2017-03-11 16:00:00

Elezioni nella separatista Abkhazia: il Caucaso in movimento


L' Abkhazia questa domenica vota per rinnovare i 33 membri del parlamentino di questa repubblica separatista, indipendente de facto dalla Georgia, ma non riconosciuta se non da pochi Paesi al mondo. Affacciata sul Mar Nero come tutta l’area caucasica è zona di transito cruciale verso l’Europa e il Medioriente e quindi ambita dai potenti attori regionali che sono Russia, Turchia e Iran. Dunque, quale valenza ha questo voto e che momento sta vivendo il Caucaso,da tempo assente dall’attenzione e dalla cronaca internazionale? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Marilisa Lorusso esperta dell'area dell’Osservatorio Balcani e Caucaso:

R. – In verità questo è un periodo intenso per le elezioni e i referendum in tutto il Caucaso. Si stanno muovendo molte cose, soprattutto i referendum costituzionali stanno cambiando anche un po’ gli assetti degli Stati riconosciuti o non riconosciuti; e il richiamo fondamentale all’intera comunità internazionale dovrebbe essere assolutamente alla prudenza. Che nessuno approfitti della instabilità altrui o propria per alterare equilibri, perché comunque questa è un’area in cui non si può prescindere dagli attori secondari storici come la Russia, la Turchia e l’Iran. Qualsiasi alterazione di quest’area riguarda direttamente gli interessi di questi Stati. E le elezioni in Abkhazia hanno un duplice valore: da un lato consolidare, ribadire la propria indipendenza; il secondo è quello che riguarda più spiccatamente le politiche interne del Paese, dei 33 deputati che dovranno essere eletti, 27 candidati sono già presenti nel parlamento. Quindi sicuramente è un’elezione che dovrebbe dare segno di continuità.

D. – Perché se ne parla ormai molto poco anche di questo voto in Abkhazia? Perché c’è pace? 

R. - In realtà, pace purtroppo non ce n’è; un conflitto che sta mantenendo un livello di guardia piuttosto alto è quello del Nagorno-Karabakh. Se ne parla molto poco probabilmente perché altri focolai riguardano la nostra sicurezza in modo più evidente e perché gli status quo hanno creato una sensazione di eternità apparente, perché sono conflitti congelati più o meno dagli anni ’90 mentre in verità questi conflitti si sono alterati perché gli attori secondari, dalla Turchia all’Iran alla Russia, hanno cambiato la loro postura, riguardo al Caucaso. Quindi, questi conflitti diventano anche un po’ un nuovo strumento di pressione politica reciproca e questo probabilmente sfugge molto, tende ad essere cioè poco considerato, come fattore.

D. – Prima si diceva: è tutta quest’area che a livello politico sta vivendo un movimento, una dinamica. Che significa? Verso che cosa sta andando? Come si sta configurando politicamente quest’area?

R. – Questo sarà un anno particolare, perché abbiamo tutta una serie di tornate elettorali: comincia adesso, appunto, l’Abkhazia, ma poi ci saranno le elezioni presidenziali in Ossezia del Sud, le elezioni in Armenia, poi le presidenziali in Nagorno-Karabakh. Quindi è un anno in cui ci sono questioni interne, di amministrazione locale, e molto spesso, soprattutto nei Paesi non riconosciuti, un’amministrazione locale che è legata molto a circoli di interesse poco trasparenti, quindi con possibilità di qualche colpo al limite fra la politica e la criminalità; e dall’altro lato, c’è una quadro regionale che è un po’ difficile da vivere. Ovviamente adesso tutti guardano anche al referendum in Turchia, sarebbe dunque veramente il momento di tenere d’occhio cosa sta succedendo in questa parte di mondo.

D. – E’ anche un’area e lo è sempre stata, di cerniera, di transito economico importante. Continua ad essere così? Quali sono le maggiori questioni economiche in ballo oggi in quest’area?

R. - C’è una grande sofferenza economica in questo momento nel Caucaso, legata al corso del petrolio ma anche al ribasso del rublo; l’instabilità non sta facilitando gli investimenti perchè si tratta di mercati molto limitati e poco integrati dal punto di vista regionale. Quindi i progetti di economia di scala sono molto pochi.

D. – Del Caucaso fanno parte anche il Daghestan e la Cecenia: nell'area ci sono quindi Paesi base per il transito in Siria per esempio, ma anche Paesi di partenza del terrorismo. Che ruolo sta giocando in questo momento il Caucaso da questo punto di vista?

R. – Il bilancio positivo che si può fare è che rispetto a un paio di decenni fa, sia gli Stati de facto – quelli non riconosciuti – sia gli Stati riconosciuti hanno un livello di statualità più solida, quindi la capacità di controllare il territorio è aumentata. I singoli Stati si stanno adoperando per esempio per evitare lo sconfinamento di questo male estremo che è il conflitto in Siria. Per il momento non ci sono stati episodi che fanno pensare a una presenza massiccia di cellule attive legate all’integralismo. Sicuramente però sono Paesi donatori e c’è il grosso rischio che chi ha assimilato professionalità legate alla guerra in Siria, poi, tornando, diventi una matrice di un nuovo inasprimento di conflitti sul territorio.








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