2017-03-02 13:33:00

Santa Sede: no a pena di morte, non si fa giustizia uccidendo


Allo stato attuale, non vi sono prove sufficienti per dimostrare che la pena di morte abbia un effetto deterrente sulla criminalità. Così l’Osservatore Permanente della Santa Sede, l’arcivescovo Ivan Jurkovič, intervenuto ieri alle Nazioni Unite di Ginevra. Esprimendo apprezzamento per gli sforzi intrapresi in molti paesi per l’eliminazione della pena capitale, il presule ha rimarcato la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale e, citando Papa Francesco, ha ribadito che “anche un criminale ha il diritto inviolabile alla vita” .

La giustizia umana è fallibile, la pena di morte irreversibile
“La giustizia umana  infatti - ha aggiunto l’arcivescovo - è fallibile, la pena di morte irreversibile” e a volte viene applicata anche su persone innocenti. Per questo motivo l’Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite invita le autorità legislative e giudiziarie a cercare sempre di garantire la possibilità per i colpevoli di pentirsi e rimediare ai loro crimini. Mons. Jurkovič cita ancora il Papa: "Per uno Stato di diritto la pena di morte rappresenta un fallimento, perché obbliga uno Stato ad uccidere in nome della giustizia. Ma la giustizia non è mai raggiungibile attraverso l'uccisione di un essere umano”.

Misure più umane per contrastare il crimine
“Esistono misure più umane per affrontare il crimine”: il delegato della Santa Sede esprime questa convinzione invitando ad assicurare alla vittima il diritto alla giustizia e a al criminale la possibilità di cambiare vita. Questo - è la convinzione di mons. Jurkovič-  favorirà lo sviluppo di una società più giusta ed equa, nel pieno rispetto della dignità umana”.

Sì a detenzione più dignitosa e a processi equi e giusti
Infine, ribadendo l’impegno della Santa Sede nel conseguire l’abolizione dell’uso della pena di morte e nel sostenere, come misura provvisoria, le moratorie stabilite dalla risoluzione dell'Assemblea Generale 2014, il presule ha invitato gli Stati membri a migliorare le condizioni di detenzione nel rispetto della dignità di ogni persona, indipendentemente dal crimine compiuto, e a garantire il diritto degli imputati ad un processo equo e giusto. (A cura di Paolo Ondarza)   








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