La Enoc: “volevamo dare una buona notizia”
“Mettere l’ospedale a disposizione di un racconto
mi poneva molti problemi. Mi chiedevo come sarebbe stata raccontata questa storia,
come avrebbe reagito il pubblico e se non ci avrebbero accusato di sfruttare il dolore
dei bambini. Poi ho capito che non potevamo tirarci indietro davanti alla possibilità
di raccontare una storia positiva e ho fatto un atto di coraggio”. La confidenza è
di Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale
Bambino Gesù, che racconta come, dopo qualche
titubanza, abbia deciso di aprire le porte di cinque reparti del nosocomio pediatrico
della Santa Sede alle telecamere della Rai, per realizzare un documentario reality
che narra la vita di dieci ragazzi colpiti da gravi malattie e di chi si prende cura
di loro. “L’ospedale è stato trasparente, medici e infermieri hanno accettato. La
produzione è stata attenta e riservata e i ragazzi si sono proposti, non sono stati
scelti”, spiega la Enoc. “Devo dire che quando
è stato pubblicato il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni
sociali di quest’anno, mi sono sentita confortata nella mia scelta, perché il senso di questo documentario è proprio testimoniare, soprattutto
ai giovani, speranza, forza e coraggio, non solo nella malattia, ma in ogni tempo
della vita. Abbiamo davvero bisogno di buone notizie e il nostro ospedale, che ha
radici profonde nel Vangelo, deve comunicare questi valori”.
Patrocinate dal Ministero della Salute e dal Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, le dieci puntate del docu-reality ‘I ragazzi del Bambino Gesù’ sono il frutto di tremila ore di riprese effettuate in un anno e, dal 19 febbraio, sono trasmesse da Rai Tre la domenica alle 22.50 e in replica il sabato pomeriggio.
Testimoni di coraggio e speranza
“Conoscevo, come madre, la grande professionalità
dei medici del Bambino Gesù, ma lavorandoci per 12 mesi ho verificato di persona,
con il regista Marco Mangiarotti e tutta la troupe, anche la loro enorme umanità.
Ci hanno mostrato che in un ospedale non ci sono solo le malattie, ma soprattutto
le persone che sono curate, con il loro presente, il loro passato, le loro emozioni
e relazioni”. A raccontarlo è Simona Ercolani,
ideatrice e curatrice del documentario di Rai Tre. “Mi ha colpito come questo spirito di solidarietà che si riscontra fra chi
lavora in quest’ospedale si rifletta anche sui pazienti e le loro famiglie. Spesso
in ospedale si è soli, invece qui abbiamo visto nascere amicizie: il dolore si combatte
insieme, nei reparti e nelle case famiglia che ospitano genitori e parenti”. “La cosa che mi ha fatto riflettere di più – continua la
Ercolani - è scoprire come la preoccupazione maggiore dei ragazzi ammalati sia non
far soffrire i propri genitori, farsi carico del loro dolore. Mi sembra una grandissima espressione di amore. Abbiamo costatato che in quelle
situazioni ci si protegge tutti l’uno con l’altro”. “Abbiamo seguito la tecnica dell’
‘observation documentary’, per non intralciare il lavoro ospedaliero, ma anche per
una scelta espressiva e artistica. Quella del Bambino Gesù è già una realtà così incredibile
e ricca che noi dobbiamo solo osservarla e restituirla al pubblico correttamente per
quello che è. E ciò che viene testimoniato è una grandissima forza d’animo e una grandissima
speranza. Abbiamo capito che, in fondo, è
difficile morire, soprattutto se non sei solo”.
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