2017-09-07 08:25:00

Centrafrica. Card. Nzapalainga: dietro al conflitto solo sete di potere


Nella Repubblica Centrafricana da diversi mesi sono ripresi gli scontri tra gruppi armati, con l’obiettivo di controllare le risorse naturali e le zone d’influenza. Il Paese, 4 milioni di abitanti, dal 2013 è precipitato in una guerra civile, dopo il rovesciamento del Presidente  François Bozizé da parte dei gruppi armati Seleka, che affermano di difendere il 20% dei musulmani della Repubblica Centrafricana, e che ha comportato una controffensiva delle milizie anti-Balaka, a maggioranza cristiana.

I  due fronti, dopo un periodo di tregua segnato dalla visita di Papa Francesco, hanno ripreso a fronteggiarsi. Nella diocesi di Bangassou, il vescovo mons. Munoz ha preso sotto la sua protezione circa 2.000 musulmani, che sono ospitati nella cattedrale, perchè minacciati dai miliziani. Durante l’estate ci sono stati decine di morti. Una situazione che preoccupa l’arcivescovo di Bangui, il card. Dieudonné Nzapalainga che senza sosta non esita a rischiare tutto per andare incontro ai miliziani sperando di convincerli a dialogare. Il porporato spiega al microfono di Jean-Charles Putzolu i motivi di questo ritorno della violenza

 R. – Questo ritorno della violenza è dovuto al fatto che alcuni leader hanno l’impressione di non aver avuto il loro tornaconto. Sicuramente, alcuni si aspettavano di trovare una collocazione nel governo, altri di avere grandi posizioni appetibili. Alcune aspettative non hanno trovato eco. Per dimostrare che questa gente esiste, hanno bisogno di gonfiare i bicipiti, per dimostrare che il territorio, visto che al momento non esiste un esercito centrafricano, qualunque gruppo di ribelli può radunare i propri uomini e venire a insediarsi, presentandosi come “il grande capo”. Ecco, questo è quello che accade lì.

D. – Che interessi si nascondono dietro queste violenze?

R. – Ci sono interessi perché ci sono gruppi che sono nella regione dove c’è l’oro. Alcuni gruppi sono nella regione dove ci sono i diamanti e non ne hanno mai abbastanza, sono sempre alla ricerca di conquistarne di più. A questi livelli, non ci si fa scrupolo di allearsi ai peggiori nemici per ottenere il territorio da sfruttare. In questo momento, tre quarti del Paese è nelle mani di tutti questi ribelli che saccheggiano, stuprano, distruggono, incendiano, uccidono.

R. – Lei parla dell’oro e dei diamanti, mentre nei media si parla spesso di scontri tra milizie cristiane da una parte e musulmane dall’altra. Com’è la situazione veramente?

D. – Torno a ripetere che all’inizio di questa crisi, esattamente il 10 dicembre 2012, l’imam, il pastore e io stesso, ci siamo ritrovati insieme per denunciare l’utilizzo, la manipolazione, la strumentalizzazione dei fatti religiosi per fini politici. Non è cambiato niente di uno iota dal 2012: siamo sempre su quella linea. Se guardiamo bene chi tira la corda non è mai l’imam, né un pastore, né un prete. Sono quelli che vogliono il posto di ministro, che vogliono il potere. Abbiamo visto il risultato. All’inizio si diceva: cristiani contro musulmani. Alla fine, cosa è successo? A Bangui chi ha preso il potere? Non è il vescovo che è a capo del Paese, né un imam o un pastore: è un uomo politico. Bisogna saper mettere le parole dietro la realtà.

R. – Lei crede che i belligeranti siano in grado di far tacere le armi e negoziare?

D. – Non ci sono altre alternative. Presto o tardi, bisogna costituire un solo popolo, una sola nazione, una sola patria; ma questo non può accadere in un giorno, in due giorni: serviranno mesi e anni e noi vogliamo che ci siano i costruttori di questo nuovo mondo. Ecco perché non ci stanchiamo di parlare ai cuori, perché cambino, perché prendano coscienza che c’è un mondo nuovo da costruire.

D. – Secondo lei, i centrafricani possono sperare di risolvere da soli questi problemi?

R. – La comunità internazionale non può restare indifferente di fronte a quello che accade. Non vogliamo che il Centrafrica diventi il “covo” di questi banditi di lungo corso. In tutti i Paesi intorno, i sei Paesi, se nessuno si muove e rimane a guardare questa situazione che peggiora, presto o tardi i ribelli si sposteranno dal Centrafrica per riversarsi in quei Paesi; quando avranno finito di distruggere, andranno a distruggere in un altro posto. Perché queste persone vengono “allevate” e istruite solo per fare questo. E’ necessario chiedere aiuto al prossimo: non si può pensare che il singolo abbia una soluzione. No. Serve anche il più piccolo aiuto. Ed ecco perché il contributo di tutti è benvenuto per sollevare questo Paese e permettere alla Repubblica Centrafricana di sedersi tra le nazioni e di essere considerato come un Paese frequentabile.

R. – Lei è preoccupato per i bambini e gli adolescenti che a causa di queste violenze e di questa guerra civile non possono continuare ad andare a scuola, semplicemente perché la strada è a rischio o perché le scuole sono chiuse?

R. – Alcuni giovani sono preda facile dei ribelli, ecco perché vorrei che la scuola e l’educazione riprendessero perché il posto di un bambino è a scuola, non con un’arma in mano per sparare. Il suo posto non è al fronte come soldato, come carne da fucile: il suo posto è sui banchi di scuola per poter un giorno scoprire chi è lui stesso, chi è l’altro, l’umanità e vivere e costruire un mondo nuovo. Ci sono però persone che spesso, per i loro interessi, deformano o addirittura deviano la coscienza di questi bambini mettendo loro in mano delle armi o drogandoli portandoli su strade malsane; noi pensiamo che non possiamo continuare a sacrificare la gioventù. Serve un sussulto da parte degli adulti che siano responsabili, che si impegnino a cambiare le cose.








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