2017-06-27 14:08:00

Usa: Corte Suprema reintroduce, in parte, il bando per i musulmani


La Corte Suprema degli Stati Uniti ha parzialmente reintrodotto il divieto di ingresso negli Usa per i cittadini di sei Paesi a maggioranza musulmana. Il cosiddetto ‘muslim ban’, fortemente voluto da Donald Trump, entrerà in vigore tra due giorni, anche se in versione ridimensionata. Non saranno soggetti al bando, infatti, coloro che dimostreranno di avere un legame stabile negli Stati Uniti, di natura familiare o di lavoro. Francesca Sabatinelli ha intervistato Dario Fabbri, giornalista della rivista di geopolitica Limes ed esperto di politica statunitense:

R. – È stato un esercizio di acrobazia giuridica, da questo punto di vista. In realtà, i nove giudici della Corte Suprema non hanno deciso, ma semplicemente hanno stabilito che il cosiddetto “muslim ban”, che riguarda sei nazioni a maggioranza musulmana tra cui l’Iran, può entrare in effetto, cioè in vigore, ma soltanto per quei cittadini di questi sei Paesi che chiedono il visto per accedere agli Usa senza però alcun tipo di legame personale, professionale o di studio, accademico, anche soltanto come semplici studenti, negli Usa. Tradotto: tutti coloro che hanno questi legami potranno viaggiare ed accedere agli Usa, ed è un po’ ciò che accadeva prima, perché tra queste sei nazioni nessuna di fatto ha un vero turismo negli Stati Uniti. I cittadini di queste nazioni non si trasferiscono negli Stati Uniti per turismo, lo fanno per ragioni professionali, oppure di studio. Dunque, di qui l’acrobazia che non pone fuori legge il “ban” voluto da Trump, ma allo stesso modo lascia che i cittadini di questi Paesi, che già in precedenza viaggiavano negli Usa, continuino a farlo.

D. – Allora, perché questo equilibrismo dei giudici considerando tra l’altro che questo, in sostanza, è un verdetto che in fondo ha poca vita poi …

R. – Perché i giudici si riservano il diritto di intervenire realmente nella questione il prossimo ottobre. Da qui a ottobre, di fatto, non hanno voluto "grane", né da una parte, né dall’altra, quindi possono lasciare che Trump, come già sta facendo in queste ore, canti vittoria, ma allo stesso tempo, da un punto di vista sostanziale, non cambia quasi nulla – ripeto – per i cittadini provenienti da questi Paesi che normalmente vanno negli Usa, e quasi mai per turismo. L’unico caso tra i sei è quello dell’Iran, che è un grande Paese e non è, tra quelli della lista, attraversato da guerre, ma da questo punto di vista la Corte Suprema non fa che collocarsi nella ormai classica sfiducia che l’opinione pubblica ha nei confronti dell’Iran, a partire dal 1979, cioè dalla rivoluzione islamica.

D. – Ci sono le Ong e i gruppi pro-immigrati che comunque hanno espresso dei timori...

R. – Ci sono due ragioni che spingono in questo momento coloro che si occupano di accoglienza negli Usa a criticare fortemente la non decisione preliminare della Corte Suprema. Anzitutto, il fatto che i rifugiati, anche coloro che potrebbero essere tali, provenienti da questi Paesi, non avranno accesso agli Usa proprio perché in quanto rifugiati mediamente, tranne che in casi rarissimi, quasi impossibili, non hanno legami né personali né di lavoro con gli Usa. Quindi, i rifugiati restano fuori dagli Usa attraverso questa ‘non decisione’. Dall’altro lato, e questa è la seconda ragione che spinge chi negli Usa si occupa di accoglienza a criticare fortemente la mossa della Corte Suprema, c’è il fatto che, nonostante questa ‘non decisione’, il prossimo ottobre si rischia che la Corte Suprema invece accolga pienamente il “muslim ban” voluto da Trump. E dunque si cautelano, si preparano già alla battaglia, anche dialettica, che li aspetta per il prossimo autunno.








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