E' trascorso un anno dalla pubblicazione dell'Amoris laetitia, l'Esortazione apostolica di Papa Francesco sulla pastorale familiare. In molte Chiese locali sono state avviate iniziative per riflettere sul testo e consentirne un'applicazione concreta. Per una valutazione sull'accoglienza che ha ricevuto il documento, Fabio Colagrande ha sentito l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere dell'Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia:
R. – C’è una grandissima recezione da parte del popolo di Dio, ovunque nel mondo. E’ un testo che viene accolto con entusiasmo, che la gente sente pieno di grande simpatia per le famiglie, anche di grande speranza. A un anno di distanza, i frutti sono notevoli ma ovviamente la complessità delle situazioni richiederà ancora applicazioni più legate ai diversi contesti culturali. C’è bisogno, per esempio – è una cosa che noto un po’ dovunque – di ripensare in maniera abbastanza profonda la preparazione al matrimonio e ancor più – e qui siamo davvero indietro – l’accompagnamento delle giovani coppie nei primi anni della loro esperienza matrimoniale e familiare.
D. – Ci sono elementi chiave di questo testo che secondo lei sono rimasti in secondo piano, rispetto al dibattito sul discernimento nelle situazioni irregolari?
R. – Sì, non c’è dubbio. La “Amoris laetitia” richiede un cambiamento di stile e di concezione della stessa Chiesa locale. La Chiesa essa stessa deve diventare familiare, deve affinare lo sguardo materno se vuole comprendere, accompagnare, discernere e integrare le famiglie. E qui c’è tantissimo ancora da fare. Ci troviamo di fronte a delle famiglie – in genere – poco ecclesiali e a delle comunità parrocchiali – in genere – poco familiari. C’è una sorta di nuova alleanza da ritrovare. La Chiesa di “Amoris laetitia” è una Chiesa che deve riscoprire appunto l’amore nella sua profondità. Una parte che spesso è poco frequentata ma è – penso – il pilastro di tutta l’Esortazione apostolica, è il capitolo 4, dove l’amore non risuona con corde romantiche – ‘due cuori, una capanna’ - ma l’amore, come il Papa lo descrive, è un amore che costruisce, che edifica, che è paziente, che perdona, che sopporta, che scusa e che spera anche contro ogni speranza. Ecco perché è un amore robusto e non un amore legato unicamente ai sentimenti: che è uno dei grandi equivoci della cultura contemporanea.
D. – Cosa rispondere a chi sottolinea invece i dubbi pastorali causati dal capitolo ottavo?
R. – Non c’è nessun dubbio sulla dottrina. C’è un ridare spazio ampio alla pastorale. Certo, questo richiede pastori che tornino a fare i pastori, cioè che sappiano – appunto – discernere, che sappiano accompagnare, che sappiano ascoltare e che sappiano via via integrare i fedeli – anche quelli più problematici – con la pazienza e la pedagogia di Dio, verso l’incorporazione a Gesù, al suo Corpo. E io ribadisco che il primo incontro con il Corpo di Cristo, in questo caso delle famiglie ferite, problematiche, avviene toccando la comunità cristiana, partecipando alla sua vita ed è di qui che poi si intraprende un nuovo cammino di crescita e di conversione. E qui c’è una responsabilità enorme. Potrei dire: i preti devono fare i preti, devono fare i padri spirituali e questo anche alcuni laici. Bisogna aiutare coloro che hanno difficoltà a rimettersi in piedi e a camminare con l’aiuto della grazia di Dio.
D. – In questo senso si capisce anche qual è il messaggio dell’“Amoris laetitia” in chiave di resurrezione pasquale …
R. – La resurrezione è un dinamismo d’integrazione al Cristo risorto che ci aiuta a guarire le ferite, a irrobustire il nostro cuore e il nostro spirito per andare incontro a chi ha più bisogno. Insomma, la resurrezione è la vittoria su ogni peccato, su ogni male. In questo senso, il messaggio di Cristo risorto è l’annuncio gioioso più forte che tutte le famiglie del mondo debbono ascoltare. E spetta a tutti i cristiani – pastori, laici, religiosi, sacerdoti e chiunque – di immettere la scintilla della resurrezione in tutte le situazioni: Gesù è venuto per salvare, non per condannare.
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