2017-06-29 15:00:00

Migranti, Perego su chiusura porti: spero sia solo una provocazione


L’Unione Europea non lasci sola l’Italia, perché sull’emergenza sbarchi è in una pessima situazione e fa fronte a pressioni enormi.  Il commissario Ue agli affari interni Avramopoulos torna sulla questione migranti, dopo le dichiarazioni del governo di Roma, pronto a negare l’accesso ai porti italiani alle navi di ong, cariche di migranti, che non battono bandiera italiana. Francesca Sabatinelli:

L’Italia non si tira indietro, ma tutti facciano la loro parte. Il premier italiano Gentiloni e il ministro dell’Interno Minniti avvertono i partner europei: il limite è raggiunto. L’emergenza sbarchi non può essere solo italiana, è in sostanza quello che si ripete. Che la penisola, e con lei la Grecia, non debba essere lasciata sola è quanto detto anche dal presidente della Commissione europea Juncker. A migliaia continuano ad arrivare sulle coste italiane, mentre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim, certifica che degli oltre 85 mila tra migranti e profughi entrati in Europa da gennaio, circa il 90% sono entrati dall’Italia. Chiudere i porti significherebbe mettere a rischio i salvataggi. Questa la denuncia di Medici Senza Frontiere, che opera nel Mediterraneo con due navi, una battente bandiera italiana, la Prudence, l’altra l’Aquarius gestita in cooperazione con una ong francese. Marco Bertotto, responsabile advocacy di Msf Italia:

R. – Evidentemente, le autorità italiane dovrebbero cercare la disponibilità di un altro Stato ad accettare gli sbarchi e indicarci un porto diverso in cui portare queste persone soccorse. Questo ha delle conseguenze pesanti dal punto di vista umanitario, intanto per le condizioni e le vulnerabilità delle persone soccorse. E’ molto difficile immaginare che una nave di soccorso, spesso caricata all’inverosimile, possa compiere tragitti così lunghi senza aver possibilità di garantire condizioni adeguate, cure mediche e quanto occorre. E poi, soprattutto, c’è una conseguenza legata all’abbandono delle zone di soccorso da parte delle navi, che sarebbero costrette a stare in mare per una settimana, dieci giorni, per portare le persone e rientrare poi nelle zone di soccorso.

D. – Quindi per entrare nello specifico, sarebbe difficile garantire alle persone che voi ospitate sulle vostre barche il giusto aiuto, per quanto riguarda il cibo, le cure mediche e tutto il resto?

R. – Assolutamente. La preoccupazione nostra è questa ed è una preoccupazione esclusivamente umanitaria, dopo di ché ci rendiamo conto che la provocazione del governo italiano è quella di richiamare i partner europei a una compartecipazione nelle attività di accoglienza. Ma un conto è l’accoglienza, un conto è il soccorso in mare, e una proposta così provocatoria e avventata non può non avere, però, conseguenze anche sul soccorso in mare, e sono conseguenze devastanti. Non si può fare politica sulla pelle delle persone, soprattutto sulla pelle di persone così vulnerabili.

D. – La navi che salvano in mare i migranti, per arrivare nei porti italiani dal luoghi di salvataggio ci mettono un giorno, al massimo due. Nel caso in cui si decidesse di chiudere i porti italiani, dove si andrebbe e quale sarebbe la distanza?

R. – Questo non lo sappiamo, non conosciamo il dettaglio della proposta, non sappiamo che cosa abbiano in mente le autorità italiane anzi, siamo molto interessati a conoscere quale sia l’obiettivo ultimo. Quello che ci appare irrealistico è pensare di trasportare queste persone, che sono persone e non cose, a un porto a una distanza di tre-quattro giorni di navigazione in quelle condizioni e, soprattutto, ripeto, privando il sistema di soccorso di unità navali che sarebbero a questo punto impegnate ad attraversare il Mediterraneo invece che a soccorrere i barconi al largo della Libia.

D. – C’è chi rilancia l’ipotesi Malta e Tunisia …

R. – L’ipotesi Malta e Tunisia è un’ipotesi che era già stata discussa ma che al momento non ha alcun fondamento, da un lato per l’indisponibilità dei rispettivi governi a garantire questa attività, e poi per l’assenza di condizioni. Le persone che noi soccorriamo sono persone che hanno diritto a richiedere protezione internazionale, che hanno necessità di un sistema di assistenza umanitaria e di protezione che difficilmente in quei contesti potrebbe essere garantito.

