2017-04-13 11:51:00

Cresce tensione Usa-Russia. Damasco: una bugia il raid chimico


I rapporti Usa-Russia sono ai minimi: il presidente americano Trump definisce così le gravi tensioni tra i due Paesi a seguito dell’attacco con gas su Idlib, attribuito a Damasco. Il regime siriano nega con forza: il raid chimico è stato inventato - sostiene - come pretesto per attaccarci, l'esercito di Damasco non possiede più armi chimiche. Mosca si oppone alla bozza di risoluzione Onu sulla Siria, mentre spuntano intercettazioni sui preparativi del raid. Intanto, il Pentagono fa sapere che la coalizione a guida americana ha bombardato per errore l'11 aprile scorso una postazione delle Forze democratiche siriane a Tabqa, uccidendo almeno 18 ribelli al governo Assad. Da parte sua Damasco accusa le forze della coalizione internazionale di avere provocato "centinaia di morti" , ieri pomeriggio, in un raid contro un deposito dell'Is pieno di sostanze tossiche, nel  villaggio di Hatla. Francesca Sabatinelli:

E’ necessaria un’inchiesta dell’Onu sull’attacco chimico in Siria. Il ministro degli Esteri russo Lavrov, che ieri ha incontrato l’omologo statunitense Tillerson, mantiene toni pacati, ma il clima tra Usa e Russia resta infuocato, con i rapporti ai minimi, come detto dal presidente americano Trump. Bashar al Assad non può assolutamente governare la Siria e va rimosso, avverte Tillerson, sulla scia anche delle dichiarazioni della Cnn che rivela l’esistenza di intercettazioni statunitensi di conversazioni militari siriane circa la preparazione dell’attacco su Idlib. Ma sul futuro di Assad i russi non recedono, rimuoverlo significherebbe favorire i terroristi del sedicente Stato islamico. Assad è un macellaio, dice senza mezzi termini il presidente americano Trump che rilancia le accuse contro il leader siriano e ipotizza che la Russia potesse sapere dell’attacco. Lavoreremo con la Nato per risolvere “il disastro in corso in Siria”, aggiunge Trump mentre alle Nazioni Unite arriva l’ottavo veto della Russia alla risoluzione di Usa, Francia e Gran Bretagna in cui si richiede l’ingresso degli ispettori di Onu e Opac in Siria e si sollecita Damasco a cooperare con le due organizzazioni fornendo dati sui voli aerei del giorno dell’attacco. Accettare questa bozza, spiegano i russi, significherebbe legittimare il raid americano in Siria.

Per un’analisi della situazione siriana in relazione alle tensioni tra Stati Uniti e Russia, Massimiliano Menichetti ha intervistato Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisti del Centro Studi internazionali:

R. – Sono dei messaggi da parte del presidente americano: alla Siria, alla Russia, alla comunità internazionale in generale; messaggi di un presidente che si era presentato alla Casa Bianca come molto vicino alle posizioni di Putin: forse proprio questa vicinanza ha innescato una reazione opposta da un punto di vista dialettico, quindi di mandare dei messaggi forti alla Russia. Nonostante comunque i canali di comunicazione rimangano abbastanza strutturati, gli incontri con il ministro degli Esteri Lavrov a Mosca, degli ultimi giorni, sono comunque sono stati tesi ma il dialogo è andato avanti.

D. – Gli Stati Uniti insistono sulla rimozione del presidente Assad dalla Siria; Mosca è di tutt’altro avviso: si continua a non uscire dallo stallo …

R. – Perché per adesso non ci sono alternative ad Assad che possano “garantire” gli interessi russi in Siria; Trump cerca una rottura rispetto al passato e questo cambio di rotta passa attraverso un riequilibrio nei confronti di Mosca.

D. – Mosca per l’ottava volta si è espressa con un veto nei confronti dell’ingresso degli ispettori dell’Onu e dell’Opec in Siria …

R. – Mosca non può permettersi un ulteriore indebolimento di Assad, in questo momento. Fino a quando non si innescherà un processo diplomatico e politico che possa prevedere un’alternativa ad Assad più vicina, la Russia non permetterà un ulteriore indebolimento sia militare sia diplomatico di Assad. Il veto, in Consiglio di Sicurezza, va appunto in questa direzione.

D. – Questa situazione favorisce o è ininfluente nei confronti della lotta allo Stato islamico?

R. – Le tensioni distolgono l’attenzione dallo Stato islamico: questo è indubbio; nonostante sul campo vadano avanti le operazioni sia nel settore iracheno sia nel settore siriano. Certo è che la mancanza di una coesione e di un progetto diplomatico forte per la ricostruzione istituzionali siriana, indubbiamente lascia ulteriori varchi allo Stato islamico. Un altro fattore è indubbio: che un ulteriore indebolimento militare di Assad potrebbe creare un vuoto che in questo momento potrebbe essere colmato dalle realtà più forti sul terreno, che sono quelle jihadiste, sia di Jabhat al-Nusra sia dello Stato islamico.

D. – Gli Stati Uniti sono impegnati anche sul fronte nord-coreano: i satelliti dicono che sono frenetiche le attività nei siti nucleari, i toni fra Washington e Pyongyang sono diventati caldi. “Agiremo da soli”, dice Trump; Kim Jong-un ribadisce: “Siamo pronti a rispondere” …

R. – E’ una schermaglia, indubbiamente nota, ma stiamo arrivando alla cosiddetta linea rossa che non si può varcare, cioè quella di una bomba atomica nord-coreana – già presente, di fatto – che le istituzioni di Pyongyang già hanno, da montare su un missile e che quindi può essere utilizzata per un attacco a distanza. Questa è una linea rossa che la comunità internazionale, e soprattutto gli Stati Uniti, non vogliono superare, a prescindere dalla volontà della Cina. Di fatto siamo di fronte a una possibile svolta in questo scenario, anche se le opzioni – dalla caduta del regime di Pyongyang fino all’invasione terrestre – sono ancora troppo vaste per avere una prospettiva credibile.

D. – Quindi il rischio che partano dei missili, c’è?

R. – C’è questa possibilità. Non siamo ancora in questa fase, anche perché la presenza di una sola portaerei non può prevedere un attacco. Però, diciamo che è l’ultimo tentativo di dialogo rispetto a Pyongyang. Dopo questo tentativo, si prenderanno altre strade.








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