2017-04-22 18:20:00

Francesco all'Isola Tiberina ricorda i "Nuovi Martiri" e il dramma profughi


Papa Francesco ha presieduto ieri pomeriggio nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, la Liturgia della Parola in memoria dei “Nuovi Martiri” del XX e XXI secolo, promossa  dalla Comunità di Sant'Egidio. Nell’omelia Francesco ha ribadito che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri, di quelli che danno la vita, ma anche dei testimoni della fede nel quotidiano. Il Papa non ha mancato inoltre di ricordare il dramma dei profughi spesso non accolti dall’Europa e il bisogno di maggiore solidarietà nei loro confronti. Durante la celebrazione due familiari e un amico di cristiani uccisi perché seguaci di Gesù, hanno offerto le loro testimonianze. Il servizio di Adriana Masotti:

Assume un valore tutto particolare, la preghiera del Papa, visti i tempi segnati dalla sofferenza di tanti cristiani nel mondo, ricordiamo l’ultimo attentato in Egitto, nel 4° anniversario del rapimento dei vescovi di Aleppo, e alla luce della Pasqua. Storia antica di martirio e nuovi martiri fanno un’unica memoria. La veglia del Papa nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dal Giubileo del 2000 memoriale dei martiri contemporanei, inizia con l’atto di venerazione delle reliquie di San Bartolomeo e dell’Icona dei “nuovi martiri”. Prende poi la parola Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio che ringrazia il Papa e ricorda:

“I martiri ci ricordano che come cristiani non siamo vincenti per il potere, le armi, il denaro, il consenso, e loro non sono eroi ma abitati da una sola forza, quella umile della fede e dell’amore; non rubano la vita ma la donano, come fece Gesù che non salvò se stesso e non fuggì da Gerusalemme”.

Quindi tre testimonianze: Karl Schneider, il figlio di Paul Schneider, pastore della Chiesa riformata, ucciso in un campo di sterminio nel 1939:

“Noi tutti, anche oggi, facciamo troppi compromessi, ma mio padre è rimasto fedele unicamente al Signore e alla fede, (….)anche nel campo di concentramento”.  

Roselyne Hamel, sorella di padre Jacques, ucciso neanche un anno fa in Francia da fondamentalisti islamici dice:

“Possa il sacrificio di Jacques portare dei frutti, dice Roselyn, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano trovare la via per vivere insieme in pace”.

E infine Francisco Hernandez, un amico di William Quijano, ucciso nel 2009 da bande armate in Salvador:

“Quale è stata la sua colpa? Sognare un mondo di pace. William non ha mai rinunciato a insegnare la pace, anzi il suo impegno ha spezzato la catena della violenza”.

All’omelia Papa Francesco ricorda che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri, cioè coloro che hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla morte.

"E ci sono anche tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve".

Gesù che ha parlato sempre di amore, sottolinea Francesco usa una parola forte, la parola “odio” quando avverte i suoi: “Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me”. E l’odio è quello del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati da Gesù.

"E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione!"

E in questi tempi difficili, il Papa dice che la Chiesa ha bisogno di martiri, di testimoni, ma precisa:

“Il martire può essere pensato come un eroe, ma il fondamentale del martire è che è stato un “graziato”: c’è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri.

E ribadisce, la Chiesa ha bisogno di questi, ma anche dei santi di tutti i giorni, sono il sangue vivo della Chiesa e la portano avanti. Poi Francesco aggiunge a braccio:

“Io vorrei, oggi, aggiungere un’icona di più, in questa chiesa. Una donna. Non so il nome. Ma lei ci guarda dal cielo. Ero a Lesbo, salutavo i rifugiati e ho trovato un uomo trentenne, [con] tre bambini. Mi ha guardato e mi ha detto: “Padre, io sono musulmano. Mia moglie era cristiana. E nel nostro Paese sono venuti i terroristi, ci hanno guardato e ci hanno chiesto la religione e hanno visto lei con il crocifisso, e hanno chiesto di buttare giù, questo. Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me. Ci amavamo tanto!”. Questa è l’icona che porto oggi come regalo qui. Non so se quell’uomo è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove; non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati – tanti – sono di concentramento, per la folla di gente che sono lasciati lì. E i popoli generosi che li accolgono anche devono portare avanti questo peso, perché gli Accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani. E quest’uomo non aveva rancore: lui, musulmano, aveva questa croce del dolore portata avanti senza rancore”.

Infine, a chiudere l’omelia una preghiera: "

O Signore rendici degni testimoni del Vangelo e del tuo amore; effondi la tua misericordia sull’umanità; rinnova la tua Chiesa, proteggi i cristiani perseguitati, concedi presto la pace al mondo intero".

Al termine della Liturgia il Papa si intrattiene con un gruppo di rifugiati nei locali della Basilica. Sono profughi arrivati in Italia attraverso i corridoi umanitari  organizzati dalla Comunità di Sant' Egidio insieme alla Tavola Valdese. Parla con ciascuno e poi a tutti:

"Una parola di saluto e ringraziarvi per tutto quello che voi ci date. Grazie tante. Il Signore vi benedica".

All’uscita ancora un saluto alla folla di fedeli che l’attendevano sul Sagrato:

"Vi ringrazio per la presenza e per la preghiera in questa chiesa dei martiri. Pensiamo alla crudeltà, la crudeltà che oggi si accanisce sopra tanta gente; lo sfruttamento della gente … la gente che arriva in barconi e poi restano lì, nei Paesi generosi come l’Italia e la Grecia che li accolgono, ma poi i Trattati internazionali non lasciano … Se in Italia si accogliessero due – due migranti per municipio, ci sarebbe posto per tutti … E questa generosità del Sud, di Lampedusa, della Sicilia, di Lesbo possa contagiare un po’ il Nord. E’ vero: noi siamo una civiltà che non fa figli, ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio. Preghiamo".








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