2017-06-20 13:05:00

Sant'Egidio per il Centrafrica: possibile un futuro di pace


Sono passati due anni dalla visita del Papa nella Repubblica Centrafricana e numerosi finora sono stati i suoi appelli alla fine della guerra civile tra gruppi ribelli e governo. L’ultimo, domenica scorsa all’Angelus, quando Francesco ha salutato le rappresentanze centrafricane giunte a Roma per cercare una soluzione alla crisi. Grazie alla mediazione della Comunità di Sant' Egidio oggi l’accordo c’è e prevede un immediato cessate il fuoco, sotto egida Onu, e poi un cammino di riconciliazione. Del volto del nuovo Centrafrica parla, al microfono di Gabriella Ceraso, il responsabile Esteri della Comunità Mauro Garofalo, che ha seguito le trattative:

R.  – E’ un volto nuovo fatto di riassorbimento, di trasformazione di questi gruppi politico-militari, come si descrivono loro stessi. Questi gruppi devono - speriamo di avere contribuito a questo - avere la coscienza di un diritto e di un dovere, quello di fare parte di coloro che ricostruiscono il Paese e non che continuano sulle solite logiche di sfruttamento della popolazione, delle risorse e di violenza.

D. – Questo significa che diventeranno parte attiva della macchina statale, penso per esempio agli ambiti di difesa, quale responsabilità più grande?

R.  – Sì, c’è una definizione dell’accordo che parla di “corps habillés”, cioè gendarmi, esercito, polizia… Non possiamo immaginare che lo Stato centrafricano possa sostenere, vista anche la crisi che attraversa, un esercito di 200 mila persone, ma tutti devono avere una via di uscita. Quindi si è pensato di mettere anche una serie di misure socioeconomiche, dei kit per ricominciare i lavori, le attività, etc.  E’ una "reinserzione" in senso più ampio.

D. - E’ troppo dire che diventeranno forze politiche o è giusto dirlo?

R. – Non tutti lo desiderano. Per essere un partito a livello nazionale bisogna essere rappresentati a livello nazionale, ma comunque chi esprimerà questa volontà, rispettando la Costituzione, trasformandosi e obbedendo alle leggi, sì, sarà incoraggiato.

D. – Che cosa secondo lei ha rappresentato la chiave di volta determinante anche rispetto a quanto accade altrove nel mondo?

R. – C’è voluto un lavoro confidenziale di mesi, che ha contribuito a costruire la fiducia. Nessuno ne ha parlato ma questa fiducia è quella che veramente ha portato poi alla firma dell’accordo.

D. - Il Papa chiede sempre di parlare, di costruire ponti anche con chi non la pensa come noi. E’ andata così?

R. – Assolutamente sì, sono stati costruiti dei ponti fra gruppi armati che combattono pensando di avere degli scopi. Ma è stato costruito anche un ponte verso una coscienza che non c’è futuro con le armi. Mi permetto di dire che l’appello all’Angelus del Papa, in cui lui stesso diceva che pregava per la buona riuscita dei negoziati, ha avuto un effetto fortissimo su tutti i delegati.

D. - C'è ora anche un Paese anche da ricostruire umanamente, come tessuto; e c’è un capitolo importante nell'accordo, che riguarda il rientro di tanti che sono scappati. Dunque dal punto di vista della gente questo accordo cosa significherà e chi garantirà?

R. – Per quanto riguarda la gente c’è la necessità di fare una spiegazione pubblica, anche con la società civile, di quello che è successo qui a Roma. La gente lo attende, il presidente ce lo ha chiesto. Per la gente ci sarà un significativo calo della violenza e questo permetterà di tornare nei campi. E’ quasi il periodo della semina, quindi si potrà tornare a fare le proprie attività e in qualche modo lasciare quelle dinamiche di violenza fra comunità etniche, tra comunità religiose che fino adesso si sono verificate. Per quanto riguarda, invece, l’applicazione dell’accordo, ci sono dei meccanismi dentro il testo che prevedono la costruzione di un “comité de suivi”, di commissioni congiunte, però l’unica vera garanzia - e questo lo hanno detto tutti durante i lavori - è il senso di responsabilità comune, questo senso di fatica per la troppa violenza e anche questo senso di appartenenza all’unica famiglia centrafricana. Ed è stato significativo, per esempio, che tutti, gruppi armati e governo, abbiano voluto concludere ieri la cerimonia cantando l’inno nazionale, la Renaissance: c’è da parte loro questo grande attaccamento e anche la coscienza che il Paese, oltre a essere bello, è anche ricco, quindi che è possibile un futuro diverso. Questo è forse il valore più condiviso.








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