2017-08-06 09:38:00

Milioni in fuga dal Venezuela verso la Colombia. Il racconto di P. Bortignon


di Giada Aquilino

Sono soprattutto la Colombia, l’Ecuador, il Cile, il Perù i Paesi in cui si stanno riversando migliaia di venezuelani in fuga dalla loro patria. “Una diaspora senza precedenti” l’ha definita la Rete che si occupa delle migrazioni sotto l’egida del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). In quattro mesi di manifestazioni contro il presidente Nicolás Maduro, duramente represse, la crisi politica e sociale in Venezuela ha causato la morte di più di 120 persone, oltre che arresti e scontri indiscriminati. E con l'insediamento della contestatissima Assemblea Costituente, per la quale anche la Santa Sede ha chiesto la sospensione in “un clima di tensione e di scontro”, le condizioni di vita della gente si sono ulteriormente aggravate.

Dal Venezuela si fugge perché la situazione è “invivibile” a causa di fame, disordini, insicurezze sociali ma anche violenze “da parte di gruppi armati”, perlopiù “paramilitari appoggiati dallo Stato venezuelano”, afferma padre Francesco Bortignon, scalabriniano, parroco a Cúcuta, nel nord della Colombia, al confine col Venezuela. Da 21 anni missionario nel Paese che a settembre riceverà la visita di Papa Francesco, padre Bortignon è direttore del locale Centro per le migrazioni e l’accoglienza (Casa de paso).

R. - La situazione della frontiera è veramente difficile, complicata e variabile. C’è una fuga significativa di venezuelani verso la Colombia o con il sogno di arrivare in Ecuador, Cile, Perù, perché la situazione invivibile è dovuta alla fame, alla violenza e a tutte le insicurezze sociali che ci sono in Venezuela negli ultimi mesi, legate in particolare alla questione dell’elezione dell’Assemblea Costituente.

D. - C’è stato un incremento dei flussi rispetto al passato?

R. - La situazione è degenerata due anni fa, con una vera e propria “deportazione” dei colombiani – probabilmente quattro o cinque milioni – che vivevano e lavoravano in Venezuela. Hanno cacciato via anche persone che vivevano lì da dieci, venti, trenta anni. Sono stati tolti loro i documenti e sono stati appunto “deportati”. Poi è iniziata l’emigrazione degli stessi venezuelani che, per motivi di fame e di insicurezza politica, per le ondate di estrema violenza da parte di gruppi armati, che sono praticamente paramilitari appoggiati dallo Stato venezuelano, hanno iniziato a fuggire dal Paese. I numeri sono sempre variabili, comunque nel nostro Centro per le migrazioni siamo arrivati a circa 2500 persone l’anno scorso. Ma, per quanto riguarda la situazione della frontiera più in generale, si parla di un'ondata di 27 mila persone due anni fa. Per quest’anno, specie per questi ultimi sei mesi, non ci sono cifre esatte. Quando recentemente hanno riaperto il ponte di San Antonio, qui vicino, ogni giorno è stato attraversato da 25 mila, 30 mila persone. Ultimamente sembra che un due, tre, forse cinque per cento di questi 25 mila resti qui in Colombia con l’idea di andare all’interno del Paese o verso altri Paesi, come l’Ecuador, il Cile e il Perù.

D. - Voi siete costantemente a contatto con queste persone. Cosa raccontano? Qual è la situazione nel loro Paese?

R. - Raccontano della fame e dell’insicurezza. Per esempio, cito il caso di un giovane di 24 - 25 anni. Mi ha raccontato che faceva parte dell’esercito, era del corpo antidroga. Era alla sua prima esperienza. Il suo gruppo aveva scoperto un grande narcotrafficante: lo avevano già in mano, nella loro camionetta, quando è arrivato un ordine maggiore dallo Stato che ha detto loro di liberarlo e proteggerlo. Poi, alcuni giorni dopo, a questo ragazzo è stato proposto di fare da scorta in un viaggio aereo. Lui ha detto di no, perché aveva capito che si trattava di scortare un aereo con un carico di droga. La stessa notte un amico lo ha chiamato e gli ha detto: “Scappa, fuggi, sparisci, perché sei già nella lista nera. Ti stanno cercando”. Per quanto riguarda altri casi, posso parlare di una famiglia arrivata qui nel quartiere: una signora con sei bambini. Li abbiamo tutti aiutati, dando loro anche un alloggio. Successivamente, la figlia più grande è dovuta andare a un funerale di un parente in Venezuela ed è ritornata con i cinque figli di un’altra sorella e, nel giro di una settimana, è arrivata un’altra sorella ancora, pure con cinque figli.

D. - Che tipo di assistenza fornite a queste persone?

R. - Noi forniamo assistenza in due modi differenti. Nel Centro per le migrazioni forniamo i classici servizi di alloggio, garantiamo loro dei pasti. Abbiamo una serie di persone che assicurano l’orientamento dal punto di vista psicologico e legale. L’altro tipo di assistenza avviene nei pressi alla parrocchia dove, da 30 anni, seguiamo la popolazione più in difficoltà. Abbiamo strutturato un sistema educativo che si occupa di circa 4500 bambini. In quest’area abbiamo poi un ufficio dove riceviamo la gente, verifichiamo la possibilità di orientarla da un punto di vista dei diritti legali, quindi per tutta la parte relativa alla documentazione, anche per il conseguente diritto all’assistenza sanitaria e quello all’accesso all’educazione.

Ascolta e scarica il podcast dell’intervista a padre Francesco Bortignon:








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