2017-01-11 13:59:00

Emergenza maltempo: Caritas, critica situazione migranti in Serbia


Sono tra i 7 mila e i 10 mila e provengono da Afghanistan, Pakistan, Siria, Iraq. Sono i migranti ammassati nei campi profughi o in accampamenti di fortuna in Serbia, con temperature che negli ultimi giorni hanno superato i venti gradi sotto zero. Si tratta di bambini, anziani, intere famiglie in attesa di oltrepassare il confine ungherese a nord del Paese, in un’emergenza freddo che si estende a tutti i Balcani. Ce ne parla Daniele Bombardi, coordinatore di Caritas Italiana in Bosnia Erzegovina e in Serbia, raggiunto telefonicamente a Sarajevo da Giada Aquilino:

R. - L’emergenza di questi giorni è abbastanza pesante, perché le temperature che qui d’inverno sono già rigide – è normale da queste parti arrivare anche a meno 10 - adesso sono scese di almeno altri 20 gradi. Sarajevo due mattine fa segnava meno 26. Questo comporta disagi a tutti i livelli, però la situazione probabilmente più grave al momento è in Serbia: il termometro segna meno 15, meno 20 e il Paese è ancora interessato dalla crisi migratoria lungo la rotta balcanica. Ci sono circa diecimila persone nei campi profughi, alcune addirittura fuori dai campi profughi, che stanno dormendo in condizioni terribili e, con questo freddo, rischiano la vita.

D. - Di chi si tratta? Chi sono queste persone?

R. - Sono le persone che, anche dopo la chiusura della rotta balcanica del marzo scorso e l’accordo con la Turchia con cui si è cercato di frenare il flusso migratorio lungo la rotta balcanica, stanno provando a raggiungere l’Unione Europea - in particolare la Germania - attraversando illegalmente i confini. Quindi sono persone arrivate per lo più da Oriente – afghani, pakistani, ma anche siriani, iracheni - che scappano da situazioni soprattutto di guerra. Sono arrivate in Grecia in qualche modo e da lì proseguono o via Turchia o via Bulgaria o tramite la Macedonia fino in Serbia. Il fatto è che qui fanno fatica a proseguire, perché puntano ad entrare nel territorio dell’Unione Europea dall’Ungheria che ha messo il muro al confine, l’esercito al confine. Quindi rimangono in qualche modo bloccati anche per mesi e mesi in Serbia, in attesa del momento buono per attraversare il confine. Il fatto è che la Serbia non è pronta a questo tipo di numeri: i campi sono super affollati, ci sono oltre mille persone che stanno dormendo all’aperto a Belgrado. In questi giorni circolano anche su internet, sui media italiani, le foto della gente in fila a Belgrado sotto la neve - alcuni di loro in ciabatte - per un pezzo di pane. Immagini terribili nel 2017!

D. - Si tratta di persone che appunto in molti casi hanno la guerra alle spalle e davanti trovano barriere anti migranti. Ma al di là delle temperature, perché è così devastante l’impatto di questa ondata di freddo?

R. - È difficile muoversi. Le famiglie, le persone che vivono in zone rurali fanno più fatica, sono isolate e stanno soffrendo molto queste temperature. Per quanto riguarda i migranti, alcuni gruppi provengono da zone dove i climi non sono freddi. Per chi viene soprattutto dal Medio Oriente, dalla Siria, dall’Iraq, cioè da zone in cui queste temperature non si registrano mai solitamente, è uno shock anche termico. Non sono abituati e quindi mettono a rischio la propria salute e la propria vita in questi giorni.

D. – Com’è impegnata la Caritas in questo momento?

R. - Caritas sta cercando di fare quello che può in queste condizioni, offrendo l’assistenza possibile a queste persone in termini di bisogni di base: vestiti, cibo e supporto sanitario. Una cosa importante va detta: in Serbia fino ad ora Caritas fa quello che il governo le consente di fare. La gestione del fenomeno migratorio è sotto strettissimo controllo governativo: il governo non vuole che le organizzazioni della società civile prendano iniziative autonome. Quindi noi vediamo che ci sono dei bisogni non coperti, avremmo anche i mezzi per poter rispondere, ma purtroppo la rigidità del governo di Belgrado impedisce di rispondere adeguatamente ai bisogni di queste persone, senza invece capire che la gente in Serbia ci rimane comunque, perché ormai è quasi arrivata alla meta europea, quindi non se ne andrà semplicemente perché nel campo le condizioni sono peggiori.

D. - Parliamo di Caritas italiana, che sul terreno collabora con le Caritas locali…

R. - Caritas italiana opera soprattutto attraverso la Caritas Serbia e le Caritas diocesane del Paese, che ormai da quasi due anni sono in prima linea nell’emergenza migratoria.








All the contents on this site are copyrighted ©.