2017-02-24 15:16:00

Il nuovo caporalato nell'inchiesta per la morte della Clemente


Una moderna catena di schiavitù: così si presenta oggi il caporalato come messo in luce dall'inchiesta della Procura di Trani che ha portato all'arresto di sei persone per la morte, nel 2015, di Paola Clemente, la bracciante agricola uccisa da un malore nella campagna di Andria. Gli inquirenti hanno raccolto le testimonianze di oltre 40 colleghe di Paola, grazie soprattutto alle loro dichiarazioni e ai loro diari è emerso lo sfruttamento e il sotto pagamento dei braccianti. Francesca Sabatinelli:

E’ stata una battaglia di dignità, perché nessuno possa più morire come lei. Questa la speranza del marito di Paola Clemente, 49 anni, stroncata nel 2015 da quello che si tentò di far passare come un infarto, ma che ora, e gli arresti lo confermano, si sa essere stato un malore per la fatica. Accanto alla famiglia di Paola si è sempre schierata la Flai Cgil, Ivana Galli è la segretaria generale:

“Questi sei arresti hanno confermato quello che noi avevamo già denunciato l’anno scorso dopo la morte della signora Paola, e cioè che non era morta d’infarto ma di fatica, dentro la serra, d’estate, a 40 gradi all’ombra. Giorni e giorni di lavoro in queste condizioni, dalle tre del mattino alle sette di sera. È chiaro che è morta di fatica. E quindi dietro c’era uno sfruttamento sistematico”.

E’ un caporalato moderno quello che ha ucciso Paola Clemente nelle campagne di Andria, ma che sfrutta e sottopaga centinaia di persone in tutte le regioni d’Italia da nord a sud. A spiegare questa nuova forma più evoluta è stato il procuratore di Trani parlando delle persone arrestate, tra loro dipendenti di un’agenzia interinale e della ditta addetta al trasporto delle braccianti agricole, tutti residenti nel barese e nel tarantino. Ancora la Galli:

“Il caporale con il colletto bianco è un fenomeno molto radicato, molto diffuso ed è veramente complicato portarlo alla luce perché ha anche delle modalità complesse con cui si manifesta. Per cui, individuare il caporale, individuare l’organizzazione non è cosa facile perché si ammodernano e cambiano modalità e pelle a seconda, appunto, delle normative e della legge. Noi abbiamo due strumenti per sconfiggere questo fenomeno complesso e radicato che c’è su tutto il territorio nazionale. Gli strumenti che abbiamo sono gli strumenti che la legge offre e cioè dare una risposta con il collocamento pubblico, un collocamento che intermedia in maniera legale presso le istituzioni l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; e l’altro, è il trasporto: il trasporto che consente a questi lavoratori, a queste lavoratrici di raggiungere il proprio posto di lavoro”.

Alle braccianti, è uso riconoscere meno ore di quante effettivamente svolte, con una paga inferiore a quella prevista da contratto. Condizioni capestro accettate per bisogno estremo, per la diffusa situazione di povertà in cui versano molte famiglie soprattutto nel meridione italiano. Per questo nessuno si ribella, a spiegarlo una delle donne ascoltate dagli inquirenti: se fai la guerra la perdi e il giorno dopo non vai più a lavorare:

“Noi – istituzioni e organizzazioni sindacali – dobbiamo presidiare il territorio, far sentire questi lavoratori, queste lavoratrici meno soli rispetto al fatto che se denunciano non perdano il posto di lavoro, non vengano ricattati. Noi ci siamo inventati il sindacato di strada, questi pullmini della Flai Cgil che vanno in giro nelle campagne a parlare con le lavoratrici, ad aiutarle, a fare le vertenze, a fare le denunce ma soprattutto a farle sentire meno sole e a fare in modo che se denunciano non finiscono in mezzo alla strada e non perdono il posto di lavoro”.

L’approvazione della legge 199 sul caporalato, nell’ottobre scorso, ha permesso di ottenere risultati nella lotta a questo orribile fenomeno, che però è l’allarme è in continuo mutamento. Fabio Ciconte, direttore dell’associazione ambientalista Terra! Onlus e portavoce della campagna FilieraSporca contro lo sfruttamento del lavoro in agricoltura:

“Noi abbiamo visto nelle campagne foggiane, quest’estate, durante la raccolta del pomodoro, ad esempio l’aumento dei contratti di lavoro. E questo ci indica un’evoluzione, perché, è vero, ci sono i contratti, ma nei fatti camuffano un lavoro pagato a cottimo, una modalità di lavoro che prevede sempre lo sfruttamento. E perché questo possa non verificarsi, dobbiamo dare gli strumenti al comparto agricolo e alle filiere alimentari, intanto di essere trasparenti, e quindi in qualche modo dare al cittadino un controllo sociale di quello che avviene, ma poi dare anche il valore all’agricoltura in termini economici e di qualità. Perché qui il tema vero è che tu non riesci a remunerare in maniera sufficiente l’agricoltura, e quindi è chiaro che poi vai ad intervenire sull’abbattimento dei costi del lavoro ad esempio; e questo è un problema enorme. Quindi trasparenza della filiera, remunerazione del comparto agricolo, e mi viene da dire anche che noi dobbiamo fare in modo che l’agricoltura si metta a “fare sistema”, ovvero che le organizzazioni dei produttori facciano veramente il loro lavoro, di aggregare la componente agricola, in modo tale da avere un potere contrattuale più forte, e quindi essere remunerati di più”.

Ciò di cui bisogna sempre tener conto, è l’avvertimento, è che nelle campagne i braccianti vivono in isolamento fisico e geografico, condizioni che rendono più facile essere sfruttati e molto più difficile denunciare.








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