2017-03-11 14:30:00

Un libro sulla comunicazione medico-paziente, centrale per la cura


“La relazione medico-paziente” è il titolo del nuovo libro di Emanuela Mazza, docente di questa materia all’Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperta di comunicazione. Il testo, uscito recentemente per le edizioni Enea, vuole offrire efficaci strumenti di comunicazione ai medici. E agevolare un dialogo non sempre facile ma fondamentale ai fini della cura, come ci testimonia la stessa autrice del libro nell’intervista di Debora Donnini:

R. – Ormai ci sono molte evidenze scientifiche le quali dimostrano che una buona relazione ed una buona comunicazione possono fare la differenza. Una comunicazione, se buona, può dare un effetto "placebo" e per “buona” si intende funzionale alla situazione. Se non lo è, può dare un effetto "nocebo". E quando magari si tratta di malattie che non possono prevedere soluzioni o risoluzioni, almeno può migliorare la qualità del percorso per accompagnare il paziente nel miglior modo possibile.

D. - Quindi questo libro può essere uno strumento utile e snello per aiutare i medici ad avere un approccio positivo con i malati …

R. - È vero, vuole essere uno strumento utile, snello e assolutamente pratico. Nel modo di scrivere ho volutamente usato una comunicazione molto semplice e molto diretta, proprio perché i medici potessero avere strumenti pratici e cominciare ad usarli. Come si fa ad imparare ad usare questi strumenti? Usandoli.

D. – Recentemente è stato presentato il documentario “I ragazzi del Bambino Gesù”. Raccontare le storie anche dei malati può essere uno strumento utile per aiutare la società?

R. - Secondo me sì, per due motivi. Il primo perché, comunque, raccontare storie significa far vedere e dare testimonianza. E questo comunque è da sempre educativo. Il secondo motivo, in cui credo molto e che ho espresso nel libro, è che fondamentalmente la comunicazione appartiene alla natura umana. Quindi in realtà nel libro c’è proprio questo voler far ricordare, nel senso etimologico della parola, ossia “riportare al cuore", quello che fa parte della natura umana. Quindi far vedere storie fa anche parte di ricordare quello che siamo, perché aldilà di qualsiasi tecnica, in realtà comunicare con qualcuno significa volerlo ascoltare, significa essere interessati e anche questa è una forma di amore.

D. - Negli Stati Uniti viene attribuito molto peso alla comunicazione medico-paziente. In Italia a che punto siamo?

R. - Ci sono degli eventi spot, anche negli atenei universitari. Non si tratta però di percorsi didattici strutturati, con i crediti, con degli esami o con un numero di ore che rappresenti il minimo sindacale per acquisire quelle che in America, ma anche nel mondo anglosassone e in buona parte del resto del mondo, sono le communication skills, che sono considerate competenza fondamentale per il percorso di un medico.

D. - Un paziente, qualora si renda conto che la comunicazione con il medico è difficile, cosa può fare? Quale consiglio gli darebbe?

R. - I consigli che do ai miei pazienti quando mi capita di fare lezione: sicuramente arrivare da un medico con obiettivi chiari, per cui magari scriversi degli appunti su quello che si vuole dire o quello che si vuole chiedere e, nello stesso tempo, avere anche comprensione rispetto a persone che comunque lavorano con urgenze, perché la professione di un medico è complicata da mille punti di vista.

D. - Qual è il suo auspicio?

R. - Il mio scopo, come dico sempre anche in aula è questo: se con questo lavoro riesco anche a migliorare di un millimetro il percorso clinico terapeutico anche di un solo paziente e la qualità del lavoro anche di un solo medico, ho comunque già vinto.








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