2017-01-09 14:30:00

Post-verità, Fabris: mai rassegnarsi alle "balle mediatiche"


False notizie, fake news, bufale corrono sulla rete da sempre, ma il dibattito sulla cosiddetta "post-verità" si accende ad ondate su giornali, tv, siti e social quando emergono casi più eclatanti o prese di posizione di leader politici su come ordinare o lasciare nel caos l’universo internet. Roberta Gisotti ha intervistato Adriano Fabris, docente di Etica della comunicazione all’Università di Pisa:

D. - Prof. Fabris, tanti i modi per definire bugie, scorrettezze, infamie o anche spam e spazzatura, che vengono sversate in rete. Dobbiamo davvero rassegnarci a vivere in una terra di nessuno, senza regole e valori, diritti e doveri uguali per tutti?

R. – Molte persone vorrebbero questo: che ci rassegnassimo e abbandonassimo la possibilità di distinguere il vero dal falso. Questo farebbe comodo a coloro che vorrebbero proporci una realtà a loro misura, che vorrebbero convincerci che ci sono cose che in realtà non esistono e che incidono nella nostra vita. Io credo che questa sia una delle frontiere che davvero noi dobbiamo continuare a presidiare e che distingue il vero dal falso. Noi abbiamo bisogno di recuperare un concetto di verità, che certamente va modificato, anche in relazione ai nuovi mondi che ci vengono offerti dalle nuove tecnologie. Il tema della verità, con maggior forza nell’epoca delle “balle mediatiche”, deve essere riproposto all’attenzione di tutti.

D. – Diverse le ipotesi per ordinare il web sempre naufragate, perché ritenute – a torto o a ragione – censorie. Tra le ultime quelle di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’anti-trust, che ha chiesto una Rete indipendente di agenzie nazionali; e poi quella del leader politico Grillo, che ha suscitato tante polemiche, che ha invocato una giuria popolare. Insomma tanto rumore e poi nulla?

R. – Effettivamente è difficile regolamentare il web dall’alto, perché l’ambiente di Internet è transnazionale; mentre la regolamentazione, il più delle volte, avviene su scala nazionale. Ogni tanto viene fuori l’idea di delegare all’Onu una regolamentazione: ma se l’efficacia dell’Onu è quella che spesso si vede all’opera, certamente non è forse la soluzione migliore… Io credo che una regolamentazione sia indispensabile e sia richiesta e questo lo vediamo anche da tante, tante esperienze di abusi del web. Solo che se non può provenire dall’alto, se magari sa fin troppo di censura o di Grande Fratello una regolamentazione imposta, deve sicuramente esserci e venire dal basso, dalla sensibilità etica delle persone, da quella che è una necessaria educazione all’uso delle nuove tecnologie.

D. – Professore, non so da quanti anni si parla ormai di “media education” per abituare, appunto, le nuove generazione – ma ormai tutti quanti – all’uso di questi strumenti, che fanno parte della vita ordinaria delle persone. A che punto siamo?

R. – Purtroppo non siamo molto avanti, perché si scambia l’educazione all’uso dei media con la capacità di adattarsi, sempre meglio e sempre di più, ai nuovi strumenti comunicativi o alle loro possibilità. Non è questo! Non è l’educazione all’utilizzo, ma al significato, alle conseguenze; alle responsabilità che noi abbiamo nell’utilizzo di uno strumento comunicativo ciò a cui dobbiamo essere educati. E soprattutto devono essere educate le giovani generazioni, che sono quelle che più immediatamente e senza filtri vengono inserite in questi nuovi ambienti in questa dinamica.

D. – Forse, che ci sia anche una informazione più veritiera su tutte le ricerche che sono state già fatte sugli effetti negativi di un uso distorto o un abuso dei nuovi media…

R. – E’ chiaro che attrae molto di più e fa molta più audience una notizia scandalosa, una notizia che allarma, una notizia anche esagerata, se non addirittura falsa. E questo perché, soprattutto su lanciata sul web, viene anche diffusa – come si dice – in maniera virale. Però siamo noi che utilizziamo il web e quindi siamo noi che poi, alla fine, possiamo anzi dobbiamo decidere sulla validità o meno di qualcosa. Il punto, però, è che noi possiamo e dobbiamo decidere se ne abbiamo le competenze: certo il web, da un punto di vista di divulgazione, ha una potenzialità di incremento della democrazia notevole. Il problema è che la democrazia, però, non ci mette tutti sullo stesso piano: abbiamo competenze diverse e possiamo giudicare, decidere e far conoscere anche agli altri quelle che sono le nostre decisioni grazie al web, ma sulla base delle conoscenze e delle competenze che ciascuno di noi ha.








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