2017-05-25 14:09:00

Brasile: proteste contro Temer, presidente schiera esercito


Manifestazioni disperse dalle forze dell’ordine a colpi di lacrimogeni e proiettili, incendi al Ministero dell’Agricoltura, danni ad altri otto dicasteri e alla cattedrale, una cinquantina di feriti, tra cui cinque persone colpite da armi da fuoco, un numero imprecisato di arresti. È un bilancio di devastazione quello registrato a Brasilia, dov’è divampata la protesta popolare contro il presidente Michel Temer. Ma dimostrazioni si sono tenute anche a Rio de Janeiro. Il servizio di Giada Aquilino:

Oltre 100 mila persone, secondo gli organizzatori, 35 mila in base ai dati forniti dalle autorità di Brasilia: sono i manifestanti scesi in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Michel Temer. Violentissimi gli scontri con la polizia. Il capo dello Stato ha mobilitato le forze armate, con 1.300 soldati e 200 marines, per difendere la sede della presidenza della Repubblica e dei Ministeri nella capitale federale, di fronte a una imponente mobilitazione popolare. Ce ne parla Loris Zanatta, docente di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna:

“Colpisce perché Brasilia non è abituata a grandi manifestazioni e perché in Brasile la violenza politica e di piazza non è così ricorrente. Tutto ciò si deve alla crisi politica oltre a quella economica in cui il Brasile è sempre più immerso e da cui non si vede come possa uscire. Nel senso che dopo l’impeachment di Dilma Rousseff, si pensava che pur tra mille problemi Temer potesse pilotare il Paese verso le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Ora, gli ultimi scandali emersi, che lo coinvolgono nel grande circuito della corruzione che ha colpito la politica brasiliana, ovviamente lo priva totalmente o in gran parte di legittimità e questo è il significato: una grande crisi politica che si unisce alla crisi sociale di un Paese che da tre anni attraversa la più grave recessione della sua storia, con quello che comporta in termini di disoccupazione e di crescita del disagio sociale”.

Temer è stato incriminato dal Tribunale supremo federale per corruzione passiva, intralcio alla giustizia e associazione per delinquere: lo incastrerebbe una registrazione audio in cui avrebbe acconsentito al pagamento di alcune tangenti. Il presidente, al potere da un anno, nega ogni coinvolgimento, rifiutando le dimissioni. Già presentate otto richieste ufficiali per l’impeachment:

“I filoni della corruzione in Brasile negli ultimi anni sono stati molto numerosi, il più importante è il cosiddetto ‘Lava Jato’, che ha riguardato l’uso della posizione politica, delle cariche politiche sia per assegnare appalti e benefici a specifici gruppi economici sia in altri casi per finanziare in maniera illecita i propri partiti o le proprie campagne elettorali. E questo è il vero problema, perché è un’intera classe politica di destra, di sinistra, di centro, che ne esce totalmente delegittimata”.

La coalizione governativa rischia di sfaldarsi, in particolare sulle due grandi riforme proposte dall’esecutivo conservatore sul lavoro - con un aumento delle ore di occupazione e una riduzione dei poteri dei sindacati - e sulle pensioni. I vescovi brasiliani si sono detti preoccupati che le riforme possano aggravare la già critica situazione dei ceti più deboli:

“Sicuramente sono riforme dolorose e risultano ancora più dolorose e drastiche nel momento in cui a farle è un governo come quello di Temer che è un governo provvisorio, perché Temer era stato eletto vicepresidente di Dilma Rousseff. Detto ciò, la mia opinione è che in parte la responsabilità di questo si deve anche ai precedenti governi”.

In un quadro così complesso, a preoccupare è anche la mobilitazione dell’esercito:

“Da un lato colpisce che vi siano delle frange nelle manifestazioni politiche e sociali dell’opposizione brasiliana che ricorrono alla violenza. Dall’altro, il ricorso all’esercito dimostra la debolezza politica del presidente e l’incapacità di mantenere l’ordine. Non solleverei fantasmi golpisti del passato: quell’epoca è passata per gran parte dei Paesi dell’America Latina e sicuramente per il Brasile”.

La situazione, è il parere di Loris Zanatta, è del tutto lontana dal precipitare come in Venezuela:

“Io distinguerei immensamente, perché quella che avviene in Brasile è una crisi nella democrazia. In Venezuela vi è un regime politico che nella democrazia rappresentativa non ha mai creduto e che ha portato il Paese alla distruzione”.








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