2017-08-10 13:57:00

Corea nord, pronto attacco Usa a metà agosto. Seul e Tokyo: stop provocazioni


di Gabriella Ceraso e Stefano Lezczynski

Si complica ancora la situazione nell’estremo oriente tra le due Coree, il Giappone, la Cina e gli Stati Uniti. La retorica continua a salire verso lo scontro nonostante gli spiragli di distensione aperti ieri dal segretario di Stato Usa, Tillerson, che ha proposto punti di un possibile negoziato. Pyongyang ha infatti bollato come “sciocchezza” il duro monito del Pentagono a cessare le azioni che potrebbero portare alla fine del regime e alla distruzione della sua gente e ha rilanciato il progetto di colpire con quattro missili balistici in contemporanea, la base militare americana di Guam, a metà agosto.

Questo atteggiamento provocatorio divide l’amministrazione Usa. Se Tillerson lancia segnali conciliatori, il consigliere alla Sicurezza e il segretario alla Difesa sono inclini all’intervento militare. Di certo il presidente Trump si è esposto pur senza far seguire azioni concrete alle dichiarazioni di guerra, potendo contare su una superiorità militare schiacciante rispetto a Pyongyang. Solo una esibizione di forza o un pericolo reale? Secondo Matteo Villa analista dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale ISPI, la spettacolarizzazione c’è ma è anche "un dato di fatto la lenta crescita di Pyongyang sia a livello di vettori che di testate” che ne aumenta la pericolosità. “ Un errore comunque” secondo Villa l’atteggiamento di Trump di usare solo toni minacciosi, che lo pongono in cattiva luce anche a livello internazionale oltre a non ottenere alcun risultato né a breve né a lungo termine.

Intorno si fanno sentire anche gli altri attori dell’area spaventati dalla tragedia che una soluzione militare comporterebbe. In primo luogo il Giappone a rischio esistenza, in quanto bersaglio facile per la Corea del Nord, e il cui spazio aereo sarebbe comunque interessato dal lancio di missili su Guam. Tokyo dunque potrebbe esercitare il diritto di "autodifesa collettiva" nella interpretazione sposata dal parlamento pochi anni fa, mettendo in campo i sistemi antimissile. Intanto il portavoce del governo giapponese si appella in maniera forte alla Corea del Nord affinché "prenda seriamente gli avvertimenti ripetuti dalla comunita' internazionale,  si pieghi alle risoluzioni dell'Onu e si astenga da altre provocazioni".

Anche la Corea del Sud di fronte a scenari che nella Penisola stanno diventando “seri”, chiede a Pyongyang lo stop delle provocazioni  ma insiste anche su un altro fronte, quello del ritorno al tavolo negoziale. E’ un "atteggiamento oscillante", sottolinea Matteo Villa ricercatore dell’Ispi, che la "classe dirigente di Seul, coperta dagli scandali, ha da tempo e che finora non trova riscontro né nella posizione di Trump né in quella di Kim Jong-un , ma che potrebbe essere l’unica speranza per un futuro di pace".

Ultimo attore coinvolto è la Cina che per ora sembra sottovalutare il disastro che una nuova guerra potrebbe provocare, anche se le ricadute economiche della tensione già si fanno sentire sull’andamento delle Borse. Ma per molti osservatori il linguaggio duro di Trump sarebbe rivolto proprio al gigante asiatico perché intervenga con più decisione sulle mire di Pyongyang. Di certo finora c’è il sì di Pechino alle sanzioni contro Pyongyang come c’è anche l’insindacabile voglia della Cina di egemonia asiatica e mondiale al posto degli Usa, obiettivo al quale Pyongyang potrebbe giovare in qualche modo, a patto però che la tensione militare non sfoci in conflitto.

Ascolta e scarica il podcast del servizio:

Ascolta e scarica l’intervista a Matteo Villa di Stefano Lezczynski:

 


 








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