2017-06-05 14:10:00

Incidenti di Torino. Mons. Nosiglia: no a "scaricabarile"


A Torino gli inquirenti stanno cercando di ricostruire quanto avvenuto a Piazza San Carlo, sabato scorso, durante la finale di Champions. Identificato il ragazzo a torso nudo e zaino in spalla che avrebbe fatto scattare il panico tra la folla, circa 30mila tifosi, causando il ferimento di oltre 1500 persone, tra cui 3 in gravi condizioni. Si ipotizza una "bravata". Ed è polemica per le bottiglie di vetro per terra e le vie di fuga esigue.  Ascoltiamo il commento dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, al microfono di Luca Collodi:

R. – Una competizione sportiva dovrebbe essere un’occasione di incontro gioioso, di sfida, svolta sì anche con agonismo da parte degli atleti, ma anche ricca di valori umani, civili, sociali, che vanno rispettati da tutti: sia da chi gioca sia da chi è sugli spalti. Spesso invece – lo sappiamo – diventa occasione di atti vandalici e di scontri, perché ci sono sempre quei gruppi di facinorosi che si organizzano apposta per generare confusione, magari per contrastare anche le forze dell’ordine. Bisogna pertanto educare, in particolare i giovani, a stare insieme agli altri nel rispetto delle regole. Occorre anche isolare i gruppi dei violenti e fare prevenzione. Però occorre anche un severo controllo delle norme di sicurezza, che vanno fatte rispettare da tutti, se è vero che la piazza era piena di cocci e di bottigliette, anche di alcolici venduti abusivamente e che sono stati poi la causa di tanti ferimenti.

D. – Il lancio di un petardo o la caduta di una transenna ha creato il panico. Ma sulle vere cause ci sono indagini in corso.  Perché la paura è ormai un compagno di vita con la quale la gente convive ?

R. – È vero, la paura sta crescendo nell’anima della gente. Basta poco per scatenare comportamenti inconsulti, irrazionali. Era successo pochi mesi fa a Torino che, in un cinema, una famiglia marocchina facesse delle telefonate con il cellulare parlando in arabo, e la cosa ha generato subito un fuggi-fuggi generale da parte degli spettatori: pericolo che si è rivelato ovviamente del tutto infondato. Dobbiamo recuperare il coraggio civile del vivere insieme.

D. - Ora tutti si lamentano e offrono analisi, critiche sull’organizzazione, sulla sicurezza…

R. - Non basta lamentarsi, indignarsi quando capitano certe tragedie. Adesso qui a Torino tutti hanno qualcosa da dire, tutti hanno dei consigli da offrire, tutti hanno delle recriminazioni, contro questo o contro quest’altro. Quello che conta è prenderci tutti le nostre responsabilità, senza scaricare su altri o sul caso quello che è accaduto. Se davvero teniamo al sentire la città come nostra e di tutti, rifiutando quindi comportamenti illegali, dobbiamo cominciare dal nostro vissuto quotidiano a fare queste cose. Perché poi è l’ambiente che condiziona anche le persone, le rende capaci o protagoniste di questo “bullismo”: chiamiamolo così a volte. Certo, io credo che ci voglia anche una strategia previa che va messa in atto prima dei grandi eventi, cosa che però mi pare che le forze dell’ordine cercano di fare. Quindi non dando nulla per scontato, perché quello che non capita mai può al contrario avvenire, anche in pochi minuti o in luoghi che non ti aspetti, come è avvenuto sabato a Torino.








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