2017-06-01 17:02:00

Giornata internazionale dei bambini, principali vittime delle guerre


A 700 milioni di bambini nel mondo è negato il diritto all’infanzia. E’ quanto riporta il primo indice globale su 172 Paesi, presentato da Save The Children in occasione, oggi, della Giornata internazionale dei bambini. Un momento anche per fare il punto sui minori vittime delle guerre. Francesca Sabatinelli :

Norvegia, Slovenia e Finlandia sono i paesi dove essere bambini è bello, dove le condizioni di vita per l’infanzia sono le più favorevoli. Così non è per i Paesi in fondo alla lista, Niger, Angola, Mali, Repubblica Centrafricana, Somalia. Emerge dal primo Indice globale sull'infanzia negata nel mondo, contenuto nel nuovo Rapporto ''Infanzia rubata'' di Save the Children. Sono 700 milioni i minori nel mondo  ai quali è negato il diritto ad essere bambino o la cui vita è costantemente minacciata. 168 milioni sono i bambini schiavi, costretti a lavorare, la maggior parte di loro si trova in Africa Subsahariana. Ogni sette secondi una ragazza minore di 15 anni è costretta dalla famiglia a sposarsi, di sposa, spesso uomini molto più grandi di lei, ogni giorno nel mondo, soprattutto in Sudamerica e ai caraibi, 200 ragazzi vengono assassinati, vittime soprattutto delle bande criminali. E’ davvero una infanzia rubata quella di tutti questi milioni di bambini, ai quali si devono aggiungere i bimbi vittime di guerre o attacchi terroristici. Delle conseguenze di questa violenza sui bambini si è parlato al Sovrano Ordine di Malta (Smom), nel corso di una conferenza internazionale. Nel mondo sono 30 milioni i bambini sfollati e 230 milioni quelli che sono esposti a conflitti armati. Gianfranco Rotigliano dell’Unicef si occupa di minori non accompagnati in Italia:

R.  – Li vedo arrivare, questi ragazzi che sono partiti alle volte un anno prima o un anno e mezzo prima o sei mesi prima. Sono passati attraverso esperienze che non si possono dire: di violenze, di stupri, di botte, di fame, di imprigionamento, senza che alcun diritto venga rispettato, in posti dove non riusciamo a entrare, come la Libia per esempio, ma anche in posti dove volendo forse si potrebbe entrare. Ci sono zone dove sappiamo che si concentrano questi bambini che passano e dove succede loro di tutto ma dove, per il momento, non c’è la volontà della Comunità internazionale di fare quello che si deve fare. Noi chiediamo soldi. Adesso li abbiamo chiesti anche al governo italiano che probabilmente ce li darà. Non è facile, perché dovunque ci sono interessi economici è estremamente difficile lavorare.

D. – L’Unicef ha fatto uno schema delle sei peggiori violazioni…

R. – Sì, sono le sei violazioni su cui l’Unicef deve fare i reporting per conto delle Nazioni Unite: le uccisioni e le mutilazioni, il reclutamento di bambini, quelli che vengono presi con la forza, gli stupri e la violenza sessuale, gli attacchi contro scuole e ospedali e il negare gli accessi umanitari. Sono cose che vediamo tutti i giorni, tutti i giorni vediamo questo. Noi non siamo né spie, né niente, arriviamo con i vaccini e ce ne andiamo, chiediamo un corridoio umanitario, però non si riesce, perché? Perché non vogliono, perché non hanno interesse a far sì che queste cose succedano. Questo è il problema. Vogliono tenere le comunità sotto pressione: la violenza è un’arma di guerra, la violenza sui civili è un’arma di guerra, come lo stupro. Come sarà che non riusciamo ad andare in Siria a vaccinare, perché?

D. – Queste sei violazioni principali fanno capire come intere generazioni rischino di scomparire. Laddove non c’è la violenza interviene un’altra grande assenza: dell’istruzione. Questi ragazzini sono destinati a non essere adulti istruiti…

R. – Per me è fondamentale, l’istruzione è sempre un elemento fondamentale, nel nostro lavoro per lo sviluppo. Senza istruzione non c’è sviluppo e l’istruzione può far girare la ruota dalla parte giusta: se una madre è andata a scuola alleverà meglio i suoi figli; se un bambino che abbiamo tirato fuori da una situazione di appartenenza a un gruppo armato possiamo mandarlo a scuola, gli possiamo dare un’istruzione seria e anche i mezzi per sostenersi, quel bambino diventerà parte della comunità e parteciperà allo sviluppo del proprio Paese. Se io lo lascio lì, la prossima occasione, uno gli dice: “Qui c’è un fucile”, lui lo prende, perché col fucile è tutto più facile.

D. – Ci sono delle carte, delle convenzioni, a tutela dell’infanzia, c’è molta apparente sensibilità, eppure è difficile riuscire a raccordarsi a livello internazionale proprio per fare scudo attorno a questi bambini. Dove si incastra il meccanismo di protezione dei più indifesi?

R. – Che non gliene importa forse? Certo, gli interessi locali li conosciamo, dei trafficanti, per esempio. Perché non si  investe tantissimo? Perché non esiste la coscienza del mondo, non esiste, in realtà non esiste. Per cui, quando si vede il bambino sulla spiaggia allora tutto il mondo si muove, ma si muove per un fatto emotivo, non per un fatto etico di base. Tra l’altro, anche dal punto di vista dello sviluppo, se ci interessa veramente aiutare i Paesi a svilupparsi bisogna investire nei bambini e investire nei bambini vuol dire proteggerli, fare in modo che ci siano dei fattori di equità all’interno di questi Paesi. Non lo vediamo questo. Si vede a parole. Per carità, ci sono dei donatori che danno dei soldi però il mondo in genere non dà abbastanza. Si dovrebbe dare lo 0.7, beh siamo lontani. Alcuni Paesi lo fanno, 4 o 5. Questo Papa è grandioso, fa un lavoro straordinario, se ci fossero altri 7 leader come lui, al mondo, che potessero spingere con la stessa forza, forse arriveremmo un pochino più lontano.








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