2017-07-18 13:33:00

Matteo Ricci protagonista in un'opera al Macerata Opera Festival


Con una nuova opera in cui il protagonista è il missionario gesuita Matteo Ricci, intitolata “Shi (Si faccia)”e commissionata al compositore Carlo Boccadoro, si inaugura giovedì 20 luglio al Teatro Lauro Rossi la nuova edizione del Macerata Opera Festival dedicato quest’anno all’“Oriente”. Il servizio di Luca Pellegrini:

E’ il tema dell’Oriente, fiabesco, tragico o della storia, quello scelto dal direttore artistico, Francesco Micheli, per il Macerata Opera Festival e allo Sferisterio, teatro all’aperto unico al mondo, con il suo lungo, suggestivo muro che lo incornicia, saranno allestite due opere pucciniane molto “orientali” per la loro ambientazione, che sono la Cina per “Turandot” e il Giappone per “Madama Butterfly”. Ma l’apertura ufficiale del Festival è nel nome di Matteo Ricci, il grande missionario e scienziato gesuita del XVI secolo, il cui nome è legato alla Cina ove visse e si adoperò per dialogare con la cultura cinese. Un’opera che Carlo Boccadoro, utilizzando un organico assai ristretto formato da due pianoforti e numerose percussioni, ha composto su libretto di Cecilia Ligorio. Il compositore racconta come è nato questo progetto:

R. – Nasce da Francesco Micheli, direttore artistico del Festival sull’Oriente. Ha voluto fare un pacchetto Maceratese – io sono nato a Macerata come Matteo Ricci – e nel rapporto Macerata-Oriente mi sembra che la storia di Matteo Ricci sia l’esempio più luminoso.

D. – Che cosa l’ha affascinata maggiormente della figura di Matteo Ricci?

R. – Ne sapevo poco. Lo conoscevo vagamente. Poi insieme a Cecilia Ligorio, librettista e regista dello spettacolo, abbiamo cominciato ad approfondire. Abbiamo preso i suoi libri, abbiamo letto i suoi scritti ed è venuta fuori una figura assolutamente straordinaria, un uomo che con la forza dell’intelligenza, del pensiero, è riuscito ad oltrepassare ostacoli apparentemente insormontabili. Ha fatto quello che nessuno pensava fosse possibile fare all’epoca. In quegli anni, la Cina era “completamente sigillata”, come diceva Matteo Ricci, rispetto al resto del mondo. Lui è riuscito ad entrare, a portare le idee nuove, a portare la sua fede, nuovi strumenti di conoscenza… Non è un caso se poi alla fine l’imperatore ha permesso che fosse sepolto nella Città proibita. Mi risulta sia l’unico italiano a essere sepolto lì.

D. – Tutto questo come diventa musica?

R. –  Parliamo di teatro musicale, non di opera nel senso ottocentesco. Abbiamo evitato i possibili cliché orientali. Nella musica, nel testo, non ci sono mai riferimenti a quelle "cineserie" banali. Non abbiamo fatto nemmeno una semplice cronologia della sua vita. L’opera comincia con il viaggio che lui fa in mare, la tempesta lo avvolge e poi tutte le difficoltà che lui incontrerà per riuscire a penetrare in questa cultura che era completamente aliena a qualsiasi cosa di diverso. È un’opera sulle idee, non è un’opera di azione. Era molto difficile quindi fare un’opera sul pensiero, perché nel teatro ci vuole invece dell’azione; non si può fare solo un’opera statica dove non succede niente. La nostra sfida è fare un’opera sul pensiero tenendolo sempre a un ritmo molto incalzante, tant’è che l’opera dura un’ora e cinque minuti, non di più. È un’opera molto breve, compatta e piena di energia.

D. – In scena un attore e due baritoni: che cosa rappresentano?

R. – Tutti e tre sono Matteo Ricci. Però questo si scopre alla fine. L’attore legge dalle lettere di Matteo Ricci. I due baritoni sono apparentemente Matteo Ricci e un suo discepolo, però poi alla fine verrà fuori che tutti e tre sono la trasfigurazione dell’anima di Matteo Ricci, sono la stessa persona. Quindi c’è lui in lotta con se stesso, che discute con se stesso e solo alla fine riesce a trovare una conclusione di pace. C’è questo senso di attesa, di ricerca verso qualcosa che sembra impossibile. Non è un’opera religiosa, anche se parla di fede. Io non sono una persona religiosa e non volevo fare un’opera che parlasse di cose di cui non mi intendo. Però, è un’opera dove si vede che lui è sostenuto da questa sua fede incrollabile che lo fa attraversare qualsiasi difficoltà, da quelle oggettive del viaggio a quelle della diplomazia che lo respinge. È stato anche un grande diplomatico.








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