“L’intelligenza artificiale: sfida etica?” E’ il tema del Convegno che si è svolto ieri all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, che ha visto riuniti filosofi, scienziati e docenti universitari di tutto il mondo. Un dibattito acceso e proficuo che ha avuto il compito di avviare una riflessione sull’impatto dell’IA sull’uomo, sul lavoro, sulla società. Cecilia Seppia:
Intelligenza artificiale, in sigla IA, quasi uno ossimoro, una contraddizione in termini eppure l’aspetto più rivoluzionario e affascinante del progresso scientifico che da anni foraggia l’industria cinematografica e culturale. Computer parlanti, umanoidi dal volto sorridente che da qui a 50 anni saranno capaci di guidare camion, cucinare, battere un atleta in una maratona, scrivere canzoni e best seller e soprattutto di imparare dall’esperienza, cosa che talvolta risulta difficile anche all’essere umano. Ma le opportunità infinite date dal superamento dei limiti biologici, con l’ingresso di macchine “smart” e di algoritmi sofisticati, si mescolano irrimediabilmente con i rischi di un cambiamento radicale della società fatta di uomini e donne in carne ed ossa che, a questo punto, dicono gli esperti, potrebbe evolvere in meglio, o ricevere il colpo definitivo. Il card. Gianfranco Ravasi presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:
“Il rischio è sempre in agguato quando si lascia sola, completamente sola la tecnologia. Il Papa, nella «Laudato si’», ha introdotto quel tema del paradigma tecnocratico. In realtà, il vero scienziato non è mai soltanto tecnico, che opera quindi con le macchine lasciando via libera alle macchine; è uno che considera anche tutto il panorama, tutto l’insieme, tutto l’orizzonte in cui siamo immersi. Ed è per questo che è importante che questi rischi che effettivamente ci sono, siano sempre tenuti sotto lo sguardo anche delle altre discipline. Ecco, questo è il punto fondamentale ma anche ricordare che in realtà le altre intelligenze sono state elaborate da quell’intelligenza primigenia che è quella della persona umana. Quindi di per sé all'origine c’è sempre una sorgente che è umana, e questo non lo si deve mai dimenticare. Per cui bisognerà far sì che queste intelligenze non abbiano ad andare in maniera cieca e libera, senza che si ricordi che all’origine c’è l’intelligenza umana la quale può giudicare, la quale può anche fermare la macchina, la quale è però fuor di dubbio che ha una sua complessa espressione in mille e mille forme. Io veramente trovo molto problematica l’espressione ‘umanoidi’: se la teniamo nel senso che sono in analogia con l’intelligenza umana, che hanno delle forme che sono magari parallele, va bene; e soprattutto ritengo veramente – e lo dicevano anche gli scienziati che erano presenti – quasi ridicola quella formulazione che è avvenuta nel Parlamento Europeo, della ‘personalità elettronica’ o della ‘personalità informatica’. In realtà, non si tratta di personalità: la coscienza rimane ancora il grande appannaggio di quella sorgente che ho detto essere la ragione e il pensiero e la persona umana”.
Anche Stephen Hawking, astrofisico di fama internazionale, mette in guardia sui rischi di un utilizzo incontrollato dell’Intelligenza artificiale, ma lo scenario disegnato dagli studiosi di oggi è quello di uno spazio iper-connesso, di una rete, dove l’uomo dividerà il primato di essere l’unico intelligente, con computer, smartphone e robot dando vita a scenari complessi e a contaminazioni, verso un’intelligenza sempre più collettiva. Padre Paolo Benanti, docente di neuroetica e tecnoetica alla Pontificia Università Gregoriana:
“Se questo è lo scenario, quello di cui dobbiamo aver contezza e consapevolezza è che non tutta la realtà è espressa dai dati: c’è anche una parte della realtà che travalica il mondo dei dati. Queste macchine saranno senz’altro miste all’uomo. Il vero punto è quello di non farle diventare competitive rispetto all’uomo, ma simbiotiche, cioè il fatto che l’uomo possa realizzare delle società migliori grazie anche all’intervento di questa macchina”.
Rischi gestibili dunque per ora ma anche opportunità infinite, come nel campo della medicina. Ancora padre Benanti:
“Senz’altro ci sono le opportunità di raggiungere obiettivi e successi che sembravano irraggiungibili. Si pensi all’idea di un computer e a un’intelligenza artificiale che analizza tutte le cartelle elettroniche dello stato di salute di tutti i pazienti che noi curiamo: può trovare delle connessioni e dei dati rilevanti che sfuggono all’uomo, e quindi si possono trovare cure per malattie che fino ad adesso non siamo stati in grado di curare. Di contro, avrà anche una ricaduta sociale che può essere di due nature: la prima è quella della perdita di alcune forme di posti di lavoro, e la seconda è che se non gestite nella maniera corretta, porta a un ampliarsi di quel divario tra ricchi e poveri invece che a un ricongiungimento di queste due realtà in una sola”.
Se la scienza avanza viene da chiederci però qual è oggi il posto della coscienza che andrebbe considerata come l’elemento capace di fare la differenza tra un essere in grado di scegliere e decidere e quindi responsabile delle proprie azioni e un sistema operativo, un cervello artificiale che imita i comportamenti umani ma è ben lontano dal possedere una autentica libertà e, cosa scontata ma fondamentale, è incapace di provare sentimenti, distinguere il bene dal male. Dunque chi dovrà decidere come utilizzare queste tecnologie, garantendo che il loro utilizzo avvenga nel rispetto dei principi etici? Risentiamo il cardinale Ravasi:
“E’ necessario ormai il confronto tra i due orizzonti; non basta soltanto la tecnologia che procede in una maniera autonoma, con delle scoperte, con delle proposte che sono anche impressionanti e straordinarie – pensiamo al campo medico – ma dall’altra parte anche con l’attenzione al mondo umanistico – quindi la filosofia, la cultura e, perché no, anche la teologia, la religione – che si interrogano sempre sull’unico soggetto che è l’uomo, la creatura umana: insieme dunque decideranno il futuro”.
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