2017-02-21 14:43:00

Caso Unar. Belletti: gestione impropria di risorse pubbliche


In Italia, ondata di sdegno nella classe politica e nell’opinione pubblica dopo le accuse di uso irresponsabile di denaro pubblico per finanziare attività sospettate perfino d'illegalità, quando mancano fondi in ambiti di grave e gravissimo disagio sociale. Si è dimesso ieri sera Francesco Spano, direttore generale dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni, istituito presso la presidenza del Consiglio, travolto dallo scandalo denunciato da un programma Tv. Il servizio di Roberta Gisotti, che ha raccolto il commento di Francesco Belletti, sociologo presidente del Cisf, Centro internazionale di studi sulla famiglia: 

La vicenda è nota: oltre 55 mila euro sarebbero stati erogati dall’Unar all’associazione Anddos, rete di circoli in tutta Italia, registrati come enti culturali, per usufruire di un regime fiscale favorevole, in realtà – secondo il programma Tv  “Le iene” - destinati ad ospitare incontri anche a pagamento fra uomini gay, a promuovere pratiche sessuali estreme,  a favorire la prostituzione. L’Unar, nato nel 2003, recependo una direttiva europea, ha la scopo sulla carta di “contrastare ogni forma di discriminazione fondata sull’appartenenza etnica e religiosa”. Resta difficile capire come mai questo Ufficio abbia allargato le sue attività per promuovere le comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) e la teoria gender nelle scuole. Prof. Belletti, a dir la verità che l’Unar esulasse dai suoi ambiti era stato denunciato diverse altre volte….

R.  – C’è stato un grande dibattito nel 2013-2014, quando avevano costruito una piattaforma specificamente dedicata all’Lgbt facendo entrare senza particolari meccanismi di accreditamento 29 associazioni all’interno di un comitato e poi emanando strategie di lotta a sostegno della ideologia Lgbt che dovevano entrare nelle scuole. Di fatto l’Unar ha preso posizioni molto schierate ed è un cattivo modo di gestire istituzioni che dovrebbero rappresentare un po’ tutti e non cavalcare singoli temi in modo unilaterale.

D. – Quindi si confonde la libertà di non essere discriminati, poi, alla pretesa di diritti particolari e perfino di privilegi...

R.  – Diciamo che la possibilità di gestire fondi pubblici per vertenze precise va custodita con grande attenzione, perché bisogna essere capaci di valorizzare una risorsa che è tolta ad altre destinazioni e che quindi deve essere capace di custodire un bene comune. Non si può genericamente finanziare qualunque cosa e, di fatto, l’associazionismo nel mondo cattolico e le realtà più strutturate sanno quanto sia impegnativo proporre progetti ed iniziative. Le regole sono serie, le regole vanno rispettate e bisogna preoccuparsi di dove vanno a finire i soldi e della qualità dei destinatari. E allora mi spiace molto che un ente che ha una finalità importante venga piegato a interessi che sono particolarmente specifici: cioè, è un particolarismo che distorce l’uso del denaro pubblico. Ovviamente il tema è particolarmente sensibile perché sulla questione dei diritti delle persone gay, del tema dell’omofobia - su cui c’è una legge in corso, con l’ipotesi di un reato che non è mai stato definito - c’è un grande problema. E’ chiaro che episodi di intolleranza ci sono e vanno condannati ferocemente, nessuno deve aver paura della propria incolumità per il suo orientamento sessuale. Ma da lì a costruire percorsi privilegiati e a promuovere qualunque cosa, purché si intesti questa battaglia di libertà e di diritti civili ipotetica che va sotto la voce Lgbt, ne corre tanto. E’ un triste esempio di un modo poco trasparente e poco appropriato di usare risorse pubbliche.

D. – L’esigenza di un maggiore controllo va girata alla classe politica che ora trasversalmente punta il dito contro l’Unar, ma dov’erano? In fondo l’Unar siede presso la presidenza del Consiglio…

R. – Chi ha responsabilità di governo non può chiamarsi fuori, non si può dire: “Me l’hanno fatta sotto il naso, non sapevo…”. Il problema del nostro Paese è anche la ricostruzione delle catene di responsabilità e forse anche il Dipartimento per le pari opportunità, il soggetto politico a cui dovrebbe rispondere l’Unar, qualche responsabilità ce l’ha. Insomma, non si può dire: “L’ha fatto l’Unar, punto e basta”. Purtroppo non possiamo più farlo. Bisogna verificarlo e vigilare. L’Unar è un ente che va riprogrammato e protetto non va stigmatizzato per definizione perché ha fatto un errore. Però l’errore c’è stato, è grave e ci sono responsabilità, amministrative ma anche politiche.








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