino e ha riportato danni permanenti alla spina dorsale. Ha bisogno di cure mediche e anche di assistenza psicologica". "Ricordiamo", prosegue Pignocchi, "che molte donne sono affette dalla sindrome di stress post-traumatico e che hanno bisogno anche di cure psicologiche. Purtroppo molto spesso, anche sotto questo aspetto, l’aspetto sanitario, sotto l’aspetto dell’assistenza, la Bosnia-Erzegovina non eccelle rispetto a queste donne”.

Purtroppo nella richiesta di giustizia e di assistenza, nella richiesta al Paese di fare i conti con il proprio passato, è subentrata la paura e quindi in Bosnia vige l’immobilismo. E a pesare negativamente è anche l’assurdo stigma nei riguardi delle vittime di violenza ancora presente, almeno in certe zone. Per queste donne non deve essere facile esporsi per difendere i propri diritti se pensiamo che 25 anni fa, le donne prigioniere che riuscivano a tornare a casa, venivano rifiutate dalle loro stesse famiglie. “La cosa più grave", afferma ancora Pignocchi, "è il fatto che le stesse donne vittime di stupro conoscono bene i loro stupratori o ne sanno anche i nomi e cognomi e purtroppo vivono loro accanto. Credo che questa sia la più grossa delle crudeltà. Immaginatevi che colui che ha abusato di te è il postino, è il vigile urbano, è una persona che nella sua municipalità ancora vive e ti vive accanto”.

"Non credo più a nessuno, specialmente allo Stato", ha detto ad Amnesty International Sanja, che alla fine della guerra ha denunciato il suo aguzzino. La polizia e la magistratura non hanno intrapreso alcuna azione e i servizi sociali non le hanno concesso nessuna assistenza.

Secondo Amnesty è urgente un deciso cambio di rotta. “Noi chiediamo a tutti di fare i conti con il loro passato", dichiara il vicedirettore della sezione italiana dell’Organizzazione umanitaria. "Ci abbiamo sempre lavorato ma questa la consideriamo l’ultima chiamata dato che si avvicina la data della chiusura del Tribunale penale internazionale che ha sede all'Aja. Una chiamata che rivolgeremo anche all’Europa, che caldeggia l’ingresso della Bosnia e degli altri Stati Balcanici che hanno anche loro commesso crimini di guerra in quel periodo, affinché consideri, nel momento dell’accesso alla comunità europea, il rispetto di tutti i diritti umani fondamentali, il rispetto della lotta all’impunità e soprattutto la tutela di queste donne che vivono questo stato di sofferenza”.

Ascolta l'intervista a Paolo Pignocchi, vice presidente di Amnesty International Italia:








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