2017-01-23 13:19:00

Regno Unito e Israele, primi interlocutori di Trump in politica estera


Dall’immigrazione all’energia passando per importanti rapporti diplomatici: il Presidente degli Stati Uniti Trump ha iniziato la  prima settimana di lavoro con la volontà espressa di moltiplicare decreti e iniziative per dare seguito agli slogan elettorali. Tra i primi passi di politica estera, l’incontro a breve con il premier britannico May e la telefonata con il leader israeliano Netanyahu. Perché e cosa  si sta concretizzando? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Giampiero Gramaglia consigliere dell’Istituto Affari internazionali:

R. – Nei confronti della Gran Bretagna, mi sembra il tentativo di procurarsi un cavallo di troia per il dialogo con l’Europa, perché Trump vuole rapporti bilaterali e quindi la Gran Bretagna diventa un po’ un test di quelle che potranno essere le condizioni offerte ai singoli Paesi europei se si lasceranno tentare da questo approccio. Per quanto riguarda Israele, qui è una partita vinta in partenza: Netanyahu e Obama avevano rapporti ai minimi termini e contestualmente peggioreranno probabilmente i rapporti tra gli Usa e i palestinesi e una buona fetta del mondo arabo. Ma questo mi sembra preoccupare di meno Trump.

D. – Sulla Gran Bretagna c’è qualcuno che parla di un nuovo “asse” come ai tempi di Reagan e della Thatcher: si profila questo?

R. – Si può profilare nelle intenzioni. Che però quest’asse abbia la stessa consistenza di quello che ebbe l’asse tra Reagan e la Thacher è da vedere; e poi a me sembra ovvio che una Gran Bretagna fuori dall’Unione abbia sull’Unione una capacità di incidenza molto minore di quella che aveva la Gran Bretagna della Thatcher, che infastidiva terribilmente i partner dell’Ue, ma stava dentro l’Ue. E anche la Nato necessita ovviamente di una forte integrazione di sicurezza e di difesa tra gli Stati Uniti e l’Europa nel suo complesso.

D. – E invece riguardo Israele, in questa fantomatica telefonata tra i due leader, pare non essere stata toccata la questione ambasciata da spostare a Gerusalemme e poi l’altra questione importante: gli insediamenti su cui Netanyahu prende tempo. Segni di cautela, di realismo, dopo la fiammata delle dichiarazioni della campagna elettorale?

R. – Per quanto riguarda gli insediamenti, credo che sia un segno di cautela e anche di rispetto per non presentarsi a Trump avendo già creato i presupposti per una fiammata di tensione nell’area. L’ambasciata è un altro discorso che numerosi Presidenti degli Stati Uniti hanno fatto in campagna elettorale, e poi le cose sono rimaste come sono. Quindi, Trump potrà anche farlo ma forse qualcuno lo ha indotto a riflettere: non farebbe altro che aumentare le tensioni tra palestinesi e israeliani, ma anche le tensioni e le pulsioni del mondo arabo contro gli Stati Uniti.

D. – Gramaglia, nelle primissime decisioni di Trump c’è anche la rinegoziazione del Trattato di libero scambio sia con il Canada che con il Messico, anche qui in senso di protezione un po’ dei lavoratori americani. Ma nello stesso tempo proprio ieri, sul sito della Casa Bianca, molte fonti di stampa dicono sia stata rimossa la versione in spagnolo: che ne pensa? È realistico un atteggiamento del genere? A che cosa porterà?

R. – Gli Stati Uniti possono, se vogliono, denunciare l’accordo: possono cioè uscire dall’accordo e non riconoscerlo. E allora libertà per tutti, ciascuno fa come vuole. Però, se di accordo si tratta, l’accordo va rinegoziato a tre con l’assenso di tutti e tre: non è una decisione unilaterale degli Stati Uniti. Per quanto riguarda invece la questione dell’immigrazione, lì Donald Trump, sul suo territorio, può costruire tutti i muri che vuole. Non ho assolutamente idea di come possa pensare di farlo pagare al Messico, e i messicani non hanno sinceramente idea di perché lo debbano pagare loro.

D. – Non ci sarà dunque uno scontro a fine mese in questo vertice, in questo colloquio con Peña Nieto, secondo lei?

R. – Non abbiamo ancora le misure di quello che è l’atteggiamento negoziale del Presidente Trump. Potrebbe anche trovare un premier Trudeau e un Presidente Peña Nieto che non sono d’accordo con lui e glielo dicano.








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