D. – Voi ritenete – appunto – che questa sia una provocazione, ma se chiudere i porti non è una soluzione, a vostro giudizio come intervenire nella crisi che vive l’Italia?

R. – E’ difficile parlare di una unica soluzione, quello che ci sembra è che l’Italia faccia bene, che sia legittima la mossa del governo italiano a richiamare le autorità europee e gli Stati membri dell’Unione Europea a una maggiore compartecipazione, a una maggiore collaborazione. Dopodiché continuiamo a ribadire da tempo che quello che occorrerebbe è un meccanismo dedicato e proattivo di soccorso in mare. Ci sono canali umanitari e vie legali di accesso che consentono alle persone di richiedere protezione internazionale, senza dover mettere a rischio le loro vite, senza alimentare il criminale traffico di esseri umani. Quello che crediamo è che si dovrebbero radicalmente cambiare le politiche europee e che se ci fosse un’effettiva volontà delle istituzioni, degli Stati membri dell’Unione Europea di affrontare in maniera responsabile questo tema, i numeri non sarebbero problematici, perché i numeri sono ridicolmente bassi se paragonati alla quantità di persone, di profughi, di rifugiati, di richiedenti asilo che sono – ad esempio – ospitati nei Paesi vicini alle zone di crisi, nel Medio Oriente, in Asia e in Africa.

A sperare che la posizione del governo italiano sia solo una sfida nei confronti dei partner europei, è anche mons. Giancarlo Perego, direttore generale uscente della Fondazione Migrantes della Cei:

R. – Io credo che sia una provocazione, una provocazione che può essere anche utile in questo momento in cui l’Europa, oltre ad aver fatto degli annunci, non ha fatto seguito con una serie di azioni che sono importanti. Sappiamo tutti come, di fatto, dopo la fine di “Mare Nostrum”, la nuova operazione “Triton” legata a “Frontex” è stata un’operazione sottodimensionata rispetto all’esigenza di un salvataggio in mare. Questo ha portato la crescita di navi di ong che hanno fatto un lavoro sussidiario che ormai è il 50 per cento di tutte le operazioni di salvataggio. Quindi, un primo elemento importante è che l’Europa non ha saputo presidiare il Mediterraneo per quanto riguarda il salvataggio di vite umane. Il secondo aspetto è che la politica dell’Europa sull’asilo è una politica monca, perché se anche c’è questa operazione, attualmente, di salvataggio in mare, manca il ricollocamento che è rimasto sostanzialmente lettera morta. Se questa provocazione non diventa ancora una volta uno strumento che penalizza i più deboli, cioè coloro che stanno attraversando il Mediterraneo in situazione grave, ma diventa uno strumento perché finalmente il ricollocamento, che è una responsabilità di tutti i 27 Paesi, possa avvenire da subito, allora questa provocazione può essere un aspetto importante. Comunque, che questa minaccia, questa provocazione non debba esaurirsi poi, di fatto, nel far crescere i morti in mare e nell’indebolire i salvataggi in mare.

D. – Sembra quanto mai difficile che alcuni Paesi dell’Unione Europea intendano rispettare quelle che erano le regole per i ricollocamenti …

R. – Non si possono penalizzare i Paesi per delle quote latte maggiori o per altri aspetti legati all’economia, al commercio, e non intervenire per tutto quello che riguarda, come per l’aspetto dei rifugiati, la salvaguardia della persona umana. Occorre un intervento forte perché l’Unione Europea o sarà un’Unione con un forte carattere anche di solidarietà sociale, che sarà il carattere che la distinguerà anche nei prossimi anni, anche alla luce di ciò che sta capitando al di là del Mediterraneo, oppure l’Unione europea diventerà un “vulnus” e torneremo a nazionalismi e particolarismi e questo sarebbe ulteriormente un aspetto grave che ancora una volta penalizzerà i più deboli. E quindi il vero sforzo, oggi, è innescare un meccanismo nuovo che faccia dell’Europa un unico Paese che condivide soprattutto alcune politiche sociali, tra cui quella del diritto d’asilo che è uno degli strumenti, una cartina di tornasole, fondamentale. Anche la ventilata idea di riaprire il discorso non tanto sul ricollocamento quanto su campi profughi in Libia o altro, è un ripiego che ancora una volta penalizzerebbe le persone più deboli e negherebbe un diritto fondamentale che è il diritto d’asilo.








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