2017-04-24 12:01:00

Al "Villaggio per la Terra" è il giorno dell'economia di comunione


Al “Villaggio per la Terra”, manifestazione in corso a Roma e dedicata alla tutela della Terra e della biodiversità, si è parlato questa mattina di “economia di comunione”. Nata in Brasile nel 1991 da un’idea di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, l’economia di comunione si basa su un concetto di mercato inclusivo e sociale che supera le logiche del capitalismo selvaggio. Tra i relatori, il prof. Stefano Zamagni, docente di economia all’Università di Bologna. Ascoltiamolo al microfono di Michele Raviart:

R. – Quest’idea fa parte di un paradigma economico ancora più ampio, che è quello dell’economia civile. L’idea di base è quella di rendere l’economia uno strumento di umanizzazione dei rapporti tra le persone e cioè di vedere il mercato come un luogo di mutuo aiuto, in applicazione del principio di reciprocità. L’altro paradigma, che è quello poi dominante e che ha la sua radice in ambiente anglosassone parte da altri presupposti, cioè che il mercato è il luogo dove il più forte mangia il più piccolo: cioè a dire “mors tua vita mea”.

D. – Come si applicano concretamente i principi dell’economia di comunione?

R. – L’economia di comunione è una traduzione pratica, efficacemente realizzata in questi ultimi 25 anni, dell’idea di base dell’economia civile. Ed è un’applicazione che ha dato frutti non soltanto in Brasile, dove storicamente è nata, ma virtualmente in diverse parti del mondo compresi gli Stati Uniti d’America. Sono stato recentemente – il mese scorso – in America, e mi sono meravigliato nel vedere che lì ci sono imprenditori che hanno aderito al progetto dell’economia di comunione. In sostanza, si tratta di applicare l’idea del mutuo aiuto, e cioè del principio di reciprocità, nell’agire economico. Tutti noi sappiamo che si pratica la reciprocità dentro la famiglia, nelle parrocchie, negli ambienti associativi ecc. L’idea di trasferire questo principio all’area propriamente economica, di imprese che operano dentro il mercato, è stata un’idea veramente innovativa.

D. – In che settori economici possiamo trovare l’applicazione dell’economia di comunione?

R. – Le imprese dell’economia di comunione sono le più varie: coprono virtualmente tutti i settori dell’agire economico: non è che l’economia di comunione è presente in agricoltura piuttosto che nella meccanica ecc. Perché ciò che li caratterizza non è l’oggetto di quel che si produce, ma il come lo si produce: ad esempio, non sfruttando i dipendenti; non evadendo le tasse; e soprattutto valorizzando il potenziale umano, cioè realizzando dentro l’impresa un ambiente dove la persona ha la possibilità di sviluppare il proprio talento. Questo è il punto. Non è quindi un settore a sé: conosco una impresa di economia di comunione che opera nel settore dell’energia, ad esempio del petrolio; un’altra che opera in agricoltura; altre che operano nella fornitura di servizi alle persone. È il modo con cui si opera ed ovviamente il fine che viene perseguito, che è il fine del bene comune, piuttosto che l’oggetto specifico dell’attività. Perché le idee dell’economia di comunione sono applicabili ed estensibili ad ogni comparto, compreso quello della finanza. Se oggi si parla di finanza sociale - in Italia si preferisce parlare di finanza etica - è anche merito di quest’intuizione.

D. – L’incontro di oggi al Villaggio per la Terra parlerà anche della città di Roma: quali sono le potenzialità della città e qual è l’esperienza dell’economia di comunione in Italia?

R. – Roma è Roma, e quindi evidentemente merita le attenzioni che tutti le riconoscono; perché percorsi analoghi, mutatis mutandis, stanno avvenendo in altre parti d’Italia, in Piemonte così come in Lombardia. Certo, Roma assume un carattere tutto particolare perché è quel centro dove l’umanesimo ha trovato, già nel 1400, la possibilità di risplendere e di ridiventare modello anche per gli altri Paesi del mondo.








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