2017-02-10 13:14:00

Usa: Trump ricorre alla Corte Suprema su bando migranti islamici


Prosegue lo scontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e la magistratura. La Corte d'Appello federale di San Francisco ha detto no al bando del Capo della Casa Bianca contro l'ingresso dei rifugiati e dei cittadini provenienti da sette Paesi islamici. Trump ha annunciato ricorso alla Corte Suprema. Su questo confronto, che sta assumendo toni sempre più aspri, Giancarlo La Vella ha intervistato Ferdinando Fasce, già docente di Storia Contemporanea e americana:

R. – Siamo in presenza di un conflitto profondo, finora inaudito per il sistema politico statunitense. Trump – abbiamo visto – ha cercato di far vedere subito la sua intenzione di rompere con il passato, di mettere in atto quelle politiche che, a suo dire, dovrebbero rendere l’America di nuovo grande; e quindi non poteva che colpire la – per quanto relativa, ma pur sempre esistente – disponibilità dell’amministrazione Obama nei confronti delle politiche migratorie, e poi le politiche sanitarie.

D. – Guardiamo al Trump in politica internazionale: quale scenario possiamo immaginare per il prossimo futuro?

R. – Io direi che non è facile immaginarlo, perché mi sembra che Trump si stia muovendo – come si è mosso, del resto, in campagna elettorale – fra opzioni che vengono adottate e poi vengono smentite e poi ancora riprese. Finora, di continuità c’è sostanzialmente l’atteggiamento molto amichevole nei confronti della Russia, e quindi sembra che Trump stia navigando a vista; vedremo cosa ne uscirà …

D. – Per quanto riguarda Israele, Trump sembrava potesse essere di nuovo l’alleato più importante, per lo Stato ebraico; invece, da un po’ di tempo sta bacchettando Netanyahu sul discorso degli insediamenti nei Territori palestinesi …

R. – Trump agisce molto di impulso, un atteggiamento che inizialmente  lo ha spinto a fare dichiarazioni roboanti a favore degli insediamenti. Però, poi si tratta anche di fare politica estera, insomma: e quindi è possibile che dall’interno del Dipartimento di Stato qualcuno gli abbia fatto notare che, sostenere a spada tratta, senza se e senza ma, l’allargamento degli insediamenti era una politica assurda.

D. – Possiamo parlare di quello che sta ridiventando un contenzioso con l’Iran dopo gli accordi con gli Stati Uniti di Obama e la Repubblica islamica?

R. – Bè, questo può essere davvero uno degli elementi più seri, rispetto ai quali è auspicabile che venga qualche monito a non tirare troppo la corda e a proseguire, invece, in quella politica che in fondo ha dato risultati non disprezzabili, e che era la politica dell’Accordo sul nucleare sottoscritto da Obama. Cioè, bisogna stare molto attenti al fatto che – come già aveva pensato uno che peraltro di politica aveva senz’altro più esperienza di Trump, come George W. Bush – il Medio Oriente non torni ad essere la questione di maggior crisi, di maggior difficoltà per gli Stati Uniti stessi.

D. – Come a dire che la sicurezza interna forse si costruisce anche con buoni rapporti internazionali?

R. – Certamente! Questo lo si è detto subito dopo l’11 settembre: si è fatto notare che in realtà la questione della sicurezza nazionale è prima di tutto una questione di diplomazia, di intelligence, di coordinamento a livello internazionale.








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