In udienza dal Papa stamane i vescovi cubani, in visita ad Limina, tra questi il presidente della Conferenza episcopale dell’isola caraibica, mons. Dionisio García Ibáñez, arcivescovo di Santiago de Cuba. Alina Tufani lo ha intervistato sull’importanza di questo evento, dopo la visita a Cuba di Francesco, oltre che in precedenza di altri due Papi, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e sulle nuove sfide da affrontare per la Chiesa
R. – “Sì, la visita del Papa a Cuba ha significado también un encontrarse con el
pueblo cubano…”
Sì, il viaggio di Francesco ha significato
anche un incontrarsi con il popolo cubano, perché le visite
dei Pontefici a Cuba sono sempre state un incontro intenso della Chiesa con il popolo,
attraverso il Papa e i pastori.
D. - Questa visita è stata anche importante per ristabilire dei rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba, al quale Papa Francesco ha dato un contributo rilevante. Qual è al momento la situazione a Cuba?
R. – “Cuba está esperando cambios. Está esperando cambios...”
Cuba sta aspettando cambiamenti.
Sta aspettando cambiamenti! Alcuni procedono più velocemente di altri, ma, noi cubani,
quali che siano le nostre idee personali, ci rendiamo conto che il popolo può vivere
in migliori condizioni, spirituali e materiali, e che le cose devono cambiare.
D. Quali sono questi cambiamenti?
R. – “Cambios economicos y sociales que van juntos...”
Sono cambiamenti economici e sociali, che
vanno necessariamente insieme. Si vorrebbe che fossero più rapidi perché
migliori la situazione economica. Ci sono poi cambiamenti culturali che sono invece
molto rapidi, soprattutto tra i giovani che hanno familiarità con i mezzi di comunicazione
digitali e hanno un altro modo di pensare. Questo fa sì che il mondo entri a Cuba
e che si conosca meglio la realtà di Cuba. Ci si aspetta anche un cambiamento politico:
sono le strutture e soprattutto quelle legali che devono cambiare. Alcune cose sono
cambiate: ad esempio la limitazione dei mandati delle persone che hanno incarichi
pubblici. Si aspettano altri cambiamenti, perché una società non può rimanere
paralizzata.
D. - Tante persone hanno pensato che l’apertura tra L’Avana e Washington avrebbe rappresentato anche un’apertura al mondo. C’è stata questa apertura?
R. – “Yo creo que el cambio cultural - como dije - ...”
Credo che il cambiamento culturale - come ho detto
– sia quello più visibile, proprio grazie alla comunicazione. Adesso ci sono più possibilità
di viaggiare all’estero e per i turisti è più facile venire a Cuba. Anche se ancora
limitato, c’è un maggiore accesso della popolazione alle nuove tecnologie
della comunicazione e questo produce un mutamento culturale che è la condizione
per qualsiasi altro cambiamento, perché le persone possono cambiare i propri criteri
di giudizio.
D. - Dopo tanti anni in cui è stato difficile professare la fede tutto questo ha portato mutamenti anche per la Chiesa. Quali sono oggi le sue sfide?
R. – “Hay una apertura, en el sentido de que hay una mayor comprensión del hecho
religioso…”
C’è un’apertura, nel senso che c’è una maggiore
comprensione del fatto religioso e quindi il popolo esprime la propria fede.
Come pastori, vediamo che i cubani sono un popolo religioso, ma constatiamo anche
che c’è poca formazione alla fede. Per noi vescovi è un problema difficile da affrontare.
Tuttavia siamo una Chiesa creativa che è stata vicina al suo popolo e che adesso testimonia
la sua fede.
D. - In questi anni c’è stata anche una crescita nel numero di missionari stranieri a Cuba, che è fondamentale per la formazione alla fede. La Chiesa cubana ha bisogno in questo momento di vocazioni?
R. – “Claro que sì. Tenemos vocaciones, pero no lo suficiente...”
Evidentemente sì. Abbiamo vocazioni, ma non
sono sufficienti. Grazie a Dio abbiamo missionari fidei donum, diocesani e religiosi, ma
abbiamo bisogno di ancora di più. Ma vorrei dire che qualunque missionario che viene
a Cuba e ha voglia di lavorare, ha tanto lavoro perché trova persone ricettive, di
fede che hanno bisogno e vogliono che si parli con loro ed essere formate.
D. - Si è risolto questo problema dei visti e dei permessi di soggiorno?
R. – “Esto ha cambiado mucho...”
La situazione è molto cambiata. Posso dire che adesso
non ci sono più gli ostacoli di prima, perché quando un vescovo chiede un visto di
ingresso per un missionario non incontra problemi.
D. - Una delle cose colpiscono è che la Chiesa cubana ha potuto recuperare non solo la possibilità di compiere la propria missione, ma anche spazi fisici: si sono aperte alcune chiese, sono state recuperate strutture ecclesiastiche...
R. – “Este proceso se ha solo iniciado...”
Il processo è solo all’inizio. E’ già una cosa molto
positiva. In certe diocesi sono stati restituiti alcuni immobili, ma è un processo
lento e si tratta di casi molto circoscritti. Stiamo lavorando con lo Stato
perché dopo 50 anni in cui la popolazione è cresciuta possiamo avere gli spazi per
il culto di cui abbiamo bisogno. Nell’attesa abbiamo case di preghiera, ossia,
i fedeli mettono a disposizione delle proprie comunità le loro abitazioni per riunirsi.
Non ci sono le chiese parrocchiali con le loro strutture pastorali, ma la Chiesa comunque
vive.
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