Non soltanto terra di tensioni, povertà e migrazioni, ma anche di nuove opportunità di crescita. È il Mali che, dopo l’accordo di pace del 2015, cerca un nuovo assetto politico e sociale, ripartendo dai giovani. Il servizio di Giada Aquilino:
In molti lasciano il loro Paese, percorrono migliaia di chilometri, attraversando il deserto e le frontiere di Algeria e Libia, prima di tentare la via dell’Europa su imbarcazioni di fortuna, quasi sempre controllate dalla criminalità organizzata, che prendono il largo nel Mediterraneo. E non sanno se arriveranno. Sono i giovani del Mali, uno dei Paesi più poveri al mondo, con oltre il 43% della popolazione - secondo dati della Banca Mondiale, ripresi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) - al di sotto della soglia di povertà, soprattutto nelle zone rurali. Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da violenze e tensioni, soprattutto nel nord del Paese, a forte presenza tuareg. Nel gennaio 2013 una forza multinazionale a guida francese è intervenuta per ristabilire la sovranità di Bamako sui territori sahariani settentrionali. Ma l’instabilità, dovuta anche alle ultime, sanguinose azioni dei gruppi jihadisti, non è stata superata: solo oggi tre vittime sono segnalate nel nord est. Ce ne parla Vincenzo Giardina, inviato dell’agenzia di stampa ‘Dire’ in Mali:
“Il Mali è un Paese che ha una storia di squilibri e di rivolte. Il conflitto civile divampato e ripreso nel 2012 ha assunto anche la forma dell’avanzata di formazioni islamiste, quelle che in queste ultime settimane hanno rivendicato agguati contro la missione dei Caschi Blu delle Nazioni Unite e blitz come quello del Campement Kangaba del 18 giugno alle porte di Bamako, un resort di lusso frequentato da francesi o da ricchi maliani. Questi gruppi hanno acquisito forza in regioni dove c’è una forte componente tuareg e araba, minoranze a livello nazionale: in quelle regioni - penso alle zone di Timbuctu, Kidal e Gao - il rapporto con il potere centrale di Bamako è sempre stato complesso e quindi si tratta di contesti che, tra il 2012 e il 2013, hanno favorito l’innesto di elementi stranieri, che poi si sono richiamati a movimenti internazionali come al Qaeda”.
Il Paese africano tenta ora di applicare quanto previsto nell’accordo di pace tra autorità di Bamako e tuareg, raggiunto nel 2015 ad Algeri. Ma, nelle scorse settimane, migliaia di maliani sono scesi in piazza contro il progetto di revisione delle Costituzione, pur previsto dalle intese, da sottoporre poi a referendum. Nelle ultime ore, la Corte costituzionale ha chiesto una modifica di tale progetto di riforma. Ancora Vincenzo Giardina:
“Si cerca di garantire lo spazio necessario per l’applicazione degli accordi di pace di Algeri. La creazione del Senato – ad oggi in Mali c’è solo la Camera Bassa – dovrebbe di fatto garantire quegli incarichi che consentirebbero di integrare a livello nazionale, nelle strutture politiche del Paese, esponenti della ex ribellione tuareg. Evidentemente però c’è parte della società civile, oltre che partiti di opposizione, che contestano le modalità di questa riforma, in particolare il diritto che il presidente acquisirebbe di nominare i membri del Senato, interpretando questo passaggio come un indebito rafforzamento del potere del presidente. Da segnalare che il 17 giugno a Bamako si sono svolte manifestazioni importanti che hanno spinto il presidente Ibrahim Boubacar Keïta a posticipare sine die, a data de destinarsi, la consultazione referendaria proprio perché molto contestata”.
In tale contesto, a fianco della popolazione, operano diverse ong, da ‘Terra Nuova’ a ‘Iscos’, con progetti di sviluppo rurale, per la sicurezza alimentare e la generazione di reddito, possibili alternative alle migrazioni. Il maliano Abdoulaye Diarra è mediatore culturale di Terra Nuova a Bamako:
R. – Noi ci occupiamo principalmente di due attività. La creazione di attività per permettere ai giovani, eventuali candidati all’emigrazione, di trovare un piccolo lavoro e creare così reddito. E ci occupiamo anche di corsi di formazione riguardo tutto ciò che è legato alle migrazioni, quello che succede in Europa, in Mali e lungo i percorsi migratori.
D. - C’è una nuova legge in Mali che impegna ad affidare a coltivatrici e cooperative al femminile tra il 10 e il 15 percento dei terreni statali. Ciò sta avvenendo? Potrebbe essere un’alternativa alle migrazioni?
R. - Potrebbe essere un’alternativa, sì. Però sappiamo che tante donne che si trovano lontane dalle grandi città non sono a conoscenza di questa legge quindi rischia di rimanere una legge sulla carta, difficile da attuare nella pratica.
D. - Parlando proprio con i giovani, ragazzi e ragazze, cosa emerge? Perché scelgono di emigrare?
R. - Ci sono diverse cause. Quella principale è la sicurezza: la maggioranza dei ragazzi parte perché vede che nel posto in cui vive non c’è più sicurezza per la propria vita, ci sono conflitti armati. Un’altra cosa importante che spinge i ragazzi a tentare la via della migrazione è la mancanza di prospettive, perché una persona può studiare, arrivare al liceo, andare all’università e alla fine non trova lavoro. Ma ci sono poi i ragazzi che non sono andati a scuola, non hanno alcuna prospettiva per il futuro, perché i politici a volte non prevedono delle misure soprattutto per questi i giovani che vivono lontano dalle grandi città.
D. - Ci fa un esempio? Un vostro progetto che ha aiutato un giovane, una ragazzo a non partire?
R. - Il nostro progetto ha aiutato diversi ragazzi a non partire. Per esempio, ho fatto il giro delle città: abbiamo aiutato i ragazzi a creare delle attività. Una particolare è stata finanziata attraverso piccoli progetti di microcredito. Un ragazzo in questo modo è riuscito a comperare delle mucche, degli animali e ha creato un allevamento: ha rinunciato così a partire. Un altro esempio: abbiamo aiutato un altro ragazzo a mettere in piedi la sua attività di giardinaggio: è riuscito a comprarsi un piccolo motore per l’estrazione dell’acqua, così da irrigare il suo piccolo orto. Ha potuto così prendersi cura della sua famiglia e ha deciso di non partire. Sono cose piccole, ma che aiutano molto. È davvero importante che la gente capisca che comunque in Mali ci sono tantissime opportunità, perché ciò che la gente considera poco – cento euro, duecento euro – qui non è poco! Quindi si può fare molto per aiutare questi giovani a non tentare l’avventura.
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