2017-05-23 14:33:00

25 anni da Capaci: il ricordo di Falcone e delle vittime di mafia


Gli uomini passano, le idee restano. La famosa frase di Giovanni Falcone è stata ripresa oggi dal presidente italiano Sergio Mattarella che, a Palermo, nell’Aula bunker del carcere dell’Ucciardone, ha ricordato i giudici Falcone e Borsellino, a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Da Palermo, Alessandra Zaffiro:

Nel 25° anniversario, Palermo ricorda le vittime delle stragi di Capaci e via D’Amelio nelle quali persero la vita i giudici Giovanni Falcone, la moglie, anche lei magistrato, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinari, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Protagonisti di questa giornata di commemorazioni, su iniziativa della Fondazione Falcone e del Miur, 70.000 studenti, dalle elementari all’università, che partecipano alla manifestazione #PalermoChiamaItalia per dire “no” a tutte le mafie e alla criminalità organizzata.

Questa mattina nel capoluogo siciliano è approdata la nave della legalità con un migliaio di studenti. Alcuni di loro hanno raggiunto l’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si celebrò il Maxi Processo a Cosa nostra istruito da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e dagli altri giudici del pool antimafia e nella quale, all’arrivo del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato intonato l’Inno di Mameli seguito da un lungo applauso.

"Con l’assassinio di Falcone e quello di Borsellino, già allora considerati da tanti, non soltanto in Italia, simbolo e riferimento nella lotta a Cosa nostra - ha detto il Capo dello Stato nell’aula bunker - sembrava che, insieme al dolore, prevalesse lo scoramento. Che il sacrificio di tante persone, cadute nella lunga lotta alla mafia, si rivelasse inutile. Che la mafia, piegata e sconfitta nel Maxiprocesso, si fosse rialzata, prendendosi la rivincita e, con essa, il suo perverso potere. Ma la paura e la sfiducia non hanno avuto la prevalenza. La società civile, a partire da quella siciliana, ha acquisito, da quei giorni, una consapevolezza e una capacità di reazione crescenti; e destinate a consolidarsi nel tempo".

"Falcone, come Borsellino, come tanti altri servitori delle istituzioni, caduti in Sicilia o altrove, erano straordinari nel loro impegno ma si sentivano, ed erano, persone normali – ha proseguito il Presidente Mattarella - le doti di tenacia, di coraggio, di intuizione, di intelligenza, di rigore morale erano presenti in loro in grande misura. Ma i loro sono stati comportamenti che ogni persona, ciascuno di noi, può esprimere, compiendo scelte chiare e coerenti. Quegli uomini, oggi, costituiscono punti di riferimento. Ma devono essere, soprattutto, esempi. Falcone, che prevedeva che prima o poi avrebbero tentato di ucciderlo, ebbe a dire ’gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini’. E’ un richiamo per tutti, soprattutto per chi assume responsabilità istituzionali. Mi rivolgo particolarmente a voi, ragazzi. Oggi, e per il futuro, le idee, la tensione morale di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino, camminano anche sulle vostre gambe, sulle vostre idee, sui vostri comportamenti. Vi auguro di esserne come oggi sempre consapevoli”.

"La grande capacità di Falcone e Borsellino - ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo intervento sempre nell’aula bunker - era quella di saper resistere. Un giorno Giovanni, con aria triste, mi disse: ’Vedrai un giorno capiranno’. E oggi hanno capito". "Come 25 anni fa Palermo ha chiamato e l’Italia è la scuola hanno risposto - ha detto la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli - abbiamo fatto scuola in viaggio e questa è una cosa molto importante. Venticinque anni fa molti di voi non erano neanche nati ma leggere e ricordare aiuta a capire la mafia. La mafia si può sconfiggere e abbiamo cominciato a farlo ma attenzione perché la mafia si trasforma ed è per questo che la cultura della legalità è fondamentale".

Per Sergio Lari, procuratore generale di Caltanissetta e fino a pochi mesi fa a capo della Procura della Repubblica nissena, che ha la competenza territoriale per numerose e delicate indagini anche sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, “la più grande eredità che ci ha lasciato Falcone, non dimentichiamolo, è stata la costruzione della normativa antimafia, sui collaboratori di giustizia, sulla Dia, sulla Dna, sulle Dda, sul 41 bis. Su questa normativa abbiamo costruito in questi 25 anni tutti i successi conseguiti contro la mafia. Se oggi la mafia è in ginocchio lo dobbiamo proprio a Giovanni Falcone”.

