di Giada Aquilino, inviata a Bogotá
Il nuovo presidente della Conferenza episcopale della Colombia è mons. Oscar Urbina Ortega, eletto in luglio dai vescovi del Paese riuniti a Bogotá per la loro assemblea plenaria. Il presule è l’arcivescovo metropolita di Villavicencio, dove il Papa si recherà venerdì 8 settembre. Oltre alla Santa Messa e al rito di Beatificazione di due martiri colombiani, il vescovo di Arauca, Jesús Emilio Jaramillo Monsalve, assassinato dall’Esercito di liberazione nazionale il 2 ottobre 1989, e il sacerdote Pedro María Ramírez Ramos, ucciso il 10 aprile 1948, è previsto un grande incontro di preghiera per la riconciliazione nazionale, dopo oltre 50 anni di conflitto armato. Presentando la locale edizione 2017 della “Settimana per la Pace”, dal 3 al 10 settembre, ha sottolineato come coincida quest’anno con l’inizio della costruzione del cammino di pace e la visita di Papa Francesco, che verrà - ha detto - ad “iniettare entusiasmo e riconciliazione nei cuori dei colombiani”. In questa prospettiva viene letto dal presule il significato del viaggio del Pontefice:
R. – Significa soprattutto una voce, una presenza, una testimonianza, una chiamata a questo nuovo tempo che noi cominciamo insieme, quindi camminare, fare “il primo passo” verso la riconciliazione. E allora aspettiamo dal Papa una chiamata a non aver paura di fare questa strada, che è lenta, che dobbiamo percorrere piano piano e alla quale bisogna tutti - bambini, giovani, adulti e anziani - apportare insieme la nostra esperienza e la nostra disponibilità.
D. – Che lettura dare, allora, della visita di Francesco secondo i temi che avete scelto per le quattro tappe, cioè Bogotá, vita, Villavicencio, riconciliazione, Medellín, vocazioni, e Cartagena, diritti umani?
R. – Il primo, per Bogotá, è dedicato alla vita e alla famiglia, perché senz’altro una guerra così lunga ha sicuramente ferito la vita. Per questo, bisogna ricuperare il valore stesso della vita per ognuno di noi e per gli altri. E la famiglia è il luogo migliore per preparare le nuove generazioni alla convivenza tra le persone. Poi da noi, a Villavicencio, ci sarà il tema di questo grande triangolo, inseparabile: quando noi accettiamo di essere riconciliati da Dio, diventiamo persone, artefici della pace con gli altri e questo ha delle ripercussioni anche sul Creato. Quindi: riconciliazione con Dio, con i colombiani, con il Creato. Poi, la vocazione del discepolo, missionario, apostolo: questo è il terzo nucleo dell’incontro e vuole essere un incoraggiamento ad approfondire i diversi cammini di evangelizzazione di cui disponiamo. L’ultimo, è l’ospedale “da campo” che accompagna le persone, come ha fatto San Pietro Claver al tempo del colonialismo, quando ha accompagnato la comunità più fragile, quella degli africani e degli afro-discendenti che sono venuti nella nostra terra come schiavi.
D. – Negli anni è stato instancabile l’impegno della Chiesa nel processo di pace. Oggi quali sono le sfide della Chiesa e anche le piaghe del Paese?
R. – Il cammino della riconciliazione non è facile, ha bisogno di tempo, di pazienza, di esperienza, di coraggio. Bisogna prendersi il tempo anche per il processo di riconciliazione con ognuna delle vittime e anche ciò non è così facile. Questo è l’impegno più grande, ma noi abbiamo la forza del Vangelo che ci aiuterà senz’altro, ma dobbiamo impegnarci tutti, preti, vescovi e laici.
D. – In questo momento la pace con le Farc è blindata o ci sono dei rischi?
R. – Adesso sta finendo il tempo della trasformazione dei membri della Farc per diventare un nuovo partito politico, per partecipare all’elezione del Parlamento e del presidente della Repubblica, che si svolgerà il prossimo anno a maggio. Tutto questo non sarà facile, ma c’è la volontà. A Villavicencio è previsto un momento di preghiera per le vittime e in quell’occasione il Papa senz’altro ci rivolgerà un discorso molto importante: lo aspettiamo come lo aspettano tutti, perché ci incoraggi in questo nuovo cammino di accoglienza anche di questi ex combattenti, per camminare con loro.
D. – A Villavicencio si terrà pure la cerimonia di Beatificazione di mons. Jésus Jaramillo Monsalve e di don Pietro Maria Ramírez Ramos. Che figure sono per il Paese?
R. – Sono persone a noi care: padre Ramírez è più lontano nel tempo, le generazioni nuove non lo hanno conosciuto perché è morto nel 1948; il vescovo Jésus Jaramillo Monsalve è più vicino a noi, i giovani lo conoscono di più, perché è morto nel 1989. Il vescovo è morto qui, in una città che è vicina, nell’immensa pianura della Colombia; in quei luoghi è molto ricordato dai campesinos, da tutte queste popolazioni che hanno avuto – e anche adesso ancora subiscono – la sofferenza della guerra da parte del gruppo dell’Esercito di liberazione nazionale, l’Eln. Sono segni, per noi, che ci incoraggiano a lavorare e a donare la nostra vita per quelli che soffrono.
D. – Questi segni verso la riconciliazione del Paese che significato hanno e che prospettive aprono nell’ambito delle tensioni dell’America Latina, con un Venezuela in preda alla crisi economica, sociale e politica?
R. – Ci restano il dialogo e il perdono; finché non saremo capaci di entrare in dialogo con gli altri, sarà difficile pensare a una riconciliazione, sia in Colombia sia in Venezuela o negli altri Paesi. E poi, il perdono non si può imporre, ma bisogna che nasca dal cuore.
D. – Quali speranze per il vicino Venezuela?
R. – Penso che il Papa senz’altro avrà parole di invito al dialogo, nello stesso modo in cui l’ha fatto in Piazza San Pietro.
All the contents on this site are copyrighted ©. |