2017-01-21 11:41:00

Onu: avviare in Libia negoziati senza ingerenze esterne


In Libia non c’è alcuna rivendicazione per l’autobomba esplosa ieri sera a Tripoli, nelle vicinanze dell’ambasciata italiana, appena riaperta dopo la chiusura di tre anni fa a causa dei disordini nel Paese. Nell’azione due persone sono rimaste uccise. Dall’Egitto ieri è giunto l’appello a fermare la violenza da parte dell'inviato dell'Onu per la crisi libica, Martin Kobler. Ma mentre nel Paese continuano scontri e attentati, oggi a Tunisi è prevista una nuova riunione del Dialogo politico libico. Massimiliano Menichetti ha intervistato Pietro Batacchi direttore di Rivista Italiana Difesa:

R. – I problemi di stabilità della Libia rimangono la frammentazione, la diffusa instabilità e soprattutto la distribuzione del potere tra i diversi attori. Molto spesso si sente parlare di una Libia divisa in tre governi; in realtà sono in qualche misura ostaggio dei veri attori forti nel Paese, ovvero i poteri criminali e le tribù, da cui nascono una serie di milizie che sono – appunto – i veri padroni del Paese.

D. - Dagli incontri a livello internazionale, ma anche locali, per la Libia si ribadisce la necessità di combattere il terrorismo, l’immigrazione illegale e il traffico d’armi. È possibile in questo contesto?

R. - È molto difficile perché sul terreno mancano referenti forti e credibili. C’è un Consiglio presidenziale riconosciuto dall’Onu e dalla Comunità internazionale, quello di Serraj, che però ha un problema di fondo: non riesce a controllare la capitale del Paese, Tripoli. Dall’altra parte, in Cirenaica c’è un altro governo, quello di al-Tinni, dove c’è l’uomo forte, rappresentato dal generale Haftar, che serve e segue interessi specifici. Per cui, in un contesto del genere, diventa difficile programmare politiche di lungo periodo, politiche che siano efficaci, politiche che siano in grado di contrastare questi fenomeni.

D. - L’Egitto torna a giocare un ruolo di primo piano anche sulla crisi libica. Il generale Haftar al Cairo ha incontrato il capo di Stato maggiore. Nel frattempo al Serraj continua a rilanciare l’idea di un Paese unito. Quanti interlocutori ci sono in Libia?

R. - In questo momento uno, nessuno e centomila. Ho la sensazione che ad un certo punto bisognerà accettare la situazione nel Paese.

D. - Mi sta dicendo che bisogna accettare che la Libia, come stato unitario, non esiste più e ragionare in termini di frammentazione?

R. – Temo di sì, purtroppo. Del resto è quanto accaduto in Somalia, dove alla fine, anche in quel caso lì, la Comunità internazionale ha accettato che ci siano più Stati,  più realtà politiche e territoriali. Oggi, in un Medio Oriente allargato, ci sono tanti, troppi Stati falliti; dalla Libia, all’Iraq, alla Siria, alla Somalia, allo Yemen, dove lo Stato come lo conosciamo noi – lo Stato nazionale – non esiste più. Esistono, invece, una serie di pezzi di Stato e situazioni di fatto sul terreno, quindi tribù, comunità religiose, poteri criminali – come nel caso della Libia, dove ci sono una serie di milizie che rispondono a poteri di natura assolutamente mafiosa e criminale - e bisogna trovare un equilibrio tra queste realtà. Un equilibrio che può essere sia di natura militare sia, in altri casi più benigni, attraverso il dialogo e la cooperazione.








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