Nel pomeriggio i consueti cortei di giovani che da Via D’Amelio e dall’Aula bunker raggiungeranno l’Albero Falcone in via Notarbartolo, davanti al palazzo in cui abitava il magistrato e dove alle 17,58 sarà eseguito il Silenzio in onore delle vittime. "I cittadini di Palermo hanno fatto crescere l’albero di Falcone. Quando tutto sembrava finito, sono stati in molti a lasciare un loro messaggio sotto l’albero di via Notarbartolo e questo ci ha dato speranza". Lo ha detto la sorella del giudice ucciso 25 anni fa a Capaci, Maria Falcone, mostrando un albero in terracotta realizzato dagli studenti della scuola "Giovanni Falcone" di Napoli. "Sembravamo sconfitti, ma non è così – ha aggiunto -  grazie all’impegno di tutti".

A sottolineare il valore di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è padre Cosimo Scordato, teologo, rettore di San Francesco Saverio nel difficile quartiere dell’Albergheria a Palermo. Don Scordato, oltre ad aver nel tempo testimoniato l’impegno della Chiesa contro la mafia, conosceva personalmente Borsellino, frequentatore della sua parrocchia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Vorrei offrire una considerazione di carattere ecclesiale per imparare a guardare queste persone proprio in quanto Chiesa. Papa Giovanni Paolo II allora usò un’espressione molto interessante, parlò di ‘martiri per la giustizia’. Credo che questa sia una prospettiva molto bella per dare un alone quasi religioso alla testimonianza di queste e di tante altre persone che sul fronte del loro servizio quotidiano – giudici, servitori dello Stato, impiegati, poliziotti, scorte – sono fedeli al proprio impegno, accettando anche di correre rischi che compromettono la propria vita. Questa è un’esperienza da beatitudine, questa è un’esperienza evangelica, beati coloro che soffrono per la giustizia.

D. – Lei è autore di un libro “Dalla Mafia liberaci o Signore”. Come sta reagendo oggi la Chiesa al peccato di mafia?

R. - Credo che ci sia stato un crescendo nella coscienza della Chiesa che ha portato alle prese di posizione ufficiali delle Conferenze episcopali, dei Papi che hanno condotto all’esplicita scomunica, il massimo atto di presa di distanza da parte della Chiesa rispetto al fenomeno mafioso e a tutte le sue contiguità. Maturata questa inconciliabilità tra Vangelo e fenomeno mafioso, dobbiamo ulteriormente maturare il percorso che deve trasformare sempre più la Chiesa per renderla terreno non praticabile dei mafiosi, in nessun modo, un terreno dove loro si sentano estranei, dove si sentano fuori luogo a stare in mezzo alla comunità, non perché noi non vogliamo accogliere anche il mafioso che si pente, anzi è quello che desideriamo, ma perché deve esser chiarissimo questo taglio tra ciò che la comunità cristiana vive dall’interno - le scelte dei poveri, del servizio, della libertà, della donazione - e il fuori luogo del mafioso che, invece, cerca il contrario, vuole dominare, cerca ricchezza, vuole imporsi sugli altri, vuole manomettere la vita sociale e compromettere qualsiasi di percorso di sviluppo.

D. - Quello che negli anni è stato più volte ripetuto è che è mutata la modalità stragista della mafia, la modalità di morte della mafia. Oggi esiste il rischio vita? Voi sacerdoti che denunciate sia la mentalità mafiosa sia il fenomeno mafioso, correte il rischio? O è diverso l’agire della mafia e non uccide, ma colpisce in altro modo?

R. - Purtroppo entrambe le reazioni sono possibili. Il fenomeno mafioso, in alcune frange, è ancora aggressivo,  frontale, cerca di guadagnare la presenza nel territorio in tutti i modi. Per cui anche a una reazione civile potremmo avere una controreazione violenta e aggressiva. I rischi ci sono sempre. Bisogna avere la lucidità di capire fino a che punto deve essere un rischio personale o c’è bisogno forse di un maggiore coinvolgimento dell’istituzione, dell’aspetto repressivo da parte dell’istituzione. Dobbiamo perennemente essere grati a questi nostri martiri, inoltre va ricordato il lavoro che hanno fatto le scuole, la Chiesa, le istituzioni, tutta una serie di pubblicazioni di film, di libri, che hanno tenuto viva la memoria di questi nostri martiri. Questo ha favorito una conoscenza di seconda mano - se vogliamo - ma altrettanto efficace.








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