La guerra digitale dei cattolici
Il ruolo dei giornalisti, secondo Papa Francesco,
dovrebbe essere quello di ricordare a tutti che ‘non c’è conflitto che non possa essere
risolto, da uomini e donne di buona volontà’. Eppure oggi, nel mondo digitale,
in cui tutti abbiamo ormai la responsabilità di comunicare, i cattolici non si distinguono
certo per scarsa conflittualità e capacità di promuovere la cultura dell’incontro.
Anzi, sembra che i credenti in Cristo non riescano a superare le opinioni divergenti
per condividere anche in rete la testimonianza del Vangelo. Si assiste così a scontri
poco edificanti e soprattutto apparentemente sterili. Sembra del tutto dimenticato
quello ‘stile cristiano’ di presenza nel mondo digitale, fatto di una comunicazione
‘onesta, aperta, responsabile e rispettosa’, auspicato tempo fa da Benedetto XVI.
Come uscirne?
Verità e Misericordia
“Il nostro lavoro – spiega Martina Pastorelli,
fondatrice di Catholic Voices Italia – prende spunto dal progetto di comunicazione
nato in Inghilterra nel 2010, e ha lo scopo di equipaggiare i cattolici affinché,
nell’odierna società secolarizzata, sappiano comunicare laicamente la loro fede, anche
in contesti apertamente disinteressati, se non ostili alla Chiesa”. “In particolare,
nel nostro mondo iperconnesso, oggi, siamo tutti comunicatori e per tutti diventa
fondamentale imparare a dialogare con l’altro, anche con chi non è d’accordo”. “Nel
nostro recente Public Speaking Program, un corso di tre giornate – spiega ancora -
abbiamo però considerato anche l’emergere di divisioni e polemiche interne al mondo
cattolico. Serve sempre di più una comunicazione positiva, essere meno difensivi
e più inclusivi, mettendo in evidenza la radice cristiana dei nostri valori, per mettere
in evidenza ciò che unisce. Ricordare, soprattutto, che diamo un esempio
e che – come dice Papa Francesco – la nostra comunicazione deve dire insieme ‘verità
e misericordia’. Uscire dalla contrapposizione sterile si può attraverso la connessione
con il valore dell’altro. E’ un atteggiamento veramente cristiano che consiste nel
cercare di capire le preoccupazioni, le ragioni dell’altro. Ed è l’unico per far partire
una comunicazione veramente autentica”.
La disputa felice
“Oggi che siamo nel pluralismo e continuamente connessi
con persone diversissime da noi, abbiamo una sola possibilità: imparare a discutere
e a disputare felicemente”, spiega Bruno Mastroianni, giornalista, blogger
e docente di comunicazione alla Pontificia Università della Santa Croce.
“Ci sarà sempre, infatti, una persona con un’opinione diversa dalla nostra. Dobbiamo
imparare a gestire le discussioni senza scadere nel litigio, senza cioè andare ‘fuori
tema’ come diceva Chesterton. Con la consapevolezza che la ‘disputa felice’ non è
un qualcosa che s’impara a scuola, dove ci si concentra solo sui contenuti”. “Prima
dell’era social – spiega Mastroianni - c’erano meno pulpiti e i contrasti erano meno
evidenti. Ma è anche vero che il web facilita il litigio. Tra i cattolici avviene
ciò che succede in altri ambiti fra persone che condividono dei valori ma hanno punti
di vista diversi. La strada è quella di imparare a relazionarsi con l’altro,
perché ormai, nel mondo digitale, ce l’abbiamo sempre davanti. Oggi la vera
sfida del comunicatore è farsi capire da chi non è d’accordo con noi, cimentarsi appunto
con il diverso”.
Credenti o tifosi?
“Paradossalmente noi cattolici siamo un po’ analfabeti
nella comunicazione. Quando discutiamo sul web non si vede tanto, come vorrebbe il
Vangelo, che ci amiamo gli uni gli altri, ma si segue il processo della delegittimazione
reciproca e della delegittimazione delle autorità ecclesiali”, commenta Guido
Mocellin, giornalista e scrittore, curatore della rubrica Wikichiesa sul quotidiano
Avvenire. “L’unica via d’uscita mi sembra un paziente apostolato. Chi vede
questi limiti dovrebbe sforzarsi, anche nel suo piccolo, di attuare una vera opera
di conversione”. “Curando la mia rubrica per Avvenire – aggiunge Mocellin – trovo
anche tante esperienze positive nel web cattolico, e in particolare le ‘storie’. Storie
di prossimità, di testimonianza di fede nella malattia. Tutti temi che vanno al di
fuori delle questioni di politica ecclesiale che, a mio parere, restano tematiche
secondarie rispetto alla ricerca di vita evangelica”. “Purtroppo – conclude Mocellin
– l’odierno modello del dibattito pubblico fra cattolici nasce in televisione,
al famoso ‘Processo del lunedì’, ed è inconcludente proprio perché basato sul tifo
per una squadra e dunque sul pregiudizio piuttosto che sulla ragione”.